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Autore: Sar_    20/05/2013    7 recensioni
C'è una ragazza, alla Beacon Hills High School, che non è mai stata notata. Ma lei c'era. C'era sempre. In disparte, vivendo la sua vita, ma c'era. E se qualcuno si accorgesse di lei? Se quel ragazzo si voltasse e la guardasse, per la prima volta, dopo tutte le sue preghiere? Se qualcuno nell'ombra approfittasse di tutto questo per trarlo a suo vantaggio? E se ci fosse qualcosa, ancora più a fondo nell'oscurità, in un regno di terrore e buio, che stesse tornando in superficie? Sta per scoppiare una guerra, e a ognuno dei tre schieramenti servono soldati.
......
Questa storia mi è venuta così, di getto, mentre spulciavo tra le fan fiction su teen wolf. Diciamo che è una mia versione della serie e delle origini dei lupetti. Può essere anche presa come una 'Bibbia' del soprannaturale.
Buona lettura!
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Emma's Chronicles'
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Chapter twentyfour: X: done.

 

 



Canzone consigliata:
Mikky Ekko / Who Are You Really


 

Correvo. Correvo nel bosco, stringendo a me un fagottino piangente. Sentivo i capelli lunghi che mi schiaffeggiavano il viso con l'aiuto dei rami degli alberi, che non potevo spostare a causa delle mani occupate. 
Sapevo di non avere scampo.
L'accampamento era fatto per tenere gli altri fuori, ma riusciva perfettamente a tenere noi dentro. Avevano preso tutti i bambini. Tutti tranne il mio Edward. La terza generazione di mostri era stata quasi completamente rapita. La seconda, a cui anche io appartenevo, era ormai passata in secondo piano. Per noi, le scelte erano uccidere o scappare. “Nessun prigioniero”.
Li sentivo dietro di me. Una decina, forse più, che volevano lui. Mio figlio. Generato con un umano, come lo ero stata io. Piangeva, disperato, ignaro di quello che stavo facendo. Gli alberi erano troppo fitti per aprire le ali, ed io ero troppo lenta per sfuggirgli. Rimandavo l'inevitabile: una lotta all'ultimo sangue. Mio marito forse era stato risparmiato, in quanto essere umano e di sesso maschile, al contrario di mia madre. Forse quello poteva salvarlo. Ma io? Un mostro, e perlopiù donna, in una società dove le donne valgono meno di niente... inciampai in una radice, a mi voltai sulla schiena in modo da proteggere il bambino. Con il respiro affannato e i graffi che già cercavano di rimarginarsi, mi rimisi in piedi e ricominciai a correre. Erano troppo vicini. Con le lacrime che mi scorrevano sul viso, lasciai che i denti acuminati si facessero strada tra le mie labbra. Feci attenzione a non ferire il piccolo con i miei artigli. Avrebbe fatto otto mesi tra un giorno. Nel caso della mia probabile morte, l'avrebbe allattato una nutrice, e gli avrebbero parlato della sua madre ribelle, un mostro, che aveva ucciso gran parte del villaggio, e tentava di uccidere il suo unico figlio, temendo che le si rivoltasse contro... tutte menzogne, ma che l'avrebbero di certo convinto ad odiarmi, a odiare la sua stessa specie... e diventare un'arma di guerra. Mi fermai quando raggiunsi lo strapiombo. Di lì, saltando, avrei potuto volare via. Mi resi conto, però, che non volevo scappare. Volevo vendicare la mia gente. Volevo uccidere. Mi voltai e poggiai il bimbo avvolto nella stoffa dietro un cespuglio. Lo avrei ripeso dopo, portandolo via. Prima, però, avrei ridotto il più possibile il numero di persone che potevano minacciarlo in futuro. Lasciai che la semi-trasformazione si compisse: gli artigli si allungarono ancora di più, i denti si affilarono, gli occhi da rapace li individuarono a distanza di una decina di metri tra alberi, fogliame, animali che fuggivano. Sentii le ali che premevano per uscire, ma non c'era spazio, così le tenni a bada. Ben conscia di quello che stavo per fare, lasciai uscire l'istinto animale di protezione materna e di furia omicida e lo lasciai scorrere, inondandomi di energia pura e semplice. Ora non ero più Malaikat, figlia amata, moglie amante e madre devota, membro di una piccolissima comunità felice e armoniosa. Ero la guerra. La morte. Il primo uomo uscì dal folto erboso, armato fino ai denti di ogni oggetto tagliente disponibile. Con la mano protesa in avanti, aspettai che si lanciasse verso di me. Gli artigli penetrarono nella sua carne, afferrarono il suo cuore ancora pulsante e glielo strapparono via dal petto, mentre gli altri uscivano dagli alberi. Lanciai giù dal burrone il cadavere del primo e mi avventai sui primi due che mi si pararono davanti, tranciandogli la gola con gli artigli...

 

Saltai in piedi sul letto, gli occhi spalancati, il respiro affannoso.
Il lenzuolo matrimoniale era umido e a brandelli, e anche gli altri cuscini erano squarciati. Era tutta opera mia. Rovistai nei cassetti del comodino e trovai il piccolo quaderno nero rilegato con cura. Ne accarezzai la copertina con affetto, poi afferrai frettolosamente la penna che ne penzolava, attaccata a un filo dorato da pacchi regalo, e cominciai a scribacchiarci furiosamente. Scrissi tutto. Tutto quello che era successo in quei giorni, ogni minima cosa. Ogni orribile sogno.

Rilessi poi le pagine precedenti. Quelle in cui parlavo della mia vita schifosa: i brutti voti a scuola, lo scarsissimo numero di amicizie, e Stiles. Stiles era ovunque. Il suo nome era sempre accostato ad un cuoricino, un epiteti continua.

C'era una pagina, su cui avevo scritto delle frasi e disegnato accanto dei quadretti. Erano le “cose da fare prima di morire”.

Ne avevo spuntate solo due con una X rossa:

12) Diventare vegetariana X

13) Prendere la patente X

Ce n'era una, la prima cosa segnata nell'elenco era “Baciare Stiles”. Prima c'era scritto “Sposare”, ma a tredici anni l'avevo cancellato e corretto. Con il cuore gonfio di una strana sensazione, tracciai una grossa X anche su quello.

Mentre sfogliavo il diario, un'improvvisa e fortissima fitta alla testa me lo fece sfuggire di mano. Durò un secondo, forse meno, ma mi tolse il fiato.

 

«Emma? Esci... per favore.» mia madre.

 

Grugnii in risposta, e un'altra fitta mi fece quasi esplodere il cervello.

 

Malaikat.”

 

Scossi la testa.

 

«Emma... andiamo, possiamo parlarne? Sono ore che sei chiusa lì dentro...»

 

Aprii un cassetto del comodino e ci buttai dentro il diario, con le mani tremanti.

 

Emma.”

 

Lasciami in pace!”

 

Strappai via dal letto il lenzuolo distrutto, ammucchiandoci dentro i cuscini e facendo un grosso fagotto. Dovevo buttare tutto.

 

Vieni. Ti posso proteggere.”

 

Irima? No, no. La voce mentale di Irima era soffice, s'insinuava nella mia mente bussando alla porta. Quella, la porta non l'aveva neanche vista. Era entrata e basta.

Aveva senso rispondere? Con Irima funzionava. Potevo stabilire una specie di contatto telepatico, per quanto rimandasse a Star Trek.

 

Ti mostrerò cosa puoi fare. Vieni.”

 

Sentii un sospiro forte fuori dalla porta, poi dei passi che si allontanavano.
Lo combattevo con tutte le mie forze. Restava lì, però. Prepotente, insistente, insopportabile.

 

Sai che non ti meritano. Perché ti ostini a essere sottomessa? Non preferiresti comandare? Un esercito, magari?”

 

No! Vattene!”

 

Ero di nuovo là, con quegli uomini. Presi la testa di uno e la sbattei contro un albero. Il sangue mi macchiava le mani, il viso, i vestiti. Tranciai la gola di un altro con gli artigli. Lanciai uno nel burrone con un calcio. Un taglio al fianco sgorgava sangue, ma non m'importava: presto si sarebbe rimarginato.

 

Smettila!”

 

Non era possibile. Quelle cose... succedevano solo nei miei sogni. Irima mi aveva trasmesso una specie di visione, certo, ma era accanto a me, e mi stava raccontando tutto. Come faceva quello, invece, a distanza di chissà quanto, a bombardarmi di immagini quasi senza sforzo?

 

Lo scenario era cambiato. Sopra di me, delle casette di legno costruite sugli alberi. L'erba era accarezzata da delle scalette a pioli di corda, che permettevano di salire a chi non aveva le ali. Eravamo tutti lì: Amon, la moglie e il figlio, ormai uomo, più vecchio di me di una manciata d'anni. Poco più in là, altre tre persone: un uomo alto, con capelli bianchi e lineamenti spigolosi, che insegnava a un ragazzo a tirare di scherma. Cosa quasi inutile, in quanto il ragazzo possedesse i poteri del padre, anche se in quantità minore. Erano Eyael e il figlio. Accanto a me, un uomo rideva, parlando con delle persone. Alcuni umani avevano deciso di schierarsi con noi nella nostra piccola guerra. Alcuni semplicemente curiosi, altri speranzosi di ricevere il morso. Quell'uomo si girò e mi sorrise. Mi prese la mano. Lanciò un'occhiata a mio padre, poco lontano, con le ali spalancate, e mi lasciò la mano. Ridemmo insieme.

Lo cacciai via di nuovo.

 

Lasciami entrare. Lascialo scorrere...”

 

Ero appena fuori dal perimetro dell'accampamento. Il ponte che collegava la piccola isola alle terre del villaggio era davanti a me, e dall'altro capo due uomini mi osservavano. Stavo andando a prendere i gigli. Quelli crescevano appena aldilà del ponte... ci avevano scoperti. Avevano trovato l'accampamento, nonostante l'impegno impiegato nel nasconderlo. Non dovevano dirlo agli altri. Non potevo permetterlo. Lasciai cadere il cesto e corsi. Corsi oltre il ponte, e loro scapparono via. Io spiegai le ali, le usai come vele e gli balzai addosso. Le punte delle ali, acuminate come rasoi, gli graffiarono la schiena. Io feci il resto. In pochi secondi, tutto era sangue. Mi schizzò in viso, e chiusi gli occhi. Non mi sentivo in colpa. Li lanciai giù dal ponte. Dovevo occultare i corpi. Dovevo tenere tutti al sicuro.

 

Me ne buttò addosso un altro.

 

L'uomo è accanto a me. Mi sorride, mi dà un bacio dolce. La nostra nuova casa sugli alberi è più grande di quella che dividevo con mio padre: è per tre. Vedo la sua mano scendere dal mio viso fino al mio ventre, e accarezzare il rigonfiamento ormai evidente della mia pancia. Sono quattro mesi...

 

E un altro.

 

Gli uomini armati sono appena arrivati. L'uomo mi dà in braccio Edward, sguaina la spada e salta giù dalla casa. Ma io non posso scappare. Non posso lasciarlo lì. Mi affaccio e vedo che sta combattendo. È un eroe. È coraggioso, temprato dal duro addestramento della battaglia. Atterra tre uomini. Uno lo colpisce al braccio. Alza lo sguardo verso di me. Mi sorride. Poi lo uccide, con un gesto fluido del polso, colpendolo al polpaccio e poi dritto al cuore. Rivedo il suo viso. È Stiles. No, no, è quell'uomo... è mio marito. No, è il marito di Malaikat...

 

Gridai e lo buttai fuori. Le orecchie si tapparono e caddi sul fagotto di lenzuola con un tonfo. Avevo bisogno di aiuto. Non li avevo mai visti così vividi, non mi ero mai sentita così... viva e presente nei sogni. Con la mente, mandai un messaggio a banda larga. Avevo bisogno di Irima.




Look at the sun.


Alloora, salve a tutti c: Mancano così pochi capitoli alla fine... mamma mia, non mi ci fate pensare! 
Comincio con lo scusarmi per non aver risposto ad alcune recensioni (l'ho scoperto stamattina, ero sicurissima di averlo fatto!) e quindi vi ringrazio direttamente qua: GRAZIE
<3
Parliamo del capitolo: c'è qualquadra che non cosa. Ma cosa non quadra? E quadra non cosa? Eh, povera Emma... e povero Boyd. Boyd? O-OH. Io non vi ho detto niente... non parlatene a Sara, vi prego! ...
Sì, sto delirando un pochino, ma è colpa (merito) della strabiliante velocità con cui la terza stagione si avvicina! Mancano DUE settimane, quattordici giorni precisi! 
E vogliamo parlare del trailer? ... No, seriamente, parliamone, perché dal sito che hanno dato su twitter non lo lascia vedere in Europa. Quindi noi... aspettiamo. Anche se l'attesa ci logora, keep calm girls cwc
Un abbraccio e a domenica,
Sara
<3

  
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