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Autore: Harisontour    25/05/2013    2 recensioni
"(...) Ancora una volta non riusciva a scollarsi di dosso quel personaggio. Nuovamente la regista, chissà fino a che punto involontariamente -la conosceva bene, ormai- aveva scelto il ruolo giusto: quello che più le somigliava, che più la aiutava a capire sè stessa. Pensò alle maschere di Pirandello, alle Maschere Nude, che privavano gli attori delle proprie, scoprendo il loro vero volto. Lei portava una maschera nuova, e non riusciva più a vedere con chiarezza il suo vero volto. La cartapesta si era fusa alla pelle, rendendo doloroso ed orrendo il distacco".
Ai miei amici attori, e in particolare a Silvia e a Raniero.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Di vento e di maschere Penelope alzò lo sguardo dalla tela e prese in mano lo specchio arrotonadato. Osservò i suoi occhi truccati di nero, stanchi di non fissare altro che il mare dalla terrazza. Ormai non c'era quasi più luce, se non quella della candela che aveva acceso pochi minuti prima.

Cercò le salviette nella borsa di iuta strapiena di fogli sparsi del copione, trucchi e abiti di scena altrui, ne tirò fuori una ed iniziò a struccarsi in tutta calma. La luce era tronata, constatò vedendo il bagliore dei lampioni filtrare dalle serrande socchiuse. Decise di restare nella penombra, stanca per le luci del palco. Sciolse i capelli ricci, scuri, e si accorse di una lacrima, una sorprendente, sola lacrima che le rigava una guancia lasciandovi una riga nera di mascara. Cercò di espliorare quegli occhi neri più in profondità, ma quelle pupille dilatate dal buio erano troppo grandi per non perdersi. Si arrese e si voltò dall'altra parte, con un moto d'ira ingiustificato.

Lacrime salate come il mare, che le aveva causato tanto dolore, scorrevano lente sul viso magro di lei, che si stese sul talamo d'ulivo troppo grande per lei sola, tormentata da sensazioni non ancora chiare alla mente.

Cercò di focalizzare i pensieri che volteggiavano nella sua testa, ma sfuggivano, come le poche auto notturne sulla strada, sfrecciando.
Si rialzò in piedi e si affacciò. Era una bella serata calda, secca, senza un filo di vento, di certo sarebbe uscita a fare una passeggiata da sola per la Kalsa, se non fosse stata tanto stanca per lo spettacolo, fino allo Spasimo, e lì, dove aveva imparato a recitare, si sarebbe calata ancora una volta nelle parti dei suoi personaggi, di quelli che vivevano il lei, che avevano lasciato parte di sè nel suo corpo. Si ricordò della prima recita teatrale, a quattordici anni, nella chiesa scoperchiata, e dell'emozione provata nel sentire la propria voce suonarle estranea, nel silenzio speciale di quel luogo. Quel silenzio che le invadeva le orecchie ogni volta che, con la mente, tornava lì con Khalid, il ragazzo algerino che aveva conosciuto ad un laboratorio teatrale tenuto proprio alla Kalsa dalla sua regista, a cui partecipavano, insieme agli attori della compagnia, i ragazzi dei quartieri degradati di Palermo. Khalid era un giovane talento, ed aveva continuato a recitare, lei aveva più esperienza, e le fu affidata la parte di prima attrice. Il protagonista era lui, e quando si erano abbracciati sul palcosenico avevano capito che la storia che interpretavano era la loro, e avevano provato a conoscersi senza maschere.

Ma poi lui era partito, benchè non lo volesse, e sulla più grande delle navi aveva preso la via del mare. Tutti aspettavano il loro re, ma  era passato troppo tempo perché potesse fare ritorno. Chi non lo dava per morto, credeva avesse rinunciato al ritorno; peggiore sorte, pensava Telemaco irato, aveva promesso, pensava Penelope.

Tornò a maledire la maniera in cui veniva gestita l'immigrazione, come aveva fatto innumerevoli volte, a non capire cosa ci volesse a dimostrare l'onestà di un individuo, a prescindere dal possesso di un permesso di soggiorno, a dubitare addirittura della volontà di lui. Erano già passati due anni, da quando Khalid aveva lasciato l'Italia. Novantasette giornate, dall'ultima telefonata che le aveva fatto.

-Tornerò, Penelope- aveva detto -Tu rimani qui con animo fermo, e aspettami, se anche dovessi tardare-.
Lei aveva giurato di aspettarlo nelle tenute regali, e non ne era mai uscita. La guerra era finita, e lui tardava ancora. Eppure lei sapeva, sapeva che nemmeno la morte avrebbe potuto vincere l'astuzia del saggio marito, che desiderava il ritorno.

Il flusso di ricordi fu interrotto da quello dell'acqua del rubinetto.  La donna si lavò il  viso e fece scorrere via le lacrime. Niente, ancora una volta non riusciva a scollarsi di dosso quel personaggio. Nuovamente la regista, chissà fino a che punto involontariamente -la conosceva bene, ormai- aveva scelto il ruolo giusto: quello che più le somigliava, che più la aiutava a capire sè stessa. Pensò alle maschere di Pirandello, alle Maschere Nude, che privavano gli attori delle proprie, scoprendo il loro vero volto. Lei portava una maschera nuova, e non riusciva più a vedere con chiarezza il suo vero volto. La cartapesta si era fusa alla pelle, rendendo doloroso ed orrendo il distacco.

Penelope non perdeva la speranza. Ogni volta che una nave si scorgeva all'orizzonte, la attendeva con sguardo acuto e cuore vivo.

Il telefono squillò alle prime luci dell'alba. Lei sollevò il ricevitore e rispose stanca, desiderando tanto l'ardore che aveva Penelope.
-Ho bisogno di sapere che mi stai aspettando ancora-.

-Ti aspetterò sempre, Ulisse-.







Aggiorno con un piccolissimo lavoro d'introspezione -fittizia- seguito alla visione di due spettacoli teatrali a cui hanno partecipato persone a me care. Nonostante le due rappresentazioni fossero molto differenti fra loro, in entrambi casi ho avuto modo di riflettere sull'attribuzione delle parti, e ho avuto come l'impressione di avere la possibilità di conoscere meglio la persona, attraverso il personaggio. Dunque questa storia, poco rifinita, breve e scritta di getto e con una vena romantica del tutto superflua ed irritante, è dedicata ai miei amici attori, ed in particolare a Silvia e Raniero.

La Kalsa è un quartiere abbastanza degradato della vecchia Palermo, in cui, a soprpresa, in completo contrasto con l'ambiente circostante, si trova una splendida chiesa sconsacrata, priva oggi del tetto ma avente un'acustica straordinaria e particolarissima, utilizzata per i concerti dalla confinante scuola di musica di recente fondazione, che ho avuto modo di visitare alcuni anni addietro.

Vi ringrazio della lettura,
Hari.
   
 
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