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Autore: Virelei    22/05/2013    1 recensioni
Un giorno il Seirin si accorge dello strano comportamento di Kuroko, che si presenta agli allenamenti mostrando sempre più ferite. Sta nascondendo un segreto? Determinata a scoprirlo, la squadra del Seirin inizia a fare indagini sulla vita di Kuroko, per scoprire presto qualcosa di shockante. Ma la Generazione dei Miracoli ha già fatto la sua mossa. GdM iperprotettiva, AkaKuro, AoKise.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: Traduzione | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Capitolo 9

Kuroko si appoggiò alla testiera del letto. Ora che la sua schiena stava cominciando a guarire non aveva più bisogno di una montagna di cuscini come supporto. In effetti tutte le sue ferite stavano guarendo bene; non doveva più portare delle bende intorno alla testa né alle gambe, ma continuava a zoppicare ogni volta che camminava, (cosa che Akashi aveva notato quando l’aveva beccato di nuovo mentre cercava di lasciare il letto.)

Un libro voluminoso era posato sulle sue gambe, trattava della geografia del Giappone ed era scritto in caratteri molto piccoli. Kuroko aveva provato a leggere il primo paragrafo, ma si era fermato a metà. Era l’unico libro che sembrava interessante, e visto che la geografia era la sua materia preferita, aveva pensato che sarebbe riuscito a capirlo meglio rispetto agli altri libri universitari che Akashi, per qualche strana ragione, aveva.

“Tetsuya.”

Sentendosi chiamare, Kuroko sollevò lo sguardo. Akashi inarcò un sopracciglio quando vide le occhiaie scure sotto i suoi occhi azzurri ed inespressivi. Dopo la chiamata di Ibuki della sera prima, Kuroko si era svegliato spessissimo a causa degli incubi. Akashi aveva dormito al suo fianco, sapendo che sarebbe successo, e lo aveva tranquillizzato ogni volta fino a farlo riaddormentare. Le occhiaie di Akashi però non erano altrettanto evidenti.

“Vieni con me,” gli fece cenno Akashi.

Kuroko si sporse in avanti, “Posso scendere dal letto?”

Il rosso lo guardò divertito, “Si, puoi scendere dal letto.”

Non appena gli fu confermato il permesso, Kuroko si affrettò ad appoggiare i piedi per terra per alzarsi. Ma si mosse un po’ troppo velocemente. Le lenzuola gli si attorcigliarono intorno alla gambe e Kuroko provò ad alzarsi ma si inciampò e rischiò di cadere. Se non fosse stato per Akashi, si sarebbe ritrovato con la faccia contro il tappeto.

“Attento, – gli disse Akashi – Ecco perché ti ho fatto stare a letto.” Le sue braccia lo aiutarono a ritrovare l’equilibrio.

“Grazie,” disse piano Kuroko, liberandosi dalla presa di Akashi. Voleva dimostrargli che poteva farcela da solo.

L’ex capitano studiò Kuroko per qualche secondo poi disse, “Hm. Ti ho permesso di lasciare il letto per un motivo. Vieni con me, devo mostrarti una cosa.” Uscì dalla stanza, senza aspettare una risposta.

Curioso, Kuroko lo seguì zoppicando. Era bello poter camminare, anche se solo per pochi passi, senza essere bloccato. Quando entrò in salotto, Kuroko alzò le sopracciglia blu di qualche centimetro. Il tavolo da pranzo era sparito e i due divani, che di solito erano disposti a L erano stati spostati su un lato. Nello spazio così creato c’erano dei materassini blu che ricoprivano buona parte del pavimento ed alcuni cuscini disposti appena oltre i bordi dei materassini.

“Che cos’è, Akashi-kun?”

“È per la tua sicurezza,” disse Akashi con schiettezza. Abbassò la cerniera della sua giacca e se la tolse, sotto indossava una maglietta bianca e larga. Kuroko notò che indossava dei comodi pantaloni della tuta, il che era strano perché quelli della Generazione dei Miracoli lo avevano sempre visto vestito o con dei completi formali, o con la divisa scolastica o della squadra. Neanche quando dormiva gli avevano mai visto indossare altro. “Togliti la giacca.”

Kuroko obbedì, ancora confuso per la situazione. Cosa avrebbero fatto?

“Dopodomani lascerai casa mia, – lo informò Akashi mentre si toglieva i calzini – Non solo perché la scuola è preoccupata per la tua assenza, ma anche perché tua madre, – Kuroko tremò – Entrerà in azione se resterai qui troppo a lungo per un semplice progetto scolastico.” Posò i calzini sul pavimento e salì sui materassini, di fronte a Kuroko. “Tuo padre non sarà sempre presente per proteggerti, e se sei ferito gravemente potresti non riuscire a scappare. Inoltre non puoi nemmeno evitare le ferite che tua madre sicuramente ti infliggerà.” Kuroko sussultò ed abbassò lo sguardo. “Ma puoi diminuire la gravità e la quantità di quelle ferite.” Akashi fece qualche passo indietro. “Attaccami, Tetsuya.”

Kuroko sbatté le palpebre, “C-cosa, Akashi-kun?”

“Attaccami, – ripetè Akashi – Come se volessi farmi del male.”

“Ma, non posso,” disse con tono inespressivo.

Gli occhi di Akashi si fecero freddi, “Si che puoi. Questo è un ordine, attaccami.”

Non avendo altra scelta, Kuroko attaccò Akashi con esitazione. Tirò indietro il pugno e lo scagliò debolmente verso il rosso, sapendo che se anche lo avesse colpito non gli avrebbe fatto male. Akashi afferrò il suo polso pallido, torcendolo. Il braccio di Kuroko fu forzato in una posizione innaturale e si ritrovò subito con il braccio tenutogli contro la schiena. Akashi spinse anche contro le sue articolazioni in modo che il suo corpo si sbilanciasse, cadendo in avanti sulle ginocchia.


Akashi fece tutto questo con prudenza, sapendo che le ferite di Kuroko stavano ancora guarendo, ma con forza sufficiente a farlo cadere, e lasciò la presa non appena fu per terra. “Spingendo contro le ginocchia in questo modo potresti far cadere un uomo adulto,” spiegò Akashi, poi aiutò Kuroko a rialzarsi. “Ho studiato arti marziali in America, anni fa, e mio padre mi ha insegnato l’aikido fin da quando ero piccolo.” Si arrotolò i pantaloni finché non furono all’altezza degli stinchi. “Non so quanto riuscirò ad insegnarti in un paio di giorni, ma ti dovrebbe bastare per riuscire a difenderti.” Il rosso si raddrizzò e nei suoi occhi c’era un sadico luccichio, “Avanti, Tetsuya.”


Kuroko Ibuki era alla sua scrivania, seduta su una grande poltrona nera. Su una targhetta dorata c’era scritto: Abe Miku. Alcune foto di ‘famiglia’ erano sulla scrivania, per dare una buona impressione. Ogni volta che aveva degli ospiti, questi vedevano le foto e subito pensavano di avere di fronte una persona buona. Manipolare le persone è molto semplice.

Il suo viso si distorse in un’espressione disgustosa quando pensò al suo Kuroko. Oh, come voleva rovinare l’innocenza di quel ragazzo. Aveva detestato suo figlio fin dalla prima volta che l’aveva visto. Quegli occhi grandi e inespressivi la mandavano in bestia. Per gli uomini era così semplice, le donne invece cosa ottenevano? Di essere ridicolizzate e derise? Uno straccio e un secchio? Sbeffeggi e insulti? Era degradante, ma lei aveva cambiato tutto questo. Ora era una delle donne più influenti del Giappone, possedeva tre delle maggiori aziende e aveva connessioni a livello ancora più profondo del governo, tanto che poteva scavalcare la legge ed essere intoccabile.

Eppure non riusciva a rompere suo figlio una volta per tutte. Non importava quante volte l’avesse già schiacciato, insultato e temporaneamente spezzato nello spirito, qualcuno riusciva sempre a farlo tornare intero. Qualcuno lo guariva sempre. Ed anche la mancanza di presenza di suo figlio! Lo detestava per quello. Tutti quelli che apprezzavano Kuroko, incluso il suo stupido padre, riuscivano a localizzarlo, con un po’ di sforzo. Ma lei non riusciva nemmeno a vederlo, a meno che non lo sorprendesse quando aveva abbassato la guardia. Era come se lui pensasse che non valesse la pena di mostrarsi a lei; come sei lei non lo meritasse abbastanza. Questo la irritava terribilmente.

Si, avrebbe distrutto quella cosa chiamata Tetsuya, gli avrebbe fatto vedere ciò di cui era capace. Ma prima, doveva sbarazzarsi dei suoi…guaritori.

Ibuki sollevò la cornetta del telefono e digitò il numero 5; la sua segretaria rispose, “Si, Abe-san?”

“Nowaki, – disse – Voglio che tu faccia una ricerca sui membri della Generazione dei Miracoli, dalla scuola media Teiko, credo.”

“Generazione dei Miracoli? Mia figlia li conosce.”

Ibuki si sporse in avanti sulla scrivania, “Davvero?”

“Si, sembra che siano una squadra di basket piuttosto famosa. Si dice che giocatori con un talento simile nascano solo ogni dieci anni.”

“Chi sono questi giocatori?”

Si udì il rumore di dita che premevano su una tastiera, “Vediamo, non dovrebbe essere difficile trovare degli articoli su di loro…Ah, trovato!”

Ibuki prese velocemente carta e penna, pronta a scrivere. “Dimmi i nomi.”

“Kise Ryouta, – disse la segretaria – Aomine Daiki, Akashi Seijuro, Midorima Shintaro, Murasakibara Atsushi e… corre voce che ci fosse un sesto giocatore fantasma. Alcuni articoli dicono che è un ragazzo chiamato Kuroko Tetsuya.”


La donna dai capelli azzurri scrisse i nomi frettolosamente, senza controllare che fossero scritti bene. Un sorriso raccapricciante le si formò sulle labbra quando udì il nome di suo figlio. “Interessante.”


“Kuroko Tetsuya, eh?” Haizaki diede un grande morso al suo hamburger. Masticò maleducatamente tenendo la bocca aperta, ma nessuno osò lamentarsi.  “E’ da un bel po’ che non sentivo quel nome.” Si sporse e rubò un paio di patatine da Hyuuga, anche se ne aveva un pacchetto tutto suo proprio davanti a lui. Hyuuga lo guardò male.

“Lo conosci bene?” provò a chiedere Riko con gentilezza.

“Se lo conosco? – bevve rumorosamente il suo frappè – Direi di si. Ma non potevo mai avvicinarmi troppo a lui, quella cazzo di Generazione dei Miracoli si metteva sempre in mezzo.”
Quest’informazione fece sporgere in avanti la coach, “Sai perché si mettevano sempre in mezzo? Cosa innescava il loro comportamento così protettivo?”

Haizaki la guardò in modo strano. “No, cazzo. Non me lo volevano dire. Non che me ne potesse fregare. Akashi mi ha sbattuto fuori dalla squadra prima che potessi sapere i dettagli.” Prese l’hamburger di Kagami e se lo infilò in bocca. Il rosso strinse i pugni, ricordando a se stesso che se avesse iniziato uno scontro contro Haizaki probabilmente avrebbe perso. “Ma ho sentito una diceria.” Deglutì poi si infilò altre patatine in bocca.

“E qual era?” chiese Teppei.


“Che quel ragazzino subiva abusi.”


“Cavolo,” si lamentò Kise. Si trovava in un supermercato, allo scaffale delle spezie. Appeso al suo polso destro c’era una cesta mezza piena, mentre con la sinistra teneva un pezzo di carta stropicciata, probabilmente la lista della spesa. “Kaa-san mi ucciderà se non le trovo la spezia giusta.” Si grattò confuso la testa e si chinò per leggere i nomi scritti su ogni bottiglietta. “Sembrano tutte uguali!” gridò disperato. “Non importa quale scelgo.” Prese una bottiglietta a caso e la mise nella cesta.

Il biondo, contento, spuntò il nome del suo ultimo acquisto. “Finito!” disse con vece gioiosa.

“Scusa.”

Una voce femminile gli fece abbassare lo sguardo. Una chioma di capelli azzurri attirò la sua attenzione, e subito pensò che fosse Kurokocchi ma poi vide bene il volto della donna, molto simile a quello di Kuroko, ma più femminile e più crudele. Degli occhi blu lo fissavano come se fosse ad un livello inferiore rispetto a lei, e questo lo faceva sentire intimorito. Perché ha un aspetto così familiare? Si chiese Kise. Giurerei di averla già vista –

Poi capì: Kuroko Ibuki, la madre di Kurokocchi. La persona che faceva del male al suo Kurokocchi si trovava proprio davanti a lui. Il suo buon umore scomparve immediatamente.

“Scusa? Scusa?”ripeté impaziente la donna.

Kise dovette usare tutta la sua forza per non prenderla per il collo e urlarle contro per tutte le volte che aveva fatto del male al suo Kurokocchi. Gli ci volle ancora più forza per risponderle “S-si?”

“Ti ho già chiesto per più di tre volte se puoi passarmi il barattolo grande della spezia al limone e peperoncino, – disse con maleducazione – Dammelo.”

Kise osservò come era vestita: sembrava essere appena uscita da uno dei suoi lavori, aveva un tailleur professionale con una borsa coordinata. I suoi occhi furono attratti dal cartellino con il nome, c’era scritto Abe Miku. Trovò strano che sul cartellino ci fosse un nome diverso dal suo, Kuroko Ibuki. Ha due nomi? si chiese Kise.

Il biondo la guardò dritta negli occhi e disse, “Non posso.”

Ibuki inarcò un sopracciglio blu, “Come scusa?”

“Non ne ho voglia, – ripeté – E vado anche di fretta. Chieda a qualcuno dei commessi di aiutarla.” Kise si spostò di lato e superò la donna, che restò di sasso. Si assicurò di camminare con lunghe falcate, nel caso quella volesse seguirlo.

Ibuki non lo seguì, il che fu un sollievo. Kise pagò, disse alla cassiera di tenere il resto e corse fuori con quattro borse in mano. Spostò tutte le borse nella sua mano sinistra e con la mano libera prese il cellulare. Premette con il pollice il numero due, ringraziando gli Dei dei cellulari per aver inventato le chiamate rapide, e schiacciò il tasto per chiamare.

Risposero al terzo squillo: “Ryouta.”

“Akashicchi!” gridò Kise. “È arrivata.. ed è stata proprio maleducata… e le sono sfuggito… ed è stato così strano, non mi è piaciuto per niente… e –“

“Calmati e parla con frasi chiare,” lo interruppe Akashi. Kise chiuse la bocca. Ora che c’era silenzio, poteva sentire dei respiri affannosi dall’altra parte della linea.

“Akashicchi…cosa stavi facendo?”

“Non sono affari tuoi. C’è un motivo per cui mi hai chiamato, Ryouta?”

Kise sbatté le palpebre. “Eh? Ah, si! Ho incontrato la madre di Kuroko, pochi minuti fa!”

“Cosa? – sibilò all’improvviso Akashi – Dove?”

“Al supermercato,” rispose subito Kise.

“Ti ha detto qualcosa di interessante?” I respiri affannosi si fecero più distanti e Kise pensò che Akashi stesse andando in un’altra stanza.

“No, non mi ha riconosciuto. Credo. Ma il suo cartellino con il nome era strano.”

“Strano come, Ryouta?”

Kise guardò in entrambe le direzioni prima di attraversare la strada correndo e raggiungere casa sua. Per poco il cellulare non gli sfuggì di mano. “Aveva… C’era scritto un nome diverso, non era Kuroko Ibuki.”

Ora poteva sentire il rumore di carta che veniva spostata e il ‘click’ di una penna. Akashi disse con voce lenta e esigente, “Che nome c’era scritto?”

Kise cercò di ricordare il nome. “Ehm, A-Abe Miku, credo.”

Credi?

“Cioè, sono sicuro! – disse subito Kise – Era Abe Miku. Ed era anche scritto con caratteri diversi.” Kise elencò ad Akashi i caratteri giapponesi, e sentì che lui stava prendendo furiosamente nota.

“Grazie, Ryouta. Sarai ricompensato.” Akashi riattaccò.

Kise fissò incredulo il cellulare. Sapeva che Akashi riattaccava sempre subito, ma avrebbe almeno potuto dirgli ‘Ciao’ per questa volta. Il biondo si imbronciò; erano tutti così cattivi con lui!

Decise di chiamare Aomine per raccontargli ciò che era appena successo. Si fermò proprio davanti casa e compose il numero.

“Ugh, cosa vuoi, Kise?” chiese una voce roca e assonnata. “Quei marmocchi dell’asilo mi hanno lasciato sette lividi. Ti conviene avere una buona ragione per avere interrotto il mio sonno.”

“Ce l’ho! – disse impazientemente Kise – Sai, ho appena finito di parlare al telefono con Akashicchi della madre di Kurokocchi, e Akashicchi mi ha fatto un mucchio di domande, e si stava davvero segnando il nome che ho visto.. Cioè, sapevi che la madre di Kurokocchi ha due nomi o qualcosa del genere? Come può essere? Comunque, Akashicchi –“ Un ‘tuu-tuu-tuu’ gli riempì le orecchie, e lui sbatté le palpebre. “Eh?” Guardò lo schermo del cellulare e vide la scritta: Aominecchi ha chiuso la chiamata. “Coooosa?” gridò Kise. “Waaahhh, Aominecchi mi ha sbattuto il telefono in faccia!! Perché sono tutti così cattivi?”







NdT: Ciao!
Chiedo scusa per il linguaggio un po’ volgare, ma è proprio così anche nell’originale. Fin’ora mi pare di aver solo usato espressioni come “Cavolo!” o “Dannazione”, ma non ci scandalizziamo per un paio di espressioni un po’ più colorite, vero? Anche se metterle per iscritto mi fa un certo effetto :)
Detto questo ringrazio come sempre tutti, sperando che questo capitolo, in cui capiamo un po’ meglio cosa pensa Ibuki, vi possa piacere.
Alla prossima, Nienor_11


   
 
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