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Autore: lovemeorleaveme    23/05/2013    3 recensioni
«Ci trasferiremo a Parigi e non avremo mai più soldi per tornare indietro.» la rassicurò la più grande.
«Me lo prometti, Giò? Voglio dire, mi assicuri che scapperemo insieme e che.. che resterai con me per sempre?» e così dicendo abbassò lo sguardo.
«Rebecca?» la richiamò, alzandole leggermente il mento per far incontrare i suoi occhi verdi con quelli azzurri della sua amante.
«Si?» sussurrò la più piccola, tremolante.
«Ti amo così tanto.» le confessò ancora.
«Oh, ti amo anche io, Giorgia. Immensamente e infinitamente.»
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Secrets and meetings.

     





Sbarrò gli occhi velocemente e si tirò su dal prato, aveva persino il fiatone. Si doveva essere addormentata mentre leggeva il libro ed aver sognato lei. Ciò che più spaventava Rebecca in quel momento, però, non era il fatto che il cielo fosse quasi totalmente scuro e il parco altrettanto vuoto, ma temeva piuttosto ciò da cui si era appena risvegliata. Si sarebbe immaginata qualunque cosa, tranne di certo di vedersi intenta in una dichiarazione rivolta.. a lei. Non che in quei giorni non avesse pensato che Giorgia avesse un bel sorriso, o una voce piuttosto melodica o che le piaceva il modo in cui si scostava i capelli dietro le spalle, ma da questi piuttosto superflui dettagli ad ammetterle in un sogno quanto probabilmente fosse cotta di lei di certo non se lo aspettava. E Rebecca era piuttosto frastornata da tutto questo, tanto da sentire una forte emicrania espandersi pian piano nella sua testa. Possibile che provasse qualcosa per Giorgia? E mentre il cervello le gridava così forte da ovattarle ogni altro suono «Non provi niente per lei!», il cuore le sussurrava sensibilmente troppo piano un flebile «Non ci sarebbe niente di male.»
Raccolse la borsa di tessuto e la mise in spalla, incamminandosi verso la metropolitana.  Il viaggio verso l’odiata periferia sarebbe stato piuttosto tortuoso, non tanto per gli autobus che impiegano fin troppo tempo ad arrivare o per le persone che ti schiacciano in metro, tanto per i suoi pensieri che continuavano a girare attorno a quel sogno.
Eppure a Rebecca era sembrato tutto così.. vero. Non si era nemmeno accorta di passare dalla realtà al sogno, come se quella fosse la prima volta che aprisse gli occhi e si svegliasse dal suo mondo immaginario, vedendo finalmente il mondo reale, quello che le sue membra nebbiose le nascondevano da sempre. E poi ripensava a Giorgia e a quanto sarebbe stato imbarazzante e stupido fare una cosa del genere. Ma se Rebecca si conosceva bene, sapeva che non si sarebbe permessa di soffrire, tanto era testarda. Piuttosto avrebbe soppresso tutti i suoi sentimenti, prendendoli e abbandonandoli in un cassetto chiuso da una chiave oramai perduta. Piuttosto che soffrire per qualcosa, Rebecca era capace di sparire dalla faccia della Terra, senza smettere di esistere. Rebecca era quanto di più emblematico e difficile si poteva volere in un amante. Tuttavia, qualsiasi persona poteva affermare con le mani sul cuore che forse Rebecca era la persona più adatta per amare ma, soprattutto, per essere amata.






Erano probabilmente le 23.30. Probabilmente perché Rebecca non trovava il suo telefono da nessuna parte e di alzarsi dal letto per cercarlo per sapere l’ora non ne aveva alcuna intenzione. Il sonno non sembrava volerla assistere e già cominciava a pensare alle più che probabili occhiaie che sarebbero comparse proprio sotto i suoi occhi azzurri la mattina seguente. Ed era così stanca che non riusciva più nemmeno ad essere preoccupata per il sogno che aveva fatto quello stesso pomeriggio, nel bel mezzo di Villa Borghese, sembrando molto probabilmente una sfollata in cerca di riparo. Si addormentò poi, improvvisamente, abbandonandosi alle braccia di Morfeo.

“«Che non fossi una bambina come le altre mia madre lo aveva capito subito.» cominciò Rebecca, prendendo coraggio, decisa a raccontare ciò che poteva. «Diceva che io mi distinguevo sempre. Non che fossi particolarmente maschile, più che altro non era eccessivamente femminile. E poi ho cominciato a leggere questi libri.» continuò, abbassando lo sguardo sulla copertina verde chiaro e accarezzandola leggermente, per poi riportarlo su quello della più grande, più attento che mai. «E per quanto trovassi queste storie appassionanti, io non cercavo il Noah di Le pagine della nostra vita, io cercavo la mia Allie, capisci? E questo in realtà è abbastanza sconvolgente, per una a cui fino ad una settimana fa credeva piacessero i ragazzi. E nonostante non avessi mai avuto un ragazzo o lo avessi mai baciato, non mi ero mai posta troppi interrogativi ma poi.. poi sei arrivata tu, ed è stato sconvolgente, sai? Proprio come un uragano.» terminò in preda all’emozione. Giorgia l’abbraccio di slancio, accarezzandole i capelli, mentre l’altra cercava di tenere a freno i singhiozzi. «Tu sei un uragano, Rebecca. E farai scoppiare un vera tempesta.» costatò la bionda, stringendola un po’ di più a sé.”



Rebecca si svegliò di nuovo di scatto, sbarrando gli occhi e mettendosi seduta sul letto. Lo aveva sognato di nuovo. E nonostante tutte le cose che avrebbe potuto pensare in quel momento la prima che catturò la sua attenzione fu un semplice «Quante probabilità statistiche ci sono di fare lo stesso sogno in meno di sette ore?»
Si alzò piuttosto confusa e si diresse in cucina, decisa a bere un sorso d’acqua prima di tornare a dormire. Uscì fuori al balcone, giusto per ammirare ancora una volta la splendida vista che il fruttivendolo sotto casa e l’ammasso di palazzi circostanti le offrivano ogni giorno. Nonostante l’aria fosse piuttosto pungente, non rientrò subito, decisa a rimanere ancora un po’ lì per pensare.

 
 
«Oh, Dio.» decretò Rebecca per l’ennesima volta da quando erano salite sull’autobus. «Oh, mio Dio.» dichiarò, ancora, con quel tono e quell’aria fin troppo snervante per i gusti di Amanda.
«Potresti smettere di invocare Dio e dirmi cosa diavolo è successo?!» chiese Amanda, piuttosto spazientita e alzando la voce quel tanto in più da far voltare alcuni ragazzi sull’autobus. Rebecca la guardò stralunata, come se non sapesse a cosa si riferisse l’amica. Vedendone il viso perduto, Amanda sbarrò gli occhi stupita. Che l’amica fosse definitivamente impazzita?
«Rebecca, è tutto il giorno che continui a ripetere ‘Oh, Dio’ a ripetizione come se fossi un dannato registratore impallato e più ti chiedo cosa succede, più tu lo ripeti frequentemente! A ricreazione non mi hai neanche accompagnata in cortile, cosa ti sta succedendo?» le chiese piuttosto irritata, cosa che Rebecca poté percepire chiaramente dal tono della sua voce.
«Le ho praticamente sbattuto in faccia che ho una cotta per lei..» ammise Rebecca, sussurrando, forse più a se stessa che all’amica, fissando le sue scarpe preferite. Erano passati tre giorni e da quel cavolo di pomeriggio, come aveva cominciato a definirlo, non l’aveva ancora vista, né aveva intenzione di farlo.
«Di chi stiamo parlando, Rebecca?» chiese Amanda, piuttosto confusa.
«Giorgia.» soffiò soltanto l’altra, come se pronunciare quel nome a voce alta le avrebbe potuto perforare il cuore.  «Ma.. voglio dire, non è successo davvero.» aggiunse allora timidamente, alzando leggermente lo sguardo per identificare la reazione di Amanda.
«Cosa intendi con ‘non è successo davvero’? Avanti, Rebecca, parla chiaramente per una buona volta!» la esortò Amanda, piuttosto spazientita e continuamente sballottata da una parte all’altra dell’autobus.
«Voglio dire che l’ho solamente sognato!» disse chiaramente Rebecca, fin troppo esausta di quella conversazione che però sembrava essere solo all’inizio.
«E’ solo un sogno, Becca! Non può condizionarti la vita in questo modo!» decretò allora Amanda, accennando ad una smorfia tra al confusione e la rassegnazione sul viso.
«E’.. è successo già due volte! L’ho sognata già due volte!» ammise Rebecca, in tono sommesso e riabbassando la sua visuale sulle scarpe.
In quei pochi istanti di silenzio, però, Amanda non poté fare a meno di pensare ad una sola cosa e, purtroppo, non riuscì nemmeno a frenare la sua lingua.
«E’ una.. ragazza, Rebecca, lo sai, vero?» le domandò ancora, piuttosto imbarazzata dall’assurda situazione che si era venuta a creare.
«Certo che lo so, mi hai preso per una cretina?» le chiese a questo punto Rebecca, piuttosto scorbuticamente.
«Scusa, era per esserne certa..» cercò di giustificarsi l’altra, non sapendo cosa dire e abbassando lo sguardo verso il pavimento sporco dell’autobus. Non si dissero niente per alcuni minuti, che sembrarono ad entrambe almeno cent’anni, fin quando Amanda decise di dire qualcosa, ancora.
«Quindi.. hai una cotta per lei?» chiese cercando di averne conferma e di essere il più delicata possibile, per non offenderla in nessun modo.
«No.» rispose duramente Rebecca, alzando lo sguardo verso di lei. I suoi occhi sembravano andare a fuoco. «Non ho una cotta per lei perché non posso avere una cotta per lei.» cercò di spiegarsi, ma vedendo lo sguardo confuso dell’altra si decise a continuare. «Lei è una ragazza, e anche io sono una ragazza.» terminò, infine, nel modo più chiaro e crudo che avrebbe mai potuto scegliere.
«Avanti Rebecca, non c’è niente di male, insomma..» si affrettò a dire Amanda, ma Rebecca non la lasciò finire.
«Invece si, c’è qualcosa di male. C’è che io non voglio farmela piacere, okay? C’è che non me la sento di essere.. etichettata! Non voglio, siamo intese? Io non lo permetterò!» dichiarò Rebecca, piuttosto infuriata, probabilmente con se stessa. Amanda si abbassò per essere alla sua altezza, visto che fino a quel momento era stata in piedi al fianco del sedile su cui sedeva l’amica.
«Non puoi fermare i sentimenti, sono cose troppo grandi. Così come non puoi fermare il destino. Rebecca, non puoi mettere le mani in faccende come queste. Non puoi sopprimere chi sei veramente.»  cercò di farla ragionare Amanda, senza, però, riscuotere grande successo.
«Non sto fermando nessun sentimento e non sto sopprimendo nessuna ipotetica me. Sto solo decidendo cosa voglio essere nella vita, la sto prendendo in mano per farne quello che credo sia giusto. Prendo in mano la situazione, perché sto crescendo, Amanda.» disse duramente Rebecca, sotto lo sguardo indagatore di Amanda. «Ora, se vuoi scusarmi, è arrivata la mia fermata.» disse per poi alzarsi freneticamente e afferrare la cartella. «A domani, Amanda.» disse distaccatamente, girandosi appena e
senza guardarla negli occhi.
Rebecca scese dall’autobus frettolosamente, senza mai cercare lo sguardo dell’amica quando l’enorme mezzo pubblico le girò davanti. Nessuno l’avrebbe ostacolata.
Camminava pigramente sotto la pioggia, senza prestare attenzione a niente ma osservando tutto ciò che la circondava. Ammirava il tempo e tutte le sue sfumature. Il modo in cui corresse veloce alcune volte e il modo in cui, altre volte ancora, sembrava non passare mai. Osservava le persone che la circondavano contrariata: correvano, correvano e correvano ovunque. Nessuno di loro, probabilmente, si stava godendo la sua vita, nessuno di loro in quel momento aveva guardato il cielo e aveva ammirato un miracolo così semplice ma così straordinario come la pioggia. Perché nessuno si rendeva conto di quanto bello fosse far parte di tutto quello?




Rebecca odiava il modo in cui suo fratello, Andrea, passasse un’infinità di tempo in bagno, molto più di quello che impiegava lei. E se c’era un momento preciso della giornata in cui Andrea necessitava urgentemente del bagno, era proprio quell’unica volta in cui Rebecca doveva uscire. Non che avesse niente di straordinario da fare, anzi, ma arrivare in ritardo anche ad un solo incontro con Francesco la metteva a disagio. Non che tra di loro ci fosse qualcosa, altroché, lei lo vedeva più come quel fratello adorato che passavo poco tempo in bagno che non avrebbe mai avuto che come altro. Il fatto era, più che altro, che erano circa due mesi che i due non si vedevano e lei aveva così tante cose da dirgli che aveva paura di dimenticarne alcune.
«Oh, andiamo, ma quanto ti ci vuole! Hai ancora molto? Io dovrei uscire!» esortò gentilmente suo fratello, bussando pesantemente alla posta del bagno, che si aprì quasi magicamente sotto il suo tocco.
«Eccolo, è tutto tuo!» le disse il ragazzo, con tono quasi sprezzante, lasciandole il passaggio libero. «Dovresti cercare di essere più gentile, sai, e non così schizzata e acida! Magari potresti avere degli amici, anche!» le gridò infine, andandosene.
«Io» disse sottolineando la parola appena pronunciata, «di amici ne ho anche abbastanza, forse sei tu quello che dovrebbe uscire di più con i suoi e stare tranquillo!» terminò, infine, inacidita.


Era arrivata al solito bar dove si incontravano sempre da ormai dieci minuti e dopo essersi salutati cordialmente avevano cominciato a parlare del più e del meno come fanno dei bei vecchi amici. Ma se c’era una cosa che Rebecca sapeva bene era che quella conversazione piuttosto superficiale e monotona sarebbe finita presto per dare spazio ad un decisamente più urgente e dalle tematiche più serie.
«Okay, Rebecca, è arrivato il momento.» disse Francesco, interrompendola. «Abbiamo parlato come farebbero due amici che non si vedono da tanto e, davvero, va bene ed è anche piuttosto piacevole parlare con te, ma non siamo qui per parlare di questo, non è vero?» terminò, con il suo solito tono di voce caldo e rassicurante che Rebecca tanto adorava. D’altra parte, lei prese un profondo respiro e butto fuori l’aria come se dovesse affrontare una difficile gara di apnea da un momento all’altro.
«E’.. difficile da dire, sai. Non sono mai stata brava con questo tipo di confidenze ed, insomma, tu lo sai bene. Nessuno mi conosce come mi conosci tu! Ed è per questo, forse, che ho tanto bisogno di confidarti quello che provo, ma.. non ce la faccio! La verità è che non ce la faccio a confidarlo nemmeno  me stessa!» cominciò Rebecca, cercando di spingere le lacrime indietro da dove erano venute.
«Becca, va tutto bene, okay? Qualunque cosa sia, di qualunque tipo, io ci sarò. Puoi davvero sempre contare sul mio supporto, sul mio aiuto, perché te l’ho promesso quando avevamo cinque anni. Ricordi? Ti ho promesso che ti sarei stato sempre accanto, sia nei momenti felici che in quelli peggiori, e tu, astutamente, quel giorno mi facesti promettere anche di essere, per tutta la durata della mia vita, una di quelle persone che mantengono sempre le promesse. Quindi, beh, mi hai incastrato circa dieci anni fa ed adesso non torno più indietro. Insieme superiamo qualsiasi cosa, io e te. Lo sai, vero?» pronunciò ancora con quella passione che Rebecca poté giurare di non aver mai sentito in vita sua in delle parole che ad un esterno sarebbero potute sembrare così banali.
Rebecca abbassò quindi la testa, come sconfitta. Ma quando la rialzò, per guardare l’amico negli occhi, si decise. E nonostante la paura di perderlo per sempre, di buttare al vento tutti quegli anni di amicizia e di promesse e tutti quegli abbracci caldi e tutte le prole pronunciate con quella voce così calda e sicura, Rebecca pronunciò così improvvisamente e impulsivamente quelle parole che non se ne accorse nemmeno.
«Mi.. mi piace una ragazza.» Rebecca scrutò quindi profondamente l’espressione dell’amico, ogni sua possibile reazione, ogni tipo di muscolo che si sarebbe potuto tendere o quant’altro. Ma niente. Lui fece solo una strana smorfia con la bocca che Rebecca non riuscì ad indentificare.
«Allora?» chiese d’impatto Rebecca, innervosita dalla completa piattezza dell’espressione dell’amico.
«Tutto qui?» chiese lui, ma poi cercando di salvarsi, aggiunse. «Voglio dire.. non c’è nulla di così travolgente o.. scandaloso.» rispose, cauto. Rebecca fece un grande sospiro di sollievo, decisamente sollevata dall’opinione di Francesco.
«Quindi io non ti faccio schifo?» chiese, però, titubante.
«Dio mio, no! Assolutamente no! Sei la persona migliore che conosco in assoluto, Becca, tu non potresti mai farmi schifo. Per nessuna ragione al mondo.» concluse, un po’ stralunato. Poi, però, si alzò e, raggiungendola dall’altra estremità del tavolino, la abbracciò forte.
«Però adesso dimmi chi è, come si chiama quanti anni ha e..» si interruppe un attimo, pensando a cosa aveva appena detto. «Dio mio sono così elettrizzato, ma perché?» chiese, decisamente confuso. La sua espressione, però, fece scoppiare Rebecca in una sonora risata, che lo fecero sorridere a sua volta.







Giorgia aveva una sorella, che lei amava definire «proprio niente male.» Così, quel pomeriggio, Giorgia chiese a quella sua sorella proprio niente male, che all’anagrafe era semplicemente  Carlotta, di accompagnarla a prendere un caffè al bar vicino casa. Entrarono tranquillamente e si sedettero, ordinando semplicemente due caffè. C’era qualcosa, in quel periodo, che tormentava Giorgia. E, se proprio fosse stata sincera con se stessa, avrebbe ammesso che in realtà non c’era qualcosa che la tormentava, ma qualcuno. Tuttavia, non era certo nel suo modo di fare essere così esplicita con le persone. Non era di certo da lei dire agli altri esseri umani che aveva una strana ossessione per una ragazza del primo anno e, anche se fosse stato da lei, non lo avrebbe fatto comunque, perché era persino troppo timida e riservata per certe cose. L’unica persone con la quale Giorgia si confidava davvero, a cui aveva detto davvero tutto della sua vita, era proprio sua sorella. E, se Giorgia non si fosse conosciuta abbastanza, e se persino su sorella, Carlotta, non l’avesse conosciuta abbastanza, allora entrambe avrebbero pensato che quella era una semplice uscita tra sorelle. Tuttavia, entrambe sapevano perfettamente che, da lì a poco, Giorgia avrebbe detto qualcosa.
Purtroppo, però (o forse per fortuna, questo non si sa con sicurezza scientifica), successe qualcosa. Qualcosa che mise in secondo piano tutti i buoni propositi e le belle parole che Giorgia si era già preparata. Era lei.
«E’ lei..» soffiò quindi apparentemente inconsciamente, perché quando Carlotta la guardò confusa, lei non sembrò capire il significato della sua occhiata.
«Chi?» chiese allora Carlotta, molto più esplicitamente di quanto avrebbe potuto fare un semplice sguardo. Ed allora Giorgia capì che dalle labbra le erano sfuggita più parole di quante avrebbe voluto dire.
«E’ la ragazza di cui volevo parlarti e..» si interruppe un attimo, osservando la scena di Rebecca assieme ad un ragazzo e assottigliando gli occhi, come le era solito fare. «E’ con un ragazzo.» decretò, infine, con tono piatto. Carlotta si girò appena per osservarla e poté decretare che sua sorella aveva effettivamente dei buoni gusti.
«E’ davvero molto carina ma sembra..» si fermò un attimo a pensare all’aggettivo che in quel momento poteva qualificare in modo migliore l’espressione della ragazza. «Sconvolta.» disse solamente. Così, finirono semplicemente i loro caffè e fecero per alzarsi, quando Carlotta le disse di aspettarla: sarebbe tornata subito dal bagno. Giorgia si incamminò comunque verso l’uscita ma andò a sbattere contro un ragazzo, troppo presa dai suoi pensieri.
«Oh, scusami.» disse solamente, sinceramente dispiaciuta. Ma quando alzò lo sguardo, vide il ragazzo che prima era con lei accennargli un leggero sorriso.
«Oh, di niente. Anzi, scusami tu..» disse lui accennando ancora ad un sorriso sghembo. Probabilmente Giorgia stava per ribattere qualcosa quando una voce li interruppe. O meglio, quando la voce li interruppe.
«Ehi, allora andiamo o..» disse Rebecca arrivando e bloccando la sua voce non appena, alzato lo sguardo, vide Giorgia di fronte al suo migliore amico. «Ciao!» disse allora tornando in sé, con quella che le parve come al solito troppa enfasi. Giorgia non poté fare  meno di sorridere, sentendo quel tono di voce così acuto caratteristico di ogni suo saluto.
«Ciao.» disse Giorgia solamente, cercando di trattenere un sorriso fin troppo entusiasta.
«Oh, certo. Allora, lui è Francesco.» cominciò Rebecca e il ragazzo porse la mano a Giorgia, sempre sorridendo.
«E’ un piacere.» disse solamente lui, ammiccando leggermente, gesto che fece rimanere Giorgia di stucco.
«E lei, beh, lei è Giorgia.» disse accuratamente Rebecca, calcando bene sul nome della ragazza. A quel punto Francesco fu preso alla sprovvista da un attacco di tosse che Giorgia non riuscì ad identificare con esattezza.
«Allora, ragazze, io devo proprio andare ora, quindi..» cominciò il ragazzo, improvvisamente impacciato, ma venne prontamente interrotto da Rebecca.
«Oh, no. Ti accompagno, davvero.» disse Rebecca, lanciandogli un’occhiata allarmata che lui capì prontamente.
«Okay, allora.. ciao Giorgia.» disse, sorridendole amichevolmente.
«Ciao e.. ciao Rebecca.» rispose Giorgia, guardando la ragazza di fronte a lei.
«Ciao Giorgia è stato.. è stato un piacere vederti. Come sempre.» disse Rebecca arrossendo leggermente, per poi avviarsi verso l’uscita e sparire dietro l’angolo, seguita da Francesco.

Fu proprio in quel momento che Carlotta tornò dal bagno e affiancò la sorella.
«Ehi, che succede?» le chiese, agitando un mano davanti al suo viso.
«Oh, niente..» rispose Giorgia, risvegliandosi da quello strano stato di trans che l’aveva avvolta dopo aver udito le parole pronunciate da Rebecca e girandosi a guardare il viso di sua sorella, accennando un sorriso. «Assolutamente niente.» decretò infine, riportando lo sguardo lì dove pochi secondi prima la figura snella di Rebecca aveva smesso di essere così vivida ai suoi occhi fino a scomparire del tutto.
«Ne sei sicura?» chiese ancora Carlotta, non del tutto convinta.
«Ti dico di si, dai!» disse finalmente viva, Giorgia, afferrandole un braccio e trascinando la sorella fuori dal bar.
Dal quel pomeriggio, però, Giorgia capì una cosa: non sarebbe passato giorno in cui non avrebbe sperato di incontrare quegli occhi dolci, quelle labbra carnose e quelle gote sempre arrossate che non potevano appartenere a nessun’altro se non a Rebecca.










 

si, lo so che mi odiate ma
don't worry, mi odio anche io!
bene, questo è il capitolo
tanto atteso e sudato (si, come no!)
quindi..
a presto! (questa volt spero davvero!)

  
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