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Autore: Ivola    19/05/2013    8 recensioni
Le storie di Panem sono varie e numerose. Avete mai sentito parlare dei promessi del Distretto 6, quei due ragazzi che avrebbero fatto di tutto pur di ammazzarsi a vicenda e non sposarsi? Loro sono solo una sfocatura, come tanti altri.
Klaus e London. London e Klaus.
Un altro matrimonio combinato, le persone sbagliate, un cuore solitario, e tutto ciò che (non) può essere definito amore.

▪ VI: « Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. [...]
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. Non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. « Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso London avesse deciso di parlare ancora.

▪ XIII: « Perché lo state- no, perché lo stai facendo? »
L’altro lo guardò bene negli occhi, con un’espressione che Klaus non seppe decifrare.
[...]
« Mert szeretlek » rispose Ben semplicemente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Note: Un capitolo decente, forse.
Boh, stavolta non so che dire. Questa è Ludmille, insieme alla piccola Schatten. Dal prossimo capitolo in poi probabilmente aggiornerò con meno costanza, perché il sesto è l'ultimo tra quelli che già sono pronti.
Dovrei indire una campagna per sostenere psicologicamente Ben.
Buona lettura ♥


Il titolo del capitolo viene dall'omonima canzone "The hardest part" dei Coldplay.

Questo banner è stato realizzato sotto la gentile concessione di SimoBrev's Pics; ϟ 
Da adesso lo alternerò con l'altro ad ogni capitolo :3

















 










Blur
∞ 
(Tied to a Railroad)




 
 
005. Fifth Chapter – The hardest part.




La villa dei neo coniugi Wreisht era molto sobria, anche se ben curata da cima a fondo e nei minimi dettagli. Niente a che vedere, comunque, con i manieri dei capostipiti delle due famiglie. Nel grande salone adibito a festa si stava tenendo la tranquilla cerimonia nunziale, con tanto di banchetto aperto a qualunque conoscente del Distretto vi volesse partecipare. Sul portico di legno erano state sistemate numerose ghirlande di fiori e il profumo dei boccioli invadeva persino l’atrio e l’androne.
C’era atmosfera di festa, in quella casa.
Gli invitati sorridevano, ignari della tensione che aleggiava tra i due sposi, l’uno accanto all’altra solo per mantenere la facciata. Si sfioravano a malapena, troppo presi a ringraziare chi veniva a congratularsi con loro.
London manteneva in una mano un bicchiere di aperitivo, bevendone distrattamente qualche sorso ogni tanto. Sembrava che il tempo stesse scorrendo senza un criterio, prendendosi gioco di lei.
Le scarpe alte già le davano fastidio, se aggiunte a tutti quei falsi sorrisi che era costretta a mostrare, ben consapevole che a qualche metro di distanza suo fratello la stesse osservando pieno di tristezza.
Le si spezzava il cuore a quel pensiero, eppure non riusciva a capire perché Klaus avesse accettato di sposarla. Dopotutto si odiavano. Chi l’aveva convinto?
Era un dubbio che le era affiorato poco prima, quando ancora non aveva realizzato di essere appena diventata la nuova signora Wreisht. Se n'era resa conto con orrore, quasi.
Il mondo scorreva velocemente sotto i suoi occhi. Davanti a lei passavano volti, voci, suoni e parole che non era in grado di riconoscere. Si sentì girare la testa, per cui si scusò con Emma Donald, la moglie di Rafe – con la quale stava intrattenendo una cauta conversazione – e si rifugiò in cortile, vuoto perché tutte le persone si trovavano al banchetto.
La accarezzò una brezza lieve, scompigliandole di poco le ciocche dell’acconciatura alta. London si appoggiò con la schiena alle mura della villa, ben nascosta da tutti gli altri. Si passò una mano sul viso, sospirando di frustrazione.
Non sarebbe dovuta andare così.
L’idea di essere la moglie di Klaus le faceva semplicemente ribrezzo, lasciandole una sgradevole sensazione sottopelle.
Stava riflettendo su come sarebbe potuta diventare la vedova Wreisht, quando capì di non essere sola. Su una panchina isolata stava seduto suo fratello che parlava pacatamente con una donna albina quasi quanto loro. London capì subito di chi si trattasse: Ludmille Schnee, la vincitrice ormai venticinquenne del Distretto.
Ludmille aveva un portamento rigido e fiero al contempo. Teneva sempre la testa alta e lo sguardo distante, come a voler freddare tutti con i suoi occhi profondi e limpidi al pari del ghiaccio.
London non aveva mai invidiato nessuno in vita sua, eppure guardando quella donna qualcosa le intimava di portarle rispetto, nonostante la conoscesse solo di vista. Ben sosteneva che non era sempre stata così algida e fredda con il mondo intero; piuttosto, un tempo sorrideva. Un tempo molto lontano. Non che il ragazzo la conoscesse più di lei, però aveva avuto modo di parlarle più di una volta.
La ragazza si sentì ribollire il viso e, mandando al diavolo i giramenti di testa, Klaus e la cerimonia, si avvicinò alla panchina con sguardo sprezzante.
Si era sempre chiesta perché fosse gelosa di tutti gli esseri di sesso femmile che avvicinavano suo fratello, ma non aveva mai trovato una risposta – forse. London detestava darsi risposte da sola, dopotutto.

« E’ una bella giornata, oggi, no? » chiese retoricamente, posando lievemente una mano sulla spalla di Ben, che sussultò non avendola sentita arrivare.
Ludmille non si scompose. 
« Bellissima » rispose. « Perfetta per un matrimonio. »
London alzò un sopracciglio. Insomma, conosceva Klaus – era stata la sua mentore agli Hunger Games e presto lui sarebbe diventato suo collega – e doveva sapere perfettamente che i due non avrebbero mai voluto sposarsi.
« Cosa fate qui in disparte? » domandò quindi, evitando di alzare il tono. « Vi state perdendo la festa. »
« Oh, Benjamin e io stavamo solo discutendo di una questione » fece la donna, stringendo un batuffolo bianco che prima non aveva visto. Era il suo rarissimo esemplare di cucciolo di tigre bianca, Schatten. Nessuno aveva idea di come l’avesse trovato, forse a Capitol City. Faceva un certo effetto vedere un animale del genere nel Distretto Sei, a dire il vero, considerando che di animali se ne vedevano già ben pochi.
London scambiò un’occhiata con il gemello che, imbarazzato, si grattò dietro la nuca cercando di farlo passare per un gesto di noncuranza.

« Sì, ora rientriamo » disse Ben, provando a sorriderle.
La ragazza non voleva arrabbiarsi con lui, non quel giorno, in cui erano costretti entrambi a sopportare quell’inferno. Ma non riusciva a tollerare che qualcuno lo allontanasse da sé.
Ben apparteneva a lei, come lei apparteneva a Ben. Tutti lo sapevano, o avrebbero dovuto saperlo.
Lanciò uno sguardo di rimprovero a entrambi, e poi tornò nel salone senza dire una parola.
Era tutto uno schifo. D’un tratto la sua vita non le era mai sembrata così pessima.
Il matrimonio, la gelosia verso suo fratello, Klaus.
Vide suo marito seduto da solo in un angolo, con la testa bassa. Forse si sentiva come lei, distante dal mondo intero, in quel momento; ma poi rinnegò subito quel pensiero. Insomma, era raro che lei e Klaus avessero qualcosa in comune. Era assurdo anche potessero provare lo stesso stato d’animo.
Senza neanche accorgersene, gli si avvicinò e si sedette accanto a lui, in silenzio. Il ragazzo alzò per un istante lo sguardo su di lei e fece un piccolo ghigno.

« Bella festa, eh? »
London sospirò. Era rassegnata da parecchio al fatto che Klaus dovesse fare tassativamente del sarcasmo su tutto. « Come un calcio negli stinchi » ribatté, risoluta.
Lo vide ridacchiare mestamente, mentre appoggiava i gomiti sulle gambe e si voltava a guardarla meglio. 
« Sono sicuro che ci divertiremo molto. » Klaus smise di sghignazzare presto e ripiombò nel silenzio. Sembrava che stesse rincorrendo qualche sfuggente pensiero.
« E ora? » domandò lei, incrinando lievemente il tono di voce.
« E ora cosa? » le chiese Klaus di rimando, interdetto.
« Cosa faremo? » continuò la ragazza, fissando un punto impreciso della parete di fronte. « Continueremo a comportarci normalmente come se niente fosse? »
Sulle prime l’altro non seppe rispondere. Erano quelle domande scomode che cercava sempre di evitare. « Non lo so » disse, e fu la peggiore delle risposte che London si potesse aspettare.
Avrebbe voluto ribattere, ma fu interrotta dai suoi genitori, che l’accompagnarono a salutare degli amici di vecchia data che erano venuti a farle gli auguri.
Si voltò un’ultima volta verso Klaus, notando che non sorrideva più.

 

*


 
Il pranzo continuò abbastanza tranquillamente.
Nel salone era stato sistemato un grande tavolo rettangolare, dove erano riuniti gli invitati principali, che in quel momento stavano assaggiando le pietanze con espressioni soddisfatte e commenti di apprezzamento.
Klaus, seduto al centro della tavolata accanto a sua moglie, aveva mangiato davvero poco, se non nulla. Il suo stomaco era chiuso in una morsa e non voleva saperne di collaborare.
Si trovava in uno stato di tremenda confusione. Gli girava la testa, di tanto in tanto, come se tutto vorticasse davanti ai suoi occhi per farlo impazzire. Era una sensazione strana, troppo anomala per lui.
Quando il pranzo finì, nel tardo pomeriggio, e anche il dessert fu servito dalle abili cameriere assoldate per l’evento, qualcuno – qualcuno di fottutamente stupido, per i suoi gusti – iniziò a borbottare che i due sposi dovevano attenersi alle tradizioni, e inaugurare la loro unione con un primo, classico ballo.
Gli sguardi dei suoi genitori saettarono verso di lui, incitandolo a fare il primo passo. Che non aveva intenzione di fare.
Ricordava bene come fosse spiacevole ballare con London Bridge e non aveva voglia di mettersi in ridicolo davanti a tutte quelle persone, che lo osservavano sin da quella stessa mattina piene di aspettative.
Che idioti, si disse in quel momento, cercando – imponendosi – di ignorare sua moglie affianco a lui e tutto il resto.

« Non mi inviti a ballare? » gli sussurrò London con un sorrisetto retorico.
Klaus si passò una mano sul volto, esasperato. 
« Certo che no. »
Lei cercò di fare la finta offesa, ma il ragazzo non vi badò.
« Ma certo, tanto non reggeresti il confronto » mormorò l’altra sbuffando; dopodiché si alzò stizzita, avvicinandosi a suo fratello, seduto qualche sedia più in là. Gli bisbigliò qualcosa all’orecchio, a cui Ben rispose con un sorriso.
Poi si alzò anche lui e insieme – mano nella mano – si posizionarono al centro del salone. A un cenno delle ragazza, il violinista che se ne stava imbambolato in un angolo prese a suonare.
La sala si animò di applausi sconnessi e interdetti. Quello doveva essere il ballo degli sposi.
Frantz Wreisht lanciò un’occhiata d’astio al figlio, che si prolungò verso il giovane erede dei Bridge. Klaus, dal canto suo, alzò semplicemente un sopracciglio. Decisamente non era in vena di litigi vari, per cui si limitò a guardare i gemelli muoversi con disinvoltura, a passi precisi e cadenzati.
London sembrava felice, così come suo fratello. Sembravano dimentichi di tutto, per una volta, e quelli che erano a conoscenza della loro relazione si scambiarono sguardi incapacitati.
Se in quel momento avessero osato troppo, probabilmente sarebbe andato tutto definitivamente a puttane.
Quale modo migliore per inaugurare la loro vita insieme?
La melodia era lenta ed estenuante, per i suoi gusti. Viscida, repellente, da bamboline. Era fiero di affermare che, oltre a tutto il resto, i Bridge avessero un pessimo gusto in fatto di musica.
Mentre tutti osservavano i gemelli ammirati o addolciti, Klaus si mosse nervosamente sulla sedia, d’un tratto troppo scomoda. Appoggiò le mani sui braccioli e accavallò una gamba, incurante del fatto che quella non fosse una posizione dignitosa. Si portò le nocche della mano sotto il mento, sbuffando.
Quella situazione lo stava irritando profondamente, e non solo perché London lo stava senza dubbio alcuno provocando.
Ben, al contrario di lui, era un ottimo ballerino. Sapeva essere elegante, fine e dotato di un certo fascino non indifferente, completamente a suo agio nel completo grigio scuro, con tanto di giglio bianco all’occhiello, lo stesso che portava lo sposo sulla giacca.
Provò un moto di rabbia nei suoi confronti. Era sicuro che quel giorno tutto il Distretto avesse organizzato un complotto contro di lui per vederlo perdere le staffe.
E’ quello che vogliono, si disse arricciando le labbra, eppure non riuscì a trattenersi. Si alzò e, nel bel mezzo della danza, sotto lo sguardo sbalordito degli invitati, raggiunse i gemelli ad ampie falcate, applaudendo sarcastico.

« Ma bravi » disse con tono esageratamente strascicato. « Un’ottima performance. »
I due Bridge si fermarono, l’uno interdetto e l’altra palesemente furiosa. Anche il vecchio violinista si bloccò, senza parole.
« Peccato che sia io lo sposo » fece, decisamente incazzato – e per quale santa ragione, poi?
Prese London per un braccio e la portò in disparte. 
« Hai intenzione di umiliarmi ancora per molto, troia da quattro soldi»
La ragazza lo fissò con sguardo carico d’astio. « Eri tu a non voler ballare » sbottò, cercando di controllarsi.
Stava andando decisamente peggio di quanto entrambi avessero programmato, e per quale stupido motivo nemmeno lo sapevano. Nessuno si era mai chiesto perché quei due dovessero necessariamente litigare in ogni istante della loro vita.

« Se questo significa vederti fare la prima donna con il tuo amato tromba-fratello, decisamente non mi va. »
« Perché non ti fai i cazzi tuoi, per una volta, Klaus? » irruppe London, incapace di trattenersi oltre. « Stai sempre a criticarci, quando invece vorresti essere tu il primo ad essere amato da qualcuno, perché sei solo! Solo e frustrato! » quasi urlò. Qualche volto si voltò pensieroso verso di loro. « E sai una cosa? Non lo saprai mai cosa vuol dire, perché nessuno ti amerà mai davvero! »
Klaus non l’aveva mai vista così furiosa, probabilmente, ma non vi badò, profondamente offeso da quelle parole più di quanto non lo volesse dare a vedere.
« Mi fai schifo » disse il ragazzo, ugualmente adirato.
London diede una leggera spinta al suo busto. 
« Tu fai schifo, non io. Mettitelo bene in quella fottuta testa vuota! »
Klaus avrebbe avuto voglia di mandarla al diavolo una volta per tutte, urlando tutta la sua rabbia repressa, ma London si allontanò quasi calpestando il pavimento, dopodiché, accertandosi che suo marito e gli invitati vedessero bene, prese suo fratello per i lembi della giacca e lo baciò sotto lo stupore generale.
Qualcuno urlò – Klaus riconobbe la voce di sua madre.
Era un bacio arrabbiato, un bacio che lasciò Benjamin Bridge con l’amaro sulle labbra e gli fece arrossire le gote.
La sposa si voltò finalmente verso gli invitati e, bevendo con un sorriso malignamente soddisfatto i loro commenti sconvolti, lanciò le sue scarpe alte in direzione del violinista, che si abbassò giusto in tempo per evitare un tacco.

« Andatevene! » gridò, i capelli che le svolazzavano intorno al viso, a dispetto della fine acconciatura in cui erano sistemati. « La festa è finita! »
I presenti per un po’ la fissarono senza realmente capire e rimasero imbambolati finché lei non si ritirò al piano di sopra, alzandosi con una mano il vestito per non inciampare sui gradini rivestiti di moquette. Klaus vide lo strascico bianco scomparire dietro un angolo. Poi si voltò in direzione degli invitati che, delusi o amareggiati, venivano scortati da Erzsébet Bridge verso l’uscita.
Ben lo fissava con i pugni stretti convulsamente.

« Hai rovinato tutto » gli disse l’albino, avvicinandosi con una cupa espressione. « Non sai fare altro. »
Klaus si portò una mano alle tempie, frastornato da tutto ciò. Non gli era mai capitato di sentirsi così debole. Aveva bisogno di alcool, decisamente. « Non venirmi a fare la ramanzina, ora. Sapevi che sarebbe successo. »
« E’ colpa tua » lo accusò Ben, cercando lo sguardo dell’altro, che però non trovò.
« Secondo te dov’è la cantina? » gli chiese Klaus, ignorando il suo ultimo intervento.
« Va’ al diavolo » ribatté esasperato l’altro con un gesto secco della mano, andando a recuperare la giacca e uscendo dall’ abitazione.
Tuttavia Klaus Wreisht avrebbe preferito persino il diavolo in quel momento, pur di non restare ancora un altro minuto in compagnia di quella gente che proprio non si sforzava di capire quanto la sua vita fosse un casino.
La sala si svuotò pian piano sotto gli occhi sconcertati dei suoi genitori, che spostavano adirati lo sguardo dal figlio alle scale. 
« Sarai contento, ora » gli disse Frantz contraendo una mascella.
« Mai stato più lieto » rispose Klaus, lanciando il giglio dell’occhiello dall’altra parte della sala. « Adesso, visto che è casa mia, vi invito gentilmente a uscire. »
Shyvonne bloccò il marito sul nascere. « Lascia stare, Frantz. Sono sicura che si sistemerà tutto. »
Il signor Wreisht corrugò la fronte. « Lo spero. »
Detto questo, borbottando sottovoce con i genitori di London, lasciarono l’abitazione insieme agli ultimi invitati, tutto meno che felici della riuscita della giornata.
Klaus notò il violinista che si apprestava ad abbandonare quella casa senza rimpianti e lo salutò con un ghigno. 
« La prossima volta suoni qualcosa di più decente, però! » L’uomo si mise una bombetta sulla pelata lucida senza aggiungere altro. Con questi, il portone si chiuse e il silenzio della villa gravò improvvisamente su di lui.
Era già sera, e dalle ampie vetrate dell’atrio si intravedeva la linea rosea del tramonto all’orizzonte.
Con uno sbuffo esasperato salì al piano di sopra, cercando di ricordarsi dalle sue visite d’infanzia come fosse strutturata la villa.
Di sicuro aveva soltanto due piani, nonostante i soffitti fossero abbastanza alti e decorati. C’erano diverse stanze, ma in quel momento non si sarebbe di certo messo a contarle. Tutti i mobili erano già stati sistemati quando era ancora piccolo e quando il matrimonio era solo uno sfocato pensiero nella perversa mente delle due famiglie.
Qualche secondo più tardi la sua attenzione venne attirata da una porta di mogano, di fronte le scale. Da quella che doveva essere la camera da letto si udivano dei singhiozzi a stento trattenuti.
Senza pensare alle conseguenze – che dovevano essere abbastanza gravi se era proprio London a piangere – girò la maniglia ed entrò nella stanza in penombra.
Probabilmente la ragazza non dovette accorgersi di lui, perché aveva il volto affondato nel materasso e stava rannicchiata su se stessa. Il suo vestito da sposa era a terra in un angolo, mentre lei non si era preoccupata di rimanere in biancheria intima. Aveva i capelli sfatti e le mani che le tremavano visibilmente dalla frustrazione.
Klaus avrebbe voluto prenderla ancora a parole per quello che gli aveva detto prima, o magari sfotterla un po’ – canticchiandole quella canzoncina che tanto odiava, London Bridge is falling down – oppure ancora fare un commento cattivo, ma tutto quello che uscì dalle sue labbra, involontariamente, fu: 
« Stai piangendo. »
London alzò di scatto la testa, come sorpresa in flagrante e, notando che sull’uscio c’era proprio suo marito, emise un ringhio di disperazione e saltò giù dal letto come una furia, precipitandosi dinanzi a lui per poterlo finalmente prendere a schiaffi, come aveva sognato di fare sin da quella mattina.
Il primo arrivò veloce, violento e quasi del tutto inaspettato. Il secondo, di seguito, così come il terzo.
Klaus la allontanò bruscamente da sé, prima che lei potesse piantargli le unghie in faccia e con una spinta la fece cadere sul pavimento, facendole perdere l’equilibrio.
London, senza indugio, lo tirò per una gamba e lo fece cadere a sua volta. Quando lei si alzò, cominciò a prenderlo a calci nello stomaco, in barba al fatto che fosse seminuda e che il suo acerrimo nemico l’avesse vista nel suo momento di maggiore debolezza. Lacrime calde le rigavano ancora il viso e i singhiozzi ancora le scuotevano il corpo, ma la sua rabbia era più forte, come un uragano.
Klaus gemette al quarto calcio e, di riflesso, la prese per una caviglia, tentando di fermarla. Un attimo e, approfittando del suo momento di distrazione, si rialzò barcollando e tossendo. Lei reagì di nuovo, stavolta con pesanti pugni, ma il ragazzo le bloccò i polsi, stringendoli fino a farle male. 
« Smettila » gridò, ma London sembrava pervasa da una furia che non aveva mai visto.
Gli diede una ginocchiata nello stomaco, che lo lasciò senza fiato per un secondo, ma tenne salda la presa sui suoi polsi.

« Lasciami » urlò lei fuori di sé, ma vedendo che Klaus non accennava a lasciarla andare, continuò a strillare: « Ti odio, ti odio con tutto il mio cuore! »
Si dimenò ancora, ma il ragazzo aspettò che si calmasse, trattenendola fermamente.
Dopo qualche istante, il pianto di London si fece più sommesso e lei smise di lottare. 
« Ti odio » ripeté ancora. Le tremavano le spalle.
Quando Klaus finalmente le lasciò i polsi, si sedette sul materasso, nascondendo il viso tra i palmi per cancellare quelle lacrime che tanto aveva cercato di sopprimere.
L’altro non sapeva come comportarsi e la guardò con la fronte corrugata. Non disse niente, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi.

« Vattene » sibilò London, con la testa bassa.
« Non posso » replicò velocemente lui, al che la ragazza alzò finalmente lo sguardo, notando con stupore che non sembrava avere un cipiglio minaccioso o strafottente, ma solo terribilmente confuso.
« Non puoi-? » cercò di domandare, ma non riuscì neanche a finire che Klaus l’attirò a sé senza indugio e, posandole le mani tra collo e spalla, la baciò, impedendole di dire altro.
London non realizzò immediatamente cosa stesse accadendo perché, per la stessa rabbia che l’aveva spinta a malmenarlo qualche istante prima, rispose al bacio senza esitare, facendo aderire perfettamente le sue labbra con quelle di suo marito.
Fu diverso dal loro bacio nella zona ovest, diverso da quello delle visite, diverso da quello del sì. Era famelico.
Un bacio che avrebbe dovuto comportare qualcos’altro, probabilmente.
Lei portò una mano tra i capelli di Klaus, attirandolo ancora di più a sé e schiudendo le labbra per far incontrare lingue, denti, e sangue.
Si staccarono di poco, quando a entrambi mancò l’aria, ma giusto un secondo prima che London lo tirasse per la camicia e lo facesse cadere sul letto insieme a lei.
Probabilmente Klaus la odiava per questo, perché riusciva a risvegliare in lui istinti che avrebbe saputo trattenere con qualunque altra persona, se gliene fosse capitata l’occasione.
Avrebbe voluto distruggerla, umiliarla e anche ucciderla, sì, ma era in quei momenti che sentiva di volerla. Volerla come mai aveva desiderato nessun altro.
Desiderava il suo corpo, le sue labbra, le sue mani. Desiderava tutto di London Bridge ora, e nessuno gli avrebbe impedito di farla sua.


 












   
 
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