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Autore: Super Husbands    23/05/2013    3 recensioni
Il Mandarino è finalmente sconfitto, ma gli incubi di Tony Stark non sono certo finiti e tanto meno gli attacchi di panico. E allora, cosa c'è di meglio dell'affrontare i propri demoni a testa alta e con coraggio? D'altronde non è quello che fanno tutti i supereroi? Anche loro però - a volte - hanno bisogno di un aiuto. Che sia del tutto inaspettato be', questa è un'altra storia.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Steve Rogers/Captain America, Tony Stark/Iron Man, Un po' tutti
Note: Lime, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Ciao a tutti, belli e brutti! ♡
Nah, scherzo, siete tutti superbamenti meravigliosi - soprattutto se ci lasciate una recensione ;DD basta anche un commentino piccolo piccolo, ma saremmo tanto felici di sapere cosa ne pensate!
Vi presento un capitolo che è stato definito molto "naturale", forse perché ci ho messo il lasso di tempo che ci mette una quercia a fare ghiande per finirlo (°V°)
Infatti devo chiedere pubblicamente scusa alla mia dolce metà, ma… alla fine ce l'ho fatta!
Mi sono presa la libertà di considerare alcuni eventi come descritti nei fumetti e non come si vedono nei film, che, per quanto possano essere belli (maddove?!), non superano comunque la loro primaria fonte di ispirazione!
In più, nei comics i momenti Steve/Tony non si contano… ;D
Basta, non vi annoio più del dovuto e vi lascio alla vostra lettura- un bacio gigante!
Iron Heart, half of the Superhusbands.
P.S. Qui potete trovare la canzone associata a questo capitolo ♥




Il sole delle dieci di mattina sbatteva violentemente su tutto ciò che trovava, come a rivendicarne il possesso tentando di inglobare oggetti e persone.
Tony Stark si era ben protetto dietro ad un paio di lenti Transition, che nel bel mezzo di Union Square in pieno centro di NY, avevano formato uno scudo intorno ai suoi occhi, impenetrabile anche ai raggi che scivolavano quatti quatti tra i grattacieli, oltre che agli sguardi delle persone che, passando, non riuscivano a fare a meno di buttare l’occhio.
Normalmente il newyorkese tipo si era abituato a badare soltanto a sè stesso, noncurante di qualunque personalità stravagante potesse incontrare, cosa che, d’altronde, nella Grande Mela capitava una volta ogni cinque metri, di media, nell’ordinaria, faticosa giornata di un cittadino metropolitano.
Eppure, Tony lo ammetteva, sarebbe stato quasi un sacrilegio non girarsi ad ammirare lo smagliante sorriso di Steve Rogers, o Capitan Calzamaglia, a seconda delle opinioni.
Sembrava andasse ad energia solare - e non aveva nulla a che vedere con la stella del nostro sistema, quanto più con la personalità del Capitano.
Ogni tanto quel sorriso affondava i denti in un croissant che spargeva fiocchi di sfoglia e zucchero a velo nell’etere, facendo sogghignare Tony, immerso fino al naso nel suo cappuccino doppio espresso con schiuma extra. I resti di un ciambella - qualche scaglia di glassa - giacevano su un piattino, accanto alla sua mano che tamburellava un ritmo cangiante e irriconoscibile sul tavolo.
– Non potresti toglierti quegli occhiali? –
Quello scatto risentito lo fece tirar su subito a sedere, la schiena incollata alla sedia in una delle più primitive posizioni di autodifesa. Tony si era preparato una lunga controargomentazione da esporre per qualsiasi cosa avesse osato criticargli, e non si sarebbe perso per nulla al mondo il momento di esporla in grande stile.
Non se ne capacitava neanche lui, di come lo SHIELD fosse riuscito a tenerlo segregato per tre giorni senza che provasse neanche a protestare, e probabilmente anche Nick Fury, da qualche parte nel mondo, stava tirando un sospiro di sollievo.
Eppure era stata una delle scuse più dolci che gli avessero mai fornito per staccare dal lavoro. Non era mica colpa sua, ce l’avevano trascinato loro lontano dalle preoccupazioni.
Ma che questo lo alleggerisse di un enorme peso, Tony Stark non l’avrebbe mai ammesso.
– Mi tenete segregato in un bunker per 3 giorni, senza caffè e sottolineo senza caffè, mi impedite qualsiasi contatto col mondo, estraniandomi da una casa che un tempo era anche la mia, mi fate uscire soltanto oggi, alle prime luci della mia alba personale, e pretendete che non porti gli occhiali? – ...pausa ad effetto, tanto per dare al senso di colpa per aver anche soltanto osato porre quella domanda il tempo di infiltrarsi.
– Volete forse che mi bruci la retina? – massima serietà e teatralità.
Era cruciale concludere con la massima serietà possibile, altrimenti tutto sarebbe crollato miseramente alla prima occhiataccia. Di solito, infatti, Pepper liquidava ogni suo istinto da avvocato mancato con un'alzata di occhi al cielo e un sospiro esasperato.
Fu per quello che Tony perse un colpo, sgranando gli occhi per una frazione di secondo, quando Steve, con un'aria vagamente impressionata, si affrettò a rassicurarlo: - No, no, certo che no! - Sembrava quasi scandalizzato, in un modo che a Tony fece anche un po' di strana tenerezza.
Lì si rese conto che, in fondo, non lo conosceva affatto.
E dire che teoricamente avrebbero dovuto essere una squadra.
Tony lo osservò guardarsi attorno, pensieroso e un po’ preoccupato, fregandosene del caffè che gli bruciava crudelmente la lingua e ingollando quel che ne rimaneva in un solo sorso.
– Vieni. –
L'occhiata spaesata di Steve non fece altro che far avvalorare la sua tesi.
La sua figura era stata creata per la guerra, nella guerra, con la guerra. E senza questa?
Chissà come doveva sentirsi lui, che non aveva neanche un’epoca in cui avere problemi, per cominciare.
– J.A.R… oh. – Tony si bloccò a metà azione, sul punto di alzarsi dalla sedia.
Già, quei simpaticoni dello SHIELD lo avevano privato anche del suo amico più fidato. Ogni volta che se ne ricordava era un duro colpo.
Magari faceva parte di un qualche piano di Fury per insegnargli qualcosa. Fino a quel momento l'unica abilità che aveva dovuto rispolverare era stata la capacità di fare il caffè alla vecchia maniera, usando la caffettiera. Pazienza, lo SHIELD ne aveva una in meno ora, ma aveva in compenso guadagnato un muro estremamente artistico.
A quanto pareva, però, quel giorno gli sarebbe servito anche il senso dell’orientamento. Poco male, quel posto gli era rimasto tanto impresso, dalla prima volta che ci era andato, da non essere riuscito a dimenticarsi dov'era neanche volendo.
Ci volle qualche minuto in più, ma la mappa che Tony si era creato in mente, sebbene molto più spiegazzata di quelle a cui era abituato, non fallì e ce li portò davanti.
Ea proprio un negozietto che sussurrava "vecchio" a pieni polmoni, rantolando un po’, "vecchio" nel senso buono, di ricordi quasi svaniti e di polvere onnisciente e silenziosa.
Tony spinse la maniglia, girandosi un'ultima volta come una maestra in gita per controllare se Steve ci fosse. Era stato bravo e fedele come un cagnolino e non lo aveva lasciato neanche un secondo. Ma che bravo.
La campanella rivelatrice appesa dietro la porta tintinnò, quando Tony fece finalmente forza, venendo investito da un odore terribilmente familiare.
Sgranò gli occhi, inspirando a pieni polmoni, e si rivide di nuovo, a sei anni compiuti da poco e due denti caduti da ancora meno, che stringeva spasmodicamente la mano di sua madre, inginocchiata accanto a lui con un sorriso dolce.
 

– Tony, ti piace questo disco? –
– ...Gnò! –
– Maria, andiamo! Non abbiamo mica tutto il giorno, lo sai! –
– Sì, Howard, un attimo soltanto... –
Aveva un sorriso così bello, così brillante da sconfiggere qualsiasi buio.

 
 
– Tutta la mia collezione di vinili natalizi proviene da qui. –
Tony sembrava quasi soddisfatto, un bambino orgoglioso del suo album di figurine.
Figurine rotonde, nere e stranamente grandi.
Era tutto quello che c'era in quelle due stanzette da pochi metri quadri; innumerevoli vinili impilati su scaffali, infilati dentro casse, placidamente dormienti negli angoli.
Un grosso giradischi troneggiava in mezzo alla stanza, la puntina appoggiata al bordo di un disco scintillante. La polvere sembrava volteggiare dappertutto senza mai posarsi da nessuna parte.
Steve si ritrovò a sfiorare con la punta delle dita le custodie dei dischi in un batter d’occhio, ancora prima di essersi reso davvero conto di dov’era.
– Ora ti senti appena un po’ più a posto di quanto voglia farti credere Fury? –
La domanda di Tony forse non aveva bisogno di risposta, magari era solo un dolce, indolore modo per fargli capire che non era l’unico con dei problemi, ma Steve non potè fare a meno di annuire istintivamente, stringendosi nella giacca di pelle.
Tony gli sfiorò una spalla delicatamente, mentre gli passava dietro in punta di piedi, sullo scricchiolìo delle assi di legno del pavimento, e scompariva nella saletta accanto.
L’unico suono che riscosse Steve dalla riflessione in cui era piombato fu una voce gracchiante ma viva, come appesantita anch’essa da tutta la polvere di quel luogo.
– Ragazzo, te lo regalo! –
– Oh, non ce n’è assolutamente bisogno. –
– Insisto! Qualche mese fa, poi, ho trovato... – la voce si abbassò, per conferire una segretezza invisibile ad un messaggio che forse orecchie anziane sentivano molto più basso di come era in realtà. – ...due bigliettoni da cinquecento infilati dentro un vecchio vinile di... di “Star Spangled Man with a Plan”, ecco cos’era! Devo sdebitarmi con il Dio benefattore, devo, capisci, giovanotto? –
A definire “giovanotto” uno come Stark, il proprietario del negozio doveva essere davvero un vegliardo.
Preso dalla curiosità, che lo aveva abbandonato per un solo istante quando era entrato là dentro, sentendosi di nuovo padrone del luogo in cui si trovava per la prima volta dopo un po’, Steve mosse qualche passo nella stanzetta sul retro.
– Caspita! E tu da dove sbuchi fuori? –
A giudicare dal ghignetto sul volto di Tony, era immensamente divertito dalla sua convinzione.
– Stavo giusto parlando di quel vinile, ma... sei proprio uguale a Capitan America, tu! –
Da un precario piedistallo fatto di libri, il vecchietto si tirò su, per andare a toccargli una guancia, non senza un discreto sforzo, siccome probabilmente ci sarebbe arrivato male anche salendo sulle spalle di Tony. Steve non ebbe neanche il tempo di rimanere sconvolto, perchè trenta secondi dopo lui era già schizzato nell’altra stanza con un’agilità sorprendente, lasciando i due temibili Vendicatori a guardarsi, cercando di non scoppiare a ridere per l’assurdità della situazione.
Quando tornò due minuti dopo trotterellando allegramente, stringeva fra le mani vittorioso un disco più largo di lui, che quasi lo superava in altezza: stampata sulla copertina, in mezzo a stelle, strisce e donne ammiccanti, non c’era niente di meno che la figura di Capitan America in persona, alquanto rassicurante.
– Questo, invece, è per te! – il vecchio glielo porse con una sicurezza tale che Steve non potè neanche pensare di rifiutarlo. Si girò a guardare Tony, che gli sorrise incoraggiante, stringendo sottobraccio un altrettanto enorme vinile di chissà che cosa.
– Oggi avete rallegrato la mia giornata! Ve li meritate, figlioli! –
 
Con la benedizione del “magico vecchietto”, come Steve aveva scoperto che Tony era solito chiamarlo, se ne erano andati da quel posto, con grande dispiacere sia del Capitano che del vecchietto stesso, che aveva ritrovato il suo eroe di gioventù e non l’avrebbe lasciato mai e poi mai se non con la promessa di un’altra visita.
Tony aveva dovuto promettere anche a Steve che sarebbero tornati di nuovo, prima di soffiargli via la polvere dal naso ed ammirare quel pezzo d’antiquariato che stringeva sottobraccio.
– Wow. Penso che una cosa così valga un bel po’, ma sono felice che sia nelle mani del suo legittimo proprietario. – accennò addirittura un’occhiolino, prima di sopprimerlo per lo sguardo stranito di Steve.
– Scherzavo! Immagino che la propaganda non sia stata esattamente la tua parte preferita... –
Tony era fatto così. Gli piaceva ricordare i momenti, belli e brutti.
Magari il vinile di canzoni natalizie che stringeva sottobraccio era un piatto di bei ricordi pronto all’uso.
– La tua parte preferita del Natale sono le canzoncine romantiche, invece? –
C’era giusto un pizzico di acidità nella domanda di Steve, tanto da far spuntare un sorrisino compiaciuto sulla faccia di Tony, ma il resto era tutta sana e genuina curiosità, oltre a una buona dose di “cambiamo-argomento-per-favore”.
– Sono l’unica cosa del Natale che non è diventata sempre più eccentrica e materialista col passare degli anni, diciamo che la penso così. –
– Oh, beh, anch’io. Quando l’America era in guerra... oh, Dio, sembro così anziano.
– Non è affatto vero. Io fisicamente sembro molto più vecchio di te, e non credere che la cosa mi faccia piacere. – Tony si schiarì la voce. – Quando l’America era in guerra...? –
– ...Quando eravamo in guerra, passai un ultimo Natale a casa prima di essere scoperto dal dottor Erskine. Strano ma vero, Jingle Bells è il mio punto di connessione col presente. Mi è capitato di risentirla, qualche giorno fa, e mi è tornato in mente tuo padre, sai? La teneva sempre in sottofondo in laboratorio... –
Steve si ridusse a pensieroso, continuando a camminare, fermato prontamente dal braccio di Tony ad un secondo dall’essere travolto da un taxi frettoloso.
– Ci sono ancora più macchine a New York, incredibile, vero? – Tony dovette urlare il suo sarcasmo per sovrastare il rumore del traffico, ora che un paio di passanti veloci li avevano divisi mentre attraversavano la strada.
– Fin da quand’ero piccolo, mio padre ha sempre collezionato vinili, soprattutto quelli di canzoni di Natale. Ogni anno voleva comprarne uno nuovo, di solito andavamo tutti e tre in quel negozio, ma alla fine era sempre mia madre a scegliere. – Tony scrollò le spalle, come a buttar via anche il ricordo.
– Ora... – proseguì, – se, e sottolineo se, per ipotesi, avessi un laboratorio in cui lavorare, metterei anche questo meraviglioso vinile appena ricevuto... assomiglio abbastanza a mio padre per rievocare il ricordo? –
– Sei uguale. – Steve rispose senza nessuna esitazione.
Si rese conto dopo che forse per Tony non era esattamente un complimento, ma lui lo intendeva esattamente così.
– Anche tu sei una specie di Jingle Bells. – si affrettò ad aggiungere.
L’occhiata interdetta che Tony gli lanciò, una delle migliori, con un sopracciglio alle stelle e l’altro corrugato quasi fin sopra l’occhio, gli fece capire di non essere stato particolarmente chiaro.
– La prima voce che ho sentito quando mi sono svegliato era la tua, che blateravi qualcosa a proposito di shock elettrico o quel che era. Il mio primo pensiero è stato “Per fortuna sono vivo e vegeto, pochi minuti e Howard mi avrebbe dato la scossa senza pensarci due volte!”... poi ho scoperto che eri suo figlio e io ero in ritardo di circa settant’anni, ma... intanto la tua presenza mi ha rassicurato un po’, ecco. Speravo nei geni, ma sono stato tradito. – Steve si lasciò andare ad un sorriso sornione. Sempre in guardia.
– Direi proprio di sì. – Tony sembrava addirittura più deciso di lui.
Steve sorrise in silenzio, guardandolo stringere le labbra e accelerare il passo in quell’espressione di ripicca offesa che, glielo doveva concedere, era tutta sua.
Poi si sentì afferrare per la manica e trascinare fino all’angolo della strada. Il muro di mattoni rossi non era particolarmente confortevole, ma almeno lì non rischiavano di essere travolti, nell’ordine, da una donna con una cascata infinita di minuscole treccine, un ragazzo vestito di fucsia sgargiante dalla testa ai piedi e un individuo infilato in un pennuto vestito da pollo che distribuiva assaggi gratis.
Steve non si era ancora abituato alla varietà e soprattutto alla particolarità del popolo newyorkese, ma, dopo aver perso dieci simbolici dollari contro Nick Fury, non aveva osato scommettere di nuovo.
In più molte cose andavano soltanto... aggiornate un po’, ecco.
Come, ad esempio, il cinema che gli stava davanti: c’era anche ai suoi tempi, si era semplicemente evoluto fino a diventare un mostruoso multisala 4D con ogni tipo di esperienza sensoriale, sfumatura di colore e dettaglio di profondità possibile!
– Steve, pronto? Ventunesimo secolo chiama Rogers! –
L’istinto di mettersi in riga e portare una mano alla fronte nel saluto militare fu subito soppresso, magari grazie alla parola ‘ventunesimo’.
– Bravo soldatino! Mi stavo chiedendo se avessi voglia di andare al cinema, dato che lo stai fissando da almeno due minuti con aria assente. Ti devo avvisare però che i bei film, quest’oggi, sono delle vere perle di rarità. – borbottò Tony.
– Allora? Beh, sai cosa ti dico? Chi tace acconsente.
L’espressione di vittorioso trionfo sul volto di Tony non gli lasciò scampo.
Steve ebbe il tempo di interrogarsi per un paio di secondi sul suo potere decisionale prima di essere di nuovo trascinato dall’altra parte della strada.
 
Un discreto film e quattro cheeseburger dopo, Steve aveva scoperto di condividere con Tony più cose di quante credesse e di differirne in altrettante.
Oltre al debole per le canzoni natalizie, avevano in comune anche la passione per i mastodontici panini americani e l’odio viscerale per i film horror splatter, l’uno per semplice ipersensibilità, l’altro per poca fedeltà a quella che era la sua tanto amata scienza.
Ah, già, Steve Rogers non avrebbe mai toccato alcool in quel che rimaneva della sua vita, mentre Tony Stark non riusciva ad andare a dormire sereno, in quel periodo della sua vita men che meno, senza un goccio di qualche “superalcolico stordente”, come definiti dall’unica persona al mondo immune alle sbronze.
– Felice di essere la tua Jingle Bells, comunque. – furono le ultime parole che entrambi udirono, biascicate, prima di crollare su poltrona e divano.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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