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Autore: Cap_Kela    08/12/2007    15 recensioni
-Sequel di UNTITLED-
C'è un'unica cosa che spetta per certo ad ogni uomo, ed è una Signora senza volto, avvolta nelle tenebre, che lo condurrà alla sua dipartita.
A Capitan Jack verrà data la possibilità di sfuggirle ancora una volta, ma la sua scelta potrebbe portare al trionfo o alla fine di tutto ciò che abbiamo conosciuto.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hector Barbossa, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Sorpresa, Will Turner
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'UNTITLED'
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Capitolo 6

Ferita dell’animo.

 

Drawstring.

 

Durante la notte, come previsto, attraversiamo l'isola costeggiando un area piuttosto tortuosa.

Al sorgere del sole giungiamo al porticciolo dove ci attendono Juan e Robert, gli uomini incaricati da Jack per recuperare il suo ordine.

I due pirati salgono a bordo, come programmato con il pacco richiesto dal Capitano che si assicura venga riposto nella stanza da lui indicata.

Osservandoli bene sono certa di non aver mai conosciuto entrambi!

Mi trovo sul castello di prua intenta ad armeggiare col sartiame, è ancora presto e sul ponte regna un’atmosfera tranquilla, Andrè in cucina può benissimo cavarsela da solo con tutta calma.

Ormai sono diventata abbastanza abile in questi lavoretti manuali, riesco persino a intrecciare le cime con una discreta velocità senza guardare quello che faccio proprio come sto agendo in questo momento.

E poi mi ricorda tantissimo come prendeva seriamente anche una piccola cosa come questa il mio dolce Dylan.

In delle corde di canapa consumate rivedo le sue manine arrossate dal ruvido cavo, che si insinuano benissimo nelle piccole fessure, realizzando con una facilità sorprendente anche un Gassa d’amante (nodo simile al cappio ma con una funzione diversa NdAutori) , e poi disfarlo come nulla fosse. Dio quanto mi manchi, piccolino.

A volte vorrei avere anche solo la metà del coraggio da te dimostrato, dove hai trovato tutta la forza per affrontare ciò a cui sei andato in contro con la tua scelta?

Ah, ma non temere. Un giorno troverò il modo per chiedertelo! La tua Mozzarella ti troverà ovunque tu sia.

Sono sopravissuta alla pistola del temibile Hayez Nick, non c’è nulla che mi possa fermare. Attraverserei a nuoto anche l’immenso mare dei nove cieli celesti per giungere fino a te.

Così tu, piccolo birbante, potrai essere il mio testimone di nozze. Io ti cucinerò le patatine fritte con il ketchup, le mangeremo insieme a Jack ed infine ci racconterai come te la passi nel tuo secolo lontano.

Sappi che non perderò la speranza di rincontrarti fin quando non avrò anche solo un’unica particella d’aria nei polmoni o la vitalità di un battito nel mio cuore!

Fantastico su questi miei desideri in silenzio, con un lieve sorriso sottilmente amareggiato che sfocia in qualche lacrima che non riesco davvero a trattenere.

So bene che il mio funghetto detesterebbe vedermi piangere, perciò porto una mano al viso per asciugarmele in fretta, ma il mio gesto viene ostacolato da un appiglio: l’intreccio nodale che sto creando si attorciglia a un sottile laccio nero che porto legato intorno al polso.

Ridacchiano divertita lo sciolgo e rimango a contemplarlo per un istante rammentando la scorsa notte:

“Tieni questo!”

“Che cos’è Jack, filo interdentale seicentesco che hai ricavato sfilacciando una vela della tua preziosa nave?!”

Ricevetti da lui un’occhiataccia sinistra, mentre dentro di me risi a più non posso, cercando di non darlo a vedere.

JACK: “No viziata saputella…”

IO: “Cosa?!? 3 parole 2 insulti? Sei scorretto!” ammonii ingiuriata.

JACK: “Pirata” ribadì orgoglioso con un sorrisino sornione.

Dopo riavermi messo il broncio, continuò in tono pacato: “Apparteneva al tuo coraggioso fratellino!”

“Cos…?” Mi si spezzò letteralmente la voce in gola mentre porsi la mano per prenderlo.

JACK: “L’ho conservato perché supponevo che ti avrebbe fatto pi-…”

“Grazie Jack!” l’interruppi quasi con gli occhi pieni di lacrime.

“Di nulla dolcezza.” Rispose dolcemente.

Nella commozione non riuscii quasi a tenerlo fra le mani, così affinché non lo perdessi il Capitano si preoccupò di tenerlo al sicuro intorno al mio polso.

“Questo filo intercostale come dici tu…”

“I-n-t-e-r-d-e-n-t-a-l-e Jack, interdentale! Non intercostale!” lo corressi ridendo.

“E io cosa ho detto?!” sbottò infastidito. “…Serve anche per ricordarti che al calar del sole sulla linea dell’orizzonte sei unicamente mia!”

Unicamente tua eh…

Argh, razza di gelosone sentimentale che non sei altro…! Non ti sei mai reso conto che lo sono dal primo istante in cui chissà per quale motivo sono incappata in una delle celle della tua nave?!

“HEYLA’!”

Un vocione alticcio mi fa sussultare notevolmente.

“Salve zuccherino…”

Zuccherino a chi?!?

Nonostante il viso arrossato e gonfio riconosco alla distanza di pochi passi da me quell’infame manigoldo di nome Albert che poco tempo fa si è permesso di contestare il mio poco amore verso il rhum coinvolgendo anche il povero Andrè che non ne aveva colpa.

Mi metto in guardia assumendo una postura più rigida e uno sguardo minaccioso, per quanto possa servire nei confronti di un ubriaco fradicio.

Compie squallidamente parecchie vedute complete del mio corpo, come se alla pari di Superman potesse vedere al di sotto dei miei vestiti, dopo di che inizia a parlare con voce impastata e sguardo ammiccante, stringendo con forza a se il bottiglione di liquore del tutto vuoto per l’eccitazione.

Se solo prova a sfiorarmi ho una gamba libera e pronta a sferrargli un calcio, dopo il quale si ritroverebbe un mio stivale in gola e almeno la metà dei denti che ora possiede!

ALBERT: “Posso…hic…Aiutarti magari, diciamo… Ad impiegare il tempo in miglior modo…?”

Perché nessuno mai di questa ciurma mi offre una tazza di the o che so io!?!

IO: “Siete ‘gentile’, signore. Ma come vede sono già ben occupata!” controbatto innervosita.

ALBERT: “Ne siete davvero certa, cara?” insiste avvicinandosi ancora un po’ di più, cercando di assumere una intonazione libidinosa.

Una sensazione di nausea m’invade, dalle narici percepisco il suo cattivo odore misto a sterco, cenere, alcool e sudore.

Diiiiiio mio, ecco perché questi tizi non vivevano a lungo: se li rinchiudevano tutti in una stanza morivano asfissiati, sono peggio dei lacrimogeni, sono armi a distruzione di massa!!!

Ok Jen, non vomitare non vomitare non vomitare, trattieni il respiro più che puoi e pensa a qualcosa!!!

“B-bhe…” balbetto cercando di tapparmi il naso, senza attirar l'attenzione.

Mentre cerco di allontanarmi a piccoli sforzi dalla sua nube maleodorante, abbasso lo sguardo a terra e scorgo il Gassa di diamante che ho intrecciato prima. Mi è venuta un’idea!

“In effetti… Potresti essermi utile tu per qualcosa…” sussurro suadente sbattendo più volte le ciglia.

ALBERT: “Davvero?!” controbatte stupito.

Mi sto per pentire amaramente di ciò che sto per fare, ma trovo sia l’unico modo per levarmi una latrina ambulante di dosso. dato che questo maledetto ponte quando serve è sempre vuoto. Dannazione!

IO: “Oh si, bel stallone [piano Jen, così esageri! Se lo viene a sapere Jack mi attacca una palla di piombo al piede…] “Avvicinati un pò di più…” esorto in un sussurro, muovendo avanti e indietro l’indice.

Non’appena compie un passo in più, il suo piede si attorciglia nel complicato nodo. Sei in trappola, puzzone!

Con uno strattone faccio in modo che si stringa intorno alla sua caviglia e quando lo è abbastanza, tiro ancora bruscamente la corda, in modo da far finire quel delinquente per terra a pancia all’aria.

Mi sento un po’ Indiana Jones, mi manca solo il cappello da Cow-boy.

Albert mugola dal pavimento qualche verso di dolore per la forte botta alla testa, anche se gli effetti inebrianti non gli fanno cogliere lucidamente il compiersi della mia azione.

IO: “Ben ti sta. Se fossi in te userei almeno una volta all’anno un briciolo di sapone. Sai, almeno per decenza!” suggerisco disgustata prima di abbandonare lì quel miserabile, ancora del tutto sconvolto e scosso, senza alcun minimo accenno di soccorso.

 

-

 

Really bad eggs.

 

Dopo una veloce colazione, dal ponte finalmente animato della Black Pearl si può vedere quel piccolo frammento di terra prender vita lentamente.

I pescatori hanno rimosso le reti da pesca già durante il nostro arrivo ed ora si dirigono, come noi, verso il mercato che è allestito nella piazza al centro del paese.

Io, Jack e altri cinque membri della ciurma siamo scesi a terra, doveva esserci anche il caro Albert, ma stranamente accusava un fortissimo mal di testa che ha riconosciuto come un effetto post-sbornia. Sono fiera del mio lavoro!

Camminiamo un po’ scompostamente per le strette stradine lastricate in pietra, seguiamo una sorta di flusso migratorio creato dall’eccedente via-vai dove tutti si accalcano per conquistarsi prima di ogni altro un angolo del mercato dove piazzare la propria bancarella o farvi visita.

Durante il nostro passaggio però succede qualcosa che mi ferisce profondamente: per raggiungere la piazza dobbiamo attraversare il centro abitato e qui ci imbattiamo per caso in dei ragazzini. Questa parte dell’isola sembra non essere particolarmente ricca, bensì piuttosto disagiata.

Non ho ancora avuto occasione di osservare i bambini di quest’epoca, mi ritrovo a soffermarci lo sguardo con un luminoso sorriso involontario.

Gli altri pirati proseguono, solo Jack vedendo che ho rallentato il passo mi aspetta paziente.

Quei giovincelli vestiti di pezze stanno giocando con una specie di trottola di legno molto arcaica, ma che loro si contendono un po’ a testa, ritenendola più prestigiosa del cibo.

Rallento fino a fermarmi dinanzi loro con aria trasognante, appoggiata distrattamente alla parete di un’umile casa.

Non hanno neanche dei scarponcini ai piedi, ma solo dei calzari di stoffa consunti e infangati, nei casi migliori, altrimenti sfoggiano dei piedini neri e callosi.

Giocano in un punto un po’ pericoloso: proprio in mezzo alla strada, luogo che non si può di certo dire sicuro e confortante, ma probabilmente è tutto ciò che hanno…

Sono molto vispi e attenti, seguono i movimenti circolari del giocattolo come se da quello dipendesse la loro vita stessa, e ascoltando i loro discorsi seppur storpiati da uno strano accento che non capisco perfettamente sembrerebbe che ci apportino delle specie di scommesse.

In palio c’è una buccia di frutta o un mezzo biscotto, non hanno altro per il quale ambire.

Improvvisamente uno di loro eletto “sentinella del gruppo” incrocia lo sguardo con il mio e sbianca in volto.

Tramortisco anche io per la sorpresa, che succede?

Il fanciullo di vedetta scuote tutti gli altri atterrito mantenendo lo sguardo fisso su di me. Quando assume l’attenzione generale, sussurra balbettante , in un accento che interpreto come spagnolo o messicano: “Pirata”.

Pirata io?!? NO! Oh si, Ne ho tutto l’aspetto a dire il vero.

Nel giro di un secondo quei 14 occhietti vispi che osservavo spensierata, ricordandone altri 2 uguali ai miei (Dylan NdAutori), sono incollati completamente sulla mia figura.

Chi di loro spaventato, tremante oppure solo zittito.

Sta di fatto che la mia mente farà fatica a dimenticare quei 7 sguardi colmi di terrore.

I miei arti si pietrificano e dallo stomaco mi giunge una fitta di dolore misto a dispiacere… Che cosa hanno fatto di così terribile i pirati a questi poveri bambini per farli reagire in tal modo?

Dischiudo la bocca per dire qualche parola che dovrebbe risultare rassicurante, ma ne fuoriescono solo suoni indistinti i quali non risolvono proprio nulla.

Jack interviene arrivando alle mie spalle, non’appena mi si avvicina i bambini afferrano le pochissime cose che possiedono e scompaiono come ombre negli stretti vicoli di West Caicos.

JACK: “Vieni, tesoro… andiamo. Ogni uomo che indietro rimane indietro viene lasciato!” sussurra crucciato una volta da soli, trascinandomi via per riprendere il passo del resto della ciurma.

Sono ancora confusa e del tutto mortificata, ma seguo l’esortazione del comandante senza tirarmi indietro.

Mi avvolge dalle spalle prendendomi sotto la sua ala custode e ci incamminiamo allontanandoci sempre più da quel stretto vicolo, diretti alla piazza principale.

Prima che sparisca dalla nostra visuale mi volto in fretta ad osservare ciò che ci lasciamo alle spalle: la stradina è ancora interamente vuota, a causa mia quei bambini non vi faranno mai più ritorno.

Riporto lo sguardo afflitto dritto di fronte a me, ma non riesco a tenerlo più alto della punta dei miei stivali.

La reazione di quei giovinetti mi ha lasciato un grandissimo vuoto e un senso di inadeguatezza quasi lancinante.

Essendo pirati sapevo di non essere ben visti dalla gente, li disprezzavo anche io che non dovevo conviverci nel mio tempo, ma non credevo così! Li temono come la peste…

Lascio che la mia nuca si pieghi lentamente fino ad appoggiarsi sul petto di Jack ricercando un soffio di sicurezza almeno in lui.

“Cosa intendevi con quella tua affermazione?” domando con tono spento di ogni emozione.

JACK: “Il codice dei pirati è chiaro!” sostiene spavaldo.

Il cosa?!

“Esiste un codice di voi pirati?!?” domando frastornata.

JACK: “E’ solo una sorta di traccia…” conviene chiudendo in fretta il discorso.

Non mi convince affatto, lo dice solo perché mi crede troppo ingenua. Oppure questo fatto non gli va particolarmente a genio, (infatti è così!!! Lol Riguardo paparino Teague :P NdCapitana) Jack Sparrow non è uomo da sottomettersi a precise regole, neanche se fosse Dio in persona a dettarle. Persino il suo cognome è una chiara allusione alla libertà!

Nel corso del tragitto, mentre ci avviciniamo sempre di più al mercato, noto che alcune case hanno subito dei gravi danni: segni evidenti di saccheggiamenti, vetri rotti, stanze devastate, porte diroccate…

Ora ho un’allettante conferma e motivazione della reazione a cui mi han sottoposta.

Anche se, riflettendoci bene… Le persone che vivono in questo luogo non dovrebbero essere abituate a scontrarsi spesso con certi individui? Come mai si sono spaventati in quel modo dinanzi a me, cosa sarà mai accaduto qui?

“…Secondo te… Per quale motivo quei bambini hanno reagito in modo così atterrito vedendomi?” domando al Capitano in un mesto filo di voce.

JACK: “Perché non hanno mai visto un angelo alla luce del giorno!” confuta guardandosi intorno evitando il mio sguardo.

Probabilmente nemmeno lui sa qualcosa di quest’isola, altrimenti me l’avrebbe riferito con il suo atteggiamento saccente.

IO: “Non è il momento di fare il sentimentale sai… Io sono seria!” l’avverto con una nota spazientita.

Finalmente abbassa la nuca su di me e mi rivolge un'occhiata eloquente: “D’accordo dolcezza, come vuoi tu!” stabilisce altezzoso.

Corrugo la fronte in un’espressione interrogativa, cosa vorresti dire?

JACK: “E’ perché… Siamo pecore nere, gente spietata…” canticchia con un vocione sorniona, mettendomi il sorriso.

…Trinchiamo allegri yo-ho!” conclude quasi saltellando sul posto giocoso, provocando in me una risata.

Ma io come devo fare con te?! Riesci sempre a dipingermi il riso sulle labbra, non si può tenerti il muso per più di dieci minuti. Come diceva Dylan sei l’uomo della mia vita e anche il più prezioso degli scrigni perché dentro di te racchiudi un bene prezioso: tutta la mia felicità!

Marciando ancora per pochi metri raggiungiamo la piazza del mercato: un modesto spiazzo affollato da un grande afflusso di persone e una bercia indistinta ci investono vista ed udito quasi intontendoci.

Non riusciamo quasi a stare fermi, riceviamo spintoni da tutte le parti, abbiamo imboccato una via di passaggio critica, dobbiamo allontanarci da qui!

Persone di ogni gruppo sociale formano una sorta di fiume umano in piena che ad ogni costo cerca di entrare ed allontanarsi il prima possibile dal luogo in cui ci troviamo.

IO: “Ma che diavolo succede?” sbotto rabbiosa, cercando di ribellarmi dalle incuranti percosse che ricevo su tutto il corpo.

JACK: “Stanno per passare di qui le giubbe rosse della compagnia delle indie, la maggior parte dei commercianti che si sistemano in questa piazza non hanno un permesso scritto per starci, sono illegali. Perciò la gentaglia di qui si affretta a comprare ciò che può prima che li scoprano e mettano dietro le sbarre.” Mi spiega a gran voce e con fatica, dato che lui sta subendo il mio stesso trattamento. Riusciamo a stare “vicini” solo attraverso una salda stretta di mano.

Se qualcheduno di questi individui cadesse a terra morirebbe calpestato da tutti gli altri, trovo ciò a dir poco assurdo.

Improvvisamente un forte strattone proveniente dalla mano di Jack mi conduce in una stretta nicchia fra due case costruita in mattoni.

Riprendo fiato ancora tramortita, osservando ad occhi sbarrati la furiosa “corrida” che si verifica davanti ai nostri occhi.

Quando anche il Capitano riacquista la quiete si scusa dispiaciuto: “Perdona il gesto poco delicato chérie, ma era l’unico modo di tirarci fuori da quel mezzo inferno.” 

 IO mutando subito il mio sorriso rassicurante in uno beffardo: “Uhm, per questa volta ti perdono…” rispondo incrociando le braccia sul petto, trattenendomi il più possibile dal ridere.

JACK erompe alterato: “Dovrei essere io quello che ti deve ancora perdonare per ieri sera. Con quella cuscinata ho temuto per il mio osso del collo!”

IO: “Oddio tesoro, ti fa ancora male?” mi accerto preoccupata tastando delicatamente il suo mento con la punta delle dita.

Dopo avergli chiuso la porta in faccia ho creduto per un secondo di essere al sicuro, ma una porta serrata a chiave non è cosa da fermare Capitan Jack Sparrow!

Soprattutto se ti dimentichi l’entrata secondaria aperta.

Nel giro di trenta secondi, mentre avevo gli occhi ancora del tutto offuscati dalle lacrime per il tanto ridere, me lo sono ritrovato davanti con un ghigno furioso.

E’ iniziata un’agguerrita battaglia di cuscini tra minacce digrignate ridendo, morbide percosse ed inevitabili dispetti.

Jack preso dall’astio per l’ingiuria appena subita, ha rovesciato a terra l’olio di una lampada sul comò, servendosi del cuscino, provocando altresì la caduta di alcuni oggetti lì depositati, con il solo intento di farmi cadere.

Ma è toccato a lui soccombere della beffa, infatti mentre mi rincorreva, dopo aver ricevuto una mia cuscinata proprio sulla nuca con l’intento di allontanarlo, è scivolato sulla sua stessa diabolica pensata, urtando un oggetto appuntito e causandosi da solo un bel buco nel mento.

Ho dovuto convocare in piena notte Andrè affinché medicasse il riluttante Capitano.

“Nooo, FERMA! Quel francese eunuco non oserà sfiorarmi neanche con un dito, ti proibisco di chiamarlo!!!” si dimenò in panico come un bambino sulla poltrona del dentista.

“Tranquilla, tesoro. Sto benissimo, vedi? Non esce più neppure il sangue!” negò furbesco davanti l’evidenza, mentre un rivolo vermiglio si spandeva fino al solino della sua camicia, lungo tutto il collo.

Io l’osservai tralice con un sopracciglio alzato e la mano appoggiata sulla maniglia della porta.

Infine in un gesto fulmineo spalancai la porta, mi precipitai lungo il corridoio e poi sul ponte alla ricerca di rinforzi prima che potesse trattenermi.

Con quel solco nella mascella non l’avrei di certo lasciato così a versare una cascata di sangue per tutta la notte, avevo bisogno del mio caro dandy.

Che dopo qualche minuto si presentò sul pianerottolo della nostra cabina, le membra gli tremavano e i suoi occhi grigi gonfi di sonno tralasciavano l’impressione di sapere che il suo superiore sarebbe stato molto astio nei suoi confronti.

ANDRE’: “I-i-il est permis?” (E’ permesso? NdAutori) balbettò a testa bassa.

Jack con in viso un’aria truce dal primo momento in cui lo vide stette per cacciarlo via, ma intervenni in tempo da non scoraggiare il gentile cuisinier : “Il Capitano avrebbe bisogno del tuo aiuto, Andrè!” chiarii, definendo ogni singola lettera a denti stretti verso Jack, per fargli capire di non essere sgarbato.

ANDRE’: “Pour vous tuto l’aiuto che seRve, mademoiselle!” rispose solenne in un dolce sorriso.

JACK: “Il Capitano non vuole il tuo aiuto Andrè!!!” controbatté adirato in falsetto.

Lui per fortuna non gli diede ascolto e con il mio appoggio riuscì, seppur a fatica, nel suo intento di medicare la ferita non proprio superficiale del comandante.

“Mi avete chiamato apena en tempo, la feRita non ha fato enfesione, ma dovRete teneRla desinfetata almeno una volta ogni oRa adeso che est encore apeRta!” mi raccomandò dopo la medicazione.

IO: “Grazie mille, Andrè. Come faremmo senza di te? Anche Jack ti è molto grato, anche se non lo da a vedere.” lo rassicurai prima che lasciasse di nuovo la cabina per procurare i necessari medicamenti per tener pulita la ferita.

All’interno della nostra camera da letto Jack si stava dimenando buffamente per strappare un pezzo di stoffa dalla sua camicia, ormai ridotta a una maglia consunta e rossastra.

IO: “Dunque ho fatto bene o meno a far intervenire Andrè?!” domandai mordace, portando le mani ai fianchi.

JACK: “Sì, la volevo una medicazione, ma non di certo da quello!!!” rispose con un broncio offeso tamponando il lembo di stoffa sopra la ferita, per fermare il sangue che stava fuoriuscendo di nuovo.

IO: “Un perfetto uomo di mare come te non è al corrente che certe lesioni così profonde non si guariscono da sole?”

Domandai contrariata andandogli incontro.

JACK: “Volevo che la medicassi tu con le tue manine delicate…” mi beffeggiò in un sorriso malizioso.

Forse fu quello a convincermi di abbandonarmi sulla sedia al suo fianco e prendermi cura io stessa della ferita che stava peggiorando.

IO: “Argh! Lascia fare alle mie manine delicate, se continui a premere in quel modo rozzo finisce che il povero Andrè deve rimanere qui un’altra mezzora a medicarti!” lo rimproverai prendendo mano alla situazione.

JACK: “Certo, gioia. Tu non preoccuparti di questo cane che muore dissanguato. Pensa al tuo francofono impotente che perde preziosi minuti di sonno!” ribatté sprezzante.

IO: “Andrè doveva metterti dei punti sulla bocca, altro che sul mento" dissi avversa, lanciandogli contro il lembo di stoffa, sul punto di andarmene.

La sua mano mi trattenne prontamente e in tono pacato si scusò pregandomi di rimanere.

“Promettimi di chiedere a scusa anche al tuo medicatore!”

JACK: “Uhm, forse… Un giorno o l’altro…” rimase vago.

Premetti di più sulla ferita lasciandogli sfuggire un lamento di dolore.

JACK: “D’accordo cherié, come vuoi tu. Mi hai convinto…” si arrese smaltendo il male a denti stretti.

Sorrisi soddisfatta, per una volta riuscii a raggirarlo!

Passarono alcuni minuti che trascorremmo in silenzio, si sentiva solo il moto ondoso cullare dolcemente la nave e la ciglia corvina della Black Pearl infrangere la distesa d’acqua senza alcun dissesto.

Percepivo gli occhi di Jack fissi su di me, ma fingevo di occuparmi della ferita per non farci caso.

JACK: “…Sei così bella che fai male” spezzò la quiete con voce roca e lievemente assonnata.

Ebbi come un sussulto e per un secondo sentii quasi il cuore fermarsi, non mi aspettavo che erompesse così con certe affermazioni.

 Mi trattenei dall’arrossire e risposi distogliendo lo sguardo: “E’ il mento a farti male, non io…”

JACK: “No, sento male al cuore! Il mento è molto aldilà del dolore ormai” concluse ridendo amaramente di se stesso.

Rimasi qualche istante senza parole, poi presa dall’imbarazzo scelsi di rispondere in modo ponderato: “La bellezza è una cosa futile e temporanea, nemmeno io non sarò così per sempre, Jack.”

Annuì non potendo negare il fatto, ma subito dopo disse accorto: “Ecco perché in tutto questo tempo non avevo mai trovato la donna giusta!”

Corrugai la fronte interrogativa non afferrando il significato della sua affermazione.

“Non era ancora nata!”

 

Ho trascorso tutta la notte a svegliarmi continuamente per prendermi cura della voragine nella mascella del Capitano, ma fortunatamente grazie alla giusta accortezza, ora è migliorata fino a richiudersi, anche se non del tutto.

JACK: “Avanti, non dicevo sul serio dolcezza! Ti sei già fatta perdonare abbastanza quest-..”

Mentre tentava di rimediare alla sua precedente affermazione inopportuna (“Dovrei essere io quello che ti deve ancora perdonare per ieri sera!! Con quella cuscinata ho temuto per il mio osso del collo!!!” NdAutori) qualcuno ci urta entrambi e ricade sul Capitano allontanandoci del tutto.

Io mi aggrappo al muretto che ci circonda e riesco subito a riprendere l’equilibrio per accorgermi di cosa accade.

Al mio fianco invece vedo Jack chinarsi su una donna con un mantello grigio. L’estranea è piegata a terra, intenta a raccogliere delle verdure che ripone frettolosamente nel grembiule, impiegato come busta della spesa.

No, ancora lei.

“E NON FARTI PIU’ RIVEDERE INTORNO ALLA MIA BANCARELLA, LURIDA SQUATTRINATA!!!” un vocione furioso e ingiuriato proveniente da un fruttaiolo a poca distanza da noi insulta la donna, inginocchiata a terra e singhiozzante.

Una stretta mi chiude lo stomaco, sgrano gli occhi incredula, come l’altra mattina, incapace di muovermi.

Il Capitano si china su di lei domandandole aiuto, sento mancarmi il respiro, cosa diavolo sta facendo?

Ma lei non si volta nemmeno a guardalo in volto, balbetta un grazie e fugge nella folla divenendo parte d essa.

Non era lei.

 

Nota delle Autrici:

Felice 2008 a tutti voi dalla Capitana e il Capo!!! ^^

Oggi concludiamo la seconda parte del capitolo 6 ma ce ne saranno altre 2 che posteremo prossimamente, non finisce qui :P

Nel mio profilo d efp vi abbiamo lasciato un regalino per tutti voi =D

Fateci sapere cosa ne pensate di questa prima parte romantica *w*

Grazie a tutti, buona lettura e auguroniii!!!!

 

Kela and Diddy

(Capitana and Capo)

   
 
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