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Autore: Daisy Potter    08/12/2007    4 recensioni
“Stridio di gomme sull’asfalto, fumo, grida, scommesse. […] Il lato oscuro di Tokyo … i drifters. […] Un ragazzo occidentale, avvolto in larghissimi indumenti hip-hop, fissava intensamente le belle giapponesi che sfilavano accanto alla sua auto […] «Ti sfido.» […] «Ci sto.» […] ” Tra corse clandestine e gare di velocità, due fratelli portano le loro divergenze sulla strada: chi vince, deve lasciare la città. Difficoltà, affetto, odio, un legame spezzato che vuole soltanto ricostruirsi … Detto ciò, leggete e commentate! XD
Genere: Triste, Drammatico, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

 

Capitolo 6.

 

Avrebbe riconosciuto quel posto ad occhi chiusi. Ci aveva vissuto per anni, insieme a suo fratello. L’avevano messo in piedi insieme, partendo da un vecchio garage, conquistando soldi e fama con le gare, costruendo la loro officina e il loro ‘rifugio’, riempiendolo dei loro trofei, nuove automobili e moto opportunamente modificate da loro stessi, sottratte agli avversari sconfitti o acquistate sfruttando i soldi che vincevano o quelli che avevano ereditato dal padre. Era la loro casa. E finalmente vi era tornato.

Posteggiò accanto alla famigliare Lamborghini nera e scese, osservando la figura di Andreas che stava appoggiata accanto alla saracinesca, le braccia conserte, l’espressione di chi sapeva di aver avuto ragione: era venuto, alla fine.

Tom gli fece un cenno e l’amico corrispose, prima di sorridergli debolmente e voltarsi a chiudere l’ingresso al garage, mentre lui si avviava a passo lento su per le scale. Sapeva dove stava andando, era stata anche la sua camera, fino a poco tempo prima …

Aprì la porta, trovandosi di fronte alla stessa stanza che aveva lasciato. E là, su quel letto dove più volte si era seduto per le chiacchierate notturne, gli scherzi, i piccoli dispetti … là era steso Bill, una coperta a ripararlo dal freddo, il cuscino adagiato sotto i lunghi, indomabili capelli neri, l’espressione spossata, che riposava.

Fece qualche timido passo verso di lui, raggiungendolo e sedendosi lentamente sul bordo del materasso, ad osservare il petto di suo fratello alzarsi e abbassarsi pesantemente, qualche goccia di sudore che scivolava dalle tempie, le sopracciglia corrucciate in un’espressione tesa.

Allungò una mano verso il comodino lì accanto e prese una salvietta, che fece passare delicatamente sulla fronte di Bill, asciugandolo con cura e dolcezza.

Infine, dopo un breve attimo di incertezza ed esitazione, posò una mano sulla sua.

Avvertì distrattamente i passi di Andreas avvicinarsi e fermarsi sulla porta.

«Da quant’è che è così?» gli chiese in un sussurro.

«L’ho trovato di là circa quattro ore fa … i medici se ne sono andati da un paio d’ore.» rispose il biondo.

Tom, che non aveva smesso di osservare il fratello, annuì.

Bill si mosse, e il ragazzo sentì che la sua mano veniva stretta leggermente, mentre l’espressione del moro si faceva ancora più corrucciata.

«Tomi …»

Il cure di Tom perse un battito. Da quanto non si sentiva chiamare così? Da quanto Bill non lo chiamava in quel modo?

«Sono qui.» sussurrò al silenzio della notte, e con un’altra amara fitta di gioia vide il volto del fratello rilassarsi un poco, come se avesse davvero percepito le sue parole e la sua presenza e ne fosse stato felice.

Tom sospirò, chiedendosi se sarebbe stato lo stesso al suo risveglio …

Andreas intanto li guardava, osservando attentamente l’espressione preoccupata e affettuosa dell’amico, sorridendo tra sé e sé: aveva sempre saputo che sotto la maschera da duro che vestiva sempre in pubblico, verso il gemello Tom era la persona più dolce del mondo. Si era sempre preoccupato per lui, gli era stato sempre accanto, pronto a tendergli la mano ogni volta che Bill ne avesse avuto bisogno, senza pretendere nulla in cambio, felice soltanto di poterlo aiutare. Si era preso cura di suo fratello fin da quando erano piccoli, per quel che ne sapeva. La prima volta che li aveva incontrati, diversi anni prima, si era subito accorto del fortissimo legame che c’era tra di loro, di quanto Tom fosse protettivo, di quanto Bill, in un certo senso, dipendesse da lui. E pochi mesi prima, quando li aveva visti separarsi, sapeva che le cose avrebbero preso una brutta piega, perché semplicemente Bill e Tom non potevano stare lontani: Bill aveva bisogno del fratello ‘maggiore’ su cui contare, e Tom aveva bisogno del suo fratellino da proteggere.

E infatti, alla fine, si erano ritrovati. Le loro menti erano stupidamente convinte che non fosse giusto, ma i loro cuori sapevano bene il contrario.

Il biondo sorrise, augurandosi che i due amici lo capissero presto, poi silenziosamente si voltò e li lasciò da soli.

 

Tom rimase seduto accanto a Bill per ore. Non mosse la mano dalla sua, mentre continuava a pensare a cosa sarebbe successo una volta che il fratello si fosse svegliato. Si chiese se sarebbe stato felice di averlo accanto, come era sembrato attimi prima, o se lo avrebbe cacciato via, gridandogli il suo odio e dicendo di non volerlo più vedere.

Si assopì con quei pensieri nella testa, e quando si risvegliò un paio di ore dopo il sole era già sorto. Bill non si era ancora mosso, ed era ancora perso nell’incoscienza, il respiro lento e regolare, gli occhi chiusi e un’espressione più rilassata sul volto.

Tom si alzò, sfregandosi gli occhi e lasciando scivolare via la sua mano da quella del fratello, sospirando lievemente. Infine prese la sua decisione, questa volta senza volerci pensare più di tanto. Voltò le spalle al letto e uscì dalla camera, chiudendo delicatamente la porta dietro di sé. Raggiunse a passi rapidi il garage e salì in auto, avviando la sua fedele Audi mentre faceva aprire la saracinesca. Sgommò fuori non appena questa si fu alzata a sufficienza, sfiorandone di poco il bordo, sollevando fumo dalle ruote, sfrecciando via sull’asfalto. Si accorse vagamente della figura di Andreas nello specchietto retrovisore, che incespicava sulle scale, ancora assonnato, gridandogli di tornare indietro, ma non vi badò e accelerò ulteriormente, puntando nuovamente verso Osaka.

 

*

 

«Si può sapere che fine avevi fatto?!»

Georg lo aggredì non appena ebbe aperto la portiera, dopo aver accostato. Mise piede a terra, affrontando il suo ansioso e decisamente agitato amico.

«Ero a Tokyo.»

Con quelle tre parole riuscì a congelare sul posto il ragazzo.

«Ah.» replicò, leggermente spiazzato soprattutto dal tono e dall’espressione del rastaro. «E … come mai?» azzardò, un po’ titubante.

«Problemi di famiglia.» rispose Tom dopo aver studiato attentamente le sue parole. «Mio fratello non stava bene.» concesse, prima di superare Georg ed entrare in casa, dove si lasciò cadere sul divano a peso morto. Qui lo accolse Gustav.

«Ehilà, Tom! Sei tornato. Tutto ok?» chiese. Era un ragazzo discreto, che sapeva farsi i fatti suoi, senza mettere in difficoltà gli amici. Rispose con un’alzata di spalle al mugugno indefinibile di Tom, frugando nella dispensa alla ricerca di una fetta biscottata, mentre il rastaro chiudeva gli occhi e scivolava nel sonno, stanco, distrutto dagli eventi più recenti.

 

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La stanza era ormai piuttosto illuminata, sebbene le tende alle finestre fossero state tirate per renderla più confortevole possibile al riposo.

Il ragazzo che giaceva a letto sotto il pesante strato di coperte strizzò come infastidito gli occhi, prima di provare lentamente ad aprirli. Gli costò qualche sforzo, ma alla fine ce la fece. Anche la vista impiegò un poco a tornare, ma dopo le prime visioni sfocate e confuse riuscì a mettere a fuoco la sua stanza.

«Mmh.» mugugnò, sentendosi debole e intontito, cercando di riordinare i pensieri di cui non riusciva a focalizzarne nemmeno uno. La sua testa lavorava al rallentatore, e non era al momento in grado di fornirgli più di un paio di semplici informazioni alla volta. Cercò di passarsi stancamente una mano sulla fronte, per riavviare i capelli che sentiva cadergli scompigliati sul viso, ma quella semplice operazione gli risultò estremamente difficile, se non quasi impossibile: sentiva i muscoli pesargli come macigni, e ben presto rinunciò a provare ad alzare il braccio.

Mugugnò una seconda volta, questa volta con frustrazione, e fu in quell’istante che la porta della camera si aprì e sulla soglia comparve la figura di Andreas, che sbirciò all’interno cogliendo con sorpresa l’amico sveglio.

«Ehi, ciao, Bill.» disse con tono di voce basso, ma chiaramente sollevato. «Come ti senti?» aggiunse, mentre chiudeva la porta alle sue spalle e si avvicinava al letto.

L’ennesimo mugolio indistinto sfuggì dalle labbra del moro, che voltò impercettibilmente la testa verso di lui.

«Co-» provò a parlare, ma la sua gola non sembrava volerne sapere. Se la schiarì leggermente, prima di riprovare: «Che è successo?» abbozzò rocamente.

Vide Andreas alzare un sopracciglio mentre lo fissava.

«Non ti ricordi nulla?» lo interrogò. Bill scosse la testa in segno di negazione, ma anche quel semplice movimento gli costò più fatica di quanto avrebbe creduto, così ci rinunciò e rispose con la sua voce stanca:

«Non molto … quasi niente, per ora.» ammise. «Dio, non riesco a muovere nemmeno un muscolo!» si lamentò. «Quando potrò tornare a correre con la mia auto?»

«Oh, per quello temo proprio che ci vorrà molto!» replicò il suo amico, guadagnando un ulteriore sbuffo da parte del moro, poi sospirò e tornò serio. «Bill, ti ho trovato l’altra sera a terra, di là in cucina, tra i cocci di una bottiglia di whisky vuota, in preda ai tremiti e incosciente, con non so che diavolo di quantità di … roba! nello stomaco!» sbottò, il tono più alto di quanto avesse voluto. Si passò una mano tra i capelli per calmarsi. «Si può sapere che cazzo ti è passato per la testa?! Bere è un conto, ma drogarti?? Non hai mai preso nulla in tutta la tua vita, sai benissimo quali sono i tuoi limiti e quanto sia … stupido fare una cosa del genere. perché?» gli chiese affranto.

Bill evitò il suo sguardo durante l’intero discorso; ora iniziava a ricordare. I flash della serata precedente si susseguivano nella sua testa fino agli ultimi, confusi, istanti. E con essi i pensieri, le sensazioni che aveva provato.

Rimase in silenzio, e questo aleggiò nella stanza finché Andreas non emise un sospiro rassegnato e distolse a sua volta lo sguardo, mentre cercava il coraggio di pronunciare le parole che premevano sulla sua lingua, prima di riportarlo sul viso dell’amico per scrutarne la reazione:

«Stanotte è venuto qui Tom.»

Gli occhi di Bill saettarono sul suo viso in un movimento talmente veloce che pochi istanti prima lo avrebbe creduto impossibile, vista la sua debolezza. Analizzarono lo sguardo dell’amico alla disperata ricerca di un qualunque indizio che gli rivelasse che era una bugia, ma non ne trovò alcuno. Che poi, perché avrebbe dovuto trovarne uno, quando lui stesso, in fondo, sperava non ce ne fossero? Era contraddittorio, ma era così.

Ancora una volta fu il silenzio a seguire le parole di Andreas, che si vide quindi costretto a procedere.

«Era preoccupato per te, Bill. È venuto qui di corsa da Osaka, non appena ha saputo che stavi male.»

Questa volta le labbra di Bill si dischiusero, sputando parole più velenose di quanto avrebbe mai voluto intendere:

«E allora perchè non è qui?»

Sentì Andreas inspirare forte, esasperato, mentre alzava gli occhi al cielo.

«Bill, ti prego! Non cercare un pretesto per accusarlo!! Vuoi sapere perché non è qui? bene! perché non voleva infastidirti, perché vuole rispettare il tuo volere, realizzare il tuo desiderio di non vederlo mai più, come gli hai detto mesi fa, anche se si sente uno straccio lontano da te! Ti basta questo? Ti basta per capire che ci tiene a te e non vuole ferirti, né ha mai voluto farlo?!»

Dopo ciò, il biondo si prese la testa tra le mani, sbuffando seccato, sicuro che le sue parole fossero state vane - come sempre fino a quel momento.

«Ti lascio riposare, ne avrai bisogno per un bel po’» concluse. «Se ti serve qualcosa, chiamami. Sono di là.» e con questo, si eclissò fuori dalla porta.

Bill rimase immobile a fissare il vuoto di fronte a sé. Le parole del suo amico continuavano a rimbombargli nella testa come un’eco fastidiosa - così come tutte le altre volte che finivano col parlare di suo fratello.

E così era stato lì. Era corso da lui. Lo aveva assistito per tutta la notte. Ora aveva avuto la conferma che quella strana sensazione che era sicuro di avere provato durante la sua incoscienza, quella percezione di una presenza famigliare accanto a sé, di qualcosa che sfiorava la sua mano in una carezza leggera. Non era stato un sogno, né un’illusione, o un semplice prodotto della sua mente confusa. Tom gli era davvero stato accanto per qualche ora, e per quanto si ostinasse a credere di desiderare il contrario, Bill sapeva che era qualcosa di importante.

 

NdA.

E un altro capitolo è pubblicato.

Viel danke a CaTtY, vivihotel, Quoqquoriquo, SweetPissy, Lidiuz93, loryherm, candy 14, elena93 per le recensioni!

Mi dispiace, ma per le vere spiegazioni, per concludere veramente il puzzle, dovrete attendere ancora due capitoli! XD che sono poi anche gli ultimi due della fanfiction, prima dell’epilogo…

Dai, siamo quasi alla fine, resistete!

Bacioni

Fedy

  
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