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Autore: Nimue_    19/05/2013    6 recensioni
La prima parola di Jonathan è per Valentine, la seconda è per sua madre, per un'ombra sul muro.
"Scagliò il candelabro contro la culla, facendola ribaltare, e l'ombra proruppe in un suono tanto agghiacciante da rompere i vetri e farla rovinare a terra, in ginocchio. Poi il suo sguardo catturò solo immagini di vipere e sangue, mentre del fumo nero l'avvolgeva. Un sibilo acuto e prolungato come di unghie sul muro le perforò il cervello, quasi volesse aprirlo a metà.
- Se tocchi ancora mio figlio ti uccido. -"
[Jocelyn, Lilith, Jonathan, Valentine - precedente a City of Bones]
Genere: Horror, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jocelyn Fray, Sebastian / Jonathan Christopher Morgenstern, Sorpresa, Valentine Morgenstern
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Clockwork City'
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Avvertimenti: un bambino viene leggermente ferito in questa storia, ci tengo ad anticiparlo nonostante sia appena accennato. Se la scena può toccare la vostra sensibilità, vi prego di non andare oltre.

L'ombra sul muro

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"Il potere è una cosa curiosa. È un trucco, un'ombra sul muro."
IL TRONO DI SPADE


Lo ami tanto, più di ogni altra cosa al mondo.
Jocelyn scostò la tendina candida della culla con una mano che tremava, ripetendoselo come tutte le altre volte, i denti serrati fino a quando la mascella non iniziò a perdere sensibilità.
Esattamente come tutte le altre volte, per quanto avesse tentato di trasformare quella falsa convinzione in un sentimento sincero, la donna mentì a sé stessa.
Spinse il sottile drappo di seta da un lato in modo che la luce della candela illuminasse il viso di quel bambino che non riusciva a chiamare suo, di Jonathan che piangeva lacrime dense e nere come cera; erano dello stesso colore degli occhi da cui colavano, occhi con iridi troppo diverse da quelle della madre.
Jocelyn fissò per un po' il viso di quella creaturina, sfigurato da un pianto che sembrava demoniaco, poi richiuse la tendina, lasciandolo singhiozzare. Rabbrividì quando Valentine le puntò addosso il suo sguardo peggiore, un misto di disgusto e delusione.
«Sei sua madre, Jocelyn. Sua madre. Jonathan ha bisogno di te,» sussurrò, il tono tanto basso quanto feroce, costringendola a prenderlo in braccio.
«Piange sangue e pece!»
«Quello che vedi non è reale, Jocelyn. Finiscila.»
Nemmeno quella sera, però, stretto tra le sue braccia, mentre Jocelyn teneva le palpebre abbassate per non guardare, il bambino smise di dimenarsi. Alla fine, in preda alla disperazione, la cacciatrice lo rimise nella culla e fuggì in camera da letto, premendosi il cuscino sulle orecchie.
Valentine, nelle notti in cui Jonathan piangeva tanto da far fatica a respirare, si sedeva in camera del piccolo con le candele spente. Lo prendeva in braccio, senza tradire apparentemente alcuna emozione, e gli sfiorava le guance con il dorso di un dito, rinfrescando la pelle arrossata con il metallo gelido dell'anello dei Morgenstern. Lasciava che la manina di Jonathan, quella che sua madre vedeva ricoperta da capillari violacei, tentasse di stringersi attorno al suo palmo troppo grande; in qualche occasione Jocelyn - che li spiava spesso - aveva perfino visto le sue labbra tendersi verso l'alto, fiere di tanta forza.
E Jonathan in quei momenti non piangeva più, e i suoi occhi tornavano a brillare come quelli degli altri bambini, e sul suo viso sbocciava una risata infantile.
Quella sera, quando scese di nuovo il silenzio, Jocelyn si costrinse a sgusciare fuori dalla porta: li trovò come sempre, il padre che con l'indice disegnava trame immaginarie sulla fronte del figlio per farlo divertire. Jonathan sembrava felice, e Jocelyn avrebbe venduto la propria anima pur di far parte di quell'istante di perfetta armonia: tese le braccia verso l'uomo che amava di più al mondo e verso il bambino che voleva disperatamente amare, ma il piccolo la vide e ricominciò a gridare, e sua madre a piangere.
«Lo hai spaventato» si giustificò Valentine, spazientito.
«Con te non aveva paura.»
 «Sono suo padre.»
«E io sua madre, lo hai detto tu.»
Ma Jonathan non la smise fino a quando lei non sparì di nuovo, raggomitolandosi nel letto e tirandosi i capelli per lo sconforto.
Tutti i bambini piangevano a richiamo della propria madre, tutti tranne il suo, ma lei non era nemmeno sicura che Jonathan lo fosse, un bambino.

***

La sera seguente Jonathan disse la sua prima parola, e la sua prima  parola fu per Valentine. Il cacciatore lo prese in braccio, ridendo tanto forte che a Jocelyn sembrò che si stesse prendendo gioco di lei.
Hai visto? dicevano, è un bambino più precoce degli altri, degno figlio di suo padre.
Jocelyn ricacciò indietro le lacrime con tutta la dignità che le era rimasta dopo che il dottore personale dei Morgenstern l'aveva definita vittima di una depressione post partum. Era questa la causa, secondo lui, di tutte le visioni che la tormentavano. Si avvicinò, sorridendo a sua volta, senza toccare Jonathan.
«Di' mamma, Jonathan.»
Il bambino continuò a tormentare la maglia di suo padre senza nemmeno degnarla di uno sguardo.
«Avanti, guerriero,» lo apostrofò Valentine, «quando si tratta di farmi vedere quanto sei forte, non ti tiri indietro. -
Jonathan le rivolse un'occhiata  fredda come quella di un neonato non avrebbe mai dovuto essere, poi tornò a dedicare la sua attenzione alle rune sul collo dell'uomo.
«Dagli tempo.»
Jocelyn annuì, lasciando che Valentine le toccasse uno zigomo umido prima di uscire per una riunione del circolo.
«Non aspettarmi sveglia»
E lei annuì di nuovo, in procinto di andarsene a dormire, perché con suo marito non si poteva fare altro.

***
«Mamma.»
Jocelyn spalancò gli occhi nel buio.
«Mamma.»
Fece scivolare una mano sul letto, accarezzando l'assenza di Valentine ancora fuori per chissà cosa. Un misto di euforia e inspiegabile paura le diede la forza di alzarsi nonostante la debolezza fisica e mentale, come se qualcuno avesse disegnato sulla sua pelle diversi, piccoli Iratze, ridandole la tanto agognata energia. Scese dal materasso morbido in punta di piedi, senza sapere cosa la frenasse dal precipitarsi da suo figlio.
«Mamma.» ripeté Jonathan, con un'intonazione diversa.
Jocelyn accelerò il passo, il cuore che martellava contro la cassa toracica quasi a voler uscire fuori per precederla. Se Valentine fosse stato lì, avrebbe potuto dimostrargli che per quanto fosse dura sopportare un crollo nervoso come quello che stava vivendo, la voce di Jonathan era ancora una melodia piacevole per lei. Forse la famiglia che avevano sognato di costruire non era una completa utopia.
«Mamma!» Jonathan rise, battendo le mani, e Jocelyn si arrestò di colpo.
I bambini parlano da soli molte volte, ma Jonathan non si abbandonava ad eccessi di gioia se Valentine non riusciva a divertirlo. La donna trattenne il respiro quando un suono inquietante echeggiò dalla cameretta di suo figlio.
Le stelle che pendevano sopra la culla del bambino, volute da Valentine per ricordare lo stemma della sua famiglia, ondeggiarono, tintinnando. Nella casa, però, le finestre erano chiuse e non passava un solo spiffero d'aria che potesse farle muovere, ma allo stesso tempo erano troppo in alto perché Jonathan arrivasse a toccarle da solo.
Il bambino rise ancora. Jocelyn afferrò di soppiatto un candelabro sulla credenza nel corridoio, impugnandolo a mo' d'arma prima di sporgersi oltre la porta.
«Mamma?»
Jonathan tendeva le mani verso una figura incappucciata di fumo. Da quel manto di vapore ceruleo, dei serpenti scivolavano nella culla a fare solletico al bambino, strisciavano sul pavimento, sotto i mobili, ovunque.
L'ombra tese la mano a sua volta, facendo gocciolare la stessa sostanza di cui erano fatte le lacrime di Jonathan dalla punta delle dita fino ai capelli del bambino, lisciandogli le ciocche diafane. Sui muri della stanza si moltiplicavano le sagome di quella creatura di tenebra: ombre dell'ombra.
Jocelyn si rese conto di urlare solo quando quattro occhi identici si puntarono su di lei, due spaventati, quelli di Jonathan, e due orrendi, furiosi, inumani.
«Chi diavolo sei!?» gridò.
«Mamma! - rispose Jonathan, e Jocelyn sentì di essere impazzita del tutto.
Scagliò il candelabro contro la culla, facendola ribaltare, e l'ombra proruppe in un suono tanto agghiacciante da rompere i vetri e farla rovinare a terra, in ginocchio. Poi il suo sguardo catturò solo immagini di vipere e sangue, mentre del fumo nero l'avvolgeva. Un sibilo acuto e prolungato come di unghie sul muro le perforò il cervello, quasi volesse aprirlo a metà.
«Se tocchi ancora mio figlio ti uccido.»

«Se tocchi ancora mio figlio ti uccido!»
Quando Jocelyn riaprì gli occhi, la testa che bruciava e Valentine la teneva per i capelli. La culla di Jonathan era ancora per terra, ma tutt'intorno regnava l'ordine. La spinse via, ributtandola sul pavimento, poi corse da Jonathan che si agitava convulsamente e gridava, scosso dai singhiozzi. Del sangue macchiava la testa del bambino e Valentine, troppo sconvolto per usare la giusta delicatezza, gli premette una fascia della sua camicia sulla tempia fino a fargli ancora più male.
«Io..»
«Tu hai cercato di ucciderlo!»
«C'era qualcuno con lui.» Jocelyn si avvicinò ai due, carponi, la testa che doleva per la caduta, guardandosi intorno in cerca di serpenti che non c'erano.
«Tu hai fatto questo disastro, tu, folle!»
Per un momento, guardando la mano di Valentine agitata da spasmi d'ira, Jocelyn credette che l'avrebbe colpita e quasi desiderò che lo facesse. Forse l'avrebbe risvegliata da quell'incubo, perché non poteva che trattarsi di un brutto sogno.
«Io l'ho vista. Lei. Quella che lui chiamava mamma.»
«Tu sei completamente pazza, hai avuto una delle tue stupide crisi e hai quasi ucciso nostro figlio, Jocelyn. -
«Lui non è figlio mio!»
Jonathan si strinse di più a Valentine, fissandola dall'alto della sua fortezza sicura. Lo sguardo era quello giocoso di un piccolo principe seduto sul suo scranno personale, fatto della presa salda di suo padre.
«Hai ragione,» sussurrò Valentine, e per una volta a Jocelyn sembrò di cogliere nella sua voce una nota di dolore.
 «Lui è solo figlio mio.»
Valentine scavalcò il suo corpo steso a terra senza aggiungere altro e scomparve dietro la porta con Jonathan in braccio. Il bambino aveva iniziato a ridacchiare, quasi avesse ricevuto un bel regalo.
La donna, ormai abituata all'idea di aver perso il senno, non poté fare a meno di pensare che nessun bambino umano, dopo tanto orrore, avrebbe reagito in quel modo.
Jonathan aprì la manina per salutarla: dal pugno schiuso scivolò la minuscola testa di una serpe.



Note: I know, è orribile e senza senso e probabilmente sparirà presto. L'ombra a cui si fa riferimento è chiaramente Lilith, la madre-demone di Jonathan-Sebastian. Il "mio" Valentine voleva almeno un po' di bene a suo figlio; mi scuso se sembra OOC, ma non ce lo vedo totalmente senza cuore. Lui vede quello che vede Jocelyn, solo che non lo dice perché altrimenti verrebbe scoperto. Il tutto si svolge ante Città di Ossa. Grazie a chi segue le mie storie e spende un po' di tempo per commentare. Lettori silenziosi, io vivibì, però farebbe tanto piacere ricevere un parere anche (soprattutto!) se negativo. Viò, questa è tutta per te visto che ami Jonathan come lo amo io! Se odiate il personaggio di Sebastian vi invito a riflettere, cliccando qui.
Un bacio a tutti, Nimue.



   
 
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