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Autore: Ely82    19/05/2013    1 recensioni
Elisa è una ragazza normale, con una vita normale che si trova catapultata all'improvviso in una realtà del tutto inaspettata. Incontra il suo "amore virtuale" Robert Pattinson e quello che accade va oltre ogni sua più rosea aspettativa.
"Guardavo il ragazzo e il tipo grosso che era tra di noi. No, non poteva essere… però quel cappello… quelle iniziali LB… "
"Era davvero perfetto, bello più di quanto avessi mai immaginato. Non potevo vedere i suoi splendidi occhi, ma vedevo le sue labbra scolpite, il suo naso dritto la sua mascella quadrata, le sue mani tamburellare nervose sul tavolo."
Un viaggio immaginario che permette di sapere cosa potrebbe accadere (o meglio, cosa vorremmo accadesse) se dovessimo incontrare il nostro amato Rob.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed eccoci al quarto capitolo di questo breve storia che racconta un mio sogno...un sogno di molte.
Come andrà la serata con Robert e i suoi amici?
Per saperlo non vi resta che leggere questo intenso capitolo... 

Buona lettura!






Nell’ascensore Robert continuò a tenermi la mano, incurante dello sguardo di disapprovazione di Dean. La mia mano nella sua: un sogno. Come un cardo tra un mazzo di viole. Le sue dita affusolate stringevano le mie, cosi piccole e insignificanti, come fosse la cosa più normale del mondo. Io ero su di giri e avevo un caldo incredibile: se non fossimo scesi subito da quell’ascensore sarei svenuta davanti a lui!
Quando arrivammo in una delle stanze di sotto, vicino alla hall, notai diverse persone ad attenderci. Solo in quel momento Rob sciolse la presa e si mise le mani in tasca. Si diresse, precedendomi, verso due ragazzi seduti sul divano salutando con un fugace cenno del capo tutti gli altri.
«Ciao ragazzi!», disse allegro. «Andiamo?»
«Pronti!», disse uno dei due scattando in piedi. «Ho una voglia bestiale di birra!»
«Lei dev’essere la tua ammiratrice! Piacere di conoscerti io sono Tom, e lui è Sam», disse porgendomi la mano.
«Piacere mio, io sono Elisa», risposi vergognosa.
«L’auto ci aspetta sul retro dell’albergo. La signora alla hall mi ha detto che c’è un po’ di movimento davanti l’entrata», ci disse Dean avvicinandosi.
Uscimmo perciò da una porta secondaria e ci infilammo di corsa nell’auto. Giorgio, l’autista, mi guardò e mi sorrise, come se fosse contento di vedere che avevo deciso di “godermela”, come aveva detto lui.
Noi quattro ci sistemammo dietro, mentre Dean si accomodò vicino a Giorgio. Non avevo capito che sarebbe venuto con noi, ma era normale. Ormai tutti sapevano della presenza di Robert a Roma e c’era la possibilità di trovarsi davanti ad un fiume di donne esagitate da un momento all’altro.
Loro tre parlavano e ridevano proprio come vecchi amici e vedere Robert così tranquillo e a suo agio era davvero bello.
«Come ci si sente ad essere invitate fuori dal vampiro più gettonato del mondo?», mi disse quello che si chiamava Tom, probabilmente cercando di coinvolgermi un po’.
«E’ una cosa assurda! Credo, nel giro di due giorni, di aver usato questo termine un centinaio di volte!», ammisi con un po’ di imbarazzo.
«Quando i vampiri adocchiano le loro prede non le mollano finché non si sono presi quello che vogliono!», esclamò in tono scherzoso.
«Smettila», gli disse Robert dandogli un pugno sul braccio, «la metti solo in imbarazzo.»
«Dai, stavo scherzando!», gli rispose con aria innocente. «Te la sei presa?», mi chiese rivolgendosi a me.
«Ma no, figurati! In fondo quello che hai detto non è poi una prospettiva così orrenda!», gli risposi ridendo.
Tom annuì e si mise a ridere proprio come Rob. L’altro ragazzo invece, ci osservava guardingo. Incrociai il suo sguardo e lui mi accennò un misero sorriso: non doveva andargli molto a genio la situazione!
Arrivammo al locale venti minuti dopo. Dean scese per primo, per controllare se fosse tutto nella norma, poi scesero Tom e Sam ed, infine Rober ed io, di nuovo mano nella mano.
Il locale era una specie di grotta a cui si accedeva scendendo una specie di scala a chiocciola in pietra. Il posto era fresco e poco affollato. Le luci erano basse e alcuni tavoli erano separati dagli altri con una sorta di separé di legno. Potevo capire perché avessero scelto quel posto: era piuttosto discreto.
Dean si sedette al bancone del bar mentre Sam parlò con uno dei camerieri per avere il tavolo che aveva riservato.
La prima parte della serata fu stupenda e surreale. Ero lì con Robert e i due suoi amici d’infanzia come se facessi parte anche io del loro mondo. Quello che mi stava regalando la vita era qualcosa di esagerato che avevo paura di non meritare.
Sam e Tom parlarono molto della loro vita a Londra e raccontarono a Rob alcune avventure avute durante la loro vacanza a Madrid. Vollero poi sapere i particolari del nostro incontro/scontro, anche se mi accorsi che praticamente Rob gli aveva già raccontato tutto. Facevano commenti sulla mia fortuna sfacciata e prendevano in giro le fans italiane definendole un po’ troppo calienti, per non dire matte! Lui li ascoltava divertito e rilassato, proprio come dovrebbe essere qualsiasi ragazzo della sua età. Se ne stavano lì a bere birra e a sgranocchiare patatine e noccioline divertendosi come pazzi. Ad un certo punto Rob chiese a Tom di andarsi a fumare una sigaretta e così salirono di sopra seguiti, ovviamente, da Dean.
Io e Sam per un po’ rimanemmo in silenzio sorseggiando le nostre bibite: quel ragazzo mi metteva in soggezione.
«Cosa speri di ottenere?», mi disse poi di colpo, con aria seria.
«Come scusa?», gli chiesi disorientata.
«Da questa storiella con Rob, cosa pensi di ricavarci?»
«Niente!», esclamai, offesa dalle sue parole.
«Una bella intervista ad un giornale? Un po’ di pubblicità? O vuoi semplicemente andarci a letto?», continuò con lo stesso tono insolente.
«Ma come ti permetti!», balbettai, presa alla sprovvista.
«Avanti, non dirmi che non ci hai pensato! Ho visto come lo guardi e purtroppo ho visto anche come lui guarda te, ma ti conviene stargli alla larga.»
«Cos’è una minaccia?»
«No, è un consiglio. Tra due giorni non si ricorderà nemmeno il tuo nome! Hai una vaga idea della vita che fa? Della gente che frequenta? Tu non fai parte del  suo mondo, è inutile che cerchi di entrarci!», mi disse in modo arrogante.
«Io non sto cercando di fare un bel niente! Se sono qui è solo perché lo ha voluto lui. Lui mi piace, è ovvio, ma non voglio niente da lui. Quello che mi ha concesso è molto più di quanto avessi mai osato nemmeno immaginare!»
Stava per ribattere qualcosa, ma si fermò, vedendo Rob e Tom scendere le scale.
«Comunque non otterresti niente, non sei il suo tipo, credimi», mi disse sottovoce riprendendo a sorseggiare la sua birra, prima di sferrarmi il colpo di grazia, «…una certa Kristen, ecco, lei è il suo tipo!»
Il colpo arrivò e fu un colpo davvero basso. Rimasi a fissarlo sbigottita, mentre lui beveva e si guardava intorno come niente fosse: come avrei voluto spaccargli quella faccia da cavolo!
«Non è che vi prendete una sbronza senza di noi!», esclamò Tom alle mie spalle, facendomi sobbalzare.
Rob si rimise a sedere vicino a me e mi guardò sorridente, ma io non riuscivo a sorridere.
«Cosa c’è?», mi disse piano, facendosi serio.
Non gli risposi. Mi limitai a scuotere le testa e a guardare altrove. A quel punto lui, mettendomi un dito sul mento, mi costrinse a girare il capo verso di lui.
«Cos’è successo? Sei arrabbiata con me?», mi chiese preoccupato.
«Non sarei dovuta venire stasera…», mormorai, sentendo un irrefrenabile voglia di piangere.
Lui mi fissò confuso e forse dispiaciuto dalle mie parole. Allontanò la mano dal mio viso e scuro in volto si girò a parlare con i suoi amici.
“Perfetto!”, pensai, “ora si è offeso lui”.
Trascorsi in silenzio i seguenti venti minuti, ascoltando le loro conversazioni senza mai intervenire. Aver sentito pronunciare il nome di Kristen, da uno dei suoi amici, mi aveva sconvolto e irritato in una maniera fuori dal normale.
«Ce ne andiamo?», chiese Rob, attirando la mia attenzione sui loro discorsi.
«Perché?», disse Tom deluso, «Sto solo al terzo bicchiere!»
«Sono davvero stanco… la notte scorsa ho dormito sì e no quattro ore, e domani mi devo svegliare presto per andare all’aeroporto…», iniziò a spiegargli Robert.
«Ti stai proprio invecchiando, amico! Quante volte abbiamo fatto l’alba nei locali a Londra! Quando ti eri invaghito di quella cameriera che lavorava in quel locale vicino a Piccadilly Circus, abbiamo fatto le cinque del mattino per quattro giorni di fila!!», esclamò scoppiando a ridere.
«Le cose sono un tantino cambiate eh?», gli rispose Rob con un velo di malinconia nella voce. «Comunque, preferisco andare, davvero.»
Ci alzammo dal tavolo e insieme a Dean tornammo alla macchina. Dean aveva il viso rilassato e soddisfatto, dato che durante la serata non c’erano stati problemi di alcun tipo. Ci dirigemmo verso l’albergo dove Sam e Tom avevano lasciato la loro auto a noleggio, poi da lì Giorgio, mi avrebbe riaccompagnato a casa.
Robert non mi parlò per tutto il viaggio. Ogni volta che arrivava il momento dei saluti lui era di cattivo umore e l’addio idilliaco e strappalacrime che immaginavo di dover affrontare andava a farsi benedire. Mi faceva star male pensare che fosse arrabbiato con me e che lo avessi ferito con quella mia stupida risposta. Lo avevo detto solo perché in quel momento stavo soffrendo e la gelosia mi stava divorando: non mi ero affatto pentita di aver passato altro tempo con lui, come avrei potuto.
Quando l’auto si fermò, scendemmo tutti per i saluti. Strinsi la mano e diedi un bacio sulla guancia ad entrambi, ma con Sam a malapena ci sfiorammo il viso. Salutarono Rob con un forte abbraccio e qualche pacca sulla spalla. Tom gli disse qualcosa in un orecchio prima di salire in auto e si scambiarono un sorriso malizioso.
Rimanemmo da soli nel retro dell’hotel, insieme a Dean che già stava tenendo aperta la porta per far rientrare Rob, e Giorgio che aspettava in auto con il motore acceso.
Ci guardammo intensamente per qualche secondo. Lui non sembrava più arrabbiato, sembrava solo triste, e la sua espressione era specchio della mia.
«Non pensavo quello che ho detto prima…», sussurrai, dispiaciuta.
«Lo so…», mi rispose con voce tenera.
«Sono felice di averti conosciuto, tu non sai quanto. Lasciarti è più dura di quanto pensassi…», iniziai a dire, mentre gli occhi mi si riempivano di lacrime.
«Non andare», mi pregò. «Non ancora. Sali da me per qualche minuto… non mi va di salutarti così!», mi disse con dolcezza.
Lo guardai languida, incapace di dire qualsiasi cosa. Quanto desideravo dirgli di sì e buttargli le braccia al collo.
«Giorgio mi ucciderebbe!», fu l’unica cosa che riuscii a dire.
«Chi?!», mi chiese confuso.
«Il tuo autista. Mi dispiace farlo stare qui un’altra ora per…», farfugliai.
«Ti assicuro che è pagato profumatamente per soddisfare i miei capricci. In fondo accompagnarti all’una o alle due per lui che differenza fa? Per noi, invece, un’ora è preziosa, non credi?», mi chiese con voce profonda.
«Ok», finii per rispondergli del tutto soggiogata dal suo sguardo e dal tono della sua voce: avrebbe potuto convincermi a fare qualsiasi cosa in quel momento.
Finalmente mi sorrise compiaciuto e si avvicinò al finestrino per dare al povero Giorgio le nuove direttive. Dean fece un lungo e rumoroso sospiro quando mi vide entrare nell’albergo con Robert ed io evitai volutamente di incrociare il suo sguardo.
Era passata l’una quando rientrammo nella suite 120.
«Buona notte, Dean», gli disse Rob, prima di entrare in stanza. «Ci vediamo domani mattina.»
«Ma signore…», provò a ribellarsi.
«E’ tutto sotto controllo. A lei ci penso io», aggiunse, chiudendogli la porta praticamente in faccia.
La stanza sembrava ancora più grande di poche ore prima. Robert accese solo un paio di lampade e aprì la finestra che dava sul balcone per far entrare un po’ di frescura.
«Andiamo di fuori?», mi chiese indicando il terrazzo.
Lo seguii senza dire nulla: ero completamente in balia di lui.
Rob si mise a sedere su una delle poltroncine e mi guardava sereno.
«Adesso tocca a me», mi disse abbozzando un sorriso. «Chiedi e sarai esaudita!»
Strabuzzai gli occhi di fronte a quell’ultima frase senza capire di cosa stesse parlando.
«Che vuoi dire?»
«Stamattina ti avevo detto che se fossi stata completamente sincera con me, io lo sarei stato con te: ecco, sono pronto a mantenere la mia promessa!», mi disse, mettendosi a braccia conserte.
«Mi stai dicendo che posso chiederti qualsiasi cosa mi passi per la testa?»
«Non solo, ma anche che non mi tirerò indietro di fronte a nessuna domanda e avrai da me la verità, nient’altro che la verità!», disse in tono giocoso, appoggiando una mano sul cuore e alzando l’altra.
«Non mi sono preparata niente! Non so che chiederti!», gli dissi agitata.
«Dici di essere una fan incallita e ora che ne hai l’opportunità non hai niente da chiedermi!? Non ci credo!», disse divertito. «Io dico che ti vergogni!»
Aveva ragione, dannazione! Avrei dovuto avere centinaia di domande da fargli, ma non me ne veniva in mente nemmeno una: anzi, una c’era.
«Ti dispiace dire addio al personaggio di Edward, o è una sorta di liberazione?», gli chiesi invece, tralasciando la domanda che più mi stava a cuore.
«Sono in conferenza stampa e non me ne sono accorto?», esclamò per prendermi in giro, guardandosi introno.
«Non fare lo scemo! Sono curiosa…», mentii.
«Ok… No, in realtà non mi dispiace. E’ un personaggio a cui sono molto legato e l’ultimo giorno delle riprese sembrava che mi trovassi al funerale di qualcuno, ma è anche un personaggio scomodo per certi versi», incominciò a spiegare. «Ho paura di non riuscire a liberarmi di lui, di essere sempre visto come il ragazzino inglese che è diventato famoso all’improvviso senza talento alcuno, e solo perché ha fatto innamorare un po’ di ragazzine con una favoletta adolescenziale!»
«Ma non è vero! Tu hai talento da vendere!», gli dissi con enfasi.
«E’ quello che spero di dimostrare ora che Edward Cullen scomparirà», mi rispose con un filo di amarezza.
«Pensi anche di incidere un tuo album? L’ho letto da qualche parte…»
«Non per adesso. Ora voglio pensare al cinema, poi quando le acque intorno a me si saranno calmate, proverò anche a fare il musicista. Se incidessi un cd ora, verrebbero solo le fans di Twilight a comprarlo. Io voglio essere apprezzato per quello che compongo e non per quello che rappresento!», disse con trasporto.
«Peccato, mi piace sentirti cantare…», sospirai.
«Arriviamo o no alle domande vere?», mi disse impaziente.
Mi feci seria, pensando se fosse o meno il caso di chiedergli l’unica cosa che in quel momento volessi sapere. La verità era che ero terrorizzata dalla possibilità di sentirmi rispondere ciò che non volevo, ma mai più avrei avuto una possibilità tale per fare chiarezza su quell’aspetto della sua vita.
«Beh, c’è una cosa in realtà che vorrei chiederti… ma non voglio che tu ti senta in dovere di rispondere… in fondo non è affar mio…», iniziai a tergiversare.
«Tutto ciò che vuoi…», mi disse serio, probabilmente immaginando l’argomento che stavo per toccare.
«…Tu…e…Kristen…beh, hai capito», balbettai imbarazzata e spaventata dalla sua reazione.
«Io e Kriten cosa? Non è una domanda!», mi disse buttandola sul ridere, cercando di smorzare la tensione che leggeva sul mio volto.
«Lo sai!», gli risposi infastidita. «Voi state… davvero insieme?»
«Insieme…», ripeté, come a riflettere sul significato di quella parola. «Bella domanda?»
«Se non ti va di…», tagliai corto.
«Stavo solo pensando a cosa significasse stare insieme…», mi disse con lo sguardo perso nel vuoto. «Perché, se significa uscire insieme, condividere degli hobby, vedersi spesso, ogni volta che se ne ha voglia… allora no, non stiamo insieme.»
«E se significa amare qualcuno?», gli chiesi con voce tremante.
«Dovrei chiederti che significa amare, e non ne usciremmo più!», mi disse rivolgendomi un sorriso triste. «Ne ero innamorato, e tanto. Mi invaghii di lei dal primo provino. Era bella e dolce, giovane e al tempo stesso forte e carismatica. L’alchimia tra me e lei si creò subito e iniziammo a frequentarci anche fuori dal set», iniziò a raccontare, alzandosi dalla poltrona e affacciandosi sul balcone, dandomi le spalle. «Andò tutto bene finché non esplose il successo di Twilight. Volevamo stare insieme, ma volevamo farlo secondo le nostre regole. Invece quando la casa di produzione, gli agenti e tutti quelli che ci stavano intorno, capirono che da quel nostro amore potevano trarne vantaggio anche loro, iniziarono a voler pilotare tutta la storia.»
Lo fissavo, immobile, appoggiato alla ringhiera mentre mi confidava una parte segreta di sé. Pur non vedendolo in viso, si poteva capire che parlare di quelle cose lo faceva star male. Sentirlo parlar d’amore per lei era un’agonia.
«In poco tempo, tutta la purezza, la genuinità di quel rapporto svanì. Dopo alcuni mesi, non sapevo più se stavamo insieme perché lo volevano loro o perché lo volevamo noi!», continuò a dire nervoso. «Durante le riprese di Eclipse decidemmo di prenderci una pausa, per capire se valesse la pena continuare, ma appena ci allontanammo la Summit e un sacco di altra gente che campava sulle nostre spalle, ci costrinse a farci comunque vedere insieme ogni tanto. Ero stufo di dover dosare i nostri incontri, di dover far finta che le cose andassero bene quando andavano male e viceversa. Io volevo solo essere me stesso ed essere lasciato in pace.»
«Perciò state ancora insieme?»
«Le ho detto un sacco di volte che ero stufo di essere trattato come un burattino, che volevo poter dire di noi alla gente che me lo chiedeva. Le dicevo che ammettere la nostra relazione non avrebbe fatto del male alla nostra carriera, ma che forse l’avrebbe rafforzata. Ci ho provato, ma lei non ha mai voluto… e non vuole nemmeno ora. Ha paura di… non lo so, non lo capisco. Tutto questo successo le ha dato alla testa e non è più quella di prima: è diventata una calcolatrice, proprio come tutta la gente che ci circonda!», disse quasi senza riprendere fiato.
«Però, non mi hai risposto...», gli feci notare.
«Tra poco inizierà la promozione del film, non ci permetterebbero mai di troncare. Cioè, potrei farlo, ma dovrei continuare a fingere per tutto il tempo. A queste condizioni non mi va più bene. Lo vedo che lei ci tiene a me, come io tengo a lei, ma così non posso più continuare: mi sento soffocare», ammise con angoscia.
«Mi dispiace tanto, Rob, non volevo farti rattristare…», mi scusai avvicinandomi a lui.
Rob si voltò e mi sorrise.
«Quello che ho passato con te in questi due giorni è stato speciale e mi ha fatto aprire gli occhi ancor di più su tutta questa faccenda», mi disse con sguardo triste.
«Ti meriti di più», gli sussurrai, ormai a pochi centimetri da lui. «Sei un ragazzo fantastico, meriti qualcuna che sappia apprezzare la fortuna di averti accanto», aggiunsi in modo lascivo.
Alzò una mano e delicatamente mi spostò dalla fronte una ciocca di capelli che mi copriva appena l’occhio. Le sue dita scivolarono dietro l’orecchio e arrivarono a sfiorarmi il collo. Il cuore mi si fermò a causa del suo tocco e soprattutto del modo in cui mi guardava.
«Vorrei chiederti io una cosa, se me lo permetti», mormorò senza smettere di accarezzarmi il collo.
«Puoi chiedermi qualunque cosa», balbettai quasi in modo impercettibile.
«Posso baciarti?», mi chiese con dolcezza infinita e voce tremante.
Ogni emozione che avessi mai provato fino a quel momento divenne nulla, rispetto a quello che sentii nell’istante in cui pronunciò quelle parole. Non era una sola sensazione: era trepidazione e commozione, stupore misto alla gioia più assoluta, terrore, agitazione, desiderio, soprattutto desiderio.
«Robert… io…», dissi confusamente in completo subbuglio emotivo.
«So che hai un fidanzato, perciò non vorrei fare qualcosa che possa ferirti…», aggiunse con la stessa intensità, portando anche l’altra mano sul mio viso.
«Oddio…», iniziai a sospirare. «Io non…»
«Dimmi che non vuoi e ti lascerò andare», mi disse ormai con le labbra a pochi centimetri dalle mie. «Ma se lo desideri, come lo desidero io… allora non muoverti e… permettimi di baciarti.»
Mi alzai appena sulle punte, quel tanto che fu sufficiente per sentire il suo alito caldo provenire dalla sua bocca dischiusa scaldarmi le labbra e il cuore. Poi, dopo un breve istante, mi baciò.
Le sue labbra trovarono le mie, morbide e tremanti. Trattenni il respiro mentre la sua bocca incontrava la mia per la prima volta. Fu un bacio dolce e delicato di quelli che ti fanno salire il sangue al cervello e girare la testa. Iniziai, incapace di avere il controllo sul mio corpo, a muovere le labbra insieme alle sue, sentendo e godendo del suo sapore e del suo profumo. Le sue mani, dapprima sulle guance, scesero sul collo ed una scivolò fino ai fianchi. Le mie dita si intrecciarono tra sui capelli all’altezza della nuca. Si fermò e mi guardò soddisfatto, passandosi la lingua sulle labbra, come se avesse l’acquolina in bocca. Io ne approfittai per prendere una boccata d’ossigeno e per rendermi conto che fosse tutto vero: Robert Pattinson mi aveva baciata.
Si gettò di nuovo su di me, con più impeto e decisione. Mi attirò a sé, con tutto il corpo e sentii il mio premere contro il suo, forte ed eccitato. Le sue labbra, sensuali e avvolgenti premettero violente sulle mie prima di aprirsi in un bacio più intenso e profondo.  Non potevo più resistere alla mia voglia di lui, quella voglia tenuta dolorosamente a freno per tutto quel tempo. Le parole di Dean, di Sam, non avevano più alcuna importanza. Non sapevo quello che mi sarebbe capitato, sapevo solo che qualsiasi cosa fosse successa sarebbe stata ampliamente ricompensata dalla magia di quel momento.
«Rimani con me», mi mormorò tra un bacio e l’altro, senza darmi tempo di riprendere fiato.
«Non posso…», riuscii a dire tra le sue labbra.
«Rimani, ti prego…», insistette con la stessa frenesia.
Senza darmi modo di rispondere mi riportò all’interno della stanza e senza mai allontanarsi da me, indietreggiò fino alla porta scorrevole. A quel punto la sua bocca calda e infuocata di desiderio lasciò libera la mia, non ancora sazia dei suoi baci. Non sarei mai arrivata ad immaginare che potesse essere in grado di baciare una ragazza in quel modo! Senza lasciare il mio corpo, si voltò per digitare la combinazione che ci avrebbe aperto l’accesso alla sua camera da letto.
Una parte debolissima della mia coscienza mi diceva di fermarlo, di non dover entrare in quella stanza, ma un’altra parte urlava e si dimenava accesa dal desiderio.
Senza nemmeno accorgermene, pochi istanti dopo mi trovavo già con la schiena premuta su una delle colonne del letto a baldacchino. Lui mi guardava in quel modo assurdo che tante volte avevo sognato di vedere rivolto a me e mi baciava incessantemente. Le sue labbra, la cosa che mi aveva sempre più attratto di lui, passarono dalla mia bocca al mio collo, dal mio collo fino alla scollatura del vestito. Con le mani fece scendere le spalline del mio abito fino ai gomiti e iniziò ad accarezzarmi e ad assaporare anche le mie spalle, mentre io, ad occhi chiusi mi godevo quei momenti di puro piacere e appagamento.
«Non posso…», provai di nuovo a dire, quasi piagnucolando.
«Allora dimmi di fermarmi…», mi rispose lui, senza alzare la testa dall’incavo del mio collo.
«Non ci riesco…non ci riesco!», finii per ammettere con disperazione, rilassando appena i muscoli delle braccia.
«Meno male…», ansimò lui, tornando a baciarmi la bocca.
Lasciai che mi sfilasse il vestito, fino a farlo cadere ai miei piedi e solo a quel punto, quando le sue mani scesero dalla mia schiena nuda fino a sfiorarmi il fondo schiena, iniziai anch’io a toccare lui.
Gli infilai le mani sotto la t-shirt sentendo il suo petto e il suo ventre piatto. Con un gesto veloce ed impaziente si tolse la maglietta e mi scaraventò sul letto.
Mentre le mie mani prendevano confidenza con il suo corpo e le mie labbra assaporavano la sua pelle, lui si tolse i jeans gettandoli a terra.
Non c’era più niente che potessi fare: ero completamente sua.
Gli ultimi indumenti che impedivano ai nostri corpi di unirsi in maniera completa e profonda, svanirono poco dopo, gettati a terra da Rob.
«Ti voglio...», mi sussurrò, nel momento in cui i nostri corpi si fusero in una sola anima.
 
   
 
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