CAPITOLO
QUATTRO – SANZARU
Il
buio ha i tuoi occhi,
belli come li hai soltanto tu.
(Il
buio ha i tuoi occhi, E. Ramazzotti)
Jack
si svegliò con un sussulto, la coda dell’ultimo
strano sogno che si dissolveva davanti al suo sguardo leggermente
confuso. La
prima cosa che notò era che non si trovava nel suo letto.
Questo era molto più grande e sulla parete accanto
c’era un’ampia finestra ad
illuminare la stanza. La seconda cosa di cui si accorse, invece, era
che non si
trovava da solo. C’era qualcosa che gli pesava sul petto e
che gli provocava un
piacevole torpore.
Abbassò
lo sguardo e vide Ianto con gli occhi chiusi
che dormiva placidamente, appoggiato sulla sua spalla e un braccio
buttato sul
suo petto.
Gli ci volle qualche secondo per inquadrare tutta la situazione, su
come era
finito nel letto di Ianto. E, d’un tratto, si rese conto che
quella era la
prima volta che dormivano veramente insieme. Avevano fatto sesso molte
volte,
non solo nel suo ufficio al Nucleo, ma anche a casa di Ianto, in
cucina, in
salotto, in bagno, però non avevano mai dormito insieme.
Jack se ne andava via
sempre, quasi subito dopo il rito. Come un ladro che, preso quello che
voleva,
fugge via per non essere catturato.
Ma ora… ora era caduto nella trappola e doveva ammettere,
osservando il volto
tranquillo del ragazzo che dormiva e sentendo il suo fiato sul collo,
che era
una trappola molto piacevole, gli dava quel pacifico senso di
tranquillità,
sicurezza e calore di cui, se ne rese conto in quel momento, aveva
veramente
bisogno. Era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta
in cui si era
sentito così che lo aveva dimenticato.
Circondò
la vita di Ianto con un braccio, per
avvicinarlo di più a sé e prese ad accarezzargli
i capelli sulla fronte. Doveva
ammettere che era bello quando dormiva. Ma lui era bello sempre. E
chissà che
cosa stava sognando, magari dei sogni più belli dei suoi.
Jack avrebbe tanto
voluto saperlo.
Ad
un tratto, però, anche Ianto aprì gli occhi,
posando il suo sguardo azzurro sul volto dell’altro.
“Ciao”.
“Ciao”.
“Scusa,
non volevo svegliarti”, sussurrò Jack
sorridendogli.
“Non
mi hai svegliato”.
Ianto,
allora, si alzò mettendosi seduto sul letto
per stiracchiarsi un po’, ma improvvisamente sentì
le braccia di Jack
circondarlo per la vita e il suo petto aderire alla sua schiena.
“Che
ore sono? Forse dovremmo andare”, disse,
allora. In realtà non aveva la minima voglia di staccarsi
dalle braccia di
Jack, stava così bene e sarebbe potuto rimanere
lì tutto il giorno, per non
dire per sempre. Però quella situazione gli metteva anche
una strana sensazione
addosso, era così strano, Jack non lo aveva mai stretto
così. Era strano,
certo, ma molto bello.
“Io
però avrei un certo languorino”, rispose il
Capitano e… forse era solo una sua sensazione ma a Ianto
parve che la sua voce
si fosse fatta incredibilmente sensuale.
“Allora…
allora perché non vai in cucina a
prepararti qualcosa?”
Jack
fece una leggera pressione sui suoi fianchi per
buttarlo di nuovo a letto e, con un colpo di reni, gli si mise a
cavalcioni,
ripetendo la posizione dell’altra sera.
“Preferirei
che fossi tu a prepararmela” e si
abbassò per avvicinare i loro volti.
“Perché
io?”
“Be’,
perché in ogni coppia ci deve essere qualcuno
che prepara la colazione e non sarò certo io”.
Coppia?
Jack aveva detto veramente coppia?
“Siamo
una coppia?”
“Sì.
Perché, non lo vuoi?”
“Certo
che lo voglio”.
“Bene,
altrimenti il tuo quasi suicidio sarebbe
stato inutile ed inspiegabile e ti avrei ucciso io, allora”.
Ianto
ridacchiò divertito, ma tornò serio subito
dopo, notando gli occhi socchiusi di Jack e il suo sorrisetto sghembo.
La cosa
lo eccitava parecchio.
“Allora,
vado a prepararti la colazione”.
“Aspetta!”
lo fermò il Capitano, premendo le mani
sulle sue spalle per farlo restare sdraiato. “Prima devi
sfamare il mio
amichetto lì sotto” e, con un cenno del capo,
indicò le sue parti basse, dove
un evidente rigonfiamento nei suoi boxer faceva intuire perfettamente
che cosa
volesse dire. E Ianto non poteva certo biasimarlo, anche la sua
erezione
mattutina reclamava per essere soddisfatta.
Ma di certo non si aspettava quell’improvviso assalto alle
sue labbra che venne
subito dopo.
Jack,
in bagno davanti allo specchio, vestito solo
con un paio di boxer prestatigli da Ianto, era indeciso se farsi la
barba
oppure no. Si passò una mano sul viso e alla fine decise che
era meglio,
cominciava a sentire qualche pelo, anche se ancora non si vedeva, e lui
detestava
avere la barba. Poco gli importava se erano già in ritardo
al lavoro.
“Hai
la schiuma da barba?” gridò per farsi sentire
da Ianto, ancora in camera da letto.
“Nell’armadietto
accanto al lavandino”, sentì
rispondersi.
Jack
aprì il suddetto armadietto, appeso al muro, e
passò lo sguardo alla ricerca di quello che gli serviva. Ma
prima di arrivare
alla schiuma, i suoi occhi caddero sulle innumerevoli boccette e
scatolette di
medicinali e rimase piuttosto sbigottito davanti a quella
quantità di farmaci.
C’erano due mensole piene di quelli che parevano per lo
più sonniferi e
tranquillanti, alcune di queste erano aperte e mezze vuote, altre erano
ancora
sigillate. Le rigirò un po’ tra le mani per
leggere le etichette e notò anche
una boccetta di Valium.
Ma che se ne faceva Ianto di tutta quella roba?
Prese
la schiuma da barba e richiuse l’armadietto.
Glielo avrebbe chiesto in un secondo momento, adesso non voleva
rovinare quel
momento di famigliarità e pace.
Come
c’era da aspettarsi, Jack e Ianto arrivarono
alla base per ultimi. Quando raggiunsero la baia trovarono le auto
degli altri
tre membri già parcheggiate all’ingresso.
Il Capitano fece girare la ruota e, dopo aver preso la mano del suo
compagno,
sotto lo sguardo incredulo dell’altro, varcò la
soglia insieme a lui con uno
svolazzo del cappotto grigio.
“Era
ora! Ma dov’eravate finiti?” esclamò
Gwen, non
appena li vide arrivare. Poi, però, abbassò lo
sguardo alle loro mani
intrecciate e un sorriso le nacque spontaneo sulle labbra.
“Oh, dobbiamo
brindare a qualcosa?”
“No!”
le rispose Jack secco. Cominciò a dirigersi
verso le scale ma, prima di posare il piede sul primo gradino, si
voltò verso
Ianto. “Me lo prepari un caffè, come piace a
me?”
“Agli
ordini, capo”, gli rispose il ragazzo
facendogli il saluto militare, seguendolo con lo sguardo mentre si
dirigeva
verso il suo ufficio.
“Aspetta,
Jack!” lo chiamò Gwen, allora, con una
leggera nota di panico nello sguardo. Ma l’uomo non le
badò e la ragazza
scambiò uno sguardo preoccupato con Tosh e Owen.
Dopo forse mezzo minuto, Jack ricomparve dal piano superiore,
appoggiato alla
ringhiera con un’espressione piuttosto adirata.
“Chi diavolo ha combinato quel macello nel mio
ufficio?”
Owen
scrollò le spalle, Tosh si morse il labbro
inferiore e Gwen gli fece un sorrisetto falsamente innocente.
Ianto, invece, abbandonò la sua postazione alla macchina del
caffè e corse su
per le scale a vedere a che cosa si stesse riferendo Jack. E
capì il motivo di
tanto disappunto del suo compagno.
L’ufficio era completamente sottosopra, c’erano
carte e penne sparse per terra
ovunque, non si poteva camminare senza calpestarle, la sedia era
rovesciata e
il tavolo messo di traverso, anch’esso pieno di fogli
volanti. Persino alcune
mensole della libreria si erano staccate.
“Prima
che tu te la prenda con qualcuno…”,
iniziò
Gwen da dietro le spalle dei due uomini. “Ecco chi
è stato a fare questo al tuo
ufficio”.
Jack
si voltò verso di lei, ma si trovò davanti Owen
che reggeva in braccio quella che pareva essere una scimmia con le
dimensioni
di un bambino di cinque anni. Si teneva con le sue lunghe braccia al
collo del
dottore e con il muso rivolto verso il Capitano. Dalla sua espressione
così
tenera e dolce non sembrava per niente essere lei la causa di tutti
quei danni.
“E
che cazzo sarebbe quella cosa?” berciò Jack,
squadrano l’animale come fosse qualcosa di ripugnante.
“Non
è una cosa!” gli fece notare Owen in tono di
rimprovero. “Questo è uno scimpanzé e
ha pure un nome… sì… si
chiama… Monkey.
Sì, si chiama Monkey”.
“Monkey?”
ripetè Ianto cercando di non scoppiare a
ridere. Di sicuro il nome se lo era inventato lì al momento.
Ma a parte quello,
tutta quella situazione era piuttosto comica. “Originale,
molto originale”.
“E
voi gli avete lasciato fare questo casino nel mio
ufficio? E si può sapere dove l’avete
trovato?” chiese allora il Capitano,
questa volta più calmo.
“Non
gliel’abbiamo lasciato fare. Era già lì
quando
siamo arrivati e non sappiamo come ci sia arrivata. Comunque non
è di questo
mondo, Tosh ha notato delle sostanze aliene nel suo corpo”,
gli spiegò Gwen
pazientemente. “Volevamo mettere in ordine prima che
arrivassi, ma… non ne
abbiamo avuto il tempo”.
Jack
alzò gli occhi al cielo e appoggiò una spalla
allo stipite della porta.
“D’accordo”,
concluse infine. “Owen, mettiti a
lavorare. Fai tutte le analisi che servono per scoprire da dove viene o
che
cosa sia quella… quella scimmia”.
“Era
quello che stavo per fare”.
“Tu,
Tosh”, continuò il Capitano senza fare caso alla risposta di
Owen. “Osserva tutte le
registrazioni che sono state fatte nel corso della notte per vedere se
sono
avvenute delle anomalie o cose simili nel Nucleo”.
“D’accordo”.
“E
tu Ianto… mi aiuti a mettere in ordine”.
Afferrò la maniglia della porta e fece per chiudersi dentro
la stanza, quando
Gwen lo bloccò. “E io che faccio?”
L’uomo
si fermò a guardarla un attimo col suo
cipiglio altezzoso, come a volerla studiare, e infine disse.
“Non so… renditi
utile o fai quello che vuoi”.
La
ragazza lo guardò strano, ma non fece in tempo a
dire nient’altro visto che questi non le lasciò il
tempo e sparì nell’ufficio
insieme a Ianto.
Alla fine scese giù andando ad appoggiarsi a un tavolo pieno
di strani oggetti.
“Be’,
poteva andare peggio”, commentò. “Non ha
reagito così male”.
“Sappiamo
che una delle regole di Jack è non toccare
il suo ufficio”, le fece notare Toshiko. “Un minimo
di urla era prevedibile”.
Gwen
infilò le sue bacchette nella confezione di
cibo giapponese e ne tirò fuori un pezzetto di sushi che
mise subito in bocca.
Lo stesso fece Ianto, terminando così il suo pranzo. Si
alzò ber buttare via la
sua confezione, fermandosi subito dopo accanto a Owen che se ne stava
impalato
a braccia incrociate a poca distanza dal lettino del mini studio medico
su cui
sedeva lo scimpanzé che avevano trovato
nell’ufficio di Jack.
“Pensate
che dovremmo darle da mangiare?” chiese il
dottore senza togliere gli occhi dall’animale.
“E
che cosa le dovremmo dare?” fece Gwen.
“Non
so… delle banane? Qualcuno ha una banana?” Owen
si voltò guardando i suoi amici ad uno ad uno. Tutti
però scossero il capo.
“Sicuramente
non gli darei la mia”, rispose Jack,
seduto sui gradini. Sembrava ancora avercela con quello che era
successo nel
suo ufficio, sebbene il più delle cose lui e Ianto erano
riusciti a sistemarle.
Ianto, però, a quella frase, ridacchiò sotto i
baffi.
“Perché
non la adottiamo come animale domestico?”
propose Gwen, beccandosi un’occhiataccia da parte del
Capitano. “Scusa, scusa,
stavo solo scherzando”, aggiunse subito dopo, alzando le mani
sopra la testa in
segno di resa.
“Almeno
avete capito com’è arrivata?” chiese
Ianto a
quel punto.
“No”,
rispose Tosh immediatamente. “Ho controllato
tutte le registrazioni. Solo quella nell’ufficio di Jack
mostra delle anomalie
dal momento in cui l’ufficio è vuoto a quello in
cui compare Monkey. Però non
ci fa capire niente. Sembra essere spuntata dal nulla”.
“Forse
ha usato una specie di teletrasporto”,
propose Owen.
“Forse.
E la domanda è anche: perché proprio qui, a
Torchwood. Credevo che qui non potesse entrare niente”.
Jack
fece per dire qualcosa quando, tutto d’un
colpo, sentirono la ruota del Nucleo girare. Qualcuno stava entrando,
eppure
tutti loro erano lì e nessun’altro sapeva di
quella base e di come entrarci.
Perciò, contemporaneamente, si avvicinarono con le pistole
puntate, pronti ad
affrontare qualsiasi strana minaccia fosse.
Non
appena la porta si aprì completamente, videro
una figura attraversare l’uscio ed entrare dentro. Era una
giovane donna con la
pelle scura, i lunghi capelli neri raccolti in un chignon e lo sguardo
scuro
vispo e allegro. Li raggiunse con un sorriso divertito dipinto in volto.
“Devo
ammettere che non mi aspettavo proprio questo
tipo di benvenuto”, commentò vedendosi cinque
pistole puntate contro.
“Martha!”
esclamò Jack sorpreso, abbassando subito
la propria pistola. In tre falcate la raggiunse e
l’abbracciò forte, quasi
staccandola da terra. “Ma che ci fai qui?”
“Be’,
ero di passaggio così…”, rispose la
ragazza
stringendosi nelle spalle. “ho deciso di venire a
trovarvi”.
“Ammettilo,
ti mancavo troppo, così non hai potuto
resistere”.
“Sì,
Jack, senza dubbio”, sbuffò lei alzando gli
occhi al cielo.
Anche
gli altri, allora, l’abbracciarono, contenti
di rivederla.
“Be’,
raccontaci qualcosa. Dove sei stata, cos’hai
fatto?” le chiese Gwen curiosa.
“Ah,
sicuramente non ho avuto una vita interessante
come la vostra”.
Quando
Gwen e Martha rientrarono dopo una
passeggiata nei dintorni, trovarono Tosh e Owen davanti al computer ad
osservare qualcosa e parevano parecchio presi. O meglio, Owen era
parecchio preso
ed apparentemente divertito, Tosh, invece, sembrava voler evitare di
guardare,
ma continuava a spostare anche lei gli occhi sullo schermo.
“Ehi,
ragazzi, che state guardando?” chiese Gwen non
appena lei e Martha li raggiunsero.
“Oh,
è un film porno?” aggiunse Martha notando che
l’immagine sullo schermo mostrava due persone chiaramente
impegnate in un atto
sessuale. Poi, però, osservò meglio e
sgranò gli occhi quando si accorse che
cosa stava guardando in realtà. “Un
momento… ma quelli sono…”.
“Jack
e Ianto!” esclamarono lei e Gwen all’unisono.
“Esattamente!”
affermò Owen ridendo senza ritegno.
“Non
dovremmo guardare queste cose”, li redarguì
Tosh. “Stiamo violando la loro privacy”.
“Ma
li stiamo osservando dalle telecamere di
sorveglianza? E… oh mio Dio! Ma lo stanno facendo davanti ai
Weevil!” si
accorse Gwen e pareva un po’ disgustata.
“Non
è colpa nostra se li abbiamo beccati. Loro
dovrebbero stare più attenti a dove lo fanno”, si
difese Owen.
“Tosh
ha ragione”, gli fece notare Gwen, allora.
“Però, cazzo… è troppo
bello”, concluse infine, scoppiando a ridere.
In
quel momento videro Jack afferrare Ianto per le
spalle e sbatterlo di faccia contro al muro. Ianto vi si
attaccò quasi a
volerci entrare dentro, intanto il Capitano doveva averlo penetrato, a
giudicare
dalle espressioni contratte di entrambi. Jack prese a spingersi dentro
il
compagno, muovendosi su e giù, sempre con maggior
velocità.
“Ma
loro stanno insieme o sono solo compagni di
letto?” chiese Martha, senza
togliere
gli occhi dallo schermo. A quel punto anche Tosh si era arresa e stava
guardando.
“Credo
stiano insieme”, le rispose Gwen.
“Wow.
Chissà che gli ha fatto Ianto”, fu il commento
di Martha.
Infine,
osservarono come le espressioni dei due
uomini nei sotterranei cominciavano a distendersi in
un’espressione estasiata e
felice, segno che avevano raggiunto l’orgasmo.
Ianto,
non appena Jack si fu allontanato, scivolò
contro il muro distendendosi per terra. Aveva il respiro accelerato e
sentiva i
muscoli tremare leggermente.
Anche Jack aveva un po’ di fiatone ed era leggermente sudato.
Ma parecchio
soddisfatto.
“Cristo,
Jack, mi hai letteralmente spaccato”,
borbottò Ianto tra un respiro e l’altro.
Il
Capitano ridacchiò sedendosi per terra. Aveva
bisogno di un po’ di riposo. Fare sesso, doveva ammetterlo,
stancava un po’. Ma
era qualcosa a cui non avrebbe rinunciato mai, fisiologicamente non ne
sarebbe
mai stato in grado.
“Ammettilo,
che non ti sei mai fatto una scopata
così”.
“Effettivamente
no. E questa è la seconda volta che
lo facciamo in un giorno”.
“Sta’
sicuro che ce ne sarà una terza”, Jack
portò
lo sguardo verso la telecamera appesa al muro sopra la sua testa.
Appena
tornati di sopra, avrebbe dovuto provvedere a cancellare quella
registrazione,
così che nessuno degli altri avrebbe visto niente.
L’unico testimone del loro
peccato sarebbero stati i due Weevil, ma grazie al cielo non erano
dotati di
parola.
“Su,
rivestiti o prenderai freddo”, concluse,
rivolto a Ianto. Si alzò anche lui e cominciò a
raccogliere i suoi vestiti
sparsi per terra.
Quando
si fu rivestito, lasciò Ianto a sistemarsi e
tornò di sopra.
“Oh,
siete già tornati!” esclamò, vedendo i
quattro
amici seduti davanti ai computer che lo guardavano in modo un
po’ strano.
“Ehm…
sì”, rispose Gwen con un sorriso a trentadue
denti.
In
quel momento arrivò anche Ianto, che notò subito
che c’era qualcosa di strano nel comportamento degli altri.
“Che
state facendo?” chiese.
“Niente!”
rispose Martha, un po’ troppo
frettolosamente, e si spostò più vicino a Owen
per nascondere il delitto. Si
erano dimenticati di chiudere la schermata. “Stavamo
solo… controllando… una
cosa”.
Jack
e Ianto si guardarono l’un l’altro un po’
confusi.
“Voi,
tutto a posto?” chiese Gwen, allora, sperando
di distrarli. “Passata… passato un buon
pomeriggio?”
Owen,
con un calcio alla caviglia, le intimò di
stare zitta. La ragazza, in risposta, gli lanciò
un’occhiataccia.
Ianto,
accorgendosi che stavano nascondendo qualcosa
alle spalle, si avvicinò alla scrivania e osservò
il computer in centro. “Ma
quella è… la videocamera delle celle?”
“Quella?
Ehm no…”, cercò di negare Owen, ma
piuttosto inutilmente.
Allora
anche Jack si avvicinò e un risolino
divertito gli uscì dalle labbra, capendo che cosa era
successo. “Ci stavate
guardando”.
“Chi?
Noi? Nooo!”
“Sì
che lo avete fatto. Be’, spero che vi siate
almeno divertiti”, concluse il Capitano, cominciando a
dirigersi verso
l’ufficio.
Ma, se a Jack non importava niente, non si poteva dire lo stesso di
Ianto. Il
ragazzo era piuttosto imbarazzato, anche se cercava di non darlo a
vedere.
“Ianto,
mi dispiace”, disse Tosh, notando il suo
sguardo contrariato. “Io non lo volevo fare”.
“Sì,
ma lo hai fatto”, probabilmente avrebbe
aggiunto qualcos’altro, ma alla fine decise di lasciar
perdere e andò a
raggiungere Jack.
“Ti
ho detto che dovevi spegnere”, sbraitò la
giapponese rivolta a Owen, mollandogli uno schiaffo dietro la nuca.
“Ouch!
Che c’entro io? Anche voi avete guardato”, si
lamentò l’accusato.
“Dai,
mettiamoci al lavoro”, lo esortò allora
Martha, prendendolo per un braccio.
I
due si diressero verso il piccolo studio medico
per fare altre analisi alla scimmietta aliena. Era piuttosto tranquilla
per
essere di quella specie, di solito i Scimpanzé facevano un
sacco di pasticci
ma, a parte l’ufficio di Jack, non aveva ancora messo a
soqquadro niente.
Doveva essere un animale educato, forse domestico, tuttavia non
mostrava
particolari capacità. Ogni tanto si fermava a fissare le
persone, come se le
studiasse, il che inquietava un po’, ma sicuramente era
normale. Magari non era
abituata a degli esseri umani.
Martha
le si avvicinò con una siringa per farle
un’iniezione quando questa d’improvviso, come se
qualcuno glielo avesse
ordinato, le saltò addosso stringendole forte il collo. La
ragazza cadde a
terra ma, sentendosi venir meno l’aria, non poté
urlare né emettere alcun
suono, se non dei gorgoglii.
Owen
accorse subito per aiutarla. Afferrò Monkey per
le spalle cercando di scrollarla di dosso da Martha, ma
l’animale sembrava
avere più forza di quanto non ne mostrasse. Alla fine, senza
che se lo fosse
minimamente aspettato, la scimmietta staccò le mani dal
collo della dottoressa
e le mise in faccia a Owen coprendogli gli occhi e togliendogli
così la
visuale. Il ragazzo indietreggiò e cadde
all’indietro colpendo il muro.
A
Martha ci volle qualche secondo per rendersi conto
di cosa stava succedendo, era ancora intenta a riprendere il fiato ma,
prima
che potesse reagire, gli altri, attirati dai rumori, erano
già accorsi per
aiutare Owen.
Jack
e Ianto strattonavano lo Scimpanzé per
toglierglielo di dosso, ma invano. Infine arrivò Martha che,
con un colpo
secco, infilò una siringa nel didietro
dell’animale premendo lo stantuffo e
iniettandole il liquido che c’era dentro.
“Sonnifero”,
disse la ragazza rispondendo alla muta
domanda degli altri. Monkey aveva cominciato a rilassarsi e, dopo poco,
mollò
la presa su Owen cadendo addormentata. Jack la afferrò e la
mise sul lettino.
“Ragazzi”,
chiamò il dottore con uno strano tono.
“Ditemi che avete spento la luce”.
“No,
perché?” fece Gwen.
“Perché
non vedo niente”.
“Non
ci sono lacerazione nella retina né altre
anomalie”, concluse Martha spegnendo la luce della piccola
torcia medica con
cui aveva controllato la vista di Owen. Gli aveva fatto diversi altri
esami da
cui non era risultato niente. “Non vedi niente?”
“No,
buio totale”.
Martha
si scambiò un’occhiata con gli altri che li
guardavano dall’alto, appoggiati alla ringhiera.
“Ma
com’è potuto succedere?” chiese Gwen,
guardando
in direzione di Jack. Il Capitano, per tutta risposta,
scrollò le spalle.
“Aspetta,
un momento…”, sbottò Ianto, allora.
“E’
successo quando la scimmia ti è saltata addosso,
no?”
“Sì”,
rispose Owen.
“Dove
ti ha messo le mani esattamente?”
“Sugli
occhi”.
Tutti
quanti, eccetto Owen, avevano gli occhi
puntati su Ianto, curiosi di sapere che cosa stesse pensando.
“Tosh, uno
dei simboli tradizionali della cultura giapponese non sono le tre
scimmie?”
Toshiko,
che aveva afferrato il punto, sgranò gli
occhi e la bocca sorpresa.
“Ma
certo! Le Sanzaru, le tre scimmie sagge! Mizaru,
Kikazaru, Iwazaru!”
“Eh?!” fece
Owen socchiudendo gli occhi.
La
ragazza scosse il capo e spiegò in tono vivace.
“Sono le tre scimmie rappresentante nel santuario di Toshogu
e indicano il non
vedere il male, il non sentire il male e il non parlare del male e con
le mani
si coprono rispettivamente gli occhi, le orecchie e la bocca”.
“Quindi
queste tre scimmie sono arrivate dal
Giappone?” chiese Owen.
“No,
non credo… non lo so…”.
“Però…”,
la interruppe Jack. “se le scimmie sono tre
e noi ne abbiamo una… da qualche parte ce ne sono altre
due”.
“Controllo
subito se ci sono segni di attività
aliena in città!” esclamò Tosh,
correndo subito ai computer e in un paio di
minuti trovò quello che stava cercando. “Ci sono
due punti caldi, uno è in
Avington Street e l’altro in uno zoo poco fuori
città. Non sono sicura che
siano le scimmie ma…”.
“D’accordo,”
concluse allora Jack, interrompendola
di nuovo. “Io e Ianto andremo allo zoo mentre Martha e Gwen
andranno in
Avington Street. Tu, Tosh, accompagna Owen a casa”.
E
in poco tempo tutti si misero in marcia.
“Bene,
si entra in azione”, disse Ianto uscendo dal
Suv insieme a Jack. I
due erano davanti
al cancello dello zoo che si trovava poco fuori Cardiff, non molto
trafficato
quel giorno, per fortuna, a parte qualche turista e scolaresche
accompagnate
dagli insegnanti. Era giorno lavorativo, dopotutto.
Camminarono
per un po’ finché non arrivarono a una
piccola casetta di legno nella quale un uomo oziava sprofondato su una
sedia,
un cappello di paglia piuttosto rovinato poggiato sulla testa.
Jack
e Ianto entrarono dentro bussando piano, al che
l’uomo si ridestò e guardò i due uomini
con evidente stupore.
“Scusi,
Capitano Jack Harkness e Ianto Jones, siamo
di Torchwood”.
L’uomo,
per tutta risposta, alzò un sopracciglio e
continuò a scrutarli.
“Volevamo
chiederle un’informazione”, continuò
Jack.
“Per caso stamattina da voi è comparso un
Scimpanzé? Uno scimpanzé un
po’…
particolare?”
Ma
l’uomo non sembrava proprio in vena di parlare,
continuava a starsene zitto. Jack, a quel punto, temette che
l’uomo fosse un
po’ tocco o chissà… anche se, doveva
ammetterlo, la sua domanda suonava un po’
strana, magari era quello che stupiva l’uomo.
La luce del sole entrò dalla finestra aperta e
andò a colpire una parte del
volto dello sconosciuto, scoprendo così i suoi lineamenti.
Era piuttosto
anziano, forse sulla settantina, il volto segnato da pesanti rughe. Ma,
su quel
volto così scavato, due brillanti occhi azzurri spiccavano
vispi e vivaci.
“Effettivamente
sì”, rispose alla fine l’anziano,
interrompendo il silenzio che si era venuto a creare. Aveva una voce un
po’
rauca e, immediatamente, venne scosso da dei pesanti colpi di tosse.
“Stamattina hanno chiamato per dirci che hanno trovato una
scimmia girare nei
dintorni. Hanno subito pensato che fosse una delle nostre,
così l’hanno portata
qui. Ma non è una delle nostre”.
“E
lei come fa a saperlo?” chiese Ianto.
“Perché
le nostre scimmie hanno tutte un piccolo
marchio sotto al piede sinistro e quella non ce l’aveva. Ma a
parte questo”, altri
colpi di tosse. “si vede. È un animale
particolare”.
“Particolare
in che senso?”
“E’
troppo docile e mansueta. L’abbiamo messa nella
gabbia insieme alle altre, ma le altre sembra che ne abbiano
paura”, pausa per
tossire. “se ne tengono lontane. Inoltre, pare che non voglia
mangiare il cibo
che diamo alle altre, eppure non soffre di malnutrizione”.
“Possiamo
vederla?” chiese Jack.
“Posso
portarvici”.
L’anziano
signore accompagnò i due fino al recinto
dove erano tenute le scimmie. C’erano solo alcune persone
attorno alle grate di
ferro, che scattavano foto.
“E’
da stamattina che sono così”, sbottò il
custode
dello zoo, guardando in direzione delle scimmie, le mani strette al
bastone che
usava per camminare.
Jack e Ianto non capirono subito a che cosa si riferisse, ma poi
notarono che
effettivamente c’era qualcosa che non andava in quegli
animali. Continuavano ad
urlare ed emettere versi, come se qualcosa le rendesse nervose.
“C’è
qualcosa che le disturba”.
Jack
guardò in direzione delle scimmie e, in mezzo a
tutte quelle agitate, ne notò una, solo una che, a
differenza delle altre,
pareva tranquilla e pacata, come se attorno a lei non stesse succedendo
niente.
“Dobbiamo
portare via una delle vostre scimmie”,
annunciò infine il Capitano, in tono perentorio.
Gwen
e Martha giunsero all’indirizzo indicato loro
dal navigatore e parcheggiarono la macchina vicino al bordo del
marciapiede.
“Dovremmo
essere nel posto giusto”, disse Gwen
allungando la testa fuori dal finestrino per controllare la zona.
Davanti a lei
si distendeva una lunga distesa di asfalto e piccole case in stile
londinese,
ordinate, pulite, immacolate, con praticelli ben curati.
“Come
facciamo a sapere quale casa è?” chiese
Martha, guardando anche lei, perplessa, la strada.
“Direi
che ci toccherà bussare ad ogni porta”,
rispose Gwen, scendendo dalla macchina, seguita poi dalla collega.
Ma, prima che potessero fare anche un solo passo, sentirono strani
stridii
provenire dall’abitazione numero dodici.
“O
forse non ce ne sarà bisogno”.
Le
due ragazze corsero verso la casa incriminata e
bussarono alla porta. Ma dopo quasi un minuto, nessuno venne ad aprire.
“Forse
non c’è nessuno”, commentò
Martha, ma Gwen
non pareva essere d’accordo. Si spostò verso la
finestra vicino e guardò
dentro, attraverso le tende scostate.
“Direi
che entriamo con la forza”.
Non
diede nemmeno il tempo all’altra di cogliere la
frase, che diede una forte spallata alla porta e la buttò
giù.
Quello che si presentò davanti alle due ragazze, non appena
superarono la
soglia, era un disordine paragonabile a quello causato da una bomba. Il
tavolino del salotto era rovesciato e accanto, sul tappeto, si stava
allargando
una macchia scura proveniente da una boccetta di smalto. Il divano era
strappato in più punti e c’erano vestiti e vari
altri oggetti sparsi per terra.
“Oh,
mio Dio! Ma che è successo qui?” chiese Martha.
Gwen aprì la bocca per risponderle, ma la voce le
morì in gola quando vide un’ombra
sulla parete. Si avvicinò un po’ di più
e, nascosta dietro a un armadietto, uno
dei pochi oggetti rimasti in piedi, vide una ragazza appoggiata contro
la
parete, le ginocchia strette al petto e gli occhi colmi di lacrime.
Pareva
terrorizzata, guardava Gwen come se vedesse un cane a tre teste e non
poteva
avere che poco più di vent’anni. Fu soprattutto
questo a colpire la ex
poliziotta.
“Ehi”,
le sussurrò, inginocchiandosi per essere alla
sua stessa altezza. Ma la ragazza si ritirò ancora
più indietro. “Tranquilla,
non voglio farti del male”, stava cercando di usare il tono
più dolce e
tranquillo che possedeva. “Posso sapere come ti
chiami?”
La
ragazza aprì la bocca ma, anziché rispondere,
puntò un dito alla gola e fece cenno di no con la testa.
Gwen non capì, ma le corse in aiuto Martha.
“Guarda!”
La
mora si girò vedendo, sopra al mobile della
cucina, una scimmietta seduta tranquilla a sbucciare una banana.
Tornò di nuovo a rivolgersi alla sconosciuta.
“Quella scimmia ti ha aggredita?”
La
ragazza annuì debolmente.
“Ti
ha toccato in qualche punto?”
La
ragazza si indicò la bocca.
“Ok”,
concluse Gwen. Poi si mise alla ricerca di
qualcosa in quel marasma di oggetti sparsi e rovesciati.
Afferrò un foglio e
una penna e li porse alla ragazza. “Scrivimi il tuo
nome”.
La
ragazza, con mano tremante, si avvicinò al foglio
che le porgeva l’altra e scrisse un nome in una calligrafia
un po’ storta.
“D’accordo,
Cindy, ascolta. Adesso noi portiamo via
quello scimpanzé e ti prometto che tutto tornerà
a posto, qualsiasi cosa ti
abbia fatto. Non ti preoccupare. Tu non aprire a nessuno, non fare
niente e non
uscire di casa. Ti verrò io a trovare,
d’accordo?”
Cindy annuì un po’ più calma e Gwen le
sorrise. Poi si voltò verso Martha.
“Hai
il sonnifero?”
Tosh
poggiò le chiavi della porta d’ingresso sul
tavolo e sospirò. Owen, dietro di lei, tentò di
avvicinarsi al divano ma sbatté
contro qualcosa che aveva lasciato per terra e cominciò a
borbottare
imprecazioni contro tutte le divinità che conosceva.
“Aspetta,
ti aiuto!” esclamò la ragazza porgendogli
un braccio perché si appoggiasse e lo accompagno fino al
divano.
Lo fece sedere e poi si accomodò accanto a lui.
“Ehm,
senti… forse è il caso che io vada. Gli altri
avranno bisogno di me”.
“Aspetta,
Tosh!” la fermò il ragazzo prima che
l’altra avesse il tempo di alzarsi.
“Non… non mi va di restare da solo”.
Toshiko
abbassò lo sguardo rammaricata. Accidenti,
cosa accidenti poteva fare? Voleva rimanere con Owen per non lasciarlo
da solo,
soprattutto in un momento come quello, però da un altro lato
era convinta che
non fosse una buona idea. Quella situazione era troppo intima.
Quindi, cosa poteva fare? Ascoltare il cuore o il cervello?
“D’accordo.
Allora… posso rimanere per un po’”,
concluse alla fine, riportando lo sguardo su Owen. “Ti posso
portare qualcosa?
Da bere, da mangiare?”
“No”,
la interruppe lui. Poi cadde il silenzio, un
silenzio in cui la tensione si poteva tagliare con il coltello.
“Senti, Tosh…
secondo te…”.
“Dimmi”.
“Secondo
te… rimarrò così per sempre?”
Tosh
ci mise qualche secondo a capire a
che cosa si riferisse Owen e, quando lo
ebbe fatto, spalancò gli occhi e si affrettò a
cercare un modo per consolarlo.
“No, Owen, no! Troveremo un modo per risolvere questa cosa,
vedrai. Lo facciamo
sempre”.
Sapeva che non erano le parole giuste, però purtroppo madre
natura non l’aveva
dotata della stessa capacità retorica con cui
l’aveva dotata per i computer.
“Lo
spero perché non mi va di rimanere cieco per il
resto della vita”.
La
ragazza lo guardò attentamente in viso come per
studiarlo, approfittando del fatto che lui non poteva vederla, e quello
che
vide nel suo sguardo la intristì. Di solito lui non lasciava
trapelare le sue
emozioni, ma in quel momento si capiva benissimo che era tormentato.
“Non
succederà, vedrai”, cercò di consolarlo
lei,
accarezzandogli il viso. Ma
si era
avvicinata un po’ troppo, a quella distanza poteva vedere
ogni puntino del suo
volto perfetto, ogni sfumatura dei suoi occhi, ogni piega delle sue
labbra. E
se si avvicinava un po’ di più con il viso,
magari, con le sue labbra,
eliminando le distanze tra loro…
E
stava per farlo quando uno squillo dalla sua borsa
la distrasse, facendola tornare coi piedi per terra.
“Il
cellulare!” esclamò, maledicendo tutti i santi
del paradiso.
Quando
Toshiko rientrò alla base, trovò tutti gli
altri già presenti e nel bel mezzo di una discussione. E ora
c’erano anche tre
scimmiette identiche sedute sul tavolo operatorio dello studio di Owen.
“Bene,
e ora che facciamo?” chiese Martha,
scambiandosi un’occhiata con gli altri.
“Come
sta Owen?” fece Gwen, notando la presenza
della giapponese.
“Sta…
bene, credo”, rispose Tosh, decidendo che era
meglio sorvolare sullo scambio di battute tra lei e Owen, troppo intimo
per
farlo sapere agli altri.
“Potrei
analizzare il loro sangue, fare alcuni esami
per trovare…”, cominciò Martha,
riportando il discorso sulla cosa importante.
“Owen
lo ha già fatto e non ha trovato niente”, la
interruppe Gwen.
“Forse
non ha fatto abbastanza. Forse riesco a
scoprire qualcosa di più”.
“Ragazzi,
guardate”.
A
quel richiamo di Ianto, tutti si voltarono verso
le tre scimmie che avevano iniziato a comportarsi in maniera strana.
Ciascuna
di loro si era coperta rispettivamente gli occhi, le orecchie e la
bocca e
avevano preso a dondolare sul posto emettendo versi scimmieschi.
Jack
tentò di avvicinarsi quando, tutto d’un colpo,
una di loro gli saltò addosso facendolo cadere. E la stessa
cosa fecero le
altre, aggredendo anche gli altri presenti. Il Capitano tentava in
tutti i modi
di scrollarsela di dosso, ma quelle scimmie sembravano possedere una
forza pari
a quella umana. Ed erano anche parecchio imbestialite.
Gwen
riuscì a mandare la sua dall’altra parte della
stanza, facendola sbattere contro il muro e svenire, mentre Tosh e
Martha erano
intente ad aiutarsi a vicenda.
Ad un tratto un colpo secco risuonò nel Nucleo, facendo
sussultare tutti quanti
e distrarre la scimmia che stava aggredendo le due ragazze.
Jack, invece, sentì l’animale mollare la presa sui
suoi polsi e cadergli
addosso e ritirò la mano sporca di sangue con cui
l’aveva tenuta per il fianco.
Quando la spinse via, vide Ianto con una pistola in pugno puntata
contro di
lui. Era stato lui a
sparare allo
Scimpanzé.
“Grazie”,
gli sussurrò il Capitano afferrando la
mano che l’altro gli stava porgendo.
Si
scambiarono tutti una veloce occhiata, contenti di
aver scampato a quel pericolo, un po’ in disordine e col
respiro accelerato.
Improvvisamente, però, un altro suono scosse le pareti,
questa volta il trillo
di un cellulare.
Tosh corse a rispondere e nel frattempo gli altri provvidero ad
addormentare la
scimmia che era ancora cosciente.
“Ragazzi”,
chiamò la giapponese quando ebbe chiuso
la comunicazione. “Era Owen. Ha detto che la vista gli
è tornata”.
“Oh,
che fortuna!” esclamò Martha.
“Quindi
basta ucciderle per far cessare il loro
effetto”, concluse Gwen.
“A
quanto pare…”.
“Allora
dobbiamo fare lo stesso anche per aiutare
Cindy”.
“Ma
come facciamo a capire qual è delle due?”
Jack,
senza dire niente, estrasse la pistola e la
impugnò a due mani puntandola contro gli
Scimpanzé.
“Jack,
no!” gridò Gwen.
Ma
il Capitano fece finta di non averla udita e
sparò contro entrambe le scimmie, uccidendole
all’istante.
“Tutto
bene quel che finisce bene”, sospirò Martha,
voltandosi verso i due uomini dietro di lei.
“Come
sempre, no?” sorrise Jack, slanciandosi verso
di lei per stringerla in un forte abbraccio. “Sei sicura di
non voler rimanere
un po’ di più?”
“No,
sono già rimasta abbastanza”.
Quando
il Capitano si fu scostato, fu il turno di
Ianto, di abbracciarla.
“Mi
raccomando, non lasciarlo solo”, gli sussurrò
lei all’orecchio, ben attenta a non farsi udire
dall’altro.
“No,
mai”, rispose Ianto.
I
tre si scambiarono un’ulteriore occhiata, un po’
malinconica, e poi Martha aprì la portiera
dell’auto.
“Be’,
direi che ci si vede”.
“Assolutamente”.
“A
presto”.
Jack
la aiutò a salire e le chiuse la portiera.
“Fai
buon viaggio”.
“E
tu sta’ attento”.
“Sempre”.
Un
ultimo sorriso e Martha mise in moto,
allontanandosi nella notte di Cardiff.
“Direi
che tutto sommato è stata una giornata
tranquilla”, commentò Ianto quando la ragazza si
fu allontanata.
“E
non è ancora terminata”, aggiunse Jack.
“Che
vuoi dire?” chiese l’altro perplesso.
“Che
non abbiamo ancora
fatto tris”.
MILLY’S
SPACE
Salve
a tutti : )
Eccomi con un nuovo capitolo… speravo di non metterci tutto
questo tempo, ma
purtroppo i miei numerosi impegni mi portano via sempre un sacco di
tempo.
Come
mi è venuta l’idea delle tre scimmie? Bella
domanda,
in realtà è stata tipo un’illuminazione
improvvisa. Purtroppo, però, ho avuto a
disposizione soltanto Wikipedia per informarmi su questa tradizione
giapponese,
in realtà non ne so molto, pertanto se ci sono eventuali
errori o se voi ne
sapete qualcosa di più potete dirmelo.
Inoltre, la comparsa di Martha è stata un po’
forzata perché avendo Owen fuori
uso mi serviva un altro dottore.
Devo ammettere, però, di non essere molto contenta del
finale, mi sarebbe
piaciuto approfondire un po’ di più la questione
delle scimmie aliene o magari
farli fare una fine diversa. Ma al momento non ho idee e non vorrei
farvi
attendere troppo. Spero di rifarmi col prossimo capitolo.
E… devo aggiungere altro? Ah sì, Jack e Ianto
finalmente stanno insieme. Devo dire
che Jack non me lo immagino molto impegnato, però io amo
questa coppia e almeno
nei miei sogni, visto che nel telefilm non succede, posso farli stare
insieme
felici e contenti : )
Bene
dai, penso sia tutto.
Se avete domande, commenti, suggerimenti sapete dove trovarmi.
Lasciatemi una recensione o venitemi a trovare su Facebook. https://www.facebook.com/MillysSpace
SWEETLADY98:
no, effettivamente Ianto non fa cose troppo azzardate, ma
secondo me
nasconde un animo un po’ diavolesco XD e vedrai
più avanti ^^ grazie mille per
la recensione e i complimenti. Spero di risentirti, un bacione,
M.
P.S. grazie, sì, il nome del marito di Rhiannon me lo
ricordavo anche io… ahaha
è un mito quell’uomo XD
BIMBA3: sono contenta
che ti siano piaciuti
questi momenti, ne troverai altri in giro sparsi qua e là,
anzi, già in questo
capitolo c’è un’altra scenetta dolce tra
Jack e Ianto. Eh, con Jack a volte
bisogna andarci giù pesante. E Tosh e Owen sì, si
stanno avvicinando, ma
nemmeno io ho ancora deciso come concludere tra loro.
Spero di risentirti, un bacio. M.
GLINDA: eh
sì, la calma non durerà ancora a
lungo. Se vuoi sapere che cosa succederà, continua a seguirmi.
Baci, Milly.