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Autore: LilithJow    21/05/2013    4 recensioni
[..] Gli occhi di Johanna mi fissavano ancora e - non per mia impressione - si erano avvicinati parecchio al mio viso, più di quanto avessero fatto giorni prima, a scuola.
Ma, proprio come quella volta, qualcosa accadde: ancora quelle ombre rosse che le attraversarono l'iride. Più forti, più scure, più continue: le vidi chiaramente, e non era né un riflesso di luce né una mia fantasia né, tanto meno, per via di una botta in testa. Li fissai, incredulo, ma allo stesso tempo incuriosito: a cosa era dovuto? Non ne avevo la benché minima idea. Forse internet mi avrebbe dato delle risposte, oppure – cosa molto più probabile – riempito di ansie, paure e paranoie.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
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Capitolo 23
"Shelter"


Ci ritrovammo al centro del grande salotto di casa di Martha in meno di un secondo. Ebbi solamente il tempo di sbattere le palpebre una volta e il luogo attorno a me era già cambiato.

Ero ancora a terra, ancora con Hazel tra le braccia, ma niente più vetri rotti attorno a me, solo mobili moderni e piastrelle laccate color perla.

«Devo prendermi cura di te». Sentii la sua voce, ma non vidi le sue labbra muoversi. Poco dopo, tuttavia, si alzò in piedi e aiutò me a fare lo stesso. Arrancammo fino al divano del salotto e sprofondai tra quei cuscini di finta pelle. Hazel fece per allontanarsi, ma una mia mano scivolò subito ad afferrare la sua e così la trattenni. «Resta qui» sussurrai. Lei abbozzò un sorriso, lieve. Mi sfiorò con la punta delle dita una guancia, toccando i bordi di un taglio che mi ero procurato, proprio sotto l'occhio sinistro. «Prendo solo delle bende e torno da te» disse, a bassa voce. Non potei rispondere o replicare in qualche modo: era già sparita e, prima che il mio tentativo di rimettermi in piedi e seguirla fallisse, era già tornata. Si sedette al mio fianco, tirò fuori dalla cassetta del pronto soccorso – già, Martha ne aveva una in casa, ne fui sorpreso – delle garze, bende e disinfettante. Cominciò a medicarmi, ed era talmente assorta in quei gesti che, per un attimo, smisi di seguire ogni suo movimento e mi focalizzai solo sul suo viso. A parte le tracce di terra e di sangue ormai secco, Hazel era sempre la stessa; la ragazza che mi era venuta addosso il mio primo giorno a Chicago, quella che mi aveva consolato dopo l'aggressione da parte di Jason, quella della piscina, quella del ballo, quella iperprotettiva, quella delle ninne nanne.

Senza accorgermene, avevo portato una mano sul suo volto, sfiorando ogni lineamento con i polpastrelli e soffermandomi sulla bocca. Solo allora, lei alzò lo sguardo su di me e lasciò per un attimo perdere la medicazione, che intanto aveva iniziato a pizzicare. Accennò un sorriso, uguale a quello di poco prima.

«Mi sei mancata» mormorai.

«Mi sei mancato anche tu». Prese la mia mano e vi appoggiò la guancia sopra. Sorrise di nuovo e più genuinamente. «Intendevi...» disse, poco dopo. «Intendevi davvero quelle parole, sulla torre?».

«Tutte quante».

«Anche... Quelle due parole?».

Abbozzai una risata. «Soprattutto quelle».

«Pensavo non volessi nemmeno più rivedermi». Scosse appena la testa e io non risposi. Sapeva di Tamara? Evidentemente no e forse non era qualcosa da poterle dire in quel momento, anche perché non mi andava di rovinarlo. Non mi andava per niente.

«Dopo quello che è successo quando hai trovato quel diario...» continuò. «Non sapevo che fare per farti cambiare idea, per... Spiegarti. Era tutto inutile, perché tu eri arrabbiato. Così ho pensato di... Lasciarti i tuoi spazi e... Tornavo da te solo la notte, per aiutarti a dormire, anche se non mi riusciva bene come le altre volte».

«Sei tornata da me anche dopo le brutte cose che ti ho detto?».

«Io tornerei sempre da te». Abbassò lo sguardo, come se fosse imbarazzata dall'aver pronunciato l'ultima frase. Portò le labbra sul dorso della mia mano e ci depositò sopra un bacio delicato, prima di fare intrecciare le nostre dita.

«Quel giorno, in ascensore» sussurrò ancora «non volevo aggredirti. Era come se qualcuno mi stesse spingendo a farlo, prima... Parlandomi e poi... Poi muovendo addirittura il mio corpo, senza che potessi fermarlo».

Rimasi ad ascoltare. Anche quell'inconveniente era opera di Tamara, sotto l'ordine di Sebastian.

Scossi appena la testa, socchiudendo gli occhi. «Non fa niente, okay?» mormorai. «E' passato e non...».

«Non può non fare niente». Lasciò la mia mano, poggiandola delicatamente sul mio ginocchio. Spostò lo sguardo altrove. «Quella voce continuava a parlarmi e...» andò avanti «e peggiorava ogni cosa. Ero furiosa, continuamente, inesorabilmente e tu sembravi essere sempre così lontano e non...».

Mi sollevai piano dai cuscini del divano, cercando di ignorare il dolore lancinante che mi attanagliava la schiena. Allungai un braccio, fino a sfiorare il suo mento e costringerla a voltarsi, così che i nostri occhi potessero incatenarsi gli uni agli altri. Hazel era ancora titubante e tremava.

«Ho ucciso delle persone, Simon» biascicò.

Era come se me lo aspettassi, perché non ebbi nessuna reazione esagerata. Non fui colto dal panico o dal terrore, l'ansia non mi divorò. Rimasi calmo. Inaspettatamente calmo perché sapevo che, qualunque cosa avesse fatto durante quel dannato periodo di lontananza, non era dipesa da lei, almeno non direttamente.
Il palmo della mia mano si poggiò delicatamente sul suo collo, mentre lei abbassava il capo, cercando di evitare il mio sguardo, come se non volesse che la vedessi piangere.

«Sono un mostro» mormorò.

Scossi la testa, in senso di diniego. «No, non è vero» dissi.

«E' così! Io... Io...».

«No, ascoltami». Riuscii a farle sollevare il capo, stringendo il suo viso con entrambe le mani. Con i pollici, le asciugai le lacrime che le rigavano le guance. «Qualsiasi cosa tu abbia fatto, non eri in te. Sei tutt'altro che un mostro. Chi lo è, non prova rimorso. Ti hanno costretta a farlo e ne sei pentita. Questo non ti rende qualcuno di orribile».

«Esserne pentita non è un rimedio e non...».

A quel punto, tentare di fermarla a parole non avrebbe avuto più senso. Era pur vero che ero sempre stato convinto che esse facessero tanto, forse fin troppo, e il fatto che alcune in particolari avessero causato tutto quel casino, ne era l'evidente prova; ma, in quel momento, non fu necessario usarle, non fu necessario emettere suono.
Mi sporsi solamente in avanti e poggiai le labbra sulle sue, per un lieve bacio, uno di quelli che toglie il fiato; uno di quelli che si aspettano per una vita, che gli altri invidiano, che gli altri ammirano.
Io non ebbi il coraggio di allontanarmi. Lo fece lei, lentamente, poco dopo, ma restò comunque abbastanza vicina così che potessi ancora sentire il suo respiro caldo sulla pelle.

«Perché non ti sdrai con me e... Mi abbracci?» sussurrai. Hazel accennò un sorriso e mi baciò rapidamente sulla bocca. «Tu per me l'hai fatto, una volta» replicò.

Annuii e già i nostri corpi erano scivolati, a sincrono, sopra i morbidi cuscini del divano: Hazel tra le mie braccia, con la testa sopra il mio petto, e io che la stringevo a me, ignorando il dolore che mi affliggeva ancora, praticamente ovunque.

Chiusi gli occhi e il sonno sopraggiunse quasi istantaneamente, conciliato dalla sua soave voce.
 

***


Sogni tranquilli e beati mi accompagnarono per delle ore. C'ero io e c'era Hazel: noi, mano nella mano, sul lago ghiacciato di Bellwood, tra i sorrisi e le risate, e i baci che si susseguivano in quella meravigliosa armonia, tra la neve candida e il leggero soffiare del vento. Niente minacce, niente assurde incomprensioni: nulla.

Quando mi svegliai, tuttavia, quella sensazione di benessere sembrava essersi dissolta, poiché mi ritrovai da solo sul divano, con addosso una coperta di pile blu, e senza Hazel tra le braccia.
Mi misi in piedi, di scatto, e così facendo mi provocai una fitta di dolore alla schiena che mi costrinse a piegarmi in due e a trattenere il fiato.

«Che ci fai in piedi?».

Sollevai lo sguardo e la vidi, a pochi metri di distanza, completamente ripulita, con addosso un paio di pantaloni neri e una camicetta bianca: era raggiante, come sempre. Sorrisi o, perlomeno, tentai di farlo; ero pressapoco convinto che non mi fosse riuscito qualcosa di meglio di una smorfia. «Sei qui» biascicai.
«Certo che sono qui». Si avvicinò e mi aiutò a non capitolare a terra – e ci mancava davvero poco. Mi aggrappai ai suoi fianchi e appoggiai la fronte sulla sua. «Credevo di aver sognato tutto» biascicai «o che te ne fossi andata».

Sorrise. «No, è tutto vero. E anche se fossi andata via... Io torno sempre, ricordi?».

«Sempre» ripetei, sussurrando. Ero sul punto di sporgermi nella sua direzione, per baciarla ancora – perché l'avrei baciata sempre – ma l'ingresso di Martha nella stanza me lo impedì.
Le sorrisi, quasi istintivamente. Non avrei mai smesso di ringraziarla per ciò che aveva fatto. Purtroppo, però, il mio sorriso svanì quasi immediatamente, quando, a seguire la ragazza bionda, vidi Tamara. Feci una smorfia e, senza rendermene conto, strinsi di più Hazel a me. «Perché lei è qui?» domandai, con tono duro. La mia opinione sulla strega era cambiata e non poteva essere altrimenti.

Ero lucido, allora, e le cose si erano fatte più chiare, per mia fortuna; per tal motivo, riuscii a sopportare a stento la sua presenza.

«E' tutto okay, Simon» sussurrò Hazel. Prese il mio viso tra le mani, costringendomi a guardarla negli occhi, che mi incatenarono, come sempre. «No, non è okay» biascicai. «Lei... Lei è la ragione per cui noi ci siamo separati, ha... Ha combinato tutto questo casino e...».

«Lo so, lo so». Mi baciò rapidamente sulle labbra e quel gesto mi calmò, almeno un po'. «Martha mi ha detto tutto».

«E le permetti di stare qui?».

«Devo. Non posso lasciarla andare».

«Perché no?».

«Perché Sebastian la troverebbe e la costringerebbe a dirgli che mi hai trovato, che sono tornata in me e a quel punto inizierebbe la sua caccia».

Era vero. Non avevo preso in considerazione quell'ipotesi; accecato dalla rabbia e dalle mille altre sensazioni confuse, in precedenza, non avevo valutato bene la situazione. Così, scossi appena la testa, in cenno affermativo. Poi, posai ancora una volta le labbra su quelle di Hazel.

Un altro bacio, un'altra esaltante perdita di fiato.

Fu lei a staccarsi, poco dopo, e si voltò, facendo aderire la schiena al mio petto. Le nostre mani si unirono quasi meccanicamente e le nostre dita si intrecciarono le une con le altre.
Tamara sospirò. Vidi Martha lanciarle un'occhiataccia, forse per zittirla in anticipo, ma la rossa non si lasciò intimidire – probabilmente, senza minacce verbali, la Divoratrice bionda non era poi così credibile.

«Mi dispiace, Simon» disse, facendo un passo avanti. «E Hazel, mi... Mi dispiace, okay?».

«Risparmia le scuse» replicai, acido.

«Sto cercando di rimediare e...».

«Ed è tempo perso!».

«Simon!». Hazel mi rimproverò. Non l'aveva mai fatto, prima di quel momento. Mollò la mia mano e si voltò, indietreggiando appena. «Perdono» esclamò «è una caratteristica umana. Dovresti saperlo usare».

«Non posso». Scossi vigorosamente la testa, nervoso. «A causa sua, ci siamo quasi distrutti e non posso... Non posso perdonare una cosa del genere».

«Ti prego». La sentii sospirare e vidi Tamara abbassare lo sguardo. Hazel riprese nuovamente le mie mani, stringendole tra le sue, e portò i miei pugni chiusi sul proprio petto. «Fallo per me. Fammi credere che negli umani c'è ancora quella bontà e quella perfezione che ho sempre creduto ci fosse. Per favore».

La guardai negli occhi: quei diamanti verdi erano lucidi e mi stavano supplicando. Una parte di me si chiedeva ancora come fosse possibile una cosa del genere; come fosse possibile che un essere apatico fosse così pieno di compassione, più di me, forse più di tutta l'umanità messa insieme.
In realtà, mi resi conto che non avrei più dovuto farmi una domanda simile, a meno che non avessi voluto una risposta scontata, che più volte avevo ripetuto ad alta voce e che avevo chiuso in un cassetto remoto nell'ultimo periodo: Hazel era la più umana tra tutti, pur non avendo un'anima e per un attimo fui di nuovo oppresso dai sensi di colpa, per averlo ritenuto falso.

«Solo per te» sussurrai e lei mi sorrise. Dopo rivolsi lo sguardo a Tamara e biascicai un «Ti perdono» per nulla convinto, a malapena percettibile, ma andò bene; Hazel ne era felice e mi baciò dolcemente sulle labbra, quasi volesse ringraziarmi.

Io non dissi più nulla, evitai persino il contatto visivo con Tamara, per non lasciarmi tradire da espressioni contraddittorie, e lasciai passare in quel modo il resto della giornata, con i problemi più grandi ancora fuori.


 

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Ma salve, miei cari lettori!
Ebbene sì, torno a fare le note dell'autore a fine del capitolo, per ragioni varie: prima cosa, l'aver aggiornato tardi rispetto al solito; e sì, lo so che ci sono autori che aggiornano dopo mesi, ma io sono abituata a farlo un po' più frequentemente, quindi, se passa più di una settimana, vado nel panico!
Secondo: so bene che non è successo nulla di eclatante in questo capitolo, ma, dal momento che si avvicina il finale (*sobs*), sto riservando tutto per quello, ecco u_u''
Terza cosa: io mi diletto tantissimo con Photoshop, quindi.. Ho fatto anche delle fan-art sulla mia storia. Se volete darci un'occhiata, eccone alcune :3
http://24.media.tumblr.com/cbcd82d1027392c31edab59d39f3768b/tumblr_mmebkw6iIV1qb0holo1_500.png
- http://25.media.tumblr.com/b67b707b747a534adb2cb947b45a1030/tumblr_mlzaqc0grV1qb0holo1_500.png
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- http://25.media.tumblr.com/1ae8d7f75bdf7fd7a21eb7da246f2897/tumblr_mlq2lt65Bh1qb0holo1_500.png

Ce ne sono anche altre, ma, siccome EFP non mi fa inserire collegamenti (*ri-sobs*), metto solo queste.
Come sempre, ringrazio tantissimo chi legge, chi recensisce, chi tutto! Significa tantissimo per me, davvero.
Vi amo!

-Susy.

  
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