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Autore: ValeryJackson    25/05/2013    1 recensioni
La vita di Valeri Hart è sempre stata una vita abbastanza normale, con la scuola, una mamma che le vuole bene e la sua immancabile fantasia.
Già, normale, se si escludono ovviamente i mille trasferimenti da una città ad un'altra, gli atteggiamenti insoliti di sua madre (che poi sua madre vera non è) e quelle strane cicatrici che le marchiano la caviglia, mandandola in bestia. Non sa perchè ce le ha. Non ricorda come se l'è fatte. Non ricorda di aver provato dolore. Ricorda solo di essersi risvegliata, un giorno, e di essersele ritrovate addosso. Sua madre le ha sempre dato mille spiegazioni, attribuendo più volte la colpa alla sua sbadataggine, ma Valeri sa che non è così.
A complicare le cose, poi, arriva John, un ragazzo tanto bello quanto misterioso, che farà breccia nel cuore di Valeri e che, scoprirà, è strettamente collegato alla sua vera identità.
**
Cap. 6:
Mary mi guarda negli occhi. Poi il suo sguardo si addolcisce, e mi fissa in modo molto tenero, come si guarda una bambina quando ti dice che ti vuole bene.
"Oh, Valeri", dice, con dolcezza. "Tu non hai idea di che cosa sei capace".
**
Questa é la mia nuova storia! Spero vi piaccia! :)
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dopo alcuni minuti di fila che sembrano interminabili, finalmente si libera un carro.
Ci avviciniamo a questo e un ragazzo con un walkie-talkie ci fa cenno col mento di salire.
Lo riconosco. È uno dei giocatori di football.
<< Ciao, Tommy >>, lo saluta Mia, mentre prende posto accanto a Matt su una delle tante palle di fieno che fungono da sedie su quel vecchio carro malconcio.
<< Ciao >> risponde lui, con scarso entusiasmo. << Siete solo voi, giusto?>>
Mia annuisce. E lui mormora qualcosa di simile a un “perfetto”. Poi fa cenno al conducente del carro di partire.
Aggrotto la fronte. << Non fai salire anche gli altri?>> chiedo.
Lui scrolla le spalle. << Ci sono tanti carri, non ha senso riempirli di persone.>> Poi, senza dire altro, si allontana, sentenziando qualcosa al walkie-talkie, che però non riesco a sentire.
Il conducente del carro incita il cavallo che lo trascina, e questo parte con qualche traballamento sul terreno brecciato.
Mentre ci allontaniamo, Tommy urla qualcosa di simile a un “Godetevi il viaggio”. Mi volto a guardarlo, sorpresa, e solo ora mi accorgo del ghigno che dipinge la sua faccia, di quelli che alcune persone fanno quando vengono a sapere che è successo qualcosa di brutto a qualcuno che disprezzano.
Le persone che facevano la fila con noi ci guardano con disprezzo, molto probabilmente per il fatto che, a quattro persone, abbiamo occupato un carro intero. E, considerando il numero delle persone che attendono, e la quantità di spazio presente sul carro, non posso dargli torto.
<< Che strano >>, commento.
John, seduto accanto a me, segue la direzione del mio sguardo e scrolla le spalle. << Molto probabilmente avrà una cotta per Mia.>>
<< Spero proprio di no >>, ribatte Mia, fingendo un conato di vomito.
Io continuo a guardare Tommy mentre avanziamo. Non so perché, ma ho la sensazione che stia per accadere qualcosa. E che quel qualcosa non sia niente di buono.
Attraversiamo l’entrata del percorso, dove altoparlanti nascosti emettono suoni spaventosi. Il bosco è fitto e non c’è luce, a parte quella emessa da due fari posti di fronte al carro.
Quando saranno spenti, penso, non rimarrà altro che l’oscurità.
Incoscientemente, faccio scivolare la mia mano dentro quella di John. Sono pervasa da una sensazione di calore, e, imbarazzata, sono tentata di spostarla.
Sto per farlo, quando lui me la stringe più forte, in modo rassicurante. Si volta a guardarmi e sorride.
Sono felice che non ci siano luci ad illuminare il mio volto, perché sarebbe rosso come un peperone.
<< Sc… Scusa… >> mormoro, imbarazzata. << Io… ho un po’ di paura.>>
<< Non preoccuparti >> risponde pronto lui. Poi si avvicina di più. << Ci sono qua io a proteggerti >> mi sussurra all’orecchio, provocandomi un brivido lungo la schiena.
Sagome di fantasmi sono appese ai rami più bassi degli alberi, appena sopra le nostre teste, e ai lati della strada serrata ci sono mostruosi zombi appoggiati ai tronchi.
Luci stroboscopiche intermittenti lampeggiano per dieci secondi; non fanno paura, e soltanto quando si spengono capisco il loro scopo. Ci vogliono diversi secondi perché i nostri occhi si abituino: non vediamo più nulla.
All’improvviso, un grido squarcia l’oscurità. Istintivamente, mi irrigidisco e stringo più forte la mano di John, mentre alcune sagome ci girano intorno.
Mi sforzo di mettere a fuoco e vedo che Mia si è avvicinata a Matt e lui la stringe contro il suo petto, con un gran sorriso stampato sul volto.
Improvvisamente, ci fermiamo.
Con delicatezza, John mi cinge con un braccio. Una mano mi sfiora la schiena, e io stringo con forza la gamba di John. Qualcuno grida.
Con uno scossone, il carro ricomincia ad avanzare. Nella luce dei fari si vedono soltanto le sagome degli alberi.
Andiamo avanti per altri tre o quattro minuti. Senza che me ne accorga, la mia apprensione cresce, nella spaventosa prospettiva di dover ripercorrere a piedi la distanza che ci siamo lasciati alle spalle.
Poi il carro si ferma in una radura circolare.
<< Giù tutti!>> grida il conducente.
Noi ci alziamo e, dopo che i ragazzi sono scesi, aiutano me e Mia a saltare giù.
Il carro riparte, e le luci si allontanano gradualmente. Poi, svaniscono del tutto.
Non resta altro che l’oscurità della notte. Gli unici suoni sono quelli che produciamo noi.
Davanti a noi, un sentiero di luci si accende, mostrandoci la direzione, poi si spegne di nuovo.
Chiudo gli occhi, per concentrarmi sulla sensazione delle dita di John intrecciate nelle mie.
<< Perché faccio questa cosa ogni anno?>> dice nervosamente Mia, che ora stringe la mano di Matt.
Senza dire niente, ci avviamo lungo il sentiero. Di tanto in tanto le luci si accendono, per indicarci la strada. È così buio, che vedo a malapena il sentiero sotto i miei piedi.
Alcune persone, davanti a noi, gridano.
<< Oh, no >> mormora Mia. << Guai in vista.>>
E poi, in una frazione di secondo, qualcosa di pesante ci cade addosso.
Tutti e quattro urliamo, cadendo a terra. Io inciampo e mi sbuccio un ginocchio.
Qualcosa mi intrappola, ma non so che diavolo sia. Mi accorgo troppo tardi che si tratta di una rete.
<< Che cavolo succede?>> fa Matt.
John strappa senza difficoltà le corde della rete, ma, non appena si alza in piedi, qualcuno lo spintona da dietro.
<< John!>> grido, tentando di uscire dal varco creato da lui. Mi alzo, e tento di andargli incontro, quando qualcuno mi afferra per le spalle. Tento di divincolarmi, invano, e quello che mi stringe le spalle ora mi ha avvolto con forza con entrambe le braccia all’altezza del torace e dell’addome, impedendomi di muovermi.
Vedo che John si rialza, ma qualcuno lo spintona un’altra volta alle spalle. Stavolta lui non cade, ma perde comunque l’equilibrio.
Tento di nuovo di divincolarmi da quella presa, ma lui (o almeno credo sia un lui) non mi lascia andare. Anzi, ora inizia a trascinarmi lontano dai miei compagni.
<< Lasciami!>> grido.
L’unica risposta che ricavo è una risata. Gelida. Non vedo più nulla, ma le voci dei ragazzi si fanno sempre più lontane.
Qualunque cosa stia succedendo, non fa certo parte dell’attrazione del carro.
Stringo i denti. Sto tremando. C’è forse qualcuno che si nasconde dietro il muro di alberi intorno a me? Non lo so, ma mi sento osservata.
<< Lasciami stare!>> grido ancora, tentando nuovamente di divincolarmi. Lui, invece, salda di più la presa.
Qualcuno, non lontano da me, ride. Strizzo gli occhi, come se questo mi aiutasse ad espellere l’eco orripilante di quella risata.
Quel ragazzo mi trascina per altri dieci metri. Poi, inspiegabilmente, ci fermiamo.
Riapro gli occhi.
Ci troviamo in un posto che non ho mai visto prima.
Finalmente, ora siamo illuminati da una flebile luce. Mi concedo qualche secondo per guardarmi intorno. Ci sono solo alberi, ma, a qualche metro di distanza, c’è un piccolo fiume. Credo proprio che mi abbiano portato su una collinetta. Ma perché?
Qualcuno ride di nuovo, stavolta più vicino.
Spaventata, guardo dritto davanti a me, socchiudendo gli occhi per vedere meglio.
<< Bene, bene, bene >> dice qualcuno. << Chi si rivede.>> Mi irrigidisco di colpo. Riconoscerei quella voce fra mille.
Come a confermare ogni mio sospetto, la figura di Mark spunta da dietro un albero. Lui mi sorride, sprezzante. << Come va?>>
Aggrotto la fronte, e sento montare una rabbia, dentro di me, che non pensavo sarei mai riuscita a provare. << Tu?>> grido, acida. << Sei stato tu ad organizzare tutto questo?>>
Lui si fa avanti, fiero. << Colpevole >> risponde, semplicemente, alzando una mano. Si avvicina ancora di più, così tanto che riesco a sentire l’odore della sua acqua di colonia invadermi le narici.
<< Che cosa vuoi da me, Mark?!>> ringhio.
Lui ride, guardandomi negli occhi con aria di sfida. << Volevo solo divertirmi un po’.>>
Lo guardo, con disprezzo. << Tu! Lurido… >>
<< Ah!>> mi interrompe lui, alzando una mano. << Non rendere le cose ancora più difficili, piccola. Non ce né bisogno.>> Detto questo, si allontana leggermente, come se fosse normale tutta quella situazione.
<< Quali cose?!>> chiedo, infuriata. Avrei davvero voglia di sputargli in faccia.
Lui ride, ma non mi risponde. A quel punto non ce la faccio più. Carico un po’ di saliva in bocca e glie la sputo contro, mancando di poco il bersaglio.
Lui guarda il punto in cui è caduta la mia saliva. Poi alza lo sguardo e, dopo avermi squadrato per un po’, fa cenno al ragazzo dietro di me di lasciarmi andare. Lui allenta la presa.
<< Mi piace il tuo spirito d’iniziativa, Hart. Hai fegato, non c’è che dire.>>
Mark si avvicina e, finalmente, il ragazzo dietro di me molla la presa. Mi volto a guardarlo. È Malcom, uno dei giocatori della squadra di football.
L’acqua di colonia invade di nuovo le mie narici, costringendomi a voltarmi. Mark è a pochi passi da me. Mi prende il mento con una mano e me lo alza. << Sai, in altre circostanze avresti anche potuto interessarmi. Sei una bella ragazza.>> Mi squadra in volto, poi sospira. << Peccato che io stia già con Jessica.>>
<< Io non sono la seconda scelta di nessuno >> rispondo, la voce carica di odio.
Lui sospira, fingendosi rassegnato. << Bella, coraggiosa e anche risoluta. Sì, sei proprio un bel tipetto.>>
Mi lascia il mento e si allontana nuovamente. Inspiegabilmente, mi sento crollare le ginocchia, ma resisto. << Peccato che le cose siano andate come sono andate >> commenta lui.
<< Tra noi non avrebbe funzionato neanche fra un milione di anni, Mark. Mettitelo bene in testa.>>
Lui ride, sarcastico, guardandomi in faccia. << Già, forse hai ragione. Ti piacciono i tipi come John, vero? Quelli misteriosi e strani.>> Sorride di traverso. << Si, sareste una bella coppia. Però… mi chiedo se continuerà a piacerti anche dopo quello che gli accadrà questa sera…>>
La rabbia che sentivo prima nel petto si è appena tramutata in… no, non preoccupazione. Panico. << Ch… Che… Che cosa vuoi fare, Mark?!>> balbetto, maledicendomi mentalmente per il tremolio della mia voce.
Mark sorride, mostrando quasi tutti i suoi denti, e si avvicina, lentamente. Da qui, riesco a vedere anche i suoi molari. << È buffo che tu lo chieda. John starà per arrivare. Insomma, non può lasciarti sola qui. Giusto?>> afferma, con lo stesso tono che si usa per parlare con i bambini. Con finto dispiacere.  << Beh, quando arriverà, noi saremo qui ad aspettarlo. Lo pesteremo… >> Ora si sta facendo troppo vicino. << E poi ci occuperemo di te!>> esclama, facendo un balzo in avanti per scartare l’ultimo metro che ci separava e afferrandomi con forza i polsi. Io tento di divincolarmi, senza risultato. Scorgo una luce folle nei suoi occhi, e questo non fa che farmi spaventare ancora di più.
Grido. Non so che fare. << Lasciami stare!>> urlo, agitando le braccia, nella speranza che lasci la presa. Ma lui non lo fa. Anzi. Stringe ancora di più. Sento i miei polsi bruciare, e mi fanno male le braccia. Anzi. Mi fanno male le mani. I palmi delle mani.
<< Lasciala stare!>> urla una voce alle spalle di Mark.
Cerco di scorgere oltre la sua spalle, ma vedo molto poco. Ma so chi è. È John, ne sono sicura.
Però la sua voce è diversa. È più profonda. Più… affascinante.
Mark, come in uno stato di trance, lascia lentamente i miei polsi e si allontana. I suoi occhi sono vuoti, e hanno perso anche quel luccichio pazzo di prima. Sono… spenti. Sembra quasi che stia… dormendo?
La cosa però dura poco. In men che non si dica i suoi occhi tornano a guizzare, furbi, e un sorriso maligno spunta su suo volto.
Si volta, lentamente.
<< È un piacere rincontrarti, John >> esclama. << Qual buon vento?>>
John si avvicina, e finalmente riesco a scorgere i suoi lineamenti sotto la flebile luce. Vorrei corrergli incontro, abbracciarlo. Ma non lo faccio.
<< Chiudi il becco, Mark!>> lo zittisce, la voce carica di rabbia. Finalmente, è tornata quella di sempre. << La vernice nel mio armadietto era un conto, ma questa volta hai superato proprio il limite.>>
Mark ride, una risata priva di sentimento. << Cos’è, fai l’eroe?>> Si guarda intorno. << Siamo otto contro uno. Sei proprio sicuro di volerlo fare?>>
Solo ora mi accorgo degli altri ragazzi, che escono dai loro nascondigli dietro qualche albero e accerchiano John. Lui li osserva, uno per uno, spostando lo sguardo, ma non si muove.
Poi, fa una cosa strana. Sorride.
<< Che c’è, Mark?>> esclama, in tono di sfida. << Hai paura di affrontarmi da solo? Che cosa pensi che succeda? Hai cercato di rapire una persona, pensi davvero che lei non dirà nulla?>>
Mark irrigidisce la mascella, infastidito. << Si, non dirà nulla… dopo che mi avrà visto farti un culo così.>>
<< No!>> urlo, e vado per correre incontro a John, ma qualcuno, da dietro, mi blocca. Ora sono stufa. Gli pesto un piede con il tacco della scarpa, e lui, come speravo, molla la presa. Mi giro e gli meno una gomitata in piena faccia, facendolo indietreggiare e facendogli colare un po’ di sangue dal naso. Lui mi guarda, incenerendomi con lo sguardo.
Mark ride, nervoso. << Bene, bene. Forte la ragazza. Credo che si divertirà mentre ti vedrà stramazzare al suolo… >>
<< T’illudi >> ribatte John, poi si volta verso gli altri. << Se non volete finire in acqua, vi consiglio di andarvene subito >> dice, alludendo al piccolo fiume sotto di noi. << Mark ci finirà comunque. Ha perso l’occasione di negoziare.>>
Tutti ridacchiano. Uno di loro chiede cosa significhi “negoziare”.
<< È la vostra ultima occasione >> li avverte John.
Tutti restano immobili.
<< Va bene. L’avete voluto voi.>>
Sento un panico nervoso che mi s’insedia al centro del petto.
John fa un passo in avanti.
Mark indietreggia e inciampa, perdendo l’equilibrio. Due ragazzi lo aggrediscono.
Sono entrambi più grossi di lui. Uno sferra un pugno, ma John lo scansa e gliene assesta due nello stomaco. Da uno spintone al secondo, che finisce gambe all’aria. Quello atterra con un tonfo a due metri di distanza, e lo slancio lo fa rotolare nel ruscello. Riemerge mandando spruzzi ovunque.
Gli altri rimangono immobili, sconcertati.
Poi attaccano. Uno parte alla carica, tentando di assestare un pugno. Ma John glie lo ferma a mezz’aria e poi lo fa girare, tirandogli il braccio dietro la schiena. Quello stramazza per il dolore e John lo butta in acqua, con una spinta.
Un altro si scaglia contro di lui; John si limita a scansarlo, e lui finisce a faccia in giù nel fiume. Ne rimangono quattro.
<< Ragazzi, mi state rendendo le cose troppo facili. Chi è il prossimo?>>
Il più grosso del gruppo gli tira un pugno che non lo sfiora nemmeno, ma lui reagisce così rapidamente che il suo gomito lo colpisce in faccia. John barcolla un attimo, ma si rialza subito. Quello sembra così soddisfatto di essere riuscito a colpirlo che gli si scaglia di nuovo contro, pronto ad attaccare.
John tende una mano in avanti e una forte luce gli fuoriesce dal palmo della mano, abbagliando il nemico.
Mi sento mancare il fiato. Da dove vengono quelle luci? Come ha fatto ad evocarle?
Non faccio in tempo a rispondermi, che John gli ha già tirato un pugno, colpendolo alla mascella e facendolo cadere a terra come un sacco di patate. Sembra quasi senza vita, e per un attimo temo che l’abbia colpito troppo forte. Poi lo sento che si lamenta.
John si guarda intorno. << Altri volontari?>>
Due ragazzi alzano le mani, in segno di resa. Il terzo rimane lì, a bocca aperta, come un’idiota.
<< Rimani solo tu, Mark.>>
Mark si gira come se volesse scappare, ma John si avventa su di lui prima che possa muoversi e lo blocca da dietro, con una presa simile a quella di un lottatore. Mark riesce a divincolarsi, e si volta per tentare di assestare un pugno ben piazzato. Ma John glie lo blocca a mezz’aria e poi gli torce i braccio. Lo tira, e poi lo getta a terra, la faccia spiaccicata sul suolo, il braccio di prima tirato indietro, l’altra mano di John a premere sulla sua spalla. Mark si contorce per il dolore.
<< Tutta questa storia deve finire qui e ora, capito?>> dice, la voce calda e convincente. << Qualunque sia il motivo per cui ce l’hai con noi, la cosa finisce qui. E questo vale anche per gli altri, hai capito?>> John tira ancora di più il braccio, premendo sulla spalla. Mark geme per il dolore. Ancora un po’ e può slogargli la spalla. << Ti ho chiesto se hai capito!>>
<< Si!>>
John si volta a guardarmi, indicandomi con un cenno. << Chiedi scusa.>>
<< E dai! Hai dimostrato quello che volevi dimostrare!>>
John tira di più.
<< Scusa!>> grida Mark.
<< Dillo con convinzione.>>
Mark tenta di fare un respiro profondo, ma deve mancargli proprio il fiato. << Scusa, mi dispiace.>>
<< Sei uno stronzo, Mark >> esclamo.
John spinge un altro po’ sulla spalla. << Non dirai una parola a nessuno di tutto questo, hai capito?>> dice a bassa voce, in modo che solo Mark lo possa sentire. Ma io sono abbastanza vicino per sentire ciò che si dicono. << Tutto ciò che successo questa sera muore qui. Se la settimana prossima sento, a scuola, anche solo una parola su questa faccenda, quello che è successo finora non sarà niente in confronto a quello che ti succederà. Te lo giuro.>> si abbassa accanto al suo orecchio. << E lascia in pace Valeri. Non voglio che tu le torca neanche un capello.>> si rialza e tira il braccio ancora un po’. << Hai capito? Nemmeno una parola.>>
<< Pensi davvero che andrei in giro a raccontarlo?>> replica lui.
<< Lo stesso vale anche per i tuoi amici. Se raccontano qualcosa, me la prenderò con te.>>
<< Nessuno dirà niente >>, assicura.
John annuisce, soddisfatto. << Molto bene. E ora vediamo se sei tanto bravo a lanciare anche con la sinistra.>>
Spinge di più sulla spalla, tirando il braccio fino all’estremo. Così facendo, la spalla sarà rotta entro pochi secondi. Sento Mark urlare per il dolore.
<< No!>> urlo, involontariamente, portandomi una mano alla bocca, spaventata.
John si blocca.
Lo guardo, sconcertata. Si, odio Mark. Lo odio con tutto il cuore. Ma non voglio che gli rompa il braccio. Non serve abbassarsi ai suoi livelli. << John non farlo >> dico lentamente, tentando di convincerlo.
John sembra pensarci un attimo, indeciso sul ‘da farsi. Poi, lentamente, lascia andare il braccio di Mark, lasciandolo lì, a lamentarsi sul suolo. Poi lo alza, lo trascina di peso verso il fiume, gli tira un calcio sul sedere e lo spinge a faccia in giù nell’acqua.
Gli altri ragazzi, che stavano ancora assistendo alla scena, girano sui tacchi e se ne vanno, terrorizzati, tirando su anche il ragazzo tramortito di prima, che constato non essere morto.
Una volta che se ne sono andati, rimaniamo soli.
Guardo John, non riuscendo a credere a ciò che ho appena visto. Lui ha… E poi ha… E infine ha fatto…
Lui si volta, a guardarmi, e senza pensarci corro ad abbracciarlo, affondando la testa nel suo petto.
<< Dio, ma come hai fatto?>> dico, riprendendo a respirare. Non mi ero nemmeno accorta di trattenere il respiro. Poggio la guancia contro il suo petto e sorrido. << Fai forse kung-fu o qualcosa del genere?>>
Lui fa una risatina nervosa. << Hai visto tutto?>>
Faccio spallucce. << Abbastanza >> mento.
Lui mi stringe a se e mi accarezza i capelli. << Avevo paura che ti succedesse qualcosa.>>
Sorrido, e mi sento avvampare. Mi stacco dall’abbraccio e lo guardo negli occhi. Sorrido, grata. << Sei incredibile >> affermo.
Lui fa spallucce. << Beh, non ho fatto niente di che. E poi, gli ultimi dodici anni passati ad allenarmi sull’Himalaya devono essere pur serviti a qualcosa, no?>>
Non so perché, ma credo che quest’ultima affermazione sia una bugia. Rido. << Mia e Matt dove sono?>> chiedo poi.
<< Stanno bene >> mi assicura lui. Poi si guarda intorno, nervoso. << Adesso però andiamocene di qui.>>
Annuisco, d’accordo.
Lui mi prende per mano e mi trascina nel bosco.
Non ho idea di dove stiamo andando, così mi limito a seguirlo, e a farmi infondere la sicurezza che mi manca dal calore perfetto della sua mano.
 
Continuiamo a camminare verso casa.
Abbiamo lasciato Matt e Mia poco fa, dopo esserci assicurati che stessero bene. Loro erano spaventati, e Mia, allarmata, ha iniziato a riempirmi di domande, a cui io ho promesso di rispondere. Ma non ora. Ora sono troppo scioccata per parlare. Non riesco a non pensare a ciò che è successo, a ciò che John ha fatto, a quella forte luce che gli è uscita dalle mani.
Ce ne siamo andati, lasciando Mia con un punto interrogativo, e John si è offerto di riaccompagnarmi a casa.
Abbiamo fatto tutto il tragitto in un silenzio imbarazzante. Un silenzio che nessuno dei due ha avuto il coraggio di rompere. Un silenzio in cui o avuto un po’ di tempo per pensare.
Tutto ciò che è successo è assurdo, non so come altro definirlo. Mark ha davvero superato il limite, stavolta, e credo di non essere mai stata così spaventata e piena di rabbia contemporaneamente prima d’ora. Onestamene, non so cosa sarebbe successo se non fosse arrivato John. Anzi, non so neanche se Mark avrebbe avuto il fegato di farmi qualcosa. Di una cosa però sono sicura. Mark se l’è passata proprio male. A tal punto, forse, che ho quasi provato pena per lui.
Percorriamo altri cinque metri in silenzio, poi arriviamo davanti casa mia.
Ho così tante domande in testa, che davvero non so da dove cominciare. E allora perché, perché non riesco a farne neanche una?
Mentre percorriamo il vialetto, mi fermo, e mi volto, a guardare John.
Siamo illuminati dalla luce dei lampioni per strada, e anche dai faretti posti accanto alla porta della mia casa.
Anche se la luce non è tanta, i suoi occhi sembrano risplendere come non mai. Due diamanti blu cobalto che volteggiano nel buio.
Abbasso lo sguardo. Devo dirgli qualcosa. Ora o mai più. Strizzo gli occhi e faccio un respiro profondo.
<< Glie l’avresti rotta?>> riesco finalmente a chiedere. John mi guarda, inarcando un sopracciglio, non capendo. Lo guardo negli occhi. << A Mark. La spalla >> specifico. << Lo avresti fatto?>>
John irrigidisce i muscoli, digrignando i denti. << Se lo meritava >> risponde, semplicemente.
Annuisco, mesta. Immaginavo una risposta del genere. E sono d’accordo con lui, se lo meritava. E allora perché non riesco ad accettarlo? Perché ho fermato John, invece di restare a guardare?
Sospiro, scuotendo la testa. << Come hai fatto?>> chiedo, sconvolta. << Insomma, hai steso otto giocatori di football come se fosse una cosa normale… Il più grosso di loro… lo hai steso in cinque minuti. Quelle luci… >>
<< Indossavo dei guanti >> si appresta a dire lui. << Li ho… li ho rubati a Kevin, mentre venivo a cercarti.>>
<< Ma come… Come hai fatto a… a… >> Non riesco a parlare. Mi mancano le parole.
Lui sorride. << Sono pieno di sorprese >> afferma.
Lo guardo, affranta. << Ma perché l’hai fatto?>> chiedo. Lui non mi risponde, ed io continuo. << Tu… Tu non hai idea di chi ti sei messo contro. Mark… Mark è uno stronzo. È il figlio del capo della polizia della città. Lui… Lui può fare quello che vuole… Può rigirare la frittata come gli pare e piace, può farti passare dalla parte del torto… >>
<< Ehi, stai tranquilla >> dice lui, mettendomi le mani sulle spalle e sorridendo in modo rassicurante. << Lui non parlerà. Ha imparato la lezione.>>
Lo scruto in volto, scoraggiata. Non posso stare tranquilla, non ci riesco. Non capisco neanche come lui faccia ad essere così calmo. Forse non capisce la gravità della situazione. << Lui non si arrenderà tanto facilmente >> dico.
John mi guarda. << Io non ho paura di lui >> afferma, serio, con la mascella irrigidita.
<< Ma io si!>> esclamo. << Lui non si arrenderà, John. Troverà sempre il modo di contrastarci. Di farcela pagare. Lui… Lui… >> Riprendo un attimo fiato. << Perché? Perché l’hai fatto?>>
<< Perché volevo proteggerti >> esclama, facendo un passo avanti. Poi, notando la mia espressione stupita, chiude gli occhi e prende un bel respiro. << Io… Io non potevo permettere che ti facessero del male… Se ti fosse successo qualcosa… Io… io… >> Mi guarda negli occhi, incatenando i nostri sguardi. Mi accarezza una guancia, portandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. << Io non me lo sarei mai perdonato >> afferma.
Improvvisamente, sento le gambe molli, e mi sento avvampare. Solo ora mi rendo conto di quanto siano corte le distanze fra noi. Si tratta di centimetri, centimetri che si aggirano intorno ai cinque, sei. Il suo viso è così vicino che riesco a sentire il suo respiro caldo accarezzarmi il volto.
I nostri occhi sono incatenati, come collegati da un filo invisibile che non può essere spezzato.
John porta l’altra mano accanto al mio volto, spostandomi dietro l’orecchio un’altra ciocca di capelli, e poi accarezzandomi entrambe le guance.
Si avvicina un po’ di più, e i nostri nasi si sfiorano, delicatamente, a tal punto che respiriamo la stessa aria. Le nostre labbra sono a un soffio, e solo ora mi rendo conto di ciò che sta per succedere.
E poi, finalmente, mi bacia.
È la sensazione più bella che io abbia mai provato. Mi sento avvampare, e un brivido caldo mi scorre lungo tutta la colonna vertebrale, facendomi venire la pelle d’oca. Le nostre labbra sembrano perfette per stare insieme, ed io non riesco a pensare più a niente.
In questo momento, potrebbe scoppiare una bomba. Io non me ne accorgerei.
Incoscientemente, schiudo leggermente la bocca, permettendogli di approfondire il bacio.
È un bacio dolce, delicato. Un bacio che, lo scopro solo ora, non aspettavo altro che ricevere.
È il primo, per me. In tutti questi anni non sono mai riuscita a creare dei rapporti stabili, soprattutto con dei ragazzi, ed erano rare le volte in cui mi interessavo a qualcuno, inesistenti quelle in cui riuscivo ad innamorarmi. Ma con John. Con John è stato tutto diverso. Due settimane. Sono state sufficienti due settimane per innamorarmi di lui. Dei suoi occhi, del suo sguardo, del suo sorriso. Dei suoi modi di fare e della sua bellissima risata.
Cerco di non pensare a niente, e di godermi quel bacio, concentrandomi solo sul suo profumo, sul battito del suo cuore che corre insieme al mio, sul calore delle sue labbra posate sulle mie.
Quando ci stacchiamo, abbiamo entrambi il fiato corto, gli occhi lucidi per l’emozione.
Nessuno dei due dice niente. Ci guardiamo, soltanto, sorridendo contenti. Il mio viso fra le sue mani, i nostri cuori che battono ad un ritmo accelerato, innaturale.
Ci sorridiamo per un po’, e, poi, mi ribacia. Stavolta la cosa è più naturale, senza imbarazzo.
Poi ci baciamo un’altra volta.
Potrei restare qui per ore, ma, ovviamente, c’è sempre il terzo incomodo che deve rovinare la magia.
Avrei giurato che, se fosse successo qualcosa, non me ne sarei accorta, eppure è impossibile non notare una cosa del genere.
I faretti posti accanto alla porta della mia casa iniziano a lampeggiare, spegnendosi e riaccendendosi ininterrottamente.
Quindi, le opzioni sono due. O si sono fulminate improvvisamente e stanno ancora decidendo se spegnersi definitivamente o se continuare a fare luce, oppure qualcuno, dentro casa, sta freneticamente premendo il dito contro il loro interruttore, per attirare l’attenzione. E c’è solo una persona in grado di fare una cosa del genere.
Sbuffo, staccandomi da John. << Oh! Arrivo mamma!>> esclamo, alzando gli occhi al cielo. John ride, e giurerei di averlo visto arrossire, imbarazzato.
Lo guardo un’ultima volta, sorridente, poi gli prendo il viso fra le mani e gli do un ultimo bacio. << Buonanotte >> dico, con il mio miglior sorriso.
Anche lui sorride. << Buonanotte >> mi sussurra a fior di labbra.
Mi viene la pelle d’oca, ma mi costringo ad allontanarmi, dirigendomi in casa.
Prima di entrare, però, mi volto a guardarlo, per scambiarci un ultimo sorriso, incerto. Poi entro in casa e mi chiudo la porta alle spalle.
Resto lì immobile. Poggio la schiena alla porta, e mi lascio scivolare lentamente giù, fino a sedermi a terra. Chiudo gli occhi e rivedo la scena di qualche attimo fa.
Non posso crederci. Non posso credere che sia successo davvero.
Istintivamente, mi mordo il labbro, come per risentire il sapore delle sue. Non posso fare a meno di sorridere come un’ebete.
Mi ha baciata. Mi ha davvero… baciata!
<< Valeri >> mi chiama Mary dalla cucina.
Mi rialzo velocemente e cerco di assumere un’espressione seria. Poi mi dirigo verso la cucina.
Sto per entrare, ma lei è già uscita fuori. Mi squadra attentamente per qualche secondo. << Va tutto bene?>> chiede, inarcando un sopracciglio.
Vorrei non sorridere, ma non ci riesco, è più forte di me. << Va tutto… alla grande >> rispondo.
Lei mi squadra in volto, forse nel tentativo di trovare il modo migliore per fare la prossima domanda. Ma non glie lo permetto.
<< Vado in camera mia!>> esclamo, iniziando a correre su per le scale.
Lei mi segue con lo sguardo, raggiungendomi all’inizio di queste, allarmata. << Ma come, e la cena?>>
<< Non ho fame!>> mi appresto a dire, prima di entrare in camera mia e chiudermi la porta alle spalle. Una volta sola, inizio a ridere. Mi dispiace un po’ per Mary, ma ora non è il momento di rispondere a delle domande. Sono ancora troppo… su di giri.
Mi sfilo la borsa, facendola scivolare accanto al letto, sul quale mi butto, affondando la testa nel cuscino.
Sono troppo felice. Troppo!
Mentre ripercorro mentalmente gli ultimi avvenimenti della serata, un pensiero mi attraversa la mente.
Mi alzo di scatto e mi precipito verso lo spazio. Il mio spazio. Quello in cui tengo tutte le mie foto.
Afferro il mio vecchio album, poi torno sul letto e incrocio le gambe, poggiandocelo sopra. Poi lo apro.
Inizio a frugare nella mia borsa, finché non la trovo.
La fototessera che abbiamo scattato in quel camerino. Lentamente osservo cinque foto, una ad una.
La prima è la più semplice, forse anche la più imbarazzante. Ci sono io, con un sorriso forzato sul volto, e c’è John, che invece sembra rilassarsi davanti all’obbiettivo.
Poi c’è la seconda, in cui continuiamo a sorridere, ma stavolta in un modo più naturale, più semplice. Più bello. John mi avvolge il collo con un braccio, e stavolta sono io, che sembro rilassata.
Poi c’è la terza, la più buffa. In primo piano c’è la mia faccia, con le guance gonfie e la bocca a mo’ di bacio, mentre faccio l’occhiolino e, distrattamente, mi porto una mano accanto all’orecchio, giocando con i miei capelli. Dietro di me c’è John, che mostra tutti i denti, come se fosse preoccupato, e spalanca gli occhi, allungando il collo fino a stirarlo. Non posso fare a meno di ridere.
Poi c’è la quarta. Questa è… strana. Ci sono io, ancora seduta sulle gambe di John, che rido come una matta, gli occhi chiusi, il viso rivolto verso l’alto, mentre lui mi fa il solletico, divertito. Sorrido. Credo di non essermi mai vista così felice. Chissà come sarei ora, se mi scattassi una foto. Magari avrei lo stesso sorriso.
Infine guardo l’ultima, e avvampo. Siamo in piedi, e John mi tiene il viso fra le mani. Le distane fra noi sono davvero cortissime, tanto che i nostri nasi si sono incrociati e le nostre labbra si stavano davvero sfiorando.
Le guardo un’ultima volta, tutte insieme, poi infilo la strisciolina nel mio album. In mezzo a tutte quelle foto solitarie, è davvero un tocco di classe.
Chiudo l’album e me lo porto al petto, mentre mi sdraio sul letto e poggio la testa sul cuscino.
Sto ancora sorridendo.
Lo so che posso sembrare un’ebete, e che magari mi faranno male tutti i muscoli della faccia se continuo così, ma è più forte di me. È una cosa che non riesco a controllare. Ed è bellissimo.
Credo che erano anni che non sorridevo così, spontanea, felice. Ed è proprio con questo sorriso che chiudo gli occhi, e mi addormento, facendomi cullare dalle braccia di Morfeo.

Angolo Scrittrice
...
...
...
Ciaoo!!!!!! :D
Allora, beh, che dire...
Si sono baciati, Gente! Si sono baciatiii !!
Sono troppo felice!
Non prendetemi per pazza. Onestamente, non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo, che credo sia uno dei più importanti... Le mie mani formicolavano mentre scrivevo gli altri, ansiose di scrivere di questo benedettissimo bacio!
Che pello! ^^
Beh? Che ve ne pare? Vi è piaciuto?
So che forse avrei dovuto aspettare a pubblicare, dato che l'altro capitolo non me lo avete, scusate la volgarità, cagato nemmeno di striscio... -.-
Ma vabbè, non potevo proprio aspettare! No, no! ^^
Ok, dai, la smetto! Vi lascio in questo noiosissimo sabato sera di pioggia... Che deprekscions! Ma quando viene l'estate?! -.-
Ook, so che non vi interessa della mia depressione meteopatica, quindi ciao. Alla prossima! :D
E mi raccomando, c.o.m.m.e.n.t.a.t.e!! Mi rendereste la ragazza più felice di questo mondicello!
Va Benee... Ciaoo!
Vi amo tutti! ^^
La vostra ValeryJackson
P.s. Ah! Quasi dimenticavo! Ho finalmente trovato i volti perfetti per Matt e Harry! Vi pubblico qui le gifs. Che dite? Vi piacciono? ^-^
Harry                           Matt

  
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