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Autore: Hp_Nameless    20/05/2013    1 recensioni
Salve a tutti voi, popolo di Efp. Vi starete chiedendo: “Perché questa matta mette una frase come titolo di una storia? ” Ebbene, questa è una bellissima frase dei Beatles (che tradotta, per chi non lo sapesse, è: L’amore è vecchio, l’amore è nuovo, l’amore è tutto, l’amore sei tu. Sì, in inglese funziona meglio!) che rispecchia molto la storia, e per questo è stata scelta come titolo. Questa è la storia di Justin Bieber, all’apparenza il solito bulletto, e Jennifer Hall, la sua imprevedibile ragazza.
ATTENZIONE: la storia è un cross-over con Eric Saade, personaggio di spicco verso la metà della storia.
-Amore ma dove mi porti?- chiesi con insistenza a Justin
-Smettila Jen, è una sorpresa- rispose lui continuando a trascinarmi per un braccio. Era il giorno del mio diciassettesimo compleanno e Justin aveva deciso di farmi una sorpresa.
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Love is old, Love is new Love is all, Love is you
Capitolo 1: L’amore sarà sempre più forte della paura


Note:Ed eccoci giunti al primo capitolo, il vero inizio di tutta la fan fiction. Dopo l’avvenimento che accadrà in questo capitolo, succederà qualcosa di particolare da cui prenderà forma la trama.
 
-Amore ma dove mi porti?- chiesi con insistenza a Justin
-Smettila Jen, è una sorpresa- rispose lui continuando a trascinarmi per un braccio. Era il giorno del mio diciassettesimo compleanno e Justin aveva deciso di farmi una sorpresa.
-Siamo arrivati?- chiesi per l’ennesima volta dopo esser quasi inciampata su qualcosa di solido
-Ancora un po’- rispose di nuovo lui tranquillo.
Mi sarebbe tanto piaciuto potermi liberare da quella maledetta benda, ma per mia sfortuna (o fortuna, dipende dai punti di vista!) Justin teneva la mia mano serrata nella sua mentre l’altra, anche volendo, non sarebbe riuscita a sciogliere il nodo terribilmente stretto della benda che mi avvolgeva gli occhi.
-Ahi!- sbraitai quando sentii qualcosa di fluido entrare nelle mie Blazer
-Smettila di lamentarti Jen- disse Justin stringendo più forte la mia mano che stava iniziando a sudare
-Puoi almeno dirmi dove siamo?- chiesi sempre più impaziente
-Oh, e va bene, ti dico solo che non è molto lontano dalla città, diciamo pure che è molto vicino e che è un posto bellissimo, naturalmente- disse in tono scocciato
Essere insistente ripaga ogni tanto!
-Justin, forse è meglio che io chiami i miei e gli dica che torno più tardi visto che sono a…- tentai lasciando la frase in sospeso con la speranza che lui potesse completarla
-Non ci casco, Baby, ti sei rovinata troppe sorprese così- disse Justin, che non accennò nemmeno al luogo in cui ci trovavamo
-Ne abbiamo ancora per molto?- chiesi ancora più scocciata
-Jennifer ora smettila, siamo arrivati- disse avvolgendomi tra le sue braccia per togliermi la benda.
La prima cosa che vidi fu la luce accecante del sole che bruciava alto nel cielo. Poi mi persi nei suoi occhi come mio solito fare. È che erano così belli, i suoi occhi marroni. Al sole però erano dorati, e io adoravo gli occhi dorati nei quali stavo lentamente sprofondando.
Mi diede un leggero bacio sulla fronte e poi si scostò per farmi vedere il luogo in cui ci trovavamo.
Era una spiaggia, una bellissima spiaggia con la sabbia bianca e non con la comune dorata che si trovava nelle affollate spiagge di Los Angeles.
-Ma, Justin, dove siamo?- chiesi voltandomi verso il ragazzo che sorrideva al mio fianco
-A Los Angeles- rispose lui
-Ma, è impossibile- risposi scrutando i suoi occhi brillanti –Non credo di esserci mai stata
-Beh, si, in effetti credo di essere una delle poche persone a conoscerla. Per caso ho dimenticato di fermarmi a quella affollata che la precede e mi sono ritrovato qui- disse facendo spallucce.
Era così dolce quando faceva spallucce e una smorfia gli compariva sul viso.
Tornai a scrutare la spiaggia e notai qualcosa sulla riva.
-Ma è inverno! Cosa ci facciamo in spiaggia d’inverno- chiesi senza ricevere una risposta, così continuai -Cos’è quella cosa sulla riva?
-Seguimi e lo scoprirai- rispose iniziando a correre.
Lo raggiunsi poco dopo notando che quello che da lontano mi sembrava un oggetto deforme in realtà era una superfice rialzata sulla quale giacevano dei contenitori chiusi.
-Hai fatto tutto questo per me?- chiesi facendo gli occhioni a Justin
-E per chi sennò- rispose sedendosi al mio fianco e iniziando ad aprire i contenitori, che si rivelarono custodire ottime pietanze cucinate da qualche chef, immaginavo.
-Da chi le hai fatte cucinare?- chiese assaporando delle ottime crocchette di patate
-Mi sottovaluti fino a questo punto?- chiese guardandomi con aria afflitta
-Beh, diciamo solo che non credo tu sia capace di fare questo- risposi sorridendogli
-Così mi offendi- disse incurvando le labbra.
Iniziai a ridere come una scema e mi accascia sulla sabbia contorcendomi dalle risate. Non ridere, dopotutto, era impossibile: aveva le labbra incurvate in un’espressione da clown e gli occhi ridotti a due fessure fingendo di lacrimare.
Alla fui io a lacrimare, troppo impegnata a ridere per accorgermi che si era tolto l’espressione da clown e mi stava scrutando con gli occhi sbarrati.
Quando finalmente smisi, ero stesa sulla sabbia bianca con gli occhi chiusi, e non mi accorsi che Justin si era spostato. Mi era arrivato alle spalle e nell’esatto istante in cui aprii gli occhi ritrovai il suo viso a pochissimi centimetri dal mio.
Sorrisi e poi ci fu un lungo bacio appassionante. Le nostre lingue si sfiorarono incerte. Potevo sentire il suo calore invadere il mio corpo.
Ma non ci fermammo lì, andammo oltre.
-Jen… tu- chiese fermandosi per guardarmi negli occhi.
Lo zittii con un bacio e non spiccicammo più una parola.
Ci fu la mia prima volta, la nostra prima volta, e fu proprio come l’avevo immaginata: perfetta, con il ragazzo perfetto, nel luogo perfetto.
Verso ser riprendemmo tutte le nostre cose dalla spiaggia e tornammo alla sua auto.
Accese lo stereo e lo sintonizzò su una strana stazione sulla quale trasmettevano vecchie canzoni italiane.
Quando partii “Anima mia” de “I cugini di campagna” iniziai a ridere . Mia nonna materna, che aveva origini italiane, la metteva spesso quando veniva a trovarci a Los Angeles.
-Perché ridi?- chiese Justin scrutandomi con aria spaventata
-Perché questa canzone la canta sempre mia nonna quando viene a trovarci
-E come fa a conoscerla?- chiese incuriosito dalla mia risposta
-Beh, è italiana, come la mamma- risposi ovvia.
Quando fummo arrivati davanti casa mia lo salutai con un semplice bacio sulla guancia (mio fratello ci fissava con aria torva da dietro la finestra) e poi lo lasciai andare. Tornai dentro casa e, dopo aver poggiato lo zaino nella mia stanza, mi sedetti a tavola per ascoltare la conversazione di Luca ed Emma.
-Andiamo Emma, non puoi pensarlo davvero- le stava dicendo il fratello gemello con aria da cane bastonato
-No Luca, non ti permetterò di impicciarti in questa storia- le aveva risposto la maggiore dei figli Hall
-Che succede?- avevo chiesto sedendomi accanto a mio fratello
-Niente - si era intromessa Emma bloccando sul nascere le parole di Luca. Poi, rivolgendosi a lui, abbassò la voce e disse –Non deve saperlo- anche se io udii lo stesso ciò che lei disse. Mi ero sempre chiesta cos’avessero tanto da parlare quei due negli ultimi tempi, anche se non ero mai riuscita a spiegarmelo.

***

-No Eric, quello sono gli ioni, ma sei non sai nemmeno cos’è un atomo come hai intenzione di passare il test di domani?- chiesi a Eric alzando un po’ troppo la voce
-Andiamo Eric, era facilissimo- s’intromise Ashley
-Tu sta’ zitta, che già è troppo se sei riuscita a dire da cosa è composta la materia- le risposi rivolgendole un’occhiata torva.
Non so perché, ma dopo averli rimproverati mi sentii male. Avvertii una fitta allo stomaco e fui costretta a precipitarmi nel bagno per dare di stomaco.
In quel periodo stavo proprio male: spesso e volentieri dovevo chiudermi in bagno a causa del vomito e avevo sbalzi di pressione, per non parlare del senso di nausea che mi accompagnava tutti i secondi.
-Jen, non sarai mica incinta?- scherzò Eric raggiungendomi nel bagno
-Perché, secondo te Mister JB non usa i preservativi?- schernì subito dopo Ashley. Che fastidio quando faceva così!
-Secondo me iniziai ad ingrassare- continuò ancora Eric toccandomi la pancia.
Avevo come l’impressione che avesse ragione. Mi sentivo strana, come se non fossi mai sola, come se qualcosa di minuscolo, quasi invisibile, mi accompagnasse sempre.
Decisi di non parlarne con loro, non volevo farli preoccupare, volevo prima essere sicura.
Continuai a spiegargli chimica, la mia materia preferita, e subito dopo chiamai Justin.
-Pronto?- disse con voce dolce il ragazzo dall’altro capo del telefono
-Amore, io… Ecco, ho una brutta sensazione- iniziai senza trovare le parole giuste per dirglielo –Ehm, l’altro giorno, in spiaggia, ce l’avevi la protezione, vero?
Più che una domanda risuonò come una supplica
-Ehm, no, mi pare di no, ma perché me lo chiedi? No crederai…?- chiese con voce tremante
-Ho questa strana sensazione- confessai un po’ incredula
-Non ti muovere, vengo subito a casa tua- urlò con il telefono già nella tasca del jeans aderente.
Pochi minuti dopo sentii il citofono suonare, mi affacciai al balconi e vidi il suo vecchio pick-up davanti al cancello. Scesi le scale di corsa, bloccai Joshua che stava per aprire e poi uscii fuori per aprirgli il cancello. Venne verso di me con in mano una busta della farmacia che si trovava di strada e io, dopo averlo abbracciato, lo condussi in camera mia, sotto gli occhi indispettiti di Joshua. Justin non gliel’era andato mai a genio, forse per la reputazione a scuola, o forse perché aveva l’aria da bulletto.
-Cos’hai nella busta?- chiesi scrutando il sacchetto che stringeva tra le mani
-Un test di gravidanza- rispose lui con tranquillità –Vai a farlo nel bagno.
Dopo aver fatto il test mi sentivo sollevata, ma non per il “sì” o per il “no”: mi sentivo sollevata di sapere la verità.
Quando tornai in camera Justin era cambiato radicalmente: se ne stava seduto sul letto a sbattere ritmicamente un piede sul pavimento.  Con una mano si sistemava spasmodicamente il ciuffo, mentre stava torturando tutte le unghie dell’altra.
Se io ero preoccupata, non ero nulla in confronto a lui!
Attesi sull’uscio della porta che sollevasse gli occhi su di me, e quando lo fece si alzò, mi cinse i fianchi e disse – Allora?
-Negativo

Scusatemi, se vi va passate di qui, manca un solo capitolo:
  
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