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Autore: NoaLillyORiordan    23/05/2013    1 recensioni
Come possono cambiare due vite con un solo incontro? Ed è davvero possibile? Due sconosciute, piene dei loro silenzi si incontreranno prima sul campo sportivo, compagne di squadra, amiche e poi? Questa è la storia di due anime che prese dalla difficoltà della vita, finiranno per incontrarsi e scontrarsi...come potrebbe capitare a tutti noi, del resto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Revelations. Complications. 


Michela attraversò i corridoi a grandi passi. Sentiva fossero li e non avrebbe voluto incontrarli. Chiara le stava dietro a fatica e non capiva perché la ragazza corresse tanto. Avrebbe voluto dirle di rallentare, ma qualcosa le diceva che era meglio tacere. E in ogni caso non voleva vedere un nuovo cambio d’umore. Non l’avrebbe retto.
Michela correva quasi. Si sentiva come se il successivo passo sarebbe stato nel vuoto, come quando in fondo ad una scala ci si aspetta un ultimo gradino. Il suo cuore martellava come in quella frazione d’attesa. I muri si susseguivano con velocità, sempre uguali, sempre dello stesso monotono e spento colore. I volti sfuocati di medici e infermieri non facevano in tempo a restare impressi nella sua mente.
Quando vide le schiene dei suoi genitori si sentì mancare un colpo, tutto le divenne grigio ma non rallentò il passo. Anzi, decise di allungarlo ancor di più, infilandosi senza bussare nella stanza della nonna.
“Michela!” esclamò sorpresa la nonna, mettendosi a sedere. Chiara entrò qualche secondo dopo, rossa in volto e affannata.
“Nonna, come stai?” chiese la ragazza avvicinandosi al letto. Le prese la mano e la sentì fredda nonostante facesse un gran caldo.
“Ragazza, questo non è orario di visita!” esclamò l’anziana signora. “E… ho saputo di quello che è successo, non dovresti essere qui”.
“Nonna, hai fatto altri esami oggi?”. Michela decise di ignorare le considerazioni della nonna.
L’anziana decise di fare come lei e ignorano la domanda si rivolse a Chiara, che ancora vicino all’uscio osservava in silenzio e imbarazzo. “Non mi presenti il tuo ospite, Michela?”.
La ragazza sembrò riprendersi e spalancò gli occhi. “Certo! Nonna lei è… è…”
“Sono Chiara, signora” disse con un filino di voce e allungando la mano verso la signora. “È un piacere conoscere un familiare di Michela”.
“Che ospite scostumato sei, nipote!” disse la donna, con tono duro ma con sguardo benevolo. Allungò un buffetto sulla guancia della nipote. “Sembri un baccalà”.
Michela deglutì a fatica. – Ho portato Chiara da mia nonna – si disse. – Ma perché? – si chiese stupita.
“Sei proprio carina come diceva mia nipote” osservò la donna facendo un occhiolino a Chiara.
“Nonna!” esclamò risvegliandosi Michela “Queste sono confidenze private”.
Chiara sorrise e si sentì lusingata. Michela aveva parlato di lei alla nonna. Chissà cosa si erano dette, ma il fatto che la nonna l’avesse definita carina, così come aveva riferito la nipote, la fece arrossire. Il cuore le cominciò a battere e incrociato lo sguardo di Michela, le sorrise.
La donna colse la complicità tra le due e ne fu felice. “Allora Chiara, siediti. Dimmi, cosa fai nella vita?”.
“Studio psicologia, signora” rispose la ragazza.
“Bene, una studiosa, al contrario di mia nipote!”
“Sa, non tutti sono portati. Andare all’università non vuol dire essere per forza intelligenti”
“Giusta osservazione, ma…”
“E comunque, molto probabilmente quella di vostra nipote è stata più una necessità”
La signora aveva una espressione perplessa. Sapeva perché la nipote se n’era andata di casa, ma difficilmente lo rivelava. I genitori avevano pur sempre un nome e non voleva parlar male di loro.
“All’epoca le offrii di stare da me ma questa stupidina rifiutò” disse rivolgendosi alla nipote.
“Nonna sai bene che non volevo pesare sulle tue spalle” rispose Michela.
“Non volevi infastidirmi con le tue compagnie…” disse con leggerezza la donna. Tutte sorrisero. Michela calò il capo scuotendolo. “Donna lungimirante”.
La conversazione continuò per dei minuti, spandendo nell’aria risate e leggerezza. Chiacchieravano del più e del meno, prendendo in giro Michela per le prodezze infantili.

“Io vado un attimo in bagno” disse Michela ridendo ancora per l’ultima battuta.
Le due donne rimaste sedute videro Michela allontanarsi ed entrare nel bagno. Uno strano silenzio imbarazzante scese tra loro. Quella che era stata un’aria fresca e leggera si tramutò presto in un’aria imbarazzata e interrogativa. Chiara si mordeva il labbro e guardava le sue mani intrecciate appoggiate sulle gambe. Il suo interrogativo le martellava cuore e mente. – Quando glielo dirò? –
“Cosa provi per mia nipote?” chiese di getto la signora. Il suo sguardo era serio e profondo.
“Come?” chiese Chiara, temendo, o meglio, sperando, di aver capito male. Il suo sguardo era sinceramente interrogativo.
“Ci tieni a lei?” riformulò la domanda, ma il senso era lo stesso. La nonna aveva due occhi cosi profondi e seri che era impossibile mentire. Chiara si sentì nuda e smarrita.
“Certamente, signora” rispose in un soffio. Non sapeva dove volesse andare a parare, eppure aveva una strana sensazione. Le due donne sentirono tirare lo sciacquone e l’anziana, afferrando il polso della ragazza, s’affrettò.
“Se ci tieni veramente, glielo devi dire”
Chiara era stupita: non sapeva a cosa pensare. E se pure fosse quello che pensava, come diavolo lo aveva scoperto?
“Non fare la tonta. Sei una brava ragazza, intelligente e buona. Lo vedo che ci tieni, ma non incasinare e non far soffrire mia nipote” disse stringendo ancor di più il suo polso. L’acqua nel bagno scorreva, Michela si stava lavando le mani.
“Cosa… come fa a saperlo?”
“Le donne in attesa, sono coperte da una luce particolare. Le donne in attesa sono sempre uguali ma un po’ diverse. Sono speciali” disse con dolcezza.
Michela stava chiudendo la porta del bagno e Chiara si chinò per ascoltare meglio. “Lei ci tiene a te, credimi. Non farla soffrire” disse alla fine tutto d’un fiato, sussurrando.
“Di cosa parlate a cosi bassa voce?” chiese incuriosita Michela.
“Di quando, tu da piccola, per prendere i cereali sul mobile cadesti dal seggiolone!” esclamò la nonna senza batter ciglio.
Michela si era appena seduta quando la porta si aprì. “Ehi!” esclamò una infermiera. La nonna fece in tempo a portarsi un indice davanti alla bocca che si corrugò. La donna entrò socchiudendo la porta e abbassando la voce. “Voi non dovreste essere qui” protestò “Questo non è l’orario di visita!”
“Dai Cristina, sono le mie due nipotine che non vedo da tempo, sii buona” disse l’anziana strizzando l’occhio in un occhiolino.
“Va bene” disse con fare frettoloso “Ma vi voglio fuori in meno di sessanta secondi!”
Michela, già in piedi, battè i tacchi come un soldatino e l’infermiera la guardò con aria di sfida: si sentì provocata, ma lasciò correre, vedendo il sorriso sincero della ragazza. “Fuori!”
Michela baciò la nonna sulla fronte e presa Chiara per un braccio, scapparono sorridendo. Le due ragazze decisero di prendere un’uscita d’emergenza. Già che avevano infranto una regola, tanto valeva infrangerle tutte. C’era una strana euforia tra le due. Sorridevano e si guardavano furtivamente sottecchi.
Arrivate vicino al mezzo, Michela giocava con le chiavi. Sembrava indecisa.
“Tua nonna sembra proprio una brava persona” disse Chiara ancora sorridente, ma con una punta di imbarazzo. Non dimenticava quello che aveva sentito. Michela aveva, sicuramente, fatto apprezzamenti su di lei.
“Sembra?” chiese Michela con ilare sarcasmo.
“Si… cioè, è una forte!”
“Puoi ben dirlo” sussurrò la nipote. “Mi ha praticamente cresciuta. Non nel senso che io sia cresciuta in casa sua. Anzi. Ma è lei che mi ha reso la persona che sono”
“È evidente che ha fatto un buon lavoro” asserì Chiara. Si sentiva strana. Euforica, le farfalle nello stomaco. Si morse il labbro e deglutì. Era cosi vicina a lei, che non riusciva nemmeno a pensare.
Michela, d’altro canto era persa nei suoi occhi. Riusciva a respirare a fatica. La rabbia, le lacrime, la furia, il nervosismo di quei giorni, scomparvero, dinanzi a quella che reputava la creatura più bella e speciale del mondo. Le due ragazze si avvicinarono l’una all’altra, portandosi, millimetro dopo millimetro, l’una di fronte all’altra. Michela prese le mani di Chiara. Le ragazze si guardavano intensamente negl’occhi.
“Questo momento non potrebbe essere più perfetto. Se pure non ti baciassi, sarei la persona più felice del mondo”
“Ma?” chiese intrepida Chiara.
“Perché non rendere il momento, magico?” disse Michela, che nonostante la sua affermazione non fece nulla.
Fu Chiara ad avvicinarsi. Le sottili pelli delle rosse e desiderose labbra si sfiorarono appena.
 
- Se ci tieni veramente, glielo devi dire – alla ragazza tornarono alla mente quelle parole e rimbombarono forte come un tuono. Si allontanò di getto dalla ragazza.
Michela non si sorprese. Immaginava cosa le passasse per la testa. O almeno cosi credeva. Fece nuovamente un passo verso di lei. “Non avere paura” sussurrò guardandola negli occhi, carezzandole la guancia.
“Non, non posso” disse Chiara “Devo prima parlarti di una cosa”. Le cose le stavano sfuggendo di mano.
Michela annuì e sorridendo la esortò a parlare. La ragazza deglutì più volte, scuoteva la testa, si tormentava le dita. La compagna decise di avvicinarsi nuovamente e in quel momento Chiara reagì mettendole le mani avanti, posandole sulle spalle, sospingendola.
“Sono incinta” disse di getto. Senza pensare alle parole giuste o sbagliate. Il cuore, che mancò un colpo quando si sentì dire quelle parole, cominciò a galoppare. Le si gelò il cervello e cominciò a sudare freddo. Non si aspettava che lo accettasse: sperava solo capisse. Che capisse perché l’avesse tenuto nascosto.
“Come, scusa?” chiese incredula la centaura. Il volto contratto in una smorfia di incomprensione. Credeva di aver recepito il messaggio sbagliato.
“Aspetto un bambino” disse a testa bassa, ma scandendo bene ogni parola. Non voleva ripeterlo: era già abbastanza dura cosi.
Michela era incredula. La pancia non si vedeva per niente. Ma non era esperta di gravidanze quindi non avrebbe saputo comunque dire a che mese fosse. Sapeva solo che pancione voleva dire parto imminente e che pancia piatta voleva dire inizio. Ma non avrebbe potuto dirlo con certezza se non fosse stata almeno di qualche settimana.
“Da quanto lo sai?” chiese cominciando ad arretrare. I passi che affondavano nel ghiaino erano tristi e sconsolanti.
“Non volevo mentirti”
A Michela saltò la mosca al naso. “Da quanto cazzo di tempo lo sai!” tuonò stizzita.
“Da quando sono stata male alla partita, e mi hai portato all’ospedale”. Chiara era impaurita ma speranzosa.
“Mi hai mentito”
“Non volevo farlo”
“Ma lo hai fatto!!” sbraitò.
“Si, ma cazzo non è figlio tuo!!” scattò Chiara, che si pentì immediatamente per quello che aveva detto e come lo aveva detto. Michela si risentì ancor di più e si incupì.
“Si” assentì “non è figlio mio. Ti riporto da suo padre. Crescerà proprio bene, con quello”. Nella voce della ragazza c’era cattiveria e Chiara si sentì ferita. Stavano giocando a farsi male. Era cosi quel loro strano rapporto e la ragazza si sentì persa nelle ferite di quello che aveva sentito ed era spaventata.
“Michela ascolta…” cominciò Chiara.
“No. Senti, non voglio sapere niente” disse Michela “Perché? Eh? perché non posso avere una persona normale anche io?” la ragazza si appoggiò alla sua moto. Due lacrime le rigarono il volto e staccatesi dal mento caddero bagnando la sella.
“Mi dispiace” disse Chiara avvicinandosi accarezzandole la spalla. Era sincera, ma anche arrabbiata e ferita. Michela scrollò le spalle scostando la sua mano. Si allontanò aggrappandosi a una rete vicina, che dava su un campetto da calcio. In due giorni, quel parcheggio l’aveva distrutta.
“No a me dispiace. Proprio di te dovevo innamorarmi?” disse. Più a se stessa che a Chiara. Non avrebbe voluto dirlo cosi, ma quella confessione fu come uno schiaffo per entrambe. Impalate, svuotate, ferite, le due ragazze non parlavano. Dopo qualche minuto di attesa, Michela decise che era il momento di troncare quella situazione. Si avvicinò alla moto, porse il casco a Chiara e la riaccompagnò a casa.
Chiara sentiva la distanza. Era seduta in punta, quasi come lei non fosse li. Chilometro dopo chilometro, l’ansia accresceva, come la consapevolezza. Ogni chilometro passato, erano dieci che li separavano. 

  
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