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Autore: millyray    19/05/2013    1 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUATTRO – SANZARU

Il buio ha i tuoi occhi,
belli come li hai soltanto tu.
(Il buio ha i tuoi occhi, E. Ramazzotti)

Jack si svegliò con un sussulto, la coda dell’ultimo strano sogno che si dissolveva davanti al suo sguardo leggermente confuso. La prima cosa che notò era che non si trovava nel suo letto.
Questo era molto più grande e sulla parete accanto c’era un’ampia finestra ad illuminare la stanza. La seconda cosa di cui si accorse, invece, era che non si trovava da solo. C’era qualcosa che gli pesava sul petto e che gli provocava un piacevole torpore.

Abbassò lo sguardo e vide Ianto con gli occhi chiusi che dormiva placidamente, appoggiato sulla sua spalla e un braccio buttato sul suo petto.
Gli ci volle qualche secondo per inquadrare tutta la situazione, su come era finito nel letto di Ianto. E, d’un tratto, si rese conto che quella era la prima volta che dormivano veramente insieme. Avevano fatto sesso molte volte, non solo nel suo ufficio al Nucleo, ma anche a casa di Ianto, in cucina, in salotto, in bagno, però non avevano mai dormito insieme. Jack se ne andava via sempre, quasi subito dopo il rito. Come un ladro che, preso quello che voleva, fugge via per non essere catturato.
Ma ora… ora era caduto nella trappola e doveva ammettere, osservando il volto tranquillo del ragazzo che dormiva e sentendo il suo fiato sul collo, che era una trappola molto piacevole, gli dava quel pacifico senso di tranquillità, sicurezza e calore di cui, se ne rese conto in quel momento, aveva veramente bisogno. Era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta in cui si era sentito così che lo aveva dimenticato.

Circondò la vita di Ianto con un braccio, per avvicinarlo di più a sé e prese ad accarezzargli i capelli sulla fronte. Doveva ammettere che era bello quando dormiva. Ma lui era bello sempre. E chissà che cosa stava sognando, magari dei sogni più belli dei suoi. Jack avrebbe tanto voluto saperlo.

Ad un tratto, però, anche Ianto aprì gli occhi, posando il suo sguardo azzurro sul volto dell’altro.

“Ciao”.

“Ciao”.

“Scusa, non volevo svegliarti”, sussurrò Jack sorridendogli.

“Non mi hai svegliato”.

Ianto, allora, si alzò mettendosi seduto sul letto per stiracchiarsi un po’, ma improvvisamente sentì le braccia di Jack circondarlo per la vita e il suo petto aderire alla sua schiena.

“Che ore sono? Forse dovremmo andare”, disse, allora. In realtà non aveva la minima voglia di staccarsi dalle braccia di Jack, stava così bene e sarebbe potuto rimanere lì tutto il giorno, per non dire per sempre. Però quella situazione gli metteva anche una strana sensazione addosso, era così strano, Jack non lo aveva mai stretto così. Era strano, certo, ma molto bello.

“Io però avrei un certo languorino”, rispose il Capitano e… forse era solo una sua sensazione ma a Ianto parve che la sua voce si fosse fatta incredibilmente sensuale.

“Allora… allora perché non vai in cucina a prepararti qualcosa?”

Jack fece una leggera pressione sui suoi fianchi per buttarlo di nuovo a letto e, con un colpo di reni, gli si mise a cavalcioni, ripetendo la posizione dell’altra sera.

“Preferirei che fossi tu a prepararmela” e si abbassò per avvicinare i loro volti.

“Perché io?”

“Be’, perché in ogni coppia ci deve essere qualcuno che prepara la colazione e non sarò certo io”.

Coppia? Jack aveva detto veramente coppia?

“Siamo una coppia?”

“Sì. Perché, non lo vuoi?”

“Certo che lo voglio”.

“Bene, altrimenti il tuo quasi suicidio sarebbe stato inutile ed inspiegabile e ti avrei ucciso io, allora”.

Ianto ridacchiò divertito, ma tornò serio subito dopo, notando gli occhi socchiusi di Jack e il suo sorrisetto sghembo. La cosa lo eccitava parecchio.

“Allora, vado a prepararti la colazione”.

“Aspetta!” lo fermò il Capitano, premendo le mani sulle sue spalle per farlo restare sdraiato. “Prima devi sfamare il mio amichetto lì sotto” e, con un cenno del capo, indicò le sue parti basse, dove un evidente rigonfiamento nei suoi boxer faceva intuire perfettamente che cosa volesse dire. E Ianto non poteva certo biasimarlo, anche la sua erezione mattutina reclamava per essere soddisfatta.
Ma di certo non si aspettava quell’improvviso assalto alle sue labbra che venne subito dopo.

 

Jack, in bagno davanti allo specchio, vestito solo con un paio di boxer prestatigli da Ianto, era indeciso se farsi la barba oppure no. Si passò una mano sul viso e alla fine decise che era meglio, cominciava a sentire qualche pelo, anche se ancora non si vedeva, e lui detestava avere la barba. Poco gli importava se erano già in ritardo al lavoro.

“Hai la schiuma da barba?” gridò per farsi sentire da Ianto, ancora in camera da letto.

“Nell’armadietto accanto al lavandino”, sentì rispondersi.

Jack aprì il suddetto armadietto, appeso al muro, e passò lo sguardo alla ricerca di quello che gli serviva. Ma prima di arrivare alla schiuma, i suoi occhi caddero sulle innumerevoli boccette e scatolette di medicinali e rimase piuttosto sbigottito davanti a quella quantità di farmaci. C’erano due mensole piene di quelli che parevano per lo più sonniferi e tranquillanti, alcune di queste erano aperte e mezze vuote, altre erano ancora sigillate. Le rigirò un po’ tra le mani per leggere le etichette e notò anche una boccetta di Valium.
Ma che se ne faceva Ianto di tutta quella roba?

Prese la schiuma da barba e richiuse l’armadietto. Glielo avrebbe chiesto in un secondo momento, adesso non voleva rovinare quel momento di famigliarità e pace.

 

Come c’era da aspettarsi, Jack e Ianto arrivarono alla base per ultimi. Quando raggiunsero la baia trovarono le auto degli altri tre membri già parcheggiate all’ingresso.
Il Capitano fece girare la ruota e, dopo aver preso la mano del suo compagno, sotto lo sguardo incredulo dell’altro, varcò la soglia insieme a lui con uno svolazzo del cappotto grigio.

“Era ora! Ma dov’eravate finiti?” esclamò Gwen, non appena li vide arrivare. Poi, però, abbassò lo sguardo alle loro mani intrecciate e un sorriso le nacque spontaneo sulle labbra. “Oh, dobbiamo brindare a qualcosa?”

“No!” le rispose Jack secco. Cominciò a dirigersi verso le scale ma, prima di posare il piede sul primo gradino, si voltò verso Ianto. “Me lo prepari un caffè, come piace a me?”

“Agli ordini, capo”, gli rispose il ragazzo facendogli il saluto militare, seguendolo con lo sguardo mentre si dirigeva verso il suo ufficio.

“Aspetta, Jack!” lo chiamò Gwen, allora, con una leggera nota di panico nello sguardo. Ma l’uomo non le badò e la ragazza scambiò uno sguardo preoccupato con Tosh e Owen.
Dopo forse mezzo minuto, Jack ricomparve dal piano superiore, appoggiato alla ringhiera con un’espressione piuttosto adirata.
“Chi diavolo ha combinato quel macello nel mio ufficio?”

Owen scrollò le spalle, Tosh si morse il labbro inferiore e Gwen gli fece un sorrisetto falsamente innocente.
Ianto, invece, abbandonò la sua postazione alla macchina del caffè e corse su per le scale a vedere a che cosa si stesse riferendo Jack. E capì il motivo di tanto disappunto del suo compagno.
L’ufficio era completamente sottosopra, c’erano carte e penne sparse per terra ovunque, non si poteva camminare senza calpestarle, la sedia era rovesciata e il tavolo messo di traverso, anch’esso pieno di fogli volanti. Persino alcune mensole della libreria si erano staccate.

“Prima che tu te la prenda con qualcuno…”, iniziò Gwen da dietro le spalle dei due uomini. “Ecco chi è stato a fare questo al tuo ufficio”.

Jack si voltò verso di lei, ma si trovò davanti Owen che reggeva in braccio quella che pareva essere una scimmia con le dimensioni di un bambino di cinque anni. Si teneva con le sue lunghe braccia al collo del dottore e con il muso rivolto verso il Capitano. Dalla sua espressione così tenera e dolce non sembrava per niente essere lei la causa di tutti quei danni.

“E che cazzo sarebbe quella cosa?” berciò Jack, squadrano l’animale come fosse qualcosa di ripugnante.

“Non è una cosa!” gli fece notare Owen in tono di rimprovero. “Questo è uno scimpanzé e ha pure un nome… sì… si chiama… Monkey. Sì, si chiama Monkey”.

“Monkey?” ripetè Ianto cercando di non scoppiare a ridere. Di sicuro il nome se lo era inventato lì al momento. Ma a parte quello, tutta quella situazione era piuttosto comica. “Originale, molto originale”.

“E voi gli avete lasciato fare questo casino nel mio ufficio? E si può sapere dove l’avete trovato?” chiese allora il Capitano, questa volta più calmo.

“Non gliel’abbiamo lasciato fare. Era già lì quando siamo arrivati e non sappiamo come ci sia arrivata. Comunque non è di questo mondo, Tosh ha notato delle sostanze aliene nel suo corpo”, gli spiegò Gwen pazientemente. “Volevamo mettere in ordine prima che arrivassi, ma… non ne abbiamo avuto il tempo”.

Jack alzò gli occhi al cielo e appoggiò una spalla allo stipite della porta.

“D’accordo”, concluse infine. “Owen, mettiti a lavorare. Fai tutte le analisi che servono per scoprire da dove viene o che cosa sia quella… quella scimmia”.

“Era quello che stavo per fare”.

“Tu, Tosh”, continuò il Capitano senza fare  caso alla risposta di Owen. “Osserva tutte le registrazioni che sono state fatte nel corso della notte per vedere se sono avvenute delle anomalie o cose simili nel Nucleo”.

“D’accordo”.

“E tu Ianto… mi aiuti a mettere in ordine”.
Afferrò la maniglia della porta e fece per chiudersi dentro la stanza, quando Gwen lo bloccò. “E io che faccio?”

L’uomo si fermò a guardarla un attimo col suo cipiglio altezzoso, come a volerla studiare, e infine disse. “Non so… renditi utile o fai quello che vuoi”.

La ragazza lo guardò strano, ma non fece in tempo a dire nient’altro visto che questi non le lasciò il tempo e sparì nell’ufficio insieme a Ianto.
Alla fine scese giù andando ad appoggiarsi a un tavolo pieno di strani oggetti.

“Be’, poteva andare peggio”, commentò. “Non ha reagito così male”.

“Sappiamo che una delle regole di Jack è non toccare il suo ufficio”, le fece notare Toshiko. “Un minimo di urla era prevedibile”.

 

Gwen infilò le sue bacchette nella confezione di cibo giapponese e ne tirò fuori un pezzetto di sushi che mise subito in bocca.
Lo stesso fece Ianto, terminando così il suo pranzo. Si alzò ber buttare via la sua confezione, fermandosi subito dopo accanto a Owen che se ne stava impalato a braccia incrociate a poca distanza dal lettino del mini studio medico su cui sedeva lo scimpanzé che avevano trovato nell’ufficio di Jack.

“Pensate che dovremmo darle da mangiare?” chiese il dottore senza togliere gli occhi dall’animale.

“E che cosa le dovremmo dare?” fece Gwen.

“Non so… delle banane? Qualcuno ha una banana?” Owen si voltò guardando i suoi amici ad uno ad uno. Tutti però scossero il capo.

“Sicuramente non gli darei la mia”, rispose Jack, seduto sui gradini. Sembrava ancora avercela con quello che era successo nel suo ufficio, sebbene il più delle cose lui e Ianto erano riusciti a sistemarle.
Ianto, però, a quella frase, ridacchiò sotto i baffi.

“Perché non la adottiamo come animale domestico?” propose Gwen, beccandosi un’occhiataccia da parte del Capitano. “Scusa, scusa, stavo solo scherzando”, aggiunse subito dopo, alzando le mani sopra la testa in segno di resa.

“Almeno avete capito com’è arrivata?” chiese Ianto a quel punto.

“No”, rispose Tosh immediatamente. “Ho controllato tutte le registrazioni. Solo quella nell’ufficio di Jack mostra delle anomalie dal momento in cui l’ufficio è vuoto a quello in cui compare Monkey. Però non ci fa capire niente. Sembra essere spuntata dal nulla”.

“Forse ha usato una specie di teletrasporto”, propose Owen.

“Forse. E la domanda è anche: perché proprio qui, a Torchwood. Credevo che qui non potesse entrare niente”.

Jack fece per dire qualcosa quando, tutto d’un colpo, sentirono la ruota del Nucleo girare. Qualcuno stava entrando, eppure tutti loro erano lì e nessun’altro sapeva di quella base e di come entrarci.
Perciò, contemporaneamente, si avvicinarono con le pistole puntate, pronti ad affrontare qualsiasi strana minaccia fosse.

Non appena la porta si aprì completamente, videro una figura attraversare l’uscio ed entrare dentro. Era una giovane donna con la pelle scura, i lunghi capelli neri raccolti in un chignon e lo sguardo scuro vispo e allegro. Li raggiunse con un sorriso divertito dipinto in volto.

“Devo ammettere che non mi aspettavo proprio questo tipo di benvenuto”, commentò vedendosi cinque pistole puntate contro.

“Martha!” esclamò Jack sorpreso, abbassando subito la propria pistola. In tre falcate la raggiunse e l’abbracciò forte, quasi staccandola da terra. “Ma che ci fai qui?”

“Be’, ero di passaggio così…”, rispose la ragazza stringendosi nelle spalle. “ho deciso di venire a trovarvi”.

“Ammettilo, ti mancavo troppo, così non hai potuto resistere”.

“Sì, Jack, senza dubbio”, sbuffò lei alzando gli occhi al cielo.

Anche gli altri, allora, l’abbracciarono, contenti di rivederla.

“Be’, raccontaci qualcosa. Dove sei stata, cos’hai fatto?” le chiese Gwen curiosa.

“Ah, sicuramente non ho avuto una vita interessante come la vostra”.

 

Quando Gwen e Martha rientrarono dopo una passeggiata nei dintorni, trovarono Tosh e Owen davanti al computer ad osservare qualcosa e parevano parecchio presi. O meglio, Owen era parecchio preso ed apparentemente divertito, Tosh, invece, sembrava voler evitare di guardare, ma continuava a spostare anche lei gli occhi sullo schermo.

“Ehi, ragazzi, che state guardando?” chiese Gwen non appena lei e Martha li raggiunsero.

“Oh, è un film porno?” aggiunse Martha notando che l’immagine sullo schermo mostrava due persone chiaramente impegnate in un atto sessuale. Poi, però, osservò meglio e sgranò gli occhi quando si accorse che cosa stava guardando in realtà. “Un momento… ma quelli sono…”.

“Jack e Ianto!” esclamarono lei e Gwen all’unisono.

“Esattamente!” affermò Owen ridendo senza ritegno.

“Non dovremmo guardare queste cose”, li redarguì Tosh. “Stiamo violando la loro privacy”.

“Ma li stiamo osservando dalle telecamere di sorveglianza? E… oh mio Dio! Ma lo stanno facendo davanti ai Weevil!” si accorse Gwen e pareva un po’ disgustata.

“Non è colpa nostra se li abbiamo beccati. Loro dovrebbero stare più attenti a dove lo fanno”, si difese Owen.

“Tosh ha ragione”, gli fece notare Gwen, allora. “Però, cazzo… è troppo bello”, concluse infine, scoppiando a ridere.

In quel momento videro Jack afferrare Ianto per le spalle e sbatterlo di faccia contro al muro. Ianto vi si attaccò quasi a volerci entrare dentro, intanto il Capitano doveva averlo penetrato, a giudicare dalle espressioni contratte di entrambi. Jack prese a spingersi dentro il compagno, muovendosi su e giù, sempre con maggior velocità.

“Ma loro stanno insieme o sono solo compagni di letto?” chiese Martha,  senza togliere gli occhi dallo schermo. A quel punto anche Tosh si era arresa e stava guardando.

“Credo stiano insieme”, le rispose Gwen.

“Wow. Chissà che gli ha fatto Ianto”, fu il commento di Martha.

Infine, osservarono come le espressioni dei due uomini nei sotterranei cominciavano a distendersi in un’espressione estasiata e felice, segno che avevano raggiunto l’orgasmo.

 

Ianto, non appena Jack si fu allontanato, scivolò contro il muro distendendosi per terra. Aveva il respiro accelerato e sentiva i muscoli tremare leggermente.
Anche Jack aveva un po’ di fiatone ed era leggermente sudato. Ma parecchio soddisfatto.

“Cristo, Jack, mi hai letteralmente spaccato”, borbottò Ianto tra un respiro e l’altro.

Il Capitano ridacchiò sedendosi per terra. Aveva bisogno di un po’ di riposo. Fare sesso, doveva ammetterlo, stancava un po’. Ma era qualcosa a cui non avrebbe rinunciato mai, fisiologicamente non ne sarebbe mai stato in grado.

“Ammettilo, che non ti sei mai fatto una scopata così”.

“Effettivamente no. E questa è la seconda volta che lo facciamo in un giorno”.

“Sta’ sicuro che ce ne sarà una terza”, Jack portò lo sguardo verso la telecamera appesa al muro sopra la sua testa. Appena tornati di sopra, avrebbe dovuto provvedere a cancellare quella registrazione, così che nessuno degli altri avrebbe visto niente. L’unico testimone del loro peccato sarebbero stati i due Weevil, ma grazie al cielo non erano dotati di parola.

“Su, rivestiti o prenderai freddo”, concluse, rivolto a Ianto. Si alzò anche lui e cominciò a raccogliere i suoi vestiti sparsi per terra.

Quando si fu rivestito, lasciò Ianto a sistemarsi e tornò di sopra.

“Oh, siete già tornati!” esclamò, vedendo i quattro amici seduti davanti ai computer che lo guardavano in modo un po’ strano.

“Ehm… sì”, rispose Gwen con un sorriso a trentadue denti.

In quel momento arrivò anche Ianto, che notò subito che c’era qualcosa di strano nel comportamento degli altri.

“Che state facendo?” chiese.

“Niente!” rispose Martha, un po’ troppo frettolosamente, e si spostò più vicino a Owen per nascondere il delitto. Si erano dimenticati di chiudere la schermata. “Stavamo solo… controllando… una cosa”.

Jack e Ianto si guardarono l’un l’altro un po’ confusi.

“Voi, tutto a posto?” chiese Gwen, allora, sperando di distrarli. “Passata… passato un buon pomeriggio?”

Owen, con un calcio alla caviglia, le intimò di stare zitta. La ragazza, in risposta, gli lanciò un’occhiataccia.

Ianto, accorgendosi che stavano nascondendo qualcosa alle spalle, si avvicinò alla scrivania e osservò il computer in centro. “Ma quella è… la videocamera delle celle?”

“Quella? Ehm no…”, cercò di negare Owen, ma piuttosto inutilmente.

Allora anche Jack si avvicinò e un risolino divertito gli uscì dalle labbra, capendo che cosa era successo. “Ci stavate guardando”.

“Chi? Noi? Nooo!”

“Sì che lo avete fatto. Be’, spero che vi siate almeno divertiti”, concluse il Capitano, cominciando a dirigersi verso l’ufficio.
Ma, se a Jack non importava niente, non si poteva dire lo stesso di Ianto. Il ragazzo era piuttosto imbarazzato, anche se cercava di non darlo a vedere.

“Ianto, mi dispiace”, disse Tosh, notando il suo sguardo contrariato. “Io non lo volevo fare”.

“Sì, ma lo hai fatto”, probabilmente avrebbe aggiunto qualcos’altro, ma alla fine decise di lasciar perdere e andò a raggiungere Jack.

“Ti ho detto che dovevi spegnere”, sbraitò la giapponese rivolta a Owen, mollandogli uno schiaffo dietro la nuca.

“Ouch! Che c’entro io? Anche voi avete guardato”, si lamentò l’accusato.

“Dai, mettiamoci al lavoro”, lo esortò allora Martha, prendendolo per un braccio.

I due si diressero verso il piccolo studio medico per fare altre analisi alla scimmietta aliena. Era piuttosto tranquilla per essere di quella specie, di solito i Scimpanzé facevano un sacco di pasticci ma, a parte l’ufficio di Jack, non aveva ancora messo a soqquadro niente. Doveva essere un animale educato, forse domestico, tuttavia non mostrava particolari capacità. Ogni tanto si fermava a fissare le persone, come se le studiasse, il che inquietava un po’, ma sicuramente era normale. Magari non era abituata a degli esseri umani.

Martha le si avvicinò con una siringa per farle un’iniezione quando questa d’improvviso, come se qualcuno glielo avesse ordinato, le saltò addosso stringendole forte il collo. La ragazza cadde a terra ma, sentendosi venir meno l’aria, non poté urlare né emettere alcun suono, se non dei gorgoglii.

Owen accorse subito per aiutarla. Afferrò Monkey per le spalle cercando di scrollarla di dosso da Martha, ma l’animale sembrava avere più forza di quanto non ne mostrasse. Alla fine, senza che se lo fosse minimamente aspettato, la scimmietta staccò le mani dal collo della dottoressa e le mise in faccia a Owen coprendogli gli occhi e togliendogli così la visuale. Il ragazzo indietreggiò e cadde all’indietro colpendo il muro.

A Martha ci volle qualche secondo per rendersi conto di cosa stava succedendo, era ancora intenta a riprendere il fiato ma, prima che potesse reagire, gli altri, attirati dai rumori, erano già accorsi per aiutare Owen.

Jack e Ianto strattonavano lo Scimpanzé per toglierglielo di dosso, ma invano. Infine arrivò Martha che, con un colpo secco, infilò una siringa nel didietro dell’animale premendo lo stantuffo e iniettandole il liquido che c’era dentro.

“Sonnifero”, disse la ragazza rispondendo alla muta domanda degli altri. Monkey aveva cominciato a rilassarsi e, dopo poco, mollò la presa su Owen cadendo addormentata. Jack la afferrò e la mise sul lettino.

“Ragazzi”, chiamò il dottore con uno strano tono. “Ditemi che avete spento la luce”.

“No, perché?” fece Gwen.

“Perché non vedo niente”.

 

“Non ci sono lacerazione nella retina né altre anomalie”, concluse Martha spegnendo la luce della piccola torcia medica con cui aveva controllato la vista di Owen. Gli aveva fatto diversi altri esami da cui non era risultato niente. “Non vedi niente?”

“No, buio totale”.

Martha si scambiò un’occhiata con gli altri che li guardavano dall’alto, appoggiati alla ringhiera.

“Ma com’è potuto succedere?” chiese Gwen, guardando in direzione di Jack. Il Capitano, per tutta risposta, scrollò le spalle.

“Aspetta, un momento…”, sbottò Ianto, allora. “E’ successo quando la scimmia ti è saltata addosso, no?”

“Sì”, rispose Owen.

“Dove ti ha messo le mani esattamente?”

“Sugli occhi”.

Tutti quanti, eccetto Owen, avevano gli occhi puntati su Ianto, curiosi di sapere che cosa stesse pensando.

 “Tosh, uno dei simboli tradizionali della cultura giapponese non sono le tre scimmie?”

Toshiko, che aveva afferrato il punto, sgranò gli occhi e la bocca sorpresa.

“Ma certo! Le Sanzaru, le tre scimmie sagge! Mizaru, Kikazaru, Iwazaru!”

“Eh?!”  fece Owen socchiudendo gli occhi.

La ragazza scosse il capo e spiegò in tono vivace. “Sono le tre scimmie rappresentante nel santuario di Toshogu e indicano il non vedere il male, il non sentire il male e il non parlare del male e con le mani si coprono rispettivamente gli occhi, le orecchie e la bocca”.

“Quindi queste tre scimmie sono arrivate dal Giappone?” chiese Owen.

“No, non credo… non lo so…”.

“Però…”, la interruppe Jack. “se le scimmie sono tre e noi ne abbiamo una… da qualche parte ce ne sono altre due”.

“Controllo subito se ci sono segni di attività aliena in città!” esclamò Tosh, correndo subito ai computer e in un paio di minuti trovò quello che stava cercando. “Ci sono due punti caldi, uno è in Avington Street e l’altro in uno zoo poco fuori città. Non sono sicura che siano le scimmie ma…”.

“D’accordo,” concluse allora Jack, interrompendola di nuovo. “Io e Ianto andremo allo zoo mentre Martha e Gwen andranno in Avington Street. Tu, Tosh, accompagna Owen a casa”.

E in poco tempo tutti si misero in marcia.

 

“Bene, si entra in azione”, disse Ianto uscendo dal Suv insieme a Jack.  I due erano davanti al cancello dello zoo che si trovava poco fuori Cardiff, non molto trafficato quel giorno, per fortuna, a parte qualche turista e scolaresche accompagnate dagli insegnanti. Era giorno lavorativo, dopotutto.

Camminarono per un po’ finché non arrivarono a una piccola casetta di legno nella quale un uomo oziava sprofondato su una sedia, un cappello di paglia piuttosto rovinato poggiato sulla testa.

Jack e Ianto entrarono dentro bussando piano, al che l’uomo si ridestò e guardò i due uomini con evidente stupore.

“Scusi, Capitano Jack Harkness e Ianto Jones, siamo di Torchwood”.

L’uomo, per tutta risposta, alzò un sopracciglio e continuò a scrutarli.

“Volevamo chiederle un’informazione”, continuò Jack. “Per caso stamattina da voi è comparso un Scimpanzé? Uno scimpanzé un po’… particolare?”

Ma l’uomo non sembrava proprio in vena di parlare, continuava a starsene zitto. Jack, a quel punto, temette che l’uomo fosse un po’ tocco o chissà… anche se, doveva ammetterlo, la sua domanda suonava un po’ strana, magari era quello che stupiva l’uomo.
La luce del sole entrò dalla finestra aperta e andò a colpire una parte del volto dello sconosciuto, scoprendo così i suoi lineamenti. Era piuttosto anziano, forse sulla settantina, il volto segnato da pesanti rughe. Ma, su quel volto così scavato, due brillanti occhi azzurri spiccavano vispi e vivaci.

“Effettivamente sì”, rispose alla fine l’anziano, interrompendo il silenzio che si era venuto a creare. Aveva una voce un po’ rauca e, immediatamente, venne scosso da dei pesanti colpi di tosse. “Stamattina hanno chiamato per dirci che hanno trovato una scimmia girare nei dintorni. Hanno subito pensato che fosse una delle nostre, così l’hanno portata qui. Ma non è una delle nostre”.

“E lei come fa a saperlo?” chiese Ianto.

“Perché le nostre scimmie hanno tutte un piccolo marchio sotto al piede sinistro e quella non ce l’aveva. Ma a parte questo”, altri colpi di tosse. “si vede. È un animale particolare”.

“Particolare in che senso?”

“E’ troppo docile e mansueta. L’abbiamo messa nella gabbia insieme alle altre, ma le altre sembra che ne abbiano paura”, pausa per tossire. “se ne tengono lontane. Inoltre, pare che non voglia mangiare il cibo che diamo alle altre, eppure non soffre di malnutrizione”.

“Possiamo vederla?” chiese Jack.

“Posso portarvici”.

L’anziano signore accompagnò i due fino al recinto dove erano tenute le scimmie. C’erano solo alcune persone attorno alle grate di ferro, che scattavano foto.

“E’ da stamattina che sono così”, sbottò il custode dello zoo, guardando in direzione delle scimmie, le mani strette al bastone che usava per camminare.
Jack e Ianto non capirono subito a che cosa si riferisse, ma poi notarono che effettivamente c’era qualcosa che non andava in quegli animali. Continuavano ad urlare ed emettere versi, come se qualcosa le rendesse nervose.

“C’è qualcosa che le disturba”.

Jack guardò in direzione delle scimmie e, in mezzo a tutte quelle agitate, ne notò una, solo una che, a differenza delle altre, pareva tranquilla e pacata, come se attorno a lei non stesse succedendo niente.

“Dobbiamo portare via una delle vostre scimmie”, annunciò infine il Capitano, in tono perentorio.

 

Gwen e Martha giunsero all’indirizzo indicato loro dal navigatore e parcheggiarono la macchina vicino al bordo del marciapiede.

“Dovremmo essere nel posto giusto”, disse Gwen allungando la testa fuori dal finestrino per controllare la zona. Davanti a lei si distendeva una lunga distesa di asfalto e piccole case in stile londinese, ordinate, pulite, immacolate, con praticelli ben curati.

“Come facciamo a sapere quale casa è?” chiese Martha, guardando anche lei, perplessa, la strada.

“Direi che ci toccherà bussare ad ogni porta”, rispose Gwen, scendendo dalla macchina, seguita poi dalla collega.
Ma, prima che potessero fare anche un solo passo, sentirono strani stridii provenire dall’abitazione numero dodici.

“O forse non ce ne sarà bisogno”.

Le due ragazze corsero verso la casa incriminata e bussarono alla porta. Ma dopo quasi un minuto, nessuno venne ad aprire.

“Forse non c’è nessuno”, commentò Martha, ma Gwen non pareva essere d’accordo. Si spostò verso la finestra vicino e guardò dentro, attraverso le tende scostate.

“Direi che entriamo con la forza”.

Non diede nemmeno il tempo all’altra di cogliere la frase, che diede una forte spallata alla porta e la buttò giù.
Quello che si presentò davanti alle due ragazze, non appena superarono la soglia, era un disordine paragonabile a quello causato da una bomba. Il tavolino del salotto era rovesciato e accanto, sul tappeto, si stava allargando una macchia scura proveniente da una boccetta di smalto. Il divano era strappato in più punti e c’erano vestiti e vari altri oggetti sparsi per terra.

“Oh, mio Dio! Ma che è successo qui?” chiese Martha. Gwen aprì la bocca per risponderle, ma la voce le morì in gola quando vide un’ombra sulla parete. Si avvicinò un po’ di più e, nascosta dietro a un armadietto, uno dei pochi oggetti rimasti in piedi, vide una ragazza appoggiata contro la parete, le ginocchia strette al petto e gli occhi colmi di lacrime. Pareva terrorizzata, guardava Gwen come se vedesse un cane a tre teste e non poteva avere che poco più di vent’anni. Fu soprattutto questo a colpire la ex poliziotta.

“Ehi”, le sussurrò, inginocchiandosi per essere alla sua stessa altezza. Ma la ragazza si ritirò ancora più indietro. “Tranquilla, non voglio farti del male”, stava cercando di usare il tono più dolce e tranquillo che possedeva. “Posso sapere come ti chiami?”

La ragazza aprì la bocca ma, anziché rispondere, puntò un dito alla gola e fece cenno di no con la testa.
Gwen non capì, ma le corse in aiuto Martha. “Guarda!”

La mora si girò vedendo, sopra al mobile della cucina, una scimmietta seduta tranquilla a sbucciare una banana.
Tornò di nuovo a rivolgersi alla sconosciuta. “Quella scimmia ti ha aggredita?”

La ragazza annuì debolmente.

“Ti ha toccato in qualche punto?”

La ragazza si indicò la bocca.

“Ok”, concluse Gwen. Poi si mise alla ricerca di qualcosa in quel marasma di oggetti sparsi e rovesciati. Afferrò un foglio e una penna e li porse alla ragazza. “Scrivimi il tuo nome”.

La ragazza, con mano tremante, si avvicinò al foglio che le porgeva l’altra e scrisse un nome in una calligrafia un po’ storta.

“D’accordo, Cindy, ascolta. Adesso noi portiamo via quello scimpanzé e ti prometto che tutto tornerà a posto, qualsiasi cosa ti abbia fatto. Non ti preoccupare. Tu non aprire a nessuno, non fare niente e non uscire di casa. Ti verrò io a trovare, d’accordo?”
Cindy annuì un po’ più calma e Gwen le sorrise. Poi si voltò verso Martha.

“Hai il sonnifero?”

 

Tosh poggiò le chiavi della porta d’ingresso sul tavolo e sospirò. Owen, dietro di lei, tentò di avvicinarsi al divano ma sbatté contro qualcosa che aveva lasciato per terra e cominciò a borbottare imprecazioni contro tutte le divinità che conosceva.

“Aspetta, ti aiuto!” esclamò la ragazza porgendogli un braccio perché si appoggiasse e lo accompagno fino al divano.
Lo fece sedere e poi si accomodò accanto a lui.

“Ehm, senti… forse è il caso che io vada. Gli altri avranno bisogno di me”.

“Aspetta, Tosh!” la fermò il ragazzo prima che l’altra avesse il tempo di alzarsi. “Non… non mi va di restare da solo”.

Toshiko abbassò lo sguardo rammaricata. Accidenti, cosa accidenti poteva fare? Voleva rimanere con Owen per non lasciarlo da solo, soprattutto in un momento come quello, però da un altro lato era convinta che non fosse una buona idea. Quella situazione era troppo intima.
Quindi, cosa poteva fare? Ascoltare il cuore o il cervello?

“D’accordo. Allora… posso rimanere per un po’”, concluse alla fine, riportando lo sguardo su Owen. “Ti posso portare qualcosa? Da bere, da mangiare?”

“No”, la interruppe lui. Poi cadde il silenzio, un silenzio in cui la tensione si poteva tagliare con il coltello. “Senti, Tosh… secondo te…”.

“Dimmi”.

“Secondo te… rimarrò così per sempre?”

Tosh ci mise qualche secondo a capire  a che cosa si riferisse Owen e, quando lo ebbe fatto, spalancò gli occhi e si affrettò a cercare un modo per consolarlo. “No, Owen, no! Troveremo un modo per risolvere questa cosa, vedrai. Lo facciamo sempre”.
Sapeva che non erano le parole giuste, però purtroppo madre natura non l’aveva dotata della stessa capacità retorica con cui l’aveva dotata per i computer.

“Lo spero perché non mi va di rimanere cieco per il resto della vita”.

La ragazza lo guardò attentamente in viso come per studiarlo, approfittando del fatto che lui non poteva vederla, e quello che vide nel suo sguardo la intristì. Di solito lui non lasciava trapelare le sue emozioni, ma in quel momento si capiva benissimo che era tormentato.

“Non succederà, vedrai”, cercò di consolarlo lei, accarezzandogli il viso.  Ma si era avvicinata un po’ troppo, a quella distanza poteva vedere ogni puntino del suo volto perfetto, ogni sfumatura dei suoi occhi, ogni piega delle sue labbra. E se si avvicinava un po’ di più con il viso, magari, con le sue labbra, eliminando le distanze tra loro…

E stava per farlo quando uno squillo dalla sua borsa la distrasse, facendola tornare coi piedi per terra.

“Il cellulare!” esclamò, maledicendo tutti i santi del paradiso.

 

Quando Toshiko rientrò alla base, trovò tutti gli altri già presenti e nel bel mezzo di una discussione. E ora c’erano anche tre scimmiette identiche sedute sul tavolo operatorio dello studio di Owen.

“Bene, e ora che facciamo?” chiese Martha, scambiandosi un’occhiata con gli altri.

“Come sta Owen?” fece Gwen, notando la presenza della giapponese.

“Sta… bene, credo”, rispose Tosh, decidendo che era meglio sorvolare sullo scambio di battute tra lei e Owen, troppo intimo per farlo sapere agli altri.

“Potrei analizzare il loro sangue, fare alcuni esami per trovare…”, cominciò Martha, riportando il discorso sulla cosa importante.

“Owen lo ha già fatto e non ha trovato niente”, la interruppe Gwen.

“Forse non ha fatto abbastanza. Forse riesco a scoprire qualcosa di più”.

“Ragazzi, guardate”.

A quel richiamo di Ianto, tutti si voltarono verso le tre scimmie che avevano iniziato a comportarsi in maniera strana. Ciascuna di loro si era coperta rispettivamente gli occhi, le orecchie e la bocca e avevano preso a dondolare sul posto emettendo versi scimmieschi.

Jack tentò di avvicinarsi quando, tutto d’un colpo, una di loro gli saltò addosso facendolo cadere. E la stessa cosa fecero le altre, aggredendo anche gli altri presenti. Il Capitano tentava in tutti i modi di scrollarsela di dosso, ma quelle scimmie sembravano possedere una forza pari a quella umana. Ed erano anche parecchio imbestialite.

Gwen riuscì a mandare la sua dall’altra parte della stanza, facendola sbattere contro il muro e svenire, mentre Tosh e Martha erano intente ad aiutarsi a vicenda.
Ad un tratto un colpo secco risuonò nel Nucleo, facendo sussultare tutti quanti e distrarre la scimmia che stava aggredendo le due ragazze.
Jack, invece, sentì l’animale mollare la presa sui suoi polsi e cadergli addosso e ritirò la mano sporca di sangue con cui l’aveva tenuta per il fianco.
Quando la spinse via, vide Ianto con una pistola in pugno puntata contro di lui. Era stato lui  a sparare allo Scimpanzé.

“Grazie”, gli sussurrò il Capitano afferrando la mano che l’altro gli stava porgendo.

Si scambiarono tutti una veloce occhiata, contenti di aver scampato a quel pericolo, un po’ in disordine e col respiro accelerato. Improvvisamente, però, un altro suono scosse le pareti, questa volta il trillo di un cellulare.
Tosh corse a rispondere e nel frattempo gli altri provvidero ad addormentare la scimmia che era ancora cosciente.

“Ragazzi”, chiamò la giapponese quando ebbe chiuso la comunicazione. “Era Owen. Ha detto che la vista gli è tornata”.

“Oh, che fortuna!” esclamò Martha.

“Quindi basta ucciderle per far cessare il loro effetto”, concluse Gwen.

“A quanto pare…”.

“Allora dobbiamo fare lo stesso anche per aiutare Cindy”.

“Ma come facciamo a capire qual è delle due?”

Jack, senza dire niente, estrasse la pistola e la impugnò a due mani puntandola contro gli Scimpanzé.

“Jack, no!” gridò Gwen.

Ma il Capitano fece finta di non averla udita e sparò contro entrambe le scimmie, uccidendole all’istante.

 

“Tutto bene quel che finisce bene”, sospirò Martha, voltandosi verso i due uomini dietro di lei.

“Come sempre, no?” sorrise Jack, slanciandosi verso di lei per stringerla in un forte abbraccio. “Sei sicura di non voler rimanere un po’ di più?”

“No, sono già rimasta abbastanza”.

Quando il Capitano si fu scostato, fu il turno di Ianto, di abbracciarla.

“Mi raccomando, non lasciarlo solo”, gli sussurrò lei all’orecchio, ben attenta a non farsi udire dall’altro.

“No, mai”, rispose Ianto.

I tre si scambiarono un’ulteriore occhiata, un po’ malinconica, e poi Martha aprì la portiera dell’auto.

“Be’, direi che ci si vede”.

“Assolutamente”.

“A presto”.

Jack la aiutò a salire e le chiuse la portiera.

“Fai buon viaggio”.

“E tu sta’ attento”.

“Sempre”.

Un ultimo sorriso e Martha mise in moto, allontanandosi nella notte di Cardiff.

“Direi che tutto sommato è stata una giornata tranquilla”, commentò Ianto quando la ragazza si fu allontanata.

“E non è ancora terminata”, aggiunse Jack.

“Che vuoi dire?” chiese l’altro perplesso.

“Che non abbiamo ancora fatto tris”.

 

 

MILLY’S SPACE

Salve a tutti : )
Eccomi con un nuovo capitolo… speravo di non metterci tutto questo tempo, ma purtroppo i miei numerosi impegni mi portano via sempre un sacco di tempo.

Come mi è venuta l’idea delle tre scimmie? Bella domanda, in realtà è stata tipo un’illuminazione improvvisa. Purtroppo, però, ho avuto a disposizione soltanto Wikipedia per informarmi su questa tradizione giapponese, in realtà non ne so molto, pertanto se ci sono eventuali errori o se voi ne sapete qualcosa di più potete dirmelo.
Inoltre, la comparsa di Martha è stata un po’ forzata perché avendo Owen fuori uso mi serviva un altro dottore.
Devo ammettere, però, di non essere molto contenta del finale, mi sarebbe piaciuto approfondire un po’ di più la questione delle scimmie aliene o magari farli fare una fine diversa. Ma al momento non ho idee e non vorrei farvi attendere troppo. Spero di rifarmi col prossimo capitolo.
E… devo aggiungere altro? Ah sì, Jack e Ianto finalmente stanno insieme. Devo dire che Jack non me lo immagino molto impegnato, però io amo questa coppia e almeno nei miei sogni, visto che nel telefilm non succede, posso farli stare insieme felici e contenti : )

Bene dai, penso sia tutto.
Se avete domande, commenti, suggerimenti sapete dove trovarmi.
Lasciatemi una recensione o venitemi a trovare su Facebook.
https://www.facebook.com/MillysSpace

SWEETLADY98:  no, effettivamente Ianto non fa cose troppo azzardate, ma secondo me nasconde un animo un po’ diavolesco XD e vedrai più avanti ^^ grazie mille per la recensione e i complimenti. Spero di risentirti, un bacione,
M.
P.S. grazie, sì, il nome del marito di Rhiannon me lo ricordavo anche io… ahaha è un mito quell’uomo XD

BIMBA3: sono contenta che ti siano piaciuti questi momenti, ne troverai altri in giro sparsi qua e là, anzi, già in questo capitolo c’è un’altra scenetta dolce tra Jack e Ianto. Eh, con Jack a volte bisogna andarci giù pesante. E Tosh e Owen sì, si stanno avvicinando, ma nemmeno io ho ancora deciso come concludere tra loro.
Spero di risentirti, un bacio. M.

GLINDA: eh sì, la calma non durerà ancora a lungo. Se vuoi sapere che cosa succederà, continua  a seguirmi.
Baci, Milly.

  
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