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Autore: queen of night    08/12/2007    4 recensioni
Era stata una stupida: non avrebbe dovuto dargli quello schiaffo, anche se lui stava esagerando. Ora si sentiva in colpa e anche arrabbiata. In colpa, perché non avrebbe voluto mollargli quel manrovescio. Chissà se gli aveva fatto male. Forse gli era rimasto il segno delle dita? Dopo il ceffone, l’aveva guardata stranito, ma non offeso. E poi era arrabbiatissima con se stessa perché si sentiva in colpa, ingiustamente. Insomma, ogni cosa era successa perché Daniel l’aveva svegliata nel cuore della notte. Questo era stato l’evento scatenante di tutto il resto, quindi era davvero ingiusto che ora lei si sentisse così.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mordicchiava assorta l’estremità tonda della matita. Se ci fosse stato suo padre in quel momento, l’avrebbe di certo sgridata, ripetendole più volte quanto fosse tossica quella specie di vernice con cui la matita era rivestita!

Davanti a lei stava un libro aperto.

Perché, cielo santissimo, l’autore doveva usare dei giri di parole così lunghi e assurdi per esplicare un semplice principio giuridico?

Era troppo complicato quel testo!

Sbuffò. Il suo piano di studio giornaliero prevedeva che ne leggesse a fondo almeno una ventina di pagine.

“Forza e coraggio!” si disse, risoluta. Si concentrò al limite dei suoi neuroni e lesse ancora qualche riga. Dopodiché chiuse il tomo con fare seccato.

Oggi non è giornata, pensò. E, in effetti, è proprio una brutta giornata, concluse, vedendo il cielo fuori dalla finestra diventare ancora più tetro.

Sospirò e sprofondò sulla sedia quel tanto che bastava per appoggiare la testa allo schienale. Chiuse gli occhi per riposarsi un po’ e alla fine quasi si addormentò in quella scomoda posizione. Più che dormire, potremmo dire che la sua mente vagava tranquilla in contorti pensieri e il suo cervello si era completamente sconnesso dalla realtà.

Infatti la ragazza non sentì il portone di casa che si apriva e richiudeva subito dopo. Non si accorse dell’entrata di qualcuno nella camera adiacente alla sua (e pensare che quei muri sembravano fatti di carta, quanto a capacità di attutire i suoni e i rumori!). Non si risvegliò dal suo stato, pressoché catatonico, nemmeno quando un’imprecazione giunse forte e chiara dalla cucina.

Tuttavia non poté fare a meno di accorgersi della porta della propria camera che si apriva di botto, quasi sbattendo.

Saltò in piedi con le pupille dilatate e il cuore a mille. Odiava essere “svegliata” in quel modo. Anche perché era una che si prendeva facilmente paura per quel genere di cose. Detestava la gente che le poggiava la mano sulla spalla, quando era girata dall’altra parte e assorta nei suoi pensieri. In pratica detestava essere riportata in modo brusco alla realtà in qualsivoglia maniera!

“Ehi… stai calma! Avevi la testa tra le nuvole come al solito?” chiese con poco garbo una voce maschile.

“Fanculo, idiota! Non lo fare più! Si bussa prima di entrare nella camera di una ragazza!” e così dicendo afferrò uno dei mille peluche che aveva sul letto e glielo sassò contro.

Lui scartò di lato, evitando un orso marrone chiaro, che mangiava miele da un barattolo.

“Ragazza, eh? Però hai ragione…”. Cosa? Le dava ragione?

“Meglio che bussi d’ora in poi, altrimenti potrebbe capitarmi di vederti in mutande! Che brutto spettacolo!” disse, facendo una smorfia disgustata. E ti pareva che non la offendesse!

Questa volta il biondo non riuscì ad evitare un coniglietto rosa che gli arrivò in piena faccia.

“Sei un bastardo! Vattene dalla mia stanza!” urlò lei, adirata.

Il ragazzo la fissò per interminabili secondi con uno strano sguardo, tant’è che un brivido percorse la schiena di lei. Cosa cavolo voleva adesso quello stupido?

“Eh… mia cara Andrea…” le disse, mentre si chinava a prendere il peluche-proiettile. “Dovresti essere più femminile…” la rimproverò, sorridendole. Non mi piace, pensò la ragazza. Solitamente Daniel gliel’avrebbe fatta pagare il doppio.

“Per insegnarti ad essere più carina col sottoscritto, devo proprio punirti” disse, facendo lentamente dei passi indietro.

Solo troppo tardi lei capì le sue intenzioni.

“Non ti azzardare!” urlò prima di corrergli dietro. Ma lui si era già rinchiuso in bagno col coniglietto e Andrea poteva prendersela solo con la porta.

“Ti uccido se fai qualcosa a Pinki!” lo minacciò, mentre picchiava il povero ed innocente uscio che la separava dal ragazzo.

“Pinki? Hai quasi ventiquattro anni e dai ancora i nomi ai pupazzetti? Cresci!” disse la sua voce, che giungeva leggermente ovattata alle orecchie di lei.

“Ce l’ ho da quando ero piccola! Ci sono affezionata, capito?!” gridò, isterica. Maledizione, Pinki era un regalo di suo padre!

In quel momento il portone di casa si aprì nuovamente. Un ragazzo ben vestito e curato si affacciò nel corridoio che dava alle due camere e al bagno.

“Andy, vi si sente urlare dalla tromba delle scale! Volete finirla di dare spettacolo agli altri condomini? Lo sai che le pareti di questa casa hanno il potere di amplificare i rumori!” sbuffò il tipo, sconsolato.

La ragazza lo fissò con l’espressione di un cane dispiaciuto del guaio appena combinato.

“Scusami Al, ma quell’idiota mi ha disturbata mentre studiavo e ora tiene in ostaggio uno dei miei peluche! Temo lo stia violentando!” disse, incrociando le braccia al petto.

Il ragazzo sospirò e andò ad appoggiare la valigetta di pelle in camera sua. La stessa camera che condivideva con Daniel.

“Adesso ci penso io” proferì, dopo aver buttato il cappotto sul letto. Andrea notò come il ragazzo fosse immancabilmente vestito con semplice eleganza e buon gusto. Dopotutto aveva da poco cominciato il tirocinio in uno studio legale; quindi era ovvio ci tenesse a presentarsi al lavoro con un certo aspetto. Albert, Al per gli amici, era sempre stato così, anche quando era solo una matricola.

Forse era per l’educazione ricevuta, pensò Andrea. L’amico era nato in una famiglia altolocata, discendente da un ceppo nobiliare, e aveva ricevuto da essa un’impronta notevole. Lo si poteva notare quando mangiava, per esempio: non toccava mai il cibo con le mani, qualunque esso fosse. Per essere un esponente del sesso maschile era straordinariamente pulito e ordinato. A volte sembrava lui la “donnina” di casa, diceva Daniel.

Proprio in quell’istante il biondo uscì dal bagno.

“Rilassati, Al. Sono uscito da solo” disse, raggiungendo l’amico in camera loro. Quando passò vicino ad Andrea la urtò apposta con una spalla.

Lei stava per dargli un calcio nel didietro, quando un braccio la bloccò.

“Ragazzi, finitela qui. Sono stanco morto. Vi caccio di casa se non la smettete subito!”. Era raro vedere Al irritato; quindi la ragazza si calmò un po’. Anche perché poteva sbatterli davvero fuori dall’appartamento, dato che era di sua proprietà!

“Va bene. Scusami amico” rispose il biondo, dandogli una pacca sulla spalla. “Mi sono permesso di disturbare la signorina mentre studiava, per modo di dire, solo perché come al solito si è dimentica che toccava a lei fare la spesa!”. Andrea sussultò. Acciderbolina! Se n’era scordata!

“Mi spiace, ma quando sono uscita dalla facoltà i supermercati erano chiusi” si scusò.

“Non ti preoccupare, prima o dopo non cambia. L’importante è avere qualcosa da mangiare per cena. Sono solo le 17, fai in tempo” le rispose Al, con la consueta gentilezza.

“Suvvia Conte, basta scusarla. La vizi schifosamente! Non crescerà mai di cervello se continui ad essere così indulgente” sbottò il biondo con arroganza. “Conte” era il soprannome di Albert al liceo.

“Lo sai che non gli piace essere chiamato con quel nome, scemo! Ci vado ora a fare la spesa, ok? Prima o dopo non cambia” rispose Andrea prontamente. Daniel la guardò male.

“Se uno torna a casa stanchissimo con la speranza che troverà almeno il suo cibo preferito ad accoglierlo, sì, fa differenza eccome” obiettò il biondo, sfidandola.

“Scusami se non c’erano ad aspettarti i tuoi amati cereali del Capitano Chokki!” lo canzonò lei. Al si lasciò cadere esasperato sul suo letto.

“Svegliatemi quando tutto questo sarà finito”.

Daniel, nel frattempo, si era avvicinato ad Andrea in un secondo. Le era così vicino che la ragazza poteva benissimo vedere il proprio viso riflesso negli occhi nocciola di lui. Di nuovo quella sensazione. Quella tensione dell’animo. Quella scarica istantanea di adrenalina che le faceva battere il cuore a mille. Sentiva le gote prendere calore.

“Andy…” sussurrò lui. L’alito tiepido le carezzò una guancia. “Pinki sta facendo il bagnetto a mollo nel cesso”.

 

**

 

“Dannazione, che giornata orribile!” imprecò, mentre si metteva il pigiama. Non solo aveva faticato tanto per studiare, ma aveva anche preso la pioggia mentre tornava dal minimarket. E che pioggia! Sembrava quasi che qualcuno lassù in cielo avesse aperto miliardi di rubinetti, a giudicare da come cadeva l’acqua.

Risultato? Era tornata a casa zuppa e prontamente qualcuno l’aveva schernita.

“Che scema! Te l’avevo detto di prendere l’ombrello” aveva proferito Daniel, vedendola in cucina, mentre sistemava gli alimenti in frigorifero e negli armadietti.

“Sei troppo testarda” aveva concluso, dandole un buffetto, un po’ troppo forte per i gusti di lei, in testa.

Maledetto, maledetto, maledetto… ripeté Andrea dentro di sé. In quel momento era sicura di odiarlo al massimo delle sue forze. Lo capiva dal bruciore di stomaco. Le succedeva anche da piccola: ogni volta che qualcosa la faceva innervosire, i succhi gastrici cominciavano a ribollire e a farsi sentire.

Sbuffò, osservando Pinki sul termosifone. Dopo averlo lavato, l’aveva collocato là per farlo asciugare. Povero coniglietto, vittima della quotidiana lotta tra il biondo e la moretta.

“Don’t worry, Pinki! Ci vendicheremo!” gli disse.

Purtroppo quel piccolo e accogliente appartamento, che rispecchiava in tutto e per tutto i gusti di Albert, era spesso scosso dei litigi dei due ragazzi: Daniel si divertiva immensamente a provocare Andrea con battute e frecciatine di ogni sorta e l’orgoglio di lei non le permetteva di non reagire. Cosa che rendeva Daniel soddisfatto e ancor più voglioso di irritarla. Intavolavano così una discussione in cui lui, con i suoi giri di parole e i suoi ragionamenti corretti, la metteva in condizione di non saper più cosa obbiettare. E il ragazzo adorava metterla verbalmente con le spalle al muro. Il suo senso di superbia veniva in tal modo appagato.

A quel punto di solito interveniva Albert, con la minaccia di sbatterli fuori di casa, anche se non l’avrebbe mai fatto per davvero: ormai erano quattro anni e mezzo che conviveva con quei due e si era abituato a loro, tanto quanto ai continui bisticci. Erano così anche al liceo e sospettava lo sarebbero rimasti per sempre.

Eppure Albert non pensava che i due si odiassero per davvero. D’altro canto non aveva mai capito perché si divertissero a comunicare a quel modo. Una civile conversazione non sarebbe stata più costruttiva?

Mentre faceva questi pensieri, vide Andrea entrare in cucina. Indossava un pigiama con disegnato sulla maglia un porcellino che dormiva e la scritta “I love sleeping”. Era buffa.

“Al, preparo della camomilla, la vuoi?” gli chiese, mentre afferrava la propria tazza dallo scaffale.

“No, grazie. Finisco di leggere queste carte e scappo da Maria”. La ragazza annuì, chiudendo lo sportello del microonde. Un minuto sarebbe bastato per scaldare l’acqua.

“Come mai la camomilla? A te non piace” notò lui, sistemandosi gli occhiali sul naso. Erano amici da così tanto, che conosceva perfettamente i suoi gusti.

“Mah… mi duole lo stomaco. Mia nonna dice che bere quella roba rilassa” rispose, svogliatamente.

Albert abbandonò la lettura.

“Sei nervosa per via di Daniel?” le chiese, diretto. Andrea sbuffò.

Ding.

Aprì il microonde e prese la tazza. Mise a mollo il filtro che racchiudeva i semi profumati, poi si voltò verso l’angolo in cui stava il tavolino tondo. Guardò l’amico, scocciata.

“Ammetterai che è stressante. Mai una parola carina. Sempre con quel sorrisino strafottente. Mi prende in giro continuamente, senza che io faccia nulla” spiegò lei. Ora si sarebbe ripetuto lo stesso discorso di ogni volta, pensò lei.

Mi dirà che devo essere superiore e che devo smettere di rispondergli, così lui sarà insoddisfatto e poi starà zitto, meditò.

“Francamente, Andy, dovresti essere superiore a queste cose. Fai l’indifferente alle sue provocazioni. Vedrai che la smetterà” disse Albert, non capendo per quale motivo ora l’amica avesse assunto la tipica espressione da “lo sapevo”.

 

 

**

 

 

Mercoledì. Ore 12.30 circa.

Andrea ripose in borsa il quaderno in cui aveva preso appunti quella mattina. La lezione era finita e tutti si stavano alzando per uscire dall’aula.

Si guardò in giro. Sembrava cercare qualcuno. Ed effettivamente lo stava facendo. Cercava il suo ragazzo. Sì, perché lei lo considerava tale, anche se lui non l’aveva mai chiamata “la mia ragazza”. Dopotutto si frequentavano ormai da un mese. Quindi era naturale pensare che stessero insieme. O no?

Si domandò mentalmente perché alla sua età doveva ancora avere le stesse paranoie di quando era un’adolescente.

Assorta in quelle riflessioni non si accorse di un biondino, da poco entrato nell’aula, che le si avvicinava.

Si rese conto che l’oggetto dei suoi pensieri era lì, solo quando questo si chinò per darle un bacio. Al solito lei si prese paura e schizzò in piedi.

“Harry, non lo fare più!” gli disse, con sguardo imbronciato. Davanti a lei stava un bel tipo, di media statura e con le spalle larghe. Gli occhi azzurri che la fissavano divertiti.

“Va bene, Andy, non ti bacerò mai più” disse, cercando di fare lo spiritoso.

“Hai capito a che mi riferivo” rispose lei, allacciando le braccia intorno al collo del ragazzo.

“Mi sei mancata ieri notte, piccola…” le sussurrò all’orecchio, facendole scorrere un brivido lungo la schiena. La sua voce era calda e sexy, leggermente roca. La faceva impazzire.

“Dov’eri?” gli chiese.

“In sala lettura a studiare un po’… mangiamo insieme?”.

Andrea stava per rispondergli con un “ma certo!”, quando si ricordò che era mercoledì. Ovvero l’unico giorno della settimana in cui Albert tornava per pranzo. E anche lei, di conseguenza. Perché di conseguenza? Se fosse rincasata a quell’ora il lunedì, per esempio, avrebbe dovuto mangiare da sola con Daniel. E lui di solito aveva l’incredibile potere di farle passare l’appetito. Mentre se c’era anche Albert, perlomeno poteva stare tranquilla e pranzare in santa pace.

Probabilmente stavano già cucinando e non poteva dir loro all’ultimo minuto che non sarebbe tornata. Daniel ne avrebbe approfittato per dirle qualcosa di cattivo.

“Mi spiace, ma mi aspettano a casa. Stiamo insieme stasera ok?” propose infine, scostandosi da Harry e prendendo la borsa, dalla sedia lì vicino.

“Va bene, però ci sarà il mio compagno di stanza” precisò lui. Harry abitava in uno studentato e divideva la camera con una matricola più giovane.

Andrea gli sorrise, maliziosa.

“Mai provato il sesso a tre?” disse, pungente. Sapeva che quel genere di battute piacevano al ragazzo. Ed infatti lui ricambiò il sorriso.

“Piccola, almeno facciamolo con un'altra donna!” sbottò, regalandole quello sguardo sensuale che solo lui aveva.

“Scemo!” disse Andrea, prima di scoccargli un bacio ed uscire dall’aula.

 

 

**

 

 

Quando aprì la porta di casa, la accolse un buon profumino di sugo.

“Sono tornata!” disse ad alta voce. Poggiò le sue chiavi sulla mensola stante nei tre metri quadri che fungevano da ingresso. Notò che ve n’ erano sopra altri due mazzi. Segno che era l’ultima a rincasare.

“Bentornata!” disse Albert, quando Andrea entrò in cucina.

“Che bello! Adoro quando prepari tu da mangiare!” esultò, vedendo il ragazzo vicino ai fornelli. Osservarlo cucinare era un piacere per qualsiasi donna. Era fisicamente di bell’aspetto, con quei capelli neri e gli occhi verdi. Alto e asciutto. Vestito con i soliti pantaloni ben stirati (da lui stesso), camicia e golfino con scollo a V. Roba da far sospirare qualsiasi madre, a cui la figlia l’avrebbe presentato.

Cucinava sicuro e preciso. Andava ad occhio per le dosi e tutto quello che faceva, fossero anche stati dei semplici spaghetti col sugo di pomodoro, come in quel caso, risultava buonissimo.

Con quel grembiulino, inoltre, era ancor più uno spettacolo.

Andrea si era seduta al tavolino e lo fissava, facendo questi pensieri, quando arrivò anche il biondo. E lei fece un’espressione disgustata.

“Piccola Andy!” la salutò, arruffandole i ciuffi della frangia. Cosa che lei odiava!

“Non chiamarmi piccola e nemmeno Andy! Quello è un diminutivo che possono usare solo i miei amici!” disse, sistemandosi i capelli.

Daniel fece un finto sguardo offeso. Un palese finto sguardo offeso.

“Oh baby, ma tu mi spezzi il cuore!”. E scoppiò a ridere per il tono con cui Al l’aveva guardato accigliato.

Andrea all’inizio stava per ribattere, ma poi si rilassò nel sentire la sua risata allegra. E si ritrovò anche ad arrossire. Per fortuna che Daniel si era girato di spalle per assaggiare il sughetto nel pentolino.

La ragazza ne approfittò per sgattaiolare in camera sua.

Uffa, ma perché aveva queste reazioni a volte? Le capitava ormai da parecchi mesi. Rossori. Battiti accelerati. La bocca dello stomaco che si chiudeva, come stretta in una morsa…

Conviveva con lui da anni, lo conosceva dalle elementari e lo frequentava dal liceo, dato che appartenevano entrambi allo stesso gruppo di amici. Perché, acciderbolina, solo negli ultimi tempi provava questi strani effetti? In altri casi avrebbe detto di essersi presa una cotta per lui, ma in quel caso, ciò non era assolutamente possibile. Primo perché litigavano dalla mattina alla sera. Secondo perché lei aveva Harry. E Daniel aveva Christina, Samantha, Charly, Veronica… e chi più ne ha, più ne metta! Quello sconsiderato usciva con metà popolazione femminile della città!

“Andy, è pronto in tavola” la avvisò Al da dietro la porta di camera sua.

“Arrivo!”.

Consumarono in pace il pranzo del Conte, guardando il telegiornale dalla piccola tv sedici pollici, acquistata in comune e piazzata in cucina sopra un mobiletto di fortuna. Grazie al cielo quella stanza era sufficientemente grande per mangiare comodi. Di certo i genitori di Albert, quando gli aveva regalo quel grazioso appartamentino non avevano pensato che lui potesse dividerlo con altre due persone. Ma all’epoca, secondo Al, quella camera da letto era sin troppo grande per lui solo e non usava mai la stanza adiacente, che era adibita a studio.

Così, quando aveva saputo che Andrea e Daniel cercavano alloggio nella sua stessa città universitaria, non ci aveva messo molto a trasformare la sua singola in una doppia e lo studio in un’altra camera da letto.

“Ragazzi, domani sera avete impegni?” chiese Albert d’un tratto. Entrambi lo guardarono incuriositi.

“Vedete, con Maria mi è capitato di dirle che non vivevo da solo e…” cominciò lui.

“State insieme da tre mesi e non le avevi ancora parlato di noi?” lo interruppe Daniel.

“Le ho parlato di voi, ma non del fatto che abitiamo insieme” rispose prontamente il moro.

“Lascialo finire!” intervenne la ragazza. In tutta risposta le fu lanciata una mollica di pane.

“Insomma, vi devo dire una cosa! State buoni!” sbottò Al. “Maria vi vuole conoscere” disse tutto d’un fiato. Preciso e diretto, proprio com’era da lui.

“Che onore” commentò Daniel.

“Non ne capisco il motivo, sinceramente, ma non gliel’ ho chiesto” ammise Al, pensieroso.

“Cioè?”.

“Vedi, Andy, il fatto è che non era la prima volta che vi menzionavo, ma lei non aveva mai mostrato il desiderio di conoscere i miei amici. Quindi la cosa mi pare strana…”. Il biondo batté una mano sul tavolo.

“Ma è chiaro!” affermò. “Carissimo Al, meno male che hai davanti a te uno specialista della psiche femminile” disse, gongolandosi di ciò.

Andrea alzò un sopracciglio, alquanto scettica.

“Spiegati meglio, Daniel”.

“Amico, Maria non vuole conoscerci entrambi. È una scusa per soppesare lei!”. E con questo prese il mento di Andrea tra il pollice e l’indice della sua mano, come per mostrarla.

La ragazza scostò prontamente il viso. Altrimenti sarebbe arrossita.

“Capendo che vivi con un’altra donna, vuole accertarsi che questa qui non sia un pericolo per lei” disse il biondo, compiaciuto della sua intelligenza. E in effetti egli era davvero intelligente. La sua era una mente scientifica e razionale. Doveva avere un Q.I. molto elevato, dicevano sempre i professori del liceo.

“Ma è assurdo, noi siamo solo buoni amici!” sbottò Andrea. Quella Maria aveva appena perso mille punti con lei.

Albert dal canto suo aveva finalmente capito perché tutta quell’insistenza da parte della sua ragazza per invitare a cena fuori anche i suoi più cari amici.

“È assurdo pensare che tu sia una minaccia reale” commentò Daniel ironico.

“Fanculo!”.

“Andy! Non sta bene per una ragazza essere così sboccata. Daniel, finiscila una buona volta di tormentarla”. Al faceva sempre da paciere. “Allora, ragazzi, posso contare su di voi per domani sera?” chiese nuovamente loro.

“Io vengo. Porto anche Colette”. Albert lo guardò interrogativo. “La sto aiutando a preparare la tesi di laurea, eh!” disse, come se quella frase volesse spiegare molto di più.

“Sì, e intanto te la porti a letto e la illudi, come con tutte” commentò Andrea, acida.

Daniel sorrise sornione. “Tutte meno una”.

Prima che la ragazza potesse ribattere, Albert la bloccò.

“Anche tu ci sarai, vero Andy?”.

“Sì. Porto Harry, così la tua ragazza si tranquillizzerà, vedendomi già impegnata”. Ottimo, pensò Al. Sarebbe stata una bella serata tra amici e Maria non sarebbe più stata gelosa di Andrea. Due piccioni con una fava, avrebbe detto qualcuno.

  
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