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Autore: Davide95    24/05/2013    1 recensioni
'Ma a forza di amarla, una persona, non si consuma? O sei tu a consumarti?'
Genere: Fluff, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo uno.

 

Ferma, immobile al centro della sala Charlie fissava una luce verde puntata sul suo capo, che a ritmo di musica si accendeva e si spegneva, lasciandola confusa.
Non avrebbe saputo dire da quanto se ne stava in piedi da sola lì ad osservare le persone ballare, scontrarsi, baciarsi così a caso. Non avrebbe nemmeno saputo mai capire le persone che si innamoravano a caso, una sera ed il giorno dopo non avevano il cuore spezzato se non avrebbero più visto i loro amanti occasionali, perchè tanto il giorno dopo ce ne sarebbero stati altri, magari migliori. Magari no.
Ma Charlie non era così, ad una festa preferiva un film a casa, ad un bacio preferiva un abbraccio.
Ma a quel moro che la fissava da quando lei si era posizionata là da sola al centro della stanza, beh a lui forse una bacio glielo avrebbe dato. Forse era semplicemente l'alcool a procurarle quei pensieri strambi, ma avrebbe potuto giurare di averlo visto sorridere all'inizio della serata, a lei.
A lei, l'unica o quasi ad indossare jeans e una canottiera nemmeno così tanto scollata. E forse avrebbe potuto giurare di non aver mai visto degli occhi così trasparenti e belli, semplicemente belli perchè al momento non riusciva a pensare ad altro che belli. Se ci pensava, del suo viso non riusciva nemmeno a ricordare i lineamenti visti solo qualche ora prima alla luce, solo quegli occhi e quelle fossette, certo, quelle era impossibile non ricordarle.
Charlie all'improvviso dovette spostarsi, perchè una coppia troppo focosa si stava praticamente mangiando e non baciando, e dopo essersi accorta che si quella era proprio la sua amica Zoe si era trovata totalmente in imbarazzo. Charlie non la giudicava, non giudicava nemmeno chi come la sua amica si innamorava ogni sera, semplicemente non condivideva; potrebbe sembrare un paradosso, ma anche lei era così, anche lei appena qualche settimana prima riusciva a baciare sconosciuti in un bar, a fare sesso con ragazzi più grandi in certi pub poco raccomandabili, ma aveva smesso, quasi come fosse un vizio. Peggio di una droga.
L'aveva capito l'undici Ottobre, quella data sarebbe passata alla storia, che la notte si sarebbe sempre trovata da sola, da sola a piangere su qualcuno che probabilmente non esisteva nemmeno.
Era stanca di essere l'amante di tutti, ma l'amore di nessuno. Si era resa conto che voleva qualcuno con cui fare sesso, ma che poi restasse e cercasse di non farla piangere. E Sean, suo fratello, l'aveva capito che era cambiata; lui lo sapeva, lui la sentiva piangere tutte le notti, la sentiva soffocare singhiozzi sul cuscino e spesso si era ritrovato a piangere anche lui sentendola, perchè le mancava sua sorella, le mancava la piccola Charlie, che poi tanto piccola dentro quel corpo di donna non lo era.
Ed aveva capito che era tornata quando quel sabato sera, invece che scendere truccata e vestita alla moda, era scesa in tuta, con i capelli raccolti e l'aveva pregato di rimanere a casa con lei a vedere un film schifoso mangiando pizza sul divano e lui, sorridendo, aveva chiamato la sua ragazza e le aveva detto semplicemente che sua sorella era tornata. Charlie sapeva che lui sapeva, ma entrambi come se fosse una mina, evitavano di parlarne.

'Certe cose' diceva sempre Charlie 'non le condividerò con nessuno nemmeno con te Sean, ma tu le saprai e capirai sempre.'

 

Harry la guardò, i capelli biondi raccolti, il fisico snello, il viso pulito e quegli occhi, forse avrebbe potuto giurare di non aver mai visto degli occhi così trasparenti e belli, semplicemente belli perchè al momento non riusciva a pensare ad altro che belli. Ma sembrava non riuscire a togliersela dalla testa, l'aveva vista qualche volta in città e l'aveva osservata per molto tempo, senza mai aver il coraggio di avvicinarla, ma non per timidezza, Harry era tutt'altro che timido, semplicemente perchè aveva paura. L'aveva vista sempre così spavalda mentre rifiutava un'uscita con uno e un caffè con un altro, e lui l'unica cosa di cui aveva paura era proprio un rifiuto.
Una persona più orgogliosa di Harry nessuno la conosceva, lui ci teneva al suo essere mascolino, alla sua virilità. Un rifiuto l'avrebbe distrutto. Ma quella ragazza diamine, quella ragazza non voleva lasciarlo andare. Harry lo sapeva eccome che lei sapeva di essere guardata, in quel momento, sapeva che i suoi occhi la stavano divorando, pezzo per pezzo, ogni singolo pezzetto di pelle. Al moro veniva quasi da ridere a vederla immobile e da sola in mezzo alla sala a non fare assolutamente nulla, da che mondo veniva?

“Amico, come mai tutto solo? Non eri tu quello che si faceva mangiare dalle ragazze, qui?”
Matt lo avvolse in un abbraccio stretto, erano anni che non si vedevano e Matt lo sapeva che Harry non avrebbe fatto un ritorno in grande stile come tutti e tutte si sarebbero aspettati.
Harry era cambiato, ma ancora nessuno lo sapeva.
“Sono contento che tu sia qui.”
Harry sorrise, sapeva quanto questa frase gli fosse costata al suo amico, e non poteva immaginarsi una frase migliore di questa.
Anche tu amico, anche tu.”
Entrambi si guardarono e risero, ognuno osservò l'altro come non facevano da tanto, troppo tempo.
Matt era cresciuto, i capelli li teneva più lunghi, gli occhi erano sempre limpidi, come prima che si salutassero tre anni prima. In compenso, ora erano quasi alti uguali, Harry era cresciuto solo qualche centimetro mentre il biondo si era alzato parecchio, quasi uguagliandolo; le spalle erano diventate più larghe, Harry avrebbe potuto giurare di avere davanti a sé un nuotatore, ma invece lo sapeva che Matt non sapeva proprio nuotare.
L'unica cosa che proprio non aveva cambiato, era il suo modo di vestire; le scarpe slacciate, larghe e più grandi di qualche numero, i pantaloni bassi e di marca scadente, un maglione fin troppo grande.
Harry invece aveva sviluppato uno stile tutto suo, con jeans non troppo stretti e una maglietta bianca che gli fasciava il torace muscoloso, che lasciava intravedere sul muscolo del braccio un tatuaggio, il tatuaggio.
E Matt lo vide, e subito i suoi occhi si velarono di malinconia, tristezza e Harry pensò 'no ti prego, non ora che sono appena tornato'.
Ma a Matt venne spontaneo chiedere, a tutti sarebbe venuto spontaneo.

“L'hai fatto per lei?” fu quasi un sussurro, Matt non riuscì nemmeno a guardarlo in faccia quando glielo chiese.
“Rinascita, significa rinascita. La fenice rinasce dalle sue ceneri, una volta che è morta.”
A Matt vennero i brividi tanto che scosse le spalle, come a mandarli via, a mandare via la tristezza di quei ricordi.
“E tu? E voi come state?”
Harry sospirò, uno dei motivi per cui non voleva tornare, era proprio questo.Harry odiava le domande riguardanti quell'argomento, voleva semplicemente non parlarne, non ricordare.
“Credo che mia mamma non si riprenderà mai.”
Matt non poteva far altro che annuire, non avrebbe mai trovato le parole giuste per quello.
Era una cosa troppo grande per tutti.

“E tu? Tu come stai?”
Harry scosse le spalle, sinceramente l'unica cosa che riusciva a fare era non pensarci.
Aveva tolto tutte le foto da camera sua, tutte le felpe che aveva condiviso con lei le aveva buttate, quando scendeva le scale evitava di guardare sulla mensola le cornici, lui diceva che non aveva senso tenere foto, album che ricordassero a tutti che qualcuno non c'era più, era inutile tenere qualcosa che non faceva altro che ricordare una mancanza, una perdita.
'Mettono angoscia.' ripeteva a tutti.
Ma nessuno voleva smettere di ricordare se non lui, sua mamma non faceva altro che piangere ogni notte nonostante fossero passati tre anni e crogiolarsi nel dolore durante il Natale, la Pasqua, durante qualsiasi cena con i parenti. Addirittura preparava un posto in più, una forchetta in più, un coltello in più, un tovagliolo, un piatto, un bicchiere; e se andavano fuori a mangiare, prenotava per quattro e non per tre.
Harry era arrivato al limite quando sua mamma aveva ordinato quattro pizze e non tre una sera, e le aveva detto che era un inutile spreco di soldi ordinare una pizza per una persona morta; aveva ricevuto una sberla da suo padre e nei giorni successivi aveva dovuto fare i conti con i sensi di colpa che gli procurava la vista del viso di sua madre, ferita e distrutta.
Si diceva che ognuno affrontava il dolore a modo suo, suo padre l'aveva fatto, dopo tre mesi era andato in camera di
lei e aveva buttato via tutto, e conservato solo qualche cosa che custodiva gelosamente in un cassetto; Harry aveva passato qualche notte fuori, una sera da Matt, una da Fred, aveva pianto notti intere e poi si era andato a fare due tatuaggi. Il primo si era quasi pentito d'averlo fatto, aveva solo diciassette anni e forse non si era reso conto che la parola 'strong' sul collo, alla fine della spina dorsale, non significava più di tanto.
Lei forte non lo era stata.
Poi era cresciuto, maturato in poco tempo e si era fatto tatuare una fenice, sul braccio destro, fenice che quando ingrossava il muscolo sembrava prendere il volo.
Suo padre aveva pianto quando era tornato con quel tatuaggio, sapeva che Harry l'avrebbe portata dentro di sé sempre, anche se si era dimostrato tanto duro inizialmente.
“Sono contento che tu sia qui.” esclamò ancora Matt, offrendo al suo amico una birra dopo avergli tirato una pacca sulla spalla.

 

“Zoe, gli hai vomitato sulle scarpe, è logico che se ne sia andato.” disse svogliatamente Charlie.
“Ma Charlie, lo amavo!” urlò la sua amica, piangendo. Charlie si sciolse i capelli biondi con cura e rise di gusto. Zoe si alzò di scatto mettendosi seduta per dare all'amica un pugno, ma ricadde su sé stessa, sbattendo la testa a terra.
“Sei ubriaca Zoe.”
“Non è vero Charlie, io mi sono innamorata di lui!” disse la mora, gracchiando.
“L'hai conosciuto stasera! Comunque se vuoi avere ragione..si hai ragione Zoe.” disse, mentre continuava a giocare con il cellulare.
“Dici così solo perchè tu non ami. Non hai mai amato. Sei di pietra Charlie, nessuno ti amerà mai.”
Charlie restò immobile, in silenzio, guardando un punto indefinito davanti a sé.
“Fai tanto la sostenuta, rifiuti tutti anche solo per un caffè, la verità è che hai paura Charlie, perchè tu stessa sai che non sai amare e che le distruggi le persone. Perché tu ami o ti fai consumare o consumi loro.”
A Charlie cadde la sigaretta dalle dite, non sentì nemmeno la bruciatura della cenere sulla gamba nuda, sentì solo un qualcosa insinuarsi dentro al suo petto, nei polmoni, che le fece male, quello si che le bruciò. Era come se un ago, sottile ma allo stesso tempo spesso, gli si fosse conficcato nella pelle. Solo dopo qualche secondo di silenzio capì che si trattava di consapevolezza.


 



Ho aggiornato subito, così potete capirci qualcosa, che poi in verità non si capisce nulla ancora, però vabbè :)
Grazie a chi ha già recensito e a chi vorrà farlo.
Un bacio

  
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