Cosa
rende l’acqua col cetriolo più
dissetante dell’acqua senza cetriolo?
Marta
Giunti si chiedeva ancora – dopo avere fermato una ciocca
ribelle con una
forcina, allacciato le scarpe da ginnastica e controllato il materiale
da
portare per l’inaspettata uscita – cosa avesse
spinto Roberto a proporle di
andare a scattare delle foto al Giardino degli Aranci. Non ricordava di
avergli
parlato della sua passione per la fotografia, ma probabilmente il
ragazzo, dopo
averle chiesto l’amicizia su Facebook, aveva spiato il suo
profilo, sfogliato
qualche album. Perché mai, però,
l’avrebbe fatto? Forse per noia, in un momento
in cui non trovava niente da fare che fosse più stimolante
di guardare le 1035
foto scattate e pubblicate da lei, o forse per un altro motivo: Marta
aveva
notato che Roberto cercava di starle vicino il maggior tempo possibile,
utilizzando qualsiasi scusa – come un passaggio o un aiuto
per la creazione di
un personaggio. E se Roberto fosse stato cotto di lei? Non le sembrava
di
avergli mai dato motivo di credere in una sua risposta positiva.
Roberto
era… Roberto, il fanfarone che si divertiva a rimorchiare
una ragazza ogni
sabato. Non poteva essere alla ricerca di una fidanzata. E di certo non
avrebbe
scelto lei, non avevano niente in comune!
Ma
era davvero così? In fondo non lo conosceva
neanche…
Scosse
la testa, facendo volare via la forcina, e mentre la raccoglieva si
accorse di
essere potenzialmente in un ritardo imbarazzante: doveva correre fuori
di casa
e infilarsi in metro il prima possibile, se voleva arrivare alla
fermata di
Circo Massimo senza rischiare di trovare solo lo scheletro impolverato
di
Roberto.
Scheletro
che, per fortuna, alla sua apparizione non c’era ancora; al
suo posto
all’uscita dalla metropolitana si trovava Roberto, con una
Nikon appesa al
collo.
«Ciao,
sei in perfetto orario» la salutò, avvicinandosi
per baciarle la guancia; si
ritrasse immediatamente, così che Marta dovette mettere via
il sospetto che il
ragazzo nutrisse particolari attenzioni per lei. A meno che non avesse
comprato
una macchina fotografica apposta, però le sembrava
un’idea da scartare.
«So
riconoscere il sarcasmo, non hai bisogno di andare in giro con un
cartello.
Scusami, avevo perso la cognizione del tempo…»
“Guardando
Battlestar Galactica”
aggiunse
mentalmente.
«Non
preoccuparti, avresti potuto cercare un Angelo e farti portare indietro
nel
tempo.»
Per
qualche istante Marta rimase interdetta, ma Roberto, che già
si stava dirigendo
verso la meta prefissata, non parve accorgersene.
«Non
funzionano proprio così, sai?» gli fece notare,
raggiungendolo. «Gli Angeli ti
portano indietro di parecchi anni, non…»
«Dici
che è ora di tirare fuori quel cartello che mi avevi detto
di lasciare a casa?»
Roberto
le sorrideva, sardonico, e Marta si rese conto di avergli permesso di
vincere
il primo set. Per fortuna lui non perse tempo a gongolare, ma tra una
chiacchiera e l’altra la trascinò lungo via del
Circo Massimo. Sorprendendola
ancora una volta, attraversò la strada e scattò
delle foto alle rovine, come
avrebbe voluto fare lei.
«Sei
proprio un appassionato, eh?»
«Sto
imparando adesso: me l’hanno regalata per il compleanno, ma
è poco tempo che
scatto foto. Tu da quanto lo fai?»
«Dalle
scuole medie. C’era un corso di fotografia base e mi
è piaciuto seguirlo, così
anni dopo mi sono iscritta a un corso professionista.»
«Wow,
invitami alla prima mostra che farai, allora!»
«Potrebbero
non piacerti le mie foto…»
“Non
sono nudi artistici.” Marta non disse neanche quello.
«Mi
piacerebbero le foto di chiunque fosse in grado di aiutarmi a mettere a
fuoco
l’immagine. Non riesco proprio a
regolare…»
«Da'
qua.» Afferrò la Nikon di Roberto, saldamente
legata al collo, e dovette di
nuovo sopportare di avvertire il suo respiro sui capelli. Era strano,
però, non
aveva mai fatto caso al respiro di qualcuno – a meno
che… No, doveva
toglierselo dalla testa. E poi lei venerava Matteo!
Roberto
però non venne in suo aiuto. «Così va
bene?» le chiese, costringendola a
stringersi a lui per osservare dal mirino della macchina fotografica.
«No,
regola meglio questo… Sì, ecco, ci
siamo.»
«Sei
un’ottima insegnante!»
E
si allontanò di nuovo attraverso il roseto
dall’altro lato della strada.
Marta
non capiva. E detestava non capire.
Roberto si comportava diversamente da come lo aveva conosciuto, ma non
cercava
di avere contatti fisici troppo lunghi con lei. Se fosse stato un altro
ragazzo,
probabilmente Marta avrebbe escluso a priori il pensiero di un
corteggiamento
preso molto alla larga, però conosceva bene il fascino del
“ragazzo che sarebbe
cambiato solo per lei”; lo vedeva nelle serie tv, lo leggeva
nei libri e non
aveva ancora capito se lo trovasse insopportabile o incredibilmente
romantico.
Però non lo aveva mai provato su di lei. E ora Roberto
– che non era il suo
tipo ideale, che a sentire le voci trattava le ragazze come macchine
fotografiche usa e getta, che mostrava in continuazione un sorriso ben
poco
affascinante per i suoi gusti – la stava facendo sognare di
trovarsi in una
storia del genere.
“Oddio,
no.”
No,
dovette convenire dopo un’ora, aveva ragione: Roberto non
stava cambiando. Nei
film il protagonista maturava al sedicesimo appuntamento, una volta che
aveva
conosciuto a fondo il suo interesse amoroso, ma Roberto era
già diverso. E se
in realtà lui fosse sempre stato così, in
presenza di una sola persona? Se
quello che recitava nel Sotterraneo del
Drow o al Vecchio Mangaka
fosse
solo, appunto, un personaggio costruito?
Si
erano fermati al Giardino degli Aranci, in piedi di fronte
all’imponente
panorama di Roma; Roberto aveva incrociato le braccia sul parapetto,
mentre
Marta metteva a fuoco la vista magnifica e scattava una serie di foto.
«Mi
è sempre piaciuto questo posto» rivelò
Roberto.
«Anche
a me, è uno dei luoghi di Roma che preferisco.»
Sgranò
gli occhi. «Davvero? Allora ho fatto bene a portarti qui! A
meno di non averti
fatto perdere qualche lezione…»
«Oh,
no, tranquillo, oggi non avevo niente.
Non si può dire la stessa cosa per domani, ho il pomeriggio
pieno…»
«Studi
lingue, non è vero?»
«Sì,
a Roma Tre.»
«Mi
sarebbe piaciuto studiarle. Sono più propenso per le lingue
orientali, però.»
«Cosa
ti ha fatto cambiare idea?»
Roberto
sospirò. «A mio padre serviva un aiuto in
officina. “Non posso assumere
sconosciuti per portare avanti l’importante azienda
Trani!”» borbottò,
facendogli il verso. Marta rise, ma lui aveva assunto
un’espressione
malinconica. «Così ho dovuto rinunciare
all’università. Adesso ho un po’ di
soldi da parte, potrei cominciarla quando voglio, ma temo che i miei
impegni
all’officina mi terrebbero troppo tempo lontano dalle
lezioni, e di certo non
ho un TARDIS sempre a portata di mano e pronto a tradurmi il
giapponese!
Secondo te vale anche con le lingue terrestri?»
«Sì»
rispose Marta, sorridendo. Ormai aveva rinunciato a capire il motivo
che aveva
spinto Roberto a chiederle di fare una passeggiata per scattare delle
fotografie – forse fare una passeggiata per scattare delle
fotografie – ed era
felice di scoprire dei lati del ragazzo che non conosceva.
«Perdonami,
non sono molto ferrato in materia.»
«Io
ho tutti i DVD della nuova serie.»
«Dici
davvero? Puoi prestarmeli?»
No,
non poteva: Marta non prestava alcunché, figurarsi sei
cofanetti di Doctor Who!
L’aveva detto solo per
vantarsi, ma non poteva certo rivelarglielo.
«Possiamo
vederli insieme» si sentì rispondere.
Di
nuovo il sorriso di Roberto, diverso però da quello
sardonico di un’ora prima.
«Non vedo l’ora.»
♠
Non
avere la possibilità di connettersi a Internet era stato un
dono del cielo per
Leonardo: aveva potuto studiare tutto il giorno per l’esame
di letteratura tedesca
– godendosi Goethe senza distrazioni – e anche
mettersi in paro con gli appunti
delle altre materie che seguiva quel semestre; aveva indossato i fedeli
occhiali da vista, pavoneggiandosi dell’aspetto saggio che
gli conferivano, pur
non avendo bisogno di lenti: quelle che aveva fatto mettere sulla
montatura che
era appartenuta al padre erano finte, ma Leonardo nutriva la profonda
convinzione che lo aiutassero a leggere meglio. Per sua fortuna, i due
ragazzi
che condividevano l’appartamento con lui – Patrick
e Fabio – sembravano non
essersi accorti dell’inganno, altrimenti lui era certo che
l’avrebbero
spifferato ai quattro venti. Non che loro si interessassero della sua
vita, ma
Leonardo temeva ogni tipo di giudizio; per questo teneva gli occhiali
ben
riposti in un cassetto che chiudeva a chiave prima di uscire,
premurandosi poi
di nascondere anche quella.
A
un’attenta analisi, Leonardo era piuttosto certo che i suoi
coinquilini non si
struggessero dal desiderio di scovare un suo imbarazzante segreto per
ricattarlo – in modo da ottenere cosa, poi? –
però la sua connaturata timidezza
e l’ansia di essere ignorato da tutti lo spingevano a farsi
una cattiva idea
del mondo che lo circondava. Lui lo chiamava “sistema di
autodifesa”.
In
fondo, cosa sapevano di lui Patrick e Fabio?
Che,
avendo cominciato la scuola un anno prima rispetto ai suoi coetanei, si
trovava
a seguire il primo anno della laurea magistrale in Lettere e filosofia
dell’Università di Roma Tre – avrebbe
potuto essere già al secondo anno, se
solo eventi inaspettati non lo avessero tenuto lontano dalla laurea per
diversi
mesi – e che aveva preso una camera singola in affitto vicino
alla facoltà,
perché la casa dei suoi genitori era nelle Marche.
Che
passava gran parte del tempo davanti al computer, lottando con la
connessione
che dava problemi all’intero condominio, e che non andava a
letto finché non
aveva finito di vedere le consuete cinque puntate della serie tv del
momento –
o almeno lo potevano dedurre dalla luce accesa fino a tardi nella sua
stanza.
Che
mangiava spesso fuori casa e che la mattina, prima di andare a lezione,
si
svegliava sempre alle otto e stendeva con un coltello da Nutella la
marmellata
di fragole su tre fette biscottate.
Mentre
lui cosa sapeva dei suoi coinquilini? Che condividevano una doppia, che
Patrick
era uno studente inglese in Erasmus giunto a Roma a settembre e che
Fabio era
il pugliese che aveva preso il posto della storica coinquilina di
Leonardo.
Rabbrividì,
ripensando a Elena.
“Dovrebbero
scrivere sul regolamento del condominio: ‘Niente storie
d’amore tra
coinquilini, soprattutto se una dei due è una pazza
scatenata della peggior
specie.’”
In
conclusione, Patrick e Fabio non sapevano molto di lui e Leonardo era
lieto di
poter dire la stessa cosa su loro: non gli interessava farsi gli affari
altrui,
ma solo vivere in pace e in armonia. Cosa che finalmente, dopo tre
anni, aveva
cominciato a fare.
Alle
sei decise di alzarsi dalla scrivania e fare un salto al Vecchio
Mangaka; c’era ancora un’ora prima della
chiusura e
Leonardo sentiva di doversi premiare per la costanza nello studio di
quel giorno.
Ripose gli occhiali, nascose la chiave del cassetto in una scatole per
le
scarpe e indossò la felpa degli Stark sopra alla maglietta
degli Stark. Molti
avrebbero detto che il suo guardaroba fosse monotono, ma solo
perché non
avevano visto il suo tatuaggio.
Degli
Stark.
Uscì
di casa e percorse le poche centinaia di metri che lo dividevano dal
negozio di
fumetti, ripassando mentalmente ciò che aveva letto negli
appunti.
«Ciao,
Matteo.»
Non
ottenne risposta, se non un rapido cenno del capo: Matteo doveva essere
indaffarato con qualche pacco che sembrava non essere giunto a
destinazione,
perché faceva avanti e indietro tra le due sale del Vecchio Mangaka senza che ci fosse alcun
cliente.
«Posso
usare il computer?» gli chiese.
“Spero
di aver usato il giusto tono di voce. Non vorrei approfittare della
connessione, però… Se ci fosse stato Giovanni
sarebbe stato più semplice…”
Matteo
si fermò e lo fissò con astio.
«Per
favore» aggiunse Leonardo, avvertendo uno strano calore
percorrergli il collo.
Per
tutta risposta, Matteo scrollò la testa e lo
fissò di nuovo, ma con
un’espressione confusa. «Che mi hai
chiesto?»
«Posso
usare il computer, per favore?»
«Ah,
sì, certo! Fa’ pure.»
Leonardo
non sapeva che il rosso di cui si era colorato il suo volto sarebbe
diventato
un rosa pallido quando avrebbe aperto Facebook. E visto le notifiche. E
guardato le novità nel suo gruppo di cosplayer.
«Ehi,
ora lavori qui, elfo di merda?»
Quelle
parole di scherno lo riportarono alla realtà –
doveva aver fissato con gli
occhi fuori dalle orbite e la bocca aperta lo schermo del computer per
diversi
minuti – ma Leonardo non si offese, troppo abbattuto per
rispondere in
qualsiasi modo a Stefania, che lo osservava dall’altra parte
del bancone.
Si
lasciò cadere addosso allo schienale della sedia.
«Sono
rovinato.»
«E
quindi ti sei cercato un lavoro?»
«No,
intendevo… Merda, sono rovinato.»
Stefania,
dietro gli occhiali dalla montatura rossa, sollevò un
sopracciglio. «Wow, non
credevo sapessi certe parole. Che stai dicendo?»
Leonardo
si portò una mano alla fronte, senza preoccuparsi di darle
una risposta
adeguata: non voleva parlare, voleva solo passare il resto della
giornata sotto
le coperte mangiando cereali al cioccolato e giocando alla Xbox.
«Elfo?»
«Che
c’è?!» sbottò Leonardo,
facendola sussultare.
«Almeno
fammi pagare questo manga.»
«Non
lavoro qui!»
«E
per fortuna, altrimenti Giovanni e Matteo avrebbero perso tutta la
clientela.
Muoviti, devo tornare a casa a finire la seconda stagione del Trono.»
“Ecco,
infierisci! Possibile che sia così malvagia da attaccarmi
anche senza
rendersene conto?”
«Mi
devo sbrigare,» continuò Stefania, battendo
nervosamente i piedi a terra, «se
voglio essere pronta per la terza stagione.»
Leonardo
non riuscì a reprimere un singhiozzo disperato. Stefania
sgranò gli occhi e
corse dietro al bancone, scansando il ragazzo e facendolo cadere a
terra per
guardare il monitor.
«L’hanno
sospeso?!» esclamò, fuori di sé.
«Non può… non deve
essere! E cos’è questa pagina? Metti le
news, muoviti!»
«Da
terra?» Leonardo cercò di darsi un contegno,
sebbene fosse difficile dopo avere
avvertito sulla guancia il freddo del pavimento. «Non
c’entra niente la serie,
si tratta del Romics.»
«Del
Romics?» Stefania aggrottò la fronte.
«Non sapevo ci fosse uno stand come a
Lucca.»
«Non
è quello il punto… cioè, quasi.
Proprio perché i cosplayer ufficiali non
saranno al Romics, noi avevamo pensato di portare i costumi di Game of Thrones.»
«“Noi”?»
«Il
gruppo di cosplayer con cui vado alle fiere ogni anno. Il mio vestito
era
pronto da mesi, ma… maledizione, alcuni hanno dato buca e
ora è un disastro,
non possiamo fare il contest!»
«Quanti
siete?»
«Trentasette,
senza contare gli assenti.»
«E
allora qual è il problema?»
«Mancano
Ditocorto, le sorelle Tully… e Ned.»
«Cavolo.»
Leonardo
si stupì che Stefania avesse compreso la sua situazione, ma
poi pensò che
poteva essere anche lei una cosplayer. Ed ebbe un’idea.
«Fallo
tu.»
«Chi,
Eddard Stark?!»
«No,
un altro personaggio… Lysa.»
Stefania
lo soppesò con lo sguardo. «Perché
proprio lei?»
«Perché
hai il fisico adatto, mentre Cat…»
Poi
si accorse di essere sul punto di fare un’enorme gaffe.
“Mentre Cat è magra”
concluse mentalmente.
Stefania
però rifletteva. Non sembrava essersela presa per la sua
osservazione; al
contrario, quando tornò a guardarlo si
complimentò con lui.
«Credevo
fossi uno di quelli eretici che
seguono solo la serie tv. Lì Lysa Tully è
piuttosto secca.»
«Allora…
pensi di poter venire?»
«Oh,
sì, elfaccio del Nord. Ho un solo problema: non so cucire.
Dovrò chiedere a mia
madre se…»
«Posso
aiutarti io.»
Stefania
lo osservò, scettica. «A cucirlo?»
«Non
dire che è una cosa da femmina, è che ho dovuto
imparare per farmi da solo i
costumi…»
«Non
è da femmina, è da elfo. Dovevo capirlo
subito.» Sospirò, poi lasciò qualche
moneta sul bancone. «Questo è per il manga, dillo
tu a Matteo, lo vedo più
sconvolto di te. Quando mi porti il vestito?»
«Dovremmo
farlo insieme. Sai, devo prendere le misure…»
Rivolse
gli occhi al soffitto. «Ok, quando
ci
vediamo?»
«Giovedì
pomeriggio a casa mia?»
Rimasero
qualche secondo in silenzio.
«Va
bene. Mandami l’indirizzo su Facebook.»
«Ehi,
aspetta!» la fermò Leonardo prima che uscisse dal
negozio. «Dobbiamo trovare
anche gli altri cosplayer!»
Stefania
gli rivolse un ghigno. «Li abbiamo già
trovati.»
♠
«E
questo è quanto.»
Quando
Matteo finì di parlare, Giovanni dovette convenire che
qualcuno fosse più
incasinato di lui; forse non nell’immediato – anche
se le paure del suo amico
si sarebbero concretizzate quel venerdì – e forse
i problemi di Matteo
riguardavano il passato, ma Giovanni come lui aveva pensato che si
trattasse di
un capitolo chiuso.
“I
problemi tornano sempre a galla” si disse, prima di alzare
una mano per
ordinare un’altra birra.
Uscire,
andare in un pub, mangiare e dimenticare gli ultimi giorni: Giovanni
aveva
sperato che potesse servire, anche se poco, ad alleviare il vuoto che
avvertiva
nello stomaco; tuttavia Matteo si era presentato in preda al panico,
ancora
sconvolto dalla notizia del giorno precedente.
«Non
so come risolvere la situazione» riprese Matteo, torturandosi
le dita. Di
fronte aveva un’enorme fetta di torta al cioccolato, ma lui
sembrava non
vederla. «Dovrò rimandare la sessione,
è il minimo…»
«Devi
per forza?»
Sgranò
gli occhi. «Non posso mica rischiare che si sappia in giro!
No, devo rimanere
chiuso in casa questo fine settimana, o uscire lontano da sguardi
indiscreti.»
Giovanni
annuì. «Hai ragione. Ti coprirò io in
fumetteria sabato; potrei anche assumere
Leonardo solo per qualche pomeriggio, ho saputo che ha bisogno di un
lavoro.»
«L’hai
saputo o hai visto la valanga di manga che ha fatto mettere da
parte?»
Il
suo sorriso durò solo mezzo secondo e Matteo si diede un
colpo sulla fronte.
«Sono
un idiota, scusami. Avevo dimenticato la… L’avevo
dimenticata.»
Giovanni
sbuffò. «Puoi dirlo, sai? Fa più male
esserci in mezzo, che nominare la
separazione.» Rimase in silenzio per qualche istante prima di
raccontare al suo
amico cosa fosse successo il giorno prima. «Ci sono state
brutte sorprese per
entrambi: Cate si è presentata al negozio, ieri.»
«Che
voleva?»
«Un
“acconto” su quello che otterrà dalla
separazione, un servizio da tavola per
presentare al nuovo fidanzato lo straordinario timballo della
madre.»
Matteo
sgranò gli occhi. «Che
cosa?»
«Lo
vuole presentare ai suoi, a quanto pare.»
La
voce di Giovanni era calma e lui si ritrovò a desiderare con
tutto se stesso
che fosse solo un sistema di difesa per non far percepire a Matteo la
rabbia
che stava provando; però dovette ammettere di non sentire
niente. Era davvero
calmo, doveva sforzarsi per riuscire a immaginare il collo
dell’amante di sua
moglie nella stretta delle sue mani.
Dovette
ammettere che non gli interessava poi molto. Aveva smesso da tempo di
amare
Cate e allora perché ingelosirsi per un fatto del tutto
naturale? La verità era
che si stava confidando con Matteo perché di norma, in
situazioni analoghe, il
marito ferito si comportava così.
«Quindi
hanno deciso di portare avanti la relazione?» riprese Matteo.
Giovanni non
sapeva quante volte avesse ripetuto quella domanda, ma si accorse dal
suo
sguardo che non era la prima.
«A
quanto pare sì.»
«Forse
è meglio così.»
Parole
di circostanza, eppure Matteo aveva ragione: se proprio Cate aveva
dovuto
tradirlo, era più consolatorio sapere che lo avesse fatto
per amore.
“Lo
faccio per amore.”
Doveva
ricordarsi di maledire Leonardo per averlo contaminato.
Giovanni si trovava a proprio agio nel suo mondo popolato da mecha,
Munchkin e
musica classica, che bisogno c’era di influenzarlo
ulteriormente con la saga
fantasy più in voga nel Sotterraneo
del
Drow?
“E
non solo lì” dovette correggersi.
Probabilmente,
però, una parte della colpa era anche di Marta e della sua
mania di fare della
propria vita un’enorme citazione. I clienti del Vecchio Mangaka lo stavano trasformando
in uno di loro.
«Gianni?»
Sussultò,
ritrovandosi faccia a faccia con la torta di Matteo. Ecco, ora aveva
perfino le
visioni!
«Tutto
a posto? Nei limiti, intendo» gli chiese una voce poco simile
a quella di un
dolce al cioccolato.
Giovanni
si strofinò il volto con la mano, cercando di tornare alla
realtà. «Non lo so»
ammise.
Il
vuoto nello stomaco continuava a tormentarlo, ma la causa era
l’assenza di
qualsiasi risentimento.
QUINTO CAPITOLO
Il titolo è una
citazione di Una mamma per amica.
MARTA:
- “So riconoscere
il sarcasmo, non hai bisogno di andare in giro con un
cartello”: riferimento a The Big
Bang Theory.
- “Avresti potuto
cercare un Angelo e farti portare indietro nel tempo”:
riferimento a Doctor Who e ai
Weeping Angels.
- TARDIS:
riferimento a Doctor Who.
LEONARDO:
- Stark: casata di
Game of Thrones.
- Ned: “protagonista”
della prima stagione di Game of Thrones.
- “Elfaccio del
Nord”: gli Stark controllano il Nord.
GIOVANNI:
- “Lo faccio per
amore”: citazione di Jaime Lannister, Game
of Thrones.
SPAZIO AUTRICE
Dovevo aggiornare
presto. DOVEVO AGGIORNARE PRESTO. Ma, vi assicuro, questa volta non
è “completamente”
colpa mia: il computer mi aveva piantato in asso e, dopo giorni
nell’ansia di
dover riscrivere il capitolo da capo (ero arrivata a metà),
mi è arrivata la
buona notizia che non c’era bisogno di formattarlo.
Cercherò di
aggiornare ogni lunedì, se possibile; se è troppo
presto per voi, posso
aggiornare ogni dieci giorni.
E ora al capitolo!
Prima di tutto,
volevo scusarmi per i “merda” volati ogni tanto, ma
volevo rendere più
realistica la storia (Stefania è un po’ volgare,
se la persona che ha di fronte
non le ispira simpatia, mentre Leonardo in situazioni tranquille
è un ragazzo educato).
Seconda cosa, mi
sono resa conto di citare in continuazione DW e GOT. Dovrei trovare una
soluzione… ma non posso certo, dopo l’ultima
puntata di DW! *piange per sempre*
Cosa pensate dell’andazzo
della storia? Personalmente mi sto affezionando a Roberto, mentre credo
di non
essere ancora riuscita a delineare bene Matteo; Giovanni,
però, è quello che mi
dà più problemi, ma sto pensando di
“legarlo” a scene con altri per non
lasciarlo in un angolo per interi capitoli!
Ho appena creato un gruppo su Facebook dedicato alla long, Gli
eroi di Sandpoint, dove dare tutte le informazioni relative
alla storia
(nuovi capitoli, ritardo negli aggiornamenti,
anticipazioni…). Se volete
iscrivervi, ne sarò contenta ^^ Mi fa piacere sapere chi la
sta leggendo!
Grazie ai lettori,
ai recensori, a chi l’ha messa tra le preferite e a chi tra
le seguite, a Dark
Aeris che mi beta e ad Andre che mi legge :3
Medusa