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Autore: vanessola    09/12/2007    8 recensioni
Ecco la mia prima fanfiction su Harry Potter...e se Hogwarts non custodisse solo la pietra filosofale? Se ci fosse un secondo segreto...un segreto che ha a che fare con la piovra gigante che abita le profonde acque del lago? Una recensione mi farebbe molto contenta, grazie! xD
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice
Ed ecco la mia prima fanfiction di Harry Potter! Prima di cominciare, voglio precisare che, se alcune parti o idee sono simili ad altre fanfiction esistenti, io non avevo cattive intenzioni mentre scrivevo (anche perché di fanfiction, su Harry Potter, ne ho lette davvero poche!). Il mio unico scopo era quello di ripercorre i sette anni di Harry Potter, però visti da un personaggio non presente nei libri, di mia invenzione. Scoprirete di più su quest’ultimo iniziando a leggere, per ora non dico altro (anche perché a riassumere faccio un po’ schifo xD)…Per finire: questa fanfiction è alternata a un’altra di Eragon, quindi posterò una domenica sì, una domenica no, e così via…vi prego, non siate troppo crudeli, se metterete una recensione! xD

Capitolo 1
Una buona bacchetta

“No, Morty! Fermo!”
Pochi sentirono quell’ordine categorico, in mezzo al vociare incessante di Diagon Alley, la meta preferita di maghi e streghe per l’acquisto di oggetti più o meno magici e stravaganti; ma invece furono in molti a vedere un corvo alquanto innervosito scagliarsi contro il casto chignon di una strega non esattamente giovane: il povero volatile rimase imprigionato con il becco tra i capelli della donna, sbattendo confusamente le ali e attirando l’attenzione dei passanti, anche di quelli meno curiosi.
“Morty! Stai calmo!”
L’ordine fu ripetuto una seconda volta da una ragazzina di undici anni, con i lunghi capelli rossi trattenuti in un’ordinatissima treccia e gli occhi scuri corrucciati in un’espressione severa. Non era molto alta, e indossava un maglione di lana scuro e un paio di pantaloni, in parte coperti da un foulard bianco, legato a ‘mo di cintura intorno ai fianchi.
Quando la ragazza corse incontro all’anziana donna, i suoi passi svelti produssero un delicato tintinnio, provocato dalla cavigliera di campanellini che da mesi portava al piede sinistro.
“Mi scusi! Mi scusi tanto…” mormorò la ragazzina alla signora, mentre cercava con mani non molto esperte di liberare il corvo dallo chignon.
“Levami subito questo affare di dosso!” strillò la strega come un’ossessa, prendendo l’animale a sberle.
La ragazza, sbuffando, decise di usare le maniere forti: afferrò il corvo per la parte immediatamente sotto le ali, e tirò con tutte le sue forze: la vecchia signora urlò, strepitò e imprecò, ma alla fine l’animale ritornò tra le mani della ragazzina.
“Costance?! Costance, dove sei?”
“Ecco, visto?” esclamò la ragazzina, rivolta al corvo “per colpa tua abbiamo perso papà! PAPA’! PAPA’! SONO QUI!”
La strega vittima del corvo la guardò, disgustata: i giovani d’oggi! Prima ti assaliscono, e poi non si scusano nemmeno!
“Costance!” urlò un uomo che emergeva dalla folla, in modo da avvicinarsi alla ragazza che, a quanto pareva, si chiamava Costance. Costance Baudelaire, per la precisione, e quell’ammasso di piume, una vera e propria fonte di guai, non era altro che Mortimer, il corvo che il padre le aveva regalato in occasione del suo primo anno a Hogwarts.
“Costance, non è possibile!” esclamò il signor Baudelaire, un uomo con corti capelli biondicci e occhi nocciola, con un po’ di doppio mento che si notava solo quando rideva “Sei a Diagon Alley da appena cinque minuti, e già hai cominciato a disturbare la quiete pubblica!”
“Non è colpa mia!” si difese Costance “è stato Morty: non è abituato agli spazi aperti pieni di gente, e si è agitato subito! Guarda, si è pure spennato tutto!”
“Io credo che così stia meglio” commentò il signor Baudelaire, osservando il volatile con attenzione “dopotutto, un corvo fa più impressione se trasandato!”
“Questa te la sei inventata al momento: a me sembra solo un pulcino spelacchiato” disse Costance, e tentò di pettinare con le sole dita le penne di Mortimer.
Fingendo che non fosse successo nulla, padre e figlia si allontanarono dalla folla, per quanto fosse possibile: la gente era dappertutto, anche nei locali che di solito non erano molto frequentati, e nell’aria, si sentiva l’aria degli acquisti.
Alla fine, i due si avvicinarono alla gelateria di Florian Fortebraccio, dove almeno non rischiavano di essere calpestati.
Mortimer gracchiò, e Costance lo fissò con aria truce nel tentativo di farlo zittire, ma quello, invece di smettere, aumentò i suoi lamenti.
“Si può sapere perché fa così?!” esclamò il signor Baudelaire, seccato: anche se era di origini francesi, parlava un inglese impeccabile (o forse è meglio dire irlandese, dato che i Baudelaire vivevano in Irlanda da parecchi anni), e forse era l’unico francese al mondo ad odiare la propria patria: Costance non gli aveva mai chiesto direttamente il motivo, ma lo poteva immaginare.
“Ha voglia di gelato al pistacchio” rispose la ragazza, dando una botta sul becco di Mortimer.
Il signor Baudelaire fece una smorfia.
“L’hai già viziato, quel corvo” si limitò a dire.
“Se non l’avessi già viziato, a quest’ora sarei stata piena di beccate!” replicò Costance.
Il padre la fissò, sconsolato.
“Senti” disse la ragazza “lo so che per il momento Morty non ti ha fatto una buona impressione, ma in realtà è un bravo animaletto domestico: sul serio!”
Il corvo gracchiò, seccato: a quanto pareva, l’espressione animaletto domestico non gli piaceva affatto, e , a dirla tutta, non gli si addiceva per niente.
“Come no!” esclamò il signor Baudelaire “a cominciare dal nome!”
Mortimer è un nome splendido!” replicò Costance “e poi, scusa, è un corvo! Non lo potevo mica chiamare Gianduia, Palla di Neve, Fiocchettino o…”
“Sì, sì: ho capito il concetto…”
“E poi ha già capito come consegnare la posta!”
“Bè, a quello ci aveva già pensato l’addestratore, no?”
Il sorriso fiero di Costance si spense immediatamente, lasciando spazio ad uno sguardo atterrito.
“CHE COSA?!” strepitò, scioccata “ma…ma…e tutti gli allenamenti che gli ho fatto fare? I percorsi, i finti messaggi, le mete possibili…insomma, mi stai dicendo che ho provato ad addestrare Morty…per niente?!”
“Ehi, io non ne sapevo nulla dei tuoi addestramenti!” ribatté il signor Baudelaire “quando provi a fare questo genere di sciocchezze, non ne parli mai con me: e poi pensavo fosse ovvio che Mortimer fosse un corvo addestrato!”
Costance sbuffò, alzando lo sguardo al cielo.
“Tutto quel gelato al pistacchio…”
“Ancora il gelato al pistacchio?! Cosa centra, ora?”
“Alla fine di ogni esercitazione” spiegò Costance, mogia “Morty pretendeva sempre un premio, e lui voleva solo una coppetta piena di gelato al pistacchio”.
Il volto del signor Baudelaire si illuminò.
“Ah!” disse “ecco perché volevi che andassi a comprare tutto quel gelato!”
Costance annuì, cercando di trattenere un sorriso, ma quando suo padre si voltò non poté fare a meno di ridere silenziosamente: quelle conversazioni stupide, in apparenza inutili, erano essenziali non solo per lei, ma anche per suo padre. Erano appena usciti da un brutto periodo, loro due, e tutta quella demenzialità faceva sembrare tutto più leggero. Costance non sapeva per quanto sarebbe durato, ma mascherare la realtà con un velo di idiozia le sembrava la cosa migliore, al momento.
“Credo che per il gelato dovremo aspettare” disse ad un certo punto il signor Baudelaire “c’è troppa coda qui, e a Diagon Alley non ci sono altre gelaterie”.
“Non importa, vuol dire che passeremo subito agli acquisti!” esclamò Costance con entusiasmo “acquisti che io mi procurerò da sola, vero papà?”
Il signor Baudelaire sospirò, rassegnato.
“Sì, è vero” si limitò a dire “sei sicura di aver portato tutto quello che ti serve?”
Costance, in risposta, gli mise davanti agli occhi un grosso borsone da palestra: un normalissimo oggetto babbano, sicuramente non molto adatto per fare spese, ma la ragazza lo trovava comodissimo. Suo padre, però, non la pensava come lei.
“Non potevi portarti la borsa del compleanno?”
“La Mary Poppins Bag? Naaa!” replicò Costance “se avessi portato quella, alla fine della giornata sarebbe stato come non aver comprato nulla: invece, quando riempirò questo borsone di tutte le mie spese pazze, si noterà eccome
Il signor Baudelaire rise.
“Vedi di spenderli saggiamente, quei soldi”
Costance annuì: non c’era neppure bisogno di dirlo. Da quando aveva ricevuto la sua prima paghetta, anni e anni or sono, aveva sempre tenuto da parte qualche spicciolo per quel fatidico giorno. Alla fine, ricontando i risparmi, ne era uscita fuori una bella somma, somma che, sicuramente, non era destinata solo ai libri di testo.
“Meglio che mi sbrighi, dunque!” aggiunse il signor Baudelaire “anch’io ho le mie spese pazze da fare! Ci incontriamo alle sei al Paiolo Magico, chiaro?”
“Chiarissimo!” rispose eccitata Costance, allontanandosi immediatamente: era ormai giunto il momento di essere indipendenti!
Certo che era difficile, con tutta quella folla di gente: c'erano persone di tutti i tipi, dalle facce meno raccomandabili a quelle più simpatiche e gioviali: Costance addirittura scorse, in lontananza, la figura immensa di un uomo robusto e barbuto, seguito a sua volta da una figuretta più piccola e mingherlina.
"Il gigante e la bambina" si ritrovò a pensare Costance, e per prima cosa entrò in un negozio che aveva come insegna Calderoni. Tutte le dimensioni.
Costance amava le pozioni, gli intrugli e le erbe, quindi cercò di scegliere con cura il suo primo calderone. Purtroppo la scuola di Hogwarts richiedeva esplicitamente un semplice calderone in peltro, di misura standard 2, quindi non ebbe molto di che sbizzarrirsi. Tuttavia, alla fine, trovò un calderone che, sul fronte, aveva inciso un uccello con le ali spiegate, in volo: molto probabilmente non era altro che il marchio della compagnia produttrice, ma a Costance ricordò molto Mortimer, quindi lo comprò immediatamente, insieme ad un set di provette di cristallo.
Costance ci teneva a possedere i migliori strumenti, per Pozioni: quella del mescolare gli ingredienti era una passione che aveva ereditato da suo padre, considerato un semplice erborista dai Babbani, e un abile pozionista dai Maghi. Il signor Baudelaire conduceva quella specie di doppia-vita in un negozio tutto suo, e Costance a volte lo aiutava a riordinare le boccette e quant'altro. A volte aveva anche provato a realizzare dei filtri, di nascosto, anche se erano sempre di dubbio successo.
La "fermata" successiva fu un piccolo negozietto di articoli di astronomia, dove la ragazza comprò un semplice telescopio, piuttosto maneggevole e facile da montare, e il planetario più dettagliato che riuscì a trovare. Poi pagò il tutto, e si sedette qualche istante sul marciapiede, a fissare il suo borsone da palestra: il telescopio aveva già occupato un bel po' di spazio, e Costance era costretta a tenere per la mano libera il calderone appena comprato, all'interno del quale si stava accucciando Mortimer.
"Almeno tu non devi camminare" pensò Costance, che poi decise di passare direttamente a una delle sue mete più ambizione: Olivander.
C'erano altri negozi di bacchette, a Diagon Alley, ma Olivander era senz'altro il più famoso: a spiegarglielo non era stato suo padre, ma uno dei suoi cugini da parte di madre, Thomas Ahren.
"E' il migliore, senza alcun dubbio" aveva detto "e se impugni una delle sue bacchette, e non è quella destinata a te, può succedere qualsiasi cosa!"
Costance non vedeva l'ora di sperimentare quelle parole in prima persona.
Entrò quindi nel negozio, senza provare molto interesse per l'insegna: ciò che le interessava, si trovava dentro.
Riuscì ad entrare con una certa difficoltà, con il borsone in una mano e il pentolone nell'altra. Appena fu davanti alla scrivania di quel locale non molto illuminato, lasciò immediatamente cadere il tutto: le braccia cominciavano a dolere per il peso, e già rimpiangeva la tanto consigliata Mary Poppins Bag. Purtroppo il borsone, cadendo, fece un rumore piuttosto chiassoso, e anche molto sinistro.
"Ops!" si disse Costance, portandosi le mani alla bocca "le provette di cristallo!"
"E' entrato qualcuno?" chiese una voce maschile, che sembrava provenire da quel labirinto di scaffali dietro la scrivania, tutti colmi di lunghe e strette scatolette scure.
Costance non ebbe nemmeno bisogno di rispondere: dall'oscurità (e dalla polvere) emerse un uomo di mezza età, con i capelli da 'scienziato pazzo' per aria e un paio di grandi occhi luminosi che davano l'impressione di non impigrirsi mai.
"Cos'era tutto quel fracasso?" domandò l'uomo, che senza ombra di dubbio doveva essere Olivander.
Costance sapeva di aver fatto un po' di rumore, ma 'fracasso' era una parola grossa. Tuttavia, rispose con un incerto:"Oh, nulla, ho solo rotto...", indicando distrattamente il borsone.
"Permette?" chiese il signor Olivander, portando una delle sue mani ossute sulla cerniera.
Costance annuì, incerta: cosa aveva intenzione di fare?
Il signor Olivander aprì il borsone, anche se con fatica (molto probabilmente non aveva mia visto una cerniera in vita sua!), facendo emergere un gruppo indistinto di provette rotte e cocci di vetro.
Costance arrossì, imbarazzata.
"Dovrebbe avere maggior cura delle sue cose, signorina...?"
"Baudelaire" terminò Costance.
"...Baudelaire" ripeté il signor Olivander "tuttavia, io tratto sempre con favore i miei clienti..."
L'uomo prese da sotto il mantello grigiastro una vecchia bacchetta magica, con la punta leggermente arrotondata, e sussurrò "Reparo!"
Le provette, come per magia (e per cosa, altrimenti?), ritornarono come nuove, mentre i cocci di vetro si univano e si cicatrizzavano sotto gli occhi stupiti di Costance.
"...soprattutto se sono dei nuovi clienti" aggiunse il signor Olivander "non mi risulta, infatti, che qualche Baudelaire abbia già varcato l'ingresso del mio negozio...Come si chiama suo padre, signorina Baudelaire, se non sono troppo indiscreto?"
Costance rispose: dopo tutta quella cordialità, non avrebbe potuto fare altrimenti, anche se si sentiva ancora a disagio, e Mortimer non la stava aiutando di certo: il corvo, infatti, continuava a zampettarle nervoso sulla spalla, in cerca di un qualche equilibrio.
"Etienne, signore. Etienne Baudelaire".
Olivander rimase un po' a rifletterci sopra, per poi scuotere la testa con rassegnazione.
"No, infatti" disse "non lo ricordo tra i miei clienti".
"Mio padre ha frequentato una scuola di magia in Francia" spiegò Costance "e non è mai stato a Londra, in quegli anni".
"Oh, capisco" disse il signor Olivander "e...sua madre?".
Costance rabbrividì leggermente: quello era ancora un delicato tassello della sua vita, e, ogni volta che si entrava in argomento, le pareva che l’atmosfera diventasse più tetra e pesante. Era come ritornare a qualche mese prima, quando la sua vita così perfetta aveva iniziato a vacillare.
“Ahren, signore” rispose, e quel nome parve rimbombarle nelle orecchie e contaminare tutta la stanza, già di per sé malinconica, con ricordi che sembravano appartenere non a lei, ma ad un’altra persona. In fondo, cos’erano i ricordi? Solo brevi attimi vissuti da altre persone, più estranei che altro.
“Ahren, Ahren, Ahren…” mormorò il signor Olivander tra sé e sé “uhm…sì, sì, mi ricordo di una Ahren: una bassa ragazzina con i capelli rossi, proprio come te, e con uno sguardo appassionato, oserei dire, e molto deciso, anche…Fu lei stessa a dirmi quale bacchetta voleva, e, stranamente, era proprio quella giusta…Quindi tu sei sua figlia, eh? Anche tu sai già quale sarà la tua bacchetta?”
“No, signore” si limitò a rispondere Costance.
“Oh, bene: adoro quando i clienti non vogliono rubarmi il lavoro!” esclamò Olivander, alleggerendo di parecchio l’atmosfera “quindi, orsù, cominciamo: con quale mano sei più pratica?”
“Sono ambidestra” rispose Costance, sollevata da quel cambio di argomento “ma solitamente uso la destra”.
Il signor Olivander annuì, pensieroso, e da una tasca dei suoi pantaloni scivolò un metro a nastro, che cominciò ad avvicinarsi verso Costance, strisciando nell’aria come un serpente. Quello strano oggetto cominciò a misurarle la lunghezza del braccio e dell’avambraccio, ma anche delle falangi, delle falangine e delle falangette (e chi più ne ha, più ne metta!), mentre la ragazza sentiva il proprietario del negozio muoversi tra gli scaffali, per mezzo di una scala pericolosamente scricchiolante.
Quando il metro a nastro si afflosciò finalmente a terra, inanimato, il signor Olivander ritornò alla sua scrivania, poggiando sulla superficie polverosa del mobile tre o quattro strette scatolette.
“Dunque…” mormorò l’uomo “da quale cominciamo? Forse…uhm…bè, sì, prova…prova questa…”
Il signor Olivander aprì una delle confezioni, tirandone fuori un’elegante bacchetta di legno scuro.
“Ebano, tredici pollici” recitò Olivander, porgendogliela “anima di piuma di fenice: la agiti pure”.
Costance la impugnò, forse con mano un po’ tremante, e fece come le era stato detto.
Dalla punta della bacchetta schizzò una violenta scia di fumo verdastro, che finì con l’insinuarsi tra le sue narici, facendola tossire con insistenza.
Il signor Olivander intervenne, calmo, impugnando nuovamente la sua bacchetta e mormorando alcune parole che Costance, troppo presa per tossire, non riuscì a comprendere; tuttavia, poté vederne chiaramente gli effetti: infatti quel fumo dannoso finì ben presto con il confondersi con l’aria circostante, fino a scomparire in un brevissimo battito di ciglia.
“No, decisamente non è la bacchetta giusta” commentò Olivander, pensieroso “la piuma di fenice deve aver fatto una brutta reazione…Provi questa: aghifoglio, undici pollici, e corde di cuore di drago, buona per la trasfigurazione”.
Costance obbedì, e agitò la bacchetta, questa volta con meno entusiasmo ed energia, anche se la curiosità era ugualmente a mille. Suo cugino aveva ragione: ci si poteva aspettare qualsiasi cosa, da una bacchetta.
L’effetto fu massacrante: tutta la stanza si tinse di un fucsia accecante, di una tonalità così violenta da far lacrimare gli occhi. Dal pavimento al soffitto, dagli scaffali alle pareti, tutto diventò di un rosa shocking intensissimo: anche Mortimer fu incluso tra le vittime, sfoggiando un nuovo piumaggio davvero molto fashion, e persino i capelli bianchi di Olivander parvero assumere una delicata sfumatura rosastra. Addirittura, qualche mago che passava di lì si fermò a fissare l’interno del negozio, interdetto: e se il locale era diventato interamente fucsia, le guance di Costance non poterono fare a meno di avvampare per il forte imbarazzo. La reazione di Olivander, invece, si limitò ad un’alzata di sopracciglia: fece per alzare di nuovo la sua bacchetta per rimediare a quel disastro, ma Costance decise all’ultimo di fermarlo.
“Aspetti, la prego! Mi concede solo pochi secondi?”
Il signor Olivander annuì, ma non senza aver prima averle tolto dalle mani la bacchetta. Poi Costance aprì di nuovo il borsone da palestra, tirandone fuori una macchina fotografica digitale: era l’ennesimo regalo di suo padre, donatagliela nella speranza che la figlia prendesse dimestichezza non solo con le pozioni, ma anche con gli strumenti babbani.
“Morty…fai, un sorriso, se ti riesce!” esclamò la ragazzina, fotografando il corvo, per il quale sicuramente Paris Hilton avrebbe fatto salti di gioia “aspetta che ti veda papà…!”
Rimise in tutta fretta la macchina nella borsa, sapendo che il signor Olivander stava aspettando pazientemente i suoi comodi.
“Questa volta non sbaglierò!” esclamò l’uomo, dopo aver fatto sparire dalla faccia della terra tutto quel fucsia “dunque…dunque…le spiace se le faccio una piccola lezione sulle bacchette magiche?”
Costance annuì: non le sarebbe dispiaciuto affatto, anzi, le interessava l’argomento.
“Bene…” approvò il signor Olivander “come forse lei sa già, le mie bacchette contengono o piume di fenice, o corde di cuore di drago, o peli di unicorno, e non avevo mai, dico mai, mescolato questi elementi tra di loro. Tuttavia, l’arte dell’artigianato è anche sperimentazione, e non ho potuto fare a meno di verificare ciò che nessun altro aveva mai provato prima…e ho finito con il creare le prime bacchette a doppia-anima. Non ne ho venduta neanche una, finora: non ho nemmeno fatto un tentativo, ma lei, signorina Baudelaire, mi ispira…Vorrebbe essere la prima ad impugnare una bacchetta simile?”
Costance non ci pensò nemmeno due volte: annuì energicamente, tra l’orgoglio, il timore e l’aspettativa: il signor Olivander aprì frettolosamente un’altra scatola, nuova, non ancora imbrattata dalla polvere.
“Questa bacchetta” spiegò Olivander, porgendola a Costance “è di legno di tasso, molto lunga, addirittura di quindici pollici, e contiene il pelo della coda di un unicorno e una corda di cuore di drago, intrecciati tra di loro con molta maestria: tra le due anime, il legame è stretto, strettissimo, e rende la bacchetta ancora più efficace nell’attacco. Già la consistenza del legno di tasso lo dovrebbe consentire, ma questa mia nuova sperimentazione ne aumenta le possibilità”.
Costance ammutolì, affascinata da quel discorso: se dietro una bacchetta si nascondevano tutti quei significati, allora aveva a che fare con un qualcosa più grande di lei, di altamente magico. Tuttavia, afferrò la bacchetta, quasi con rispetto, se la rigirò per un po’ tra le mani e, dopo un solenne istante, la sollevò verso l’alto.
Per un attimo non successe nulla, e Costance ebbe il timore che nemmeno quella bacchetta le fosse destinata: ma lei voleva quella, lo sapeva, e, ora che l’aveva impugnata, non voleva separarsene mai più.
Poi, lentamente, una flebile scintilla illuminò la punta della bacchetta: era argentea, preziosa, e aumentò lentamente d’intensità, fino ad esplodere come un fuoco d’artificio.
Costance rimase a bocca aperta, e quasi la bacchetta le cadde di mano: qual era il significato di quella luce?
Il signor Olivander fischiò, ammirato.
“Sicuramente è stata solo tutta scena” disse, con un sorriso “ma che scena!”
“È…è una cosa positiva?”
Olivander le si avvicinò.
“Anche se non lo fosse, signorina Baudelaire, leggo nei suoi occhi che non potrà accettare nessun’altra bacchetta, dopo aver goduto del potere di quest’ultima. In ogni caso, quella luce era un segno positivo, e questa bacchetta le spetta di diritto”.
Costance sorrise, raggiante, e Mortimer gracchiò.
“Le sue radici irlandesi, signorina, sono state chiaramente messe in luce” continuò Olivander “corde di cuore di drago e peli di unicorno sono assai folkloristici…senza contare che anche sua madre ha avuto da me una bacchetta di legno di tasso, la cui linfa vitale, come ho già spiegato, aumenta le prestazioni degli incantesimi d’attacco”.
Costance fissò l’uomo, stupita: non aveva mai saputo che genere di bacchetta usava sua madre, e sapere che era simile a quella che stava per comprare la turbò non poco.
“Sono undici galeoni” disse il signor Olivander, e Costance pagò il tutto frettolosamente, presa com’era da tutti quei pensieri. Mentre infilava la custodia della sua nuova bacchetta nel borsone, salutò cordialmente il signor Olivander, e se ne andò difilata dal negozio.
Il signor Olivander attese che lei svoltasse l’angolo, prima di distogliere lo sguardo, e mentre scriveva sul registro dei clienti il cognome “Baudelaire”, l’uomo non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso che poteva voler dire molte cose, ma anche nessuna.
Nel frattempo, Costance si accorse che, di quel disastro fucsia che aveva combinato, era rimasta solo una vaporosa piuma rosa shocking di Mortimer.
“E la gita a Diagon Alley non è ancora finita!” pensò la ragazza, sorridendo, eppure già sentiva che qualcosa, in lei, stava cambiando. Forse era l’aria degli acquisti, o magari quell’improvviso ritorno al passato, chissà…Di una cosa, però, era certa: qualunque cosa avesse dovuto ricordare, per quanto sgradevole, tutto si sarebbe concluso in un sorriso, proprio come in quel momento. che ho speso i risparmi di una vita!”
  
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