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Autore: Hypnotic Poison    11/12/2007    11 recensioni
Erano sei anni che poteva considerare la sua vita – quasi – normale. Anche se di cose ne erano cambiate parecchie. [...]
« Beh! Che c’è, non si salutano più gli amici da queste parti? »
« Cosa ci fai tu qui! »
[...]
« Stamattina… non è scattato nessun allarme, niente di niente, ma i computer si sono riaccesi automaticamente sui dati del progetto Mew. » [...]
« Ora voi parlate. E vi conviene dire tutta la verità. »

[ATTENZIONE: STORIA IN REVISIONE. Aggiornati al 04/02/2024: 1-18]
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ichigo Momomiya/Strawberry, Mint Aizawa/Mina, Nuovo Personaggio, Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapter Sixteen – Balancing on breaking branches

 

 

 

 

 
 
 
 
 
Minto si svegliò di colpo con una scarica di adrenalina che le fece accelerare il cuore. Impiegò un paio di minuti a rendersi conto di dove fosse e cosa stesse succedendo, a riabituarsi tutt’a un tratto alla luce accecante del Sole. Fece un respiro profondo e sbatté le palpebre per mettere a fuoco i contorni del suo letto, della sua stanza, delle tende appena scostate che facevano filtrare la giornata.
Era a casa.
Rimase ferma, a stella prona nel centro del letto, ancora qualche istante per assicurarsi che fosse reale, muovendo solo una gamba e strusciandola contro il lenzuolo morbido e profumato. Quando si tirò a sedere, con lentezza, sentì le membra pesare il doppio del solito, i capelli ancora attorcigliati nello chignon che protestavano sordi, e controllò l’orario sull’orologio: poter constatare che ora fosse, nonostante per lei fosse quasi moralmente impensabile dormire fino alle undici, nonostante non potesse neanche quantificare il tempo passato, le provocò un senso di pace ineguagliabile.
Solo quando Mickey entrò di corsa nella stanza, abbaiando e reclamando le attenzioni della sua padrona, Minto si rese conto di essere sola.
« Ciao, piccolo mio. »
Lo prese in braccio e affondò il naso nella sua pelliccia morbida, inspirando il profumo che riusciva sempre a calmarla, mentre il cagnolino si tendeva per leccarle le guance.
« Continuo a essere geloso, sai. »
Alzò gli occhi sull’uscio, da dove Kisshu la stava guardando con un mezzo sorriso sollevato. Minto cercò di ricambiare, ma le sue labbra tremolarono troppo vistosamente e decise che fosse più sicuro rimanere con il volto affossato nel pelo.
Il ragazzo le si avvicinò piano, tirandosi dietro un carrellino portavivande sul quale fumava una teiera.
« Ora mangi, » quasi le ordinò, allungandole un tovagliolo come se non ammettesse repliche, « Le tue amiche mi hanno chiamato tre volte a testa per assicurarsi che ti stessi sfamando, anche perché ieri sera… »
Lei glissò sulla frase lasciata a metà e accettò il croissant fatto in casa che le porse poi, spostando gentilmente Mickey così che potesse posarsi il tovagliolo in grembo. Il cagnolino si sedette ubbidiente accanto a lei, una zampina appoggiata alla sua coscia mentre nel frattempo si godeva le carezze che gli concesse Kisshu.
Fecero colazione in silenzio; Minto si sentì subito ristorata da quella tazza di tè che le parve quasi un miraggio e dal cibo di conforto e che sapeva di casa sulle papille gustative. Si impose di andare con calma, per non sforzare lo stomaco, ma al tempo stesso avrebbe voluto finire al più presto per arrotolarsi ancora tra le lenzuola e poi uscire a sentire il calore del Sole sulla pelle.
« Grazie, » esclamò dopo aver ripulito la terza brioche, schiarendosi la gola quando la sentì gracchiare, « Avevo fame. »
Kisshu sorrise e la osservò impilare con attenzione la tazza e il piattino sul carrellino, non potendo non notare il leggero tremolio della sua mano. Senza pensare, le prese piano il polso e la tirò verso di sé, sentendola tendersi appena.
« Sto bene, » lo riassicurò subito, cercando un sorriso, « Devo solo… riassestarmi. »
« Mi devi dire se ti ha fatto qualcosa. »
Minto sentì il cuore precipitarle nello stomaco e scostò la testa, sibilando infastidita: « Kisshu… »
Il polso sottile ancora tra le mani, lui fece scorrere le dita sui lividi e i graffi causati dall’essere stata legata, scoccando al contempo un’occhiataccia arrabbiata a quelli che comparivano sulle caviglie e quello appena visibile dalla spalla abbassata dell’accappatoio, che sapeva essere solo il primo di tanti.
« Te li ha fatti lui questi, no? »
Glielo chiese sottovoce, quasi con calma, e lei in un primo momento si sottrasse di scatto, prima di sospirare: « Diciamo che è stato il muro contro cui mi ha scaraventata a farli… » rispose in un mugugno.
Kisshu le rivolse uno sguardo così pungente che lei non riuscì a opporsi quando si spostò un po’ per scostarle l’accappatoio e scoprirle la schiena. Lo udì mormorare qualcosa che non capì, ma che presunse essere un qualche tipo di imprecazione, alle varie escoriazioni ed ecchimosi sulla pelle chiara, però glieli tracciò con la punta delle dita, con una gentilezza che non era sua, poi le rivolse un tentennante ghigno: « Cosa fai, tortorella, cerchi di metterti a pari con me? »
Minto storse il naso, non riuscendo ad evitare di scoccare un’occhiata veloce al bordo della cicatrice che spuntava dal colletto della sua maglia, e alle altre sul fianco che sapeva nascoste.
« Non sono… la stessa cosa. »
Il verde rispose con un muto verso e le accarezzò ancora un po’ la schiena, indugiando sul segno Mew tra le scapole.
« Ti ha fatto… qualcos’altro? »
« No, » rispose tentando di suonare convinta, alzando lo sguardo verso di lui ma riabbassandolo subito dopo, « Non ti devi preoccupare. »
Kisshu grugnì sarcastico dal naso: « Guardati, » ringhiò, scrutando con astio la chiara impronta delle dita sul suo avambraccio, « Non mi basterà neanche sgozzarlo per fargliela pagare. »
La gelida e concreta violenza con cui lo disse la fece rabbrividire ancora, mentre si alzava dal letto per cercare nell’armadio un pigiama vero e proprio, che la coprisse anche un po’ di più. Nonostante le ore dormite e l’abbondante colazione, avvertì le gambe tremolare incerte e una sensazione di enorme pesantezza che le gravò addosso, rendendole i movimenti più lenti del solito; la consapevolezza dello sguardo concentrato di Kisshu su di sé, attento a ogni suo più piccolo dettaglio, non le fu nemmeno di aiuto.
Rovistò fino in fondo e recuperò un pigiama di cotone meno elegante del solito ma più morbido e confortevole, e fu quasi automatico nascondersi un po’ dietro l’ingresso per cambiarsi.
« Che vuoi fare oggi? »
Seppe che la domanda era stata posta più per riempire quel silenzio così strano che per una reale risposta, ed ebbe la totale certezza che il ragazzo si sarebbe opposto a qualsiasi proposta lei avesse tentato che includesse un suo allontanamento dalla proprietà.
Si sciolse i capelli e li scosse per cercare di dare loro un ordine, gemendo sottovoce quando vide i boccoli arruffati e impazziti dall’aver passato una ennesima notte bagnati e legati.
« Niente, » borbottò cincischiandoci mentre tornava in stanza, tentando di sciogliere qualche nodo, « Non so neanche quando sia oggi. Solo niente. »
Mickey le saettò tra le caviglie e lei si piegò per prenderlo in braccio e strofinare di nuovo il viso contro di lui, mormorando sciocchezze sottovoce. Kisshu si alzò e la raggiunse, ignorando invece il cagnolino per prenderle il volto tra le mani: « Sul serio, » insistette, con una punta di nero nelle iridi ambrate, « Se c’è qualcosa di cui vuoi parlare, o se – »
Minto dovette sforzarsi per non spostare il viso, scosse comunque la testa: « Va tutto bene. Davvero. »
Non le parve per nulla convinto – la bugia era suonata debole pure a lei – così tentò di sorridergli e gli sfiorò una guancia con un palmo, tracciandogli le evidenti ombre sotto gli occhi e i tagli sul viso, più attenta sul livido già scuro provocatogli dal pugno di Kert.
« Non hai dormito, » constatò, e lui emise uno sbuffo sarcastico mentre la lasciava andare:
« Più di quanto avrei dovuto, tortorella. »
Lei sistemò meglio Mickey in braccio e si avviò di nuovo verso il letto, ignorando il capitombolo freddo del suo stomaco: « Si pranza comunque in salottino, non credere. »
L’alieno la seguì, una piega appena divertita sulle labbra: « Quando mai. »
 
 
 
 
La spalla gli cigolò sonoramente per la millesima volta, e Kert fece una smorfia, bloccandosi a metà movimento con la mano a mezz’aria sopra al tavolo. Pharart, sedutogli in fronte, sbuffò dal naso e gli passò la caraffa che lui aveva tentato di afferrare: « Stavolta le hai prese proprio per bene. »
« Non esserne così soddisfatto, » mugugnò di contro l’altro, sibilando infastidito a come gli tirò un taglio particolarmente fastidioso sullo zigomo sinistro, « Posso comunque farti il culo. »
« Facciamo che per un po’ nessuno fa niente? » Espera, con molto più colore sulle guance, gli passò accanto e gli porse uno straccetto con dentro del ghiaccio, « Tieni, ti aiuterà. »
Lui la ringraziò con un grugnito sommesso e la guardò con la coda dell’occhio: « Mio fratello è ancora a fare rapporto al Consiglio? »
La ragazza annuì e si legò i lunghi capelli neri in una treccia veloce prima di affacciarsi di nuovo su una pentola che bolliva: « Hanno richiesto un aggiornamento stamattina presto. »
« Può dare buone notizie: terrestri e duuariani non possono tracciare i nostri segnali né superare i nostri sistemi di protezione, neanche con una dei loro dentro la nostra base; Duuar non ha sicuramente intenzione di soccorrere la Terra, non avendo inviato più che tre allocchi idealisti – se davvero li ha inviati – e ci sono solo quelle cinque a rompere le scatole, nessun altro. »
Pharart, dopo il riassunto, lo studiò scettico: « Mi pare che bastino, a rompere le scatole. Hai visto cosa sono stati in grado di creare? Quel robo non si decideva a morire! »
« Ci ha solo colti di sorpresa, tutto qui, » Kert scrollò le spalle e, con l’ennesima smorfia, si appoggiò allo schienale della sedia, « Ora sappiamo che hanno un debole per gli animali da guardia. »
« Vorrei capire come hanno fatto, » il biondo prese un sorso della densa e speziata bevanda scura che era la versione geota del caffè, « Non è esattamente un dettaglio minimo. »
« Voi li sopravvalutate, » brontolò l’altro, continuando a girare la spalla con delle smorfie di fastidio, e Pharart gli lanciò un’altra occhiata dubbiosa:
« Secondo me sei tu che li sottovaluti. »
Espera, da dietro Kert, si scambiò con lui uno sguardo divertito, poi rovistò tra le boccette della scaffalatura e ne estrasse una tonda scatolina di metallo.
« Puoi usare questi per i lividi, » lo allungò all’alieno dei capelli grigi con un sorriso amichevole, « E anche sulla spalla, se ti fa molto male. Ma mettine poco, è parecchio forte. »
Kert grugnì in segno di ringraziamento, non degnando la ragazza di più che uno sguardo mentre si alzava con fatica.
« Dovreste vivere più sereni, » bofonchiò, zoppicando fuori dalla stanza.
Pharart alzò un sopracciglio e guardò la sua schiena che si allontanava come se gli fosse cresciuta una testa extra: « Che botta in testa hai preso?! »
Lui non rispose all’ironia e si trascinò di nuovo verso la sua camera da letto, gettandosi sul materasso con uno sbuffo pesante.
Quel maledetto duuariano. Ad ogni battaglia riusciva sempre a lasciargli almeno un ricordino della sua fastidiosissima presenza, e lui poteva solo sperare di ricambiare con abbastanza irritazione.
Anche se vedere il suo viso stravolto quando aveva dissolto la bolla d’aria che aveva contenuto l’uccellino…
Si frugò in tasca e tirò fuori la piuma che aveva strappato dalle ali di Minto. Se la rigirò davanti al viso, sfiorandone la superficie morbida e studiandone i colori iridescenti, se la portò anche davanti al naso per testarne il profumo.
« Stai diventando sentimentale? »
Kert sussultò visibilmente a quella voce improvvisa, poi lanciò uno sguardo rabbioso a Sunao, comparsa per l’ennesima volta inaspettatamente.
« La devi piantare! » le ringhiò contro, « Farai venire un infarto a qualcuno. »
L’aliena sorrise gelida: « Troppo preso dai tuoi bei ricordi? »
Lui alzò gli occhi al cielo e ripose l’ala in tasca: « Credo che tu abbia di meglio da fare che venire qua a controllarmi. »
« Non finché Rui non ha terminato il suo messaggio al Consiglio. Mi annoiavo. »
« E quindi hai deciso di venire a rompermi le scatole. »
« Non pensavo certo di trovarti impegnato a fare contemplazioni. »
Kert esalò piano, irritato, e cercò una posizione più comoda, la dannata spalla che continuava a dolere.
« Non contemplavo nulla, sto solo cercando di capire come funzionino le nostre amichette. »
« Immagino tu abbia molto interesse a studiarle. »
« Sunamora, evita i giri di parole, per cortesia. »
L’aliena lo guardò solo con gli occhi violetti stretti in due fessure: « E tu cerca di evitare di distrarti dal compito che devi svolgere. »
 
 
 
 
§§§
 
 
 
 
La luce fredda del frigorifero illuminava a malapena l’immensa cucina, ma a lui non importava più di tanto, anzi, era grato per l’assoluta solitudine.
Rovistò ancora un po’ nel frigorifero, solo metà dell’attenzione rivolta ai vari ordinati contenitori e pacchetti del considerevole elettrodomestico, l’altra posta sul telefono che reggeva in mano e in cui continuava a scrivere e cancellare messaggi.
Identificato un recipiente con dentro qualcosa che pareva non dover richiedere nemmeno di essere riscaldato, Kisshu chiuse l’anta del frigo con una spallata e trascinò i piedi fino all’isola nel mezzo, mentre la stanza piombava nel buio salvo che per il brillio del suo schermo.
Non era mai stato molto articolato con le parole – benché più dei suoi fratelli – o almeno, non con quelle che gli avrebbero cavato dieci groppi diversi dalla gola. Quelle con le quali avrebbe dovuto ammettere cose poco carine nei suoi confronti, assolutissimamente vere, ma… non vedeva tutta questa necessità di dover abbassare il capo, quando avrebbe voluto vedergli, gli altri, nella sua situazione.
Stuzzicò con un cucchiaio un po’ dei rimasugli, e si sfregò una mano sugli occhi.
Avere Minto a casa era stato come riprendere a respirare, come togliersi l’intero Monte Fuji dal petto. Poterla stringere, sentire la sua voce, provare il suo calore, voleva non separarsi da lei nemmeno per un istante per il terrore di vedersela svanire da sotto al naso per la seconda volta.
Il problema era proprio oltrepassare l’ostacolo Minto.
Era assolutamente conscio che le sue pretese dovevano trovare un freno: era tutto appena successo, erano passate poco meno che ventiquattro ore dalla fine di tutto, e dal suo canto, per quante ne avesse passate lui stesso, non aveva certo subito le stesse cose, perciò non poteva comprendere appieno il suo stato d’animo.
Dall’altro lato, avrebbe voluto sapere con più certezza quello che era successo, anche per capire come aiutarla. Perché i suoi deboli sto bene non lo convincevano per nulla.
Avevano passato la giornata a casa, praticamente a fare la spola tra la camera da letto della ragazza e il salottino che lei preferiva, con la televisione accesa in sottofondo e il caminetto che scoppiettava, anche se era un ultimo giorno di settembre ancora tiepido. Minto era rimasta avviluppata tra vestaglia e coperta, a coccolare Mickey, giocherellare con il suo cellulare, fare commenti di poco conto su qualche aggiornamento che scovava, ma soprattutto a dormire, un sonno pesante e agitato. Anche adesso, si era addormentata poco dopo l’ora di cena, dopo aver appena sbocconcellato della frutta, il cagnolino sempre stretto a sé e una ruga tra gli occhi che non sembrava volerla abbandonare.
Kisshu le era rimasto accanto tutto il tempo, benché consapevole del palmo e più di distanza che lei era sembrata poco incline a valicare. Sì, non si era particolarmente opposta al suo accarezzarle i capelli o una gamba o la schiena con tutta l’attenzione del mondo, o cercare di tenerle la mano, ma non gli era sfuggito come facesse fatica anche solo a incrociare il suo sguardo.
Forse però doveva ammettere che le occhiate velenose che non poteva non lanciare alle sue ferite potevano non essere d’aiuto.
Esalò un’altra volta, si arruffò i capelli e abbandonò la misera cena, anche lui ormai senza appetito.
Ringraziare Shirogane era l’ultima cosa che avrebbe voluto fare in quel momento, ma sapeva benissimo che non poteva esimersi, non dopo che aveva praticamente salvato la pelle alla mora.
Con un ultimo sbuffo, incarnando suo fratello maggiore il più possibile, digitò il messaggio più caustico e diretto a cui potesse pensare e lo inviò prima di rimangiarselo.
Il secondo ringraziamento, invece, doveva farlo per forza con una telefonata.
Non ci vollero molti squilli perché Purin rispondesse, la voce finalmente tornata squillante ed energica: « Kisshu nii-san! Tutto okay?! C’è qualcosa che non va?! »
Gli nacque un sorriso spontaneo sia per la preoccupazione che per i rumori di sottofondo, così in contrasto con la silenziosa solitudine di villa Aizawa.
« Tutto a posto. Hai un secondo? »
« Certo! Che succede? »
Kisshu si scompigliò i capelli un’altra volta, prendendo tempo, prima di esalare: « Per oggi. Volevo… ah – se tu non avessi… »
« Nii-san, ma scherzi?! È per questo che siamo una squadra! »
Lui sbuffò e ritentò: « Sì, ma comunque – »
« No, guarda, non voglio neanche sentirlo. Davvero. Basta che in futuro fai un po’ meno lo stronzo. »
Questa volta Kisshu rise davvero, e nel frattempo ripose il contenitore di nuovo in frigo.
« Questa è l’influenza di mio fratello, vero? »
« Ti saluta! »
« Certo, certo. Fate i bravi, mi raccomando. »
Purin terminò la telefonata con una risatina innocente, e l’alieno ripose il cellulare in tasca senza più badarci, lasciando la cucina e arrancando con stanchezza attraverso la casa buia.
Mickey, ben accoccolato sotto il braccio di Minto, aprì solo un occhietto quando lo sentì entrare in camera. Solitamente, Kisshu non tollerava che il cagnolino dormisse con loro nel letto, per quanto potesse andarci d’accordo, ma quella era un’eccezione comprensibile.
Anche se ciò voleva dire avere una bestia pelosa e alquanto possessiva tra lui e la mora.
Con un sospiro, s’infilò anche lui a letto, concesse al cane una carezza con un dito sulla sommità del testolino, e tentò di farsi il più vicino possibile a Minto senza schiacciarlo, passando un braccio attorno alla vita della ragazza da sopra le coperte in cui lei si era arrotolata come un bozzolo. Lei esalò solo un sospiro e non si mosse, nemmeno quando lui le sfiorò la fronte con le labbra.
 
 
 
 
Taruto alzò gli occhi dai piatti che stava sciacquando quando Purin ritornò in cucina e gli sorrise.
« Niente di grave, credo che Kisshu nii-san stesse solo cercando di fare un po’ ammenda. »
Il più giovane degli Ikisatashi vece un verso indefinito dal naso: « Vorrei anche vedere. »
« Dai, non essere cattivo, » la biondina abbassò la voce e si guardò velocemente alle spalle, dove i suoi fratelli e sorelle stavano svicolando velocemente e rumorosamente fuori dalla stanza, litigando per l’ordine di utilizzo del bagno, « Non era una situazione semplice. »
« Mmmhm, » il duuariano si asciugò le mani su uno straccio e poi l’attirò a sé per la vita, « Stai bene? »
« Taruto, me l’hai chiesto sette volte. »
Lui si accigliò alla sua risata candida, le punte delle orecchie che si colorarono di rosa: « Scusa se voglio essere carino! »
« Tu sei molto carino, » sussurrò lei suadente, avvolgendogli le braccia intorno al collo e alzandosi in punta di piedi, « Ma non c’è bisogno di essere apprensivi. Sto benissimo. »
Il rossore si allargò su tutto il viso del ragazzo, che poggiò la fronte contro quella di lei: « Volevo accertarmene. »
« E tu come stai? »
Taruto deglutì rumorosamente, sbirciando velocemente verso l’entrata per accertarsi che effettivamente il resto della famiglia Fong fosse uscita, visto quanto Purin si stava ora strusciando contro di lui: « Alla grande. »
« Ottimo, » la biondina gli soffiò a pochi millimetri dalle labbra, sorridendo accattivante, « Stasera hai voglia di rimanere? »
La mano dell’alieno sulla vita si trasformò in un pugno che le strinse la maglietta mentre lui quasi si sforzava di scherzare: « Lo sai che sei una gran sfacciata, scimmietta? »
Purin sorrise ancora di più, prima di baciarlo: « È per questo che ti piaccio un casino. »
Taruto non poté far altro che trovarsi assolutamente d’accordo.
 
 
 
 
 
« Preparati a un altro disastro naturale, la testa di broccolo mi ha appena mandato un messaggio per ringraziarmi. »
Ichigo, ben poco incline al sarcasmo in quel momento, ingollò un altro paio di biscotti mentre lanciava un’occhiata poco divertita a Shirogane, in piedi davanti a lei in camera da letto.
« I nomignoli non ti aiutano certo a creare un clima sereno con lui. »
« Chi ha detto che voglio creare un clima sereno? »
Lei alzò gli occhi al cielo e continuò a guardarlo storto mentre lui si preparava a seguirla a letto: « Ancora con questa storia? Non possono continuare a starti antipatici anche a distanza di anni. »
« Wanna bet? »
« D’accordo, d’accordo, » Ichigo sbuffò e trangugiò un altro biscotto, seguito da un sorso di tè, « Almeno fallo per Minto-chan, Reta-chan e Purin-chan. »
« Dubito che a loro interessi della mia opinione. Perfino Za – » s’interruppe e scosse la testa, ignorando l’occhiata confusa della moglie, che per mille ragioni differenti era meglio rimanesse all’oscuro di tutto, « Se stanno bene a loro, perfetto. Io non devo certo giocarci a pallone. »
« Tu non giochi a pallone. »
« Technicalities. »
Ichigo sospirò ancora: « Minto-chan è molto più tranquilla da quando sta con Kisshu. »
« Stiamo ancora aspettando gli effetti benefici su di lui. »
« Non è vero, e lo sai. »
« Ha distrutto più alberi lui questa settimana che un uragano. »
« Vuoi dirmi che tu non avresti fatto lo stesso? »
« I pride myself with being quite rational, Momomiya. »
« Non incominciare! »
Ryou grugnì qualcos’altro di indefinibile e si stese accanto a lei, riponendo il cellulare senza aver completato la sua risposta.
« I’m just glad it’s over. »
« Io pure, » rispose la rossa, con più rapidità del solito, « Speriamo di avere un po’ di tranquillità, per ora. Non mi erano mancati i chimeri, lo ammetto. O Kisshu che sclerava. »
« A me non era mancato niente di tutto ciò, Kisshu in primis. »
« Ryouuu… »
« Potresti non mangiare nel letto? »
« Shirogane, sono esausta, e tu sei estremamente assillante stasera! »
« Poi non lamentarti se ci sono le briciole! »
 
 
 
 
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C’era ancora poca luce in cielo quando Kisshu ritornò in camera da letto, cercando di fare il meno rumore possibile. Aveva smesso di dormire da ore, ma Minto ancora riposava e lui non voleva disturbarla, ormai abbandonato all’idea che il sonno le fosse necessario per riprendersi.
Lui, invece, continuava a provare una soffocante sensazione d’impotenza che non era in grado di scrollarsi di dosso e che continuava a tormentarlo, rendendogli impossibile trovare davvero pace anche nei sogni.
Terminò di vestirsi e controllò ancora una volta l’orologio. Pai gli aveva chiesto di raggiungerlo per aiutarlo con alcuni dei sistemi della loro astronave, per collegarli meglio al programma di scannerizzazione dei DNA e tentare di incrementarli entrambi; non aveva particolarmente voglia di smettere di tenere la mewbird sott’occhio, ma non riusciva più a stare in casa con quella strana atmosfera, e aveva soltanto una determinata quota di volte in cui avrebbe potuto dire di no a suo fratello. E se far connettere i sistemi avrebbe potuto evitare altre disgrazie simili…
Girò attorno al letto e si sedette sul bordo dal lato di Minto, scostandole delicatamente i capelli dal viso.
« Vado per un po’ al Caffè, tortorella, » le sussurrò pianissimo, accarezzandole lo zigomo con una nocca, « Torno presto, okay? »
Minto rispose solo con un mugugno indistinto, arrotolandosi ancora di più tra le coperte, così tanto che Mickey, ancora accanto a lei, ci finì sotto. Kisshu attese ancora qualche istante, poi sospirò piano e si teletrasportò direttamente dal letto senza aggiungere altro.
La mora, mezza sveglia in realtà dopo averlo sentito aggirarsi per la stanza, rimase con gli occhi chiusi ancora per un po’, a godersi la comodità del suo letto, il ronfare del cagnolino accanto a lei che la scaldava, il profumo familiare di tutto ciò che conosceva.
Però non riusciva a separarsi dalla sensazione di continuare a essere dentro quella bolla in cui era stata rinchiusa, anche se ora tutto sembrava più ovattato, più smorzato.
Non le piaceva continuare a sentirsi in trappola, non le piaceva sentirsi la vittima che doveva essere trattata coi guanti perché aveva subito qualcosa di traumatico.
Lei voleva che tutto tornasse a posto, che la vita riprendesse come sempre. Perché non poteva dare a nessuno la minima soddisfazione di pensare di averla vinta.
Si sentì d’improvviso claustrofobica a ripensare come avesse passato le sue prime ventiquattro ore in ritrovata libertà di nuovo come una reclusa, in casa a piangersi addosso, anche se solo metaforicamente. Senza aver il coraggio di sostenere lo sguardo di Kisshu, mal sopportando addirittura le sue premure e il suo affetto – sapeva che era pieno di buone intenzioni, ma di nuovo, lei non voleva essere solo una donzella in difficoltà da accudire.
La vita doveva andare avanti e lei doveva affrontarla.
Riprenderla in mano, riconquistare la sua autonomia e la sua libertà.
Come aveva sempre fatto.
Ricacciò indietro le lacrime che le pizzicarono gli occhi, diede un ultimo bacino alla testolina pelosa di Mickey, e cacciò giù le gambe dal letto, dirigendosi spedita verso il bagno.
Avrebbe cominciato con il concedersi una passeggiata ristorativa, per godersi ogni singolo istante fuori da quattro mura che iniziavano a stringersi un po’ troppo attorno a lei.
Era così presto che i domestici avevano appena iniziato i preparativi per la giornata, ma non le importò più di tanto: chiese solo una tazza di tè e si barricò di nuovo in camera, concedendosi tutto il tempo del mondo per dedicarsi a sé stessa. Armata di phon e spazzola tonda, diede un tono d’ordine ai capelli, coccolandoli dopo tutti i maltrattamenti che avevano subito negli ultimi giorni, aggiungendo anche un cerchietto di velluto blu come accessorio; poi si truccò con cura, stendendo un velo di lucidalabbra rosso e un blush un po’ più colorato del solito per contrastare il pallore inconsueto delle sue guance e quelle ombre sotto gli occhi che sembravano non voler desistere.
Mickey le rimase accanto per tutto il tempo, steso sui suoi piedi davanti alla sedia della sua toeletta, a uggiolare di tanto in tanto quando lei gli parlava, però Minto decise di non portarlo con sé. Aveva bisogno solo di uscire, di camminare veloce senza pensare a nulla.
Una volta soddisfatta del risultato, si concesse di infilare il primo paio di jeans che trovò nell’armadio e un paio di tennis comode, e uscì di casa prendendo con sé una borsetta con solo cellulare e portafoglio, ricordandosi d’inviare un messaggio d’avviso solo all’ultimo istante e mantenendolo il più conciso possibile.
L’aria pungente di ottobre le rinvigorì piacevolmente il viso, e Minto inspirò a pieni polmoni, cacciando le mani dentro le tasche del cappotto. Si sentì contenta di aver indossato un maglione un po’ troppo spesso per il periodo, perché, nonostante il pizzicore sulle guance non la disturbasse, continuava a sentire ancora freddo, e sapeva che non era solamente colpa del meteo. Si avviò a passo deciso, continuando a prendere grosse boccate d’aria e a cercare continuamente di camminare al Sole così che potesse avvertirne il calore fino alle ossa.
La città si stava svegliando, e il rumore del traffico cominciava a riempire le strade. Le sembrava che fosse passata un’eternità da quando si era accordata un momento solo per sé stessa, una camminata senza meta, senza scopo, senza dover correre da una parte all’altra inseguendo responsabilità. Era sempre così concentrata su ciò che doveva fare, su cosa fosse meglio fare, e ora le pareva di aver smarrito sé stessa. Le sembrava di non sapere più da che parte doversi voltare per riprendere le redini della situazione.
Tokyo le sembrò all’improvviso enorme, troppo vasta, troppo caotica.
Il batticuore della mattina precedente le riverberò in gola e sentì le mani farsi improvvisamente sudaticce, la gola stringersi. D’istinto, si guardò intorno, controllò il cielo sopra di sé, ma per strada c’erano solo affaccendati lavoratori, studenti in ritardo che correvano, madri che camminavano tranquille spingendo passeggini.
Il ritratto della normalità, provò a tranquillizzarla il suo senso Mew.
E al tempo stesso lei era ben consapevole di quanto poco normale ci fosse in quella situazione. Di come tutto sarebbe potuto cambiare in pochi secondi, a causa di invasori interplanetari per cui a lei era stato iniettato il DNA di un animale in via d’estinzione.
E magari non era nemmeno una situazione vera, era solamente un altro di quegli strani incubi a cui l’avevano assoggettata durante il rapimento, solo molto più potente, molto più reale, e presto avrebbe aperto gli occhi e…
La mano le volò quasi automaticamente alla borsetta a tracolla e al cellulare custodito dentro, la tentazione di telefonare a Kisshu e chiedergli che la raggiungesse, o che la riportasse a casa, ma poi si bloccò di colpo: no, non poteva cedere.
Le sembrò di esserselo ripetuta più volte in quei giorni che in tutta la sua vita, ma era vero: non poteva dare a Kert e alla sua compagnia la soddisfazione di averla davvero distrutta, da averla resa incapace di fare una camminata da sola.
E non avrebbe neanche potuto sopportare per un istante di più la luce preoccupata e devastata negli occhi d’ambra del verde.
Di nuovo quasi senza pensarci, concentrandosi solo sul calmare quell’orribile sensazione di soffocamento che le stava opprimendo il petto – lì dove il geota aveva spinto un po’ di più con l’avambraccio – impartì alle sue gambe di muoversi e di condurla nel primo posto sicuro che le venne in mente.
Lo stupore nel tono di Ichigo a trovarla sotto casa di prima mattina e perdipiù senza preavviso fu percepibile anche attraverso il citofono, a cui rispose dopo una manciata di secondi non indifferente che fece preoccupare la mora di aver scelto il momento sbagliato.
« Minto-chan! Vieni dentro! » sulla soglia, la rossa l’accolse con l’usuale calore, anche se Minto non poté non cogliere la sorpresa e la preoccupazione sul suo viso, e l’abbracciò stretta pur con un braccio solo, l’altro impegnato a reggere una gorgheggiante Kimberly, « Tutto a posto? »
« Sì, stavo… passeggiando e sono arrivata qua. »
Per una volta, non si sottrasse troppo in fretta dal contatto con l’amica, che continuò a sorriderle fingendo sicurezza.
« Cosa ti posso offrire? »
La mora appese il cappotto e ricambiò il sorriso della bimba, che la guardava piena di curiosità agitando un braccio paffuto verso di lei: « Un caffè sarebbe perfetto. »
Ichigo annuì e le osservò il volto per un istante di troppo, vista anche la scelta diversa dal solito, poi le passò la bimba in braccio: « Tieni, è il tuo turno di fare un po’ di allenamento delle braccia. »
Kimberly fece qualche verso felice per quel passaggio, rivolgendo un altro dei suoi sorrisi sdentati alla mora, per cui aveva già dimostrato una certa affezione, e Minto in tutta risposta la strinse, accogliendone il calore e l’odore dolce, che inspirò piano.
« Come stai? »
La rossa la guardò da sopra la spalla mentre trafficava con la macchinetta del caffè, tentando di suonare normale e tranquilla.
« Tutto okay, » rispose, cullando piano Kimberly, « È bello essere a casa. »
Quasi come se avvertisse il suo malessere, il bebè si rilassò di più contro il suo petto, alzando una manina e posandogliela, seppur con una certa malagrazia, contro la guancia. Ichigo invece non replicò, tornando verso di lei con due tazze fumanti e indicandole il divano con un cenno del capo.
« Hai dormito un po’? »
La mora cercò di sbuffare sarcastica come al suo solito, ma le uscì solo un soffio poco convinto mentre stringeva la bambina un po’ più forte per fermare il tremolio insolito delle mani: « Momomiya, non sei brava a bluffare. »
« Non sto bluffando, » si difese l’altra, « Sono molto preoccupata per te. E il fatto che ti sei palesata qui all’improvviso, pallida come uno straccio, da sola, non mi aiuta. Ma sto tentando di non asfissiarti. »
Minto trovò quasi divertente che la facciata solida dell’amica fosse crollata in meno di cinque minuti, ed esalò piano: « Ho solo camminato troppo in fretta, » borbottò, « Non… volevo stare in casa. Ma poi non volevo neanche stare fuori. »
Ichigo la scrutò e poggiò la propria tazza sul tavolino lì davanti; fece per aprire la bocca e dire qualcosa, ma il rumore di passi che scendevano le scale la fece fermare. Qualche istante dopo, Shirogane apparve in salotto, un asciugamano attorno al collo e i capelli ancora umidi ad indicare che era appena uscito dalla doccia.
« Ehi, Minto, » l’americano la salutò con l’abbozzo di un sorriso, « Tutto bene? »
« Certo. Sono solo venuta ad assicurarne tua moglie dal vivo, visto che altrimenti non mi crede. »
Fu completamente conscia che lui non si bevve la bugia per un secondo, ma fu abbastanza elegante per annuire e dirigersi verso di loro.
« La porto di là, così potete stare tranquille. »
Minto, sotto sotto, non gradì l’allontanamento del corpicino caldo e profumato dal suo, ma fece un cenno di assenso con il capo e gli allungò la bambina, che trillò estasiata all’arrivo del papà.
Ryou rivolse un paio di smorfie a Kimberly, se la sistemò contro il fianco e poi guardò la mora con aria un po’ contrita: « Lo so che è presto, e non sto dicendo di farlo subito, ma qualsiasi informazioni sugli alieni sarebbe utile… »
Ichigo si voltò con una tale furia verso di lui che quasi udirono lo scricchiolio delle vertebre cervicali, e lo trucidò con lo sguardo: « Shirogane! »
« Hai ragione, » insistette invece Minto, annuendo piano, « Facciamo domani, d’accordo? Da me. »
« Dico davvero, » perseverò lui, « Se ti serve più tempo non deve essere – »
« La devo affrontare in ogni caso, giusto? » commentò la mora con una punta di ferita ironia, « Tanto vale chiuderla in fretta. Non che ci sarà molto di eclatante, visto che ho passato tre giorni chiusa in una stanza buia. »
Gli occhi azzurri la scrutarono con un’intensità e una preoccupazione mai vista prima, ma Shirogane tacque ed ebbe la prontezza d’animo di non scambiarsi un’occhiata con la moglie, che al commento di Minto si era lasciata scappare un respiro agitato.
« D’accordo. Facci sapere tu quando. Sono di sopra, se vi serve qualcosa. »
Scese di nuovo il silenzio, la tensione di Ichigo assolutamente palpabile mentre si aggiustava e scattava senza sosta sul divano, incerta su cosa dire o fare. Minto afferrò la propria tazza dal tavolino e prese un paio di sorsi, grata per il calore che le attraversò il petto.
« Lo so a cosa stai pensando, » iniziò sottovoce, le dita che corsero lungo il bordo della tazza, « Ma non è successo nulla del genere, né nulla di tragico. »
Il sospiro di sollievo di Ichigo quasi rimbombò per il salotto, ma la rossa non disse nulla e lei continuò, prendendo un respiro profondo.
« Solo un bacio, » aggiunse in fretta, come per liberarsene, lanciando solo uno sguardo al volto atterrito dell’amica, « Da parte sua, ovvio. Che non era nemmeno un bacio, perché alla fine… vabbè, poi ve lo spiego. Ma per il resto, poteva andare peggio, ecco. Almeno mi ha portato da mangiare, e addirittura una coperta. »
« Oh, Minto-chan, » il tono le fu quasi insopportabile, « Non so come tu – »
« Non sto cercando pietà, Ichigo, » la interruppe di scatto, « Né voglio trasformare questa cosa in qualcosa di più grande. Voglio solo… andare avanti. E, come diceva Shirogane, almeno tirarci fuori qualcosa di positivo e fruttuoso. »
Ichigo si morse un labbro, gli occhioni color cioccolata umidi: « … l’hai detto a Kisshu? »
Minto fece uno strano, isterico verso di gola: « Stai scherzando? Assolutamente no. »
« Ma forse dovresti – »
« È già abbastanza sul piede di guerra così com’è. E non ho intenzione di fomentare oltre le sue tendenze all’avventatezza, alla vendetta, e al fare il nobile cavaliere. »
Ichigo non osò aggiungere altro, limitandosi ad annuire con convinzione nulla, così Minto si riassestò sul divano e continuò: « Ho solo bisogno di stare tranquilla, di avere pace intorno a me. Fare finta che non sia successo nulla, eliminarli al più presto dalla mia vita. Basta. »
« Okay, » la rossa, ancora una volta, non parve assolutamente convinta dell’affermazione, ma sedò la preoccupazione e la voglia di investigare oltre, le si fece più vicina e raccolse le gambe sotto di sé, « Puoi stare qui anche tutto il giorno, se vuoi. Possiamo guardare un po’ di televisione spazzatura, farci delle maschere. E poi un sacco di nuovi ristoranti hanno aggiunto l’opzione di delivery. »
« Momomiya, ci sarà mai un momento in cui non pensi a mangiare? »
« Io apprezzo le cose belle della vita, » replicò l’amica, e conquistò un altro paio di centimetri, quanto bastava per far passare il braccio sotto al suo e stringerla con quella tenerezza che le aveva sempre dimostrato nonostante i battibecchi e il noto disgusto della mora per le dimostrazioni pubbliche di affetto, « Ah, poi non sai cosa mi ha raccontato Mowe! Hai presente quella sua compagna di università che giocava a pallavolo al mio liceo?! »
 
 
 
 
Una alla volta, le altre tre ragazze si unirono a quella giornata di totale relax e calma. Minto non si chiese se le avesse invitate direttamente Ichigo in un momento in cui lei era distratta, ma in fondo non le importava più di tanto; l’unica cosa di cui fu grata fu che, in ogni caso, parve tutto esattamente normale e non votato a farla sentire come se la stessero compatendo o trattando come una bambola di ceramica.
La prima a palesarsi fu Zakuro, portando con sé una busta piena di maschere per viso che – raccontò con un abbozzo di sorriso – le erano state regalate dopo uno shooting promozionale e che non sarebbe mai riuscita a utilizzare tutte da sola. Ovviamente, Minto non mancò di puntualizzare quanto rumore esagerato fece Ichigo nell’aprire il tesoro, e la rossa si lanciò in una tiritera fin troppo irritata su quanto fosse difficile trovare un momento di relax con una bimba così piccola e l’ennesima invasione aliena.
Fu poi la volta di Purin, che entrò baldanzosa in salotto con una quantità di gelato sufficiente per dieci che provvide a distribuire a grosse cucchiaiate senza ascoltare le proteste di nessuna delle tre, infilandosi a viva forza tra di loro e prendendo controllo del telecomando per sintonizzare la televisione su un melodramma di dubbio gusto. Retasu invece apparve appena dopo pranzo, insieme ad altri manicaretti preparati direttamente da lei, con molta probabilità all’ultimo momento visto l’occasione, e che finirono divorati in men che non si dica come pasto vero e proprio tra un gelato e l’altro.
Minto si godette ogni istante, per una volta non scrollandosi Ichigo di dosso e, come sempre ringraziando qualsiasi entità potesse ascoltarla di aver trovato delle amiche del genere che, seppur in maniera per lei alquanto folle, riuscivano a riempire vuoti che l’avevano accompagnata fin da quando era bambina.
Fu appena finito l’ennesimo, sconclusionato episodio della serie televisiva che Purin, giocherellando con il cucchiaio, arricciò le labbra in un ghigno divertito: « Vi devo dire una cosa. »
Le quattro teste scattarono curiose verso di lei, che però continuò a fissare la ciotola con fare dispettoso.
« Be’, non tenerci sulle spine! » si lamentò Ichigo, sporgendosi per guardarla in viso, « Cos’hai combinato?! »
La biondina tentennò ancora un poco, sciogliendo il cumulo finale di gelato in una pappetta, poi allargò ancora di più il sorriso e rivolse alle amiche un’occhiata furba, inarcando appena le sopracciglia e scrollando le spalle in maniera allusiva.
Ci vollero un paio di secondi, poi l’urlo collettivo che riecheggiò per casa fece spuntare Shirogane fuori dal suo studio, per controllare che non fosse successo nulla di male, prima di farlo ritornare nel suo antro scuotendo la testa.
« Visto, Reta-chan, è così che si fa, si avvisano le amiche subito, non dopo settimane! »
Retasu divenne bordeaux dietro le lenti: « N-non mettermi in mezzo! »
« Tutto, voglio sapere tutto! »
« Be’ magari non proprio tutto, Ichigo-chan. »
La rossa si era già lanciata a stritolare la biondina tra le braccia: « Ah, come siete cresciuti! »
« Abbiamo due anni in meno di te, nee-san. »
« Che c’entra, vi siete conosciuti che eravate dei bambini e ora guardatevi! Cosa vi fanno gli Ikisatashi! »
« Ichigo, per favore, non essere volgare. »
« Poi, comunque se c’è qualcuno che mi deve raccontare tutto, quelle siete voi! Mi servono indicazioni! Idee! Suggerimenti! Tipo, come si fa esattamente quella cosa con la bo – »
« No! »
Il grido terrorizzato di Retasu, seguito da Ichigo che placcava Purin e le tappava la bocca, scatenò una risata di cuore in Minto, che scosse la testa mentre si copriva le orecchie con le mani, lo stomaco che le doleva dall’allegria; fu solo un istante, ma le sembrò che i pezzetti della confusione che provava dentro di sé si riallineassero, lasciandola un po’ più leggera.
Un po’ più finalmente libera.
 
 
 
 
Kisshu rilassò le spalle nell’istante in cui sentì il portone principale aprirsi e chiudersi, condito dai saluti di benvenuto dei domestici di villa Aizawa. Era quasi ora di cena, la luce si era affievolita da un pezzo e lui aveva dovuto attaccarsi a tutto il suo autocontrollo – e ai messaggi di aggiornamenti inviatigli da Purin nel corso della giornata – per non marciare fuori a recuperare Minto, o almeno accertarsi coi suoi occhi che fosse tutto a posto.
Non era decisamente da lei uscire e poi sparire per tutto il giorno, mandandogli solo due vaghi messaggio in cui gli annunciava che era uscita e che sarebbe rimasta fuori.
Esalò piano tra i denti e si allontanò dalla finestra su cui si era appollaiato, cercando di procurarsi un’espressione più tranquilla possibile, anche se dentro di sé sentiva macinare la stizza e la preoccupazione di non aver avuto la ragazza sotto gli occhi quanto avrebbe voluto. Si poggiò di nuovo al baldacchino con una spalla e l’aspettò, udendola parlottare sottovoce con cordiale eleganza poi rivolgersi a qualcuno che lui intuì essere Mickey dal tono più dolce e acuto.
Difatti Minto comparve sull’ingresso della sua camera da letto pochi istanti dopo, il cagnolino in braccio e di nuovo il naso nascosto nella sua pelliccia morbida. Kisshu le rivolse un sorriso di saluto, ma gli sembrò che lei tentennasse un secondo prima di entrare e ricambiare con stanchezza:
« Pensavo saresti stato al Caffè. »
Lui non riuscì a non aggrottare le sopracciglia: « Non volevo lasciarti sola. »
Minto lasciò andare Mickey e gli rivolse un sorriso: « Non credo cenerò, stasera. Purin ci ha portato credo sei chili di gelato, e Retasu i suoi ultimi esperimenti in cucina. Stanno per scoppiarmi i pantaloni. »
« Eravate tutte dalla micetta? »
Non che gli servisse davvero la conferma.
« Mmhm, » la mora si tolse il maglione mentre si addentrava nell’armadio, pronta a riporre tutto in maniera ordinata, « C’erano novità su cui aggiornarci. »
Kisshu si limitò ad arcuare un sopracciglio: « … sarebbero? »
Lei rispuntò con indosso il pigiama della mattina e un sorriso furbo: « Dovresti chiedere a tuo fratello. »
Lui ci impiegò qualche istante, poi sbuffò divertito e la seguì verso il letto: « Quando si dà una svegliata poi non ci mette molto. »
Minto sorrise e si legò i capelli in una coda bassa protettiva mentre si poggiava ai cuscini e batteva piano la mano sul materasso per chiamarvi Mickey. Si sentì all’improvviso esausta, nonostante i familiari profumi di casa che allentarono un poco la tensione che sentiva. L’alieno le si sedette accanto, con una cautela che le diede fastidio, perché la fece sentire di nuovo come la bambola di porcellana da mettere in bella mostra, ciò che si era impegnata tutta una vita a scrollarsi di dosso.
Sospirò piano e al tempo stesso cercò l’odore noto del ragazzo, la sua presenza confortante, così poggiò la tempia contro la sua spalla.
« Abbiamo costretto Shirogane alla reclusione tutto il giorno. »
Kisshu rise e posò lui stesso la guancia sulla sommità della testa di lei: « Scommetto che gli avete fatto solo un favore. »
« Gli ho promesso che domani… domani ne parliamo. »
Lui s’irrigidì, intrecciò le loro dita: « Non devi promettergli un accidente, se non te la senti. »
« Me la sento, » ribatté un po’ troppo velocemente Minto, ma lui non commentò, « E potrebbe essere utile. »
Mickey si allungò esattamente in mezzo a loro, spaparanzandosi sulle loro gambe, e la mora abbozzò un sorriso mentre iniziava a coccolarlo.
« Quindi hai qualcosa da raccontare. »
« Sì. No. Non in quel senso, » la mora sbuffò a denti stretti, raddrizzandosi all’improvviso, « Tipo, c’è una cosa che ho scoperto sulle nostre armi che potrebbe essere pratica, okay? Tutto qua. E comunque sia, non ho voglia di parlarne adesso. Oggi sono riuscita a rilassarmi, e… »
Kisshu si concentrò sul cagnolino solo per tenere a bada la rabbia che gli sobbolliva dentro: « Ho notato. Mi hai solo scritto che – »
« Non ci ho pensato, d’accordo? » Minto sbottò con più veemenza di quanto avrebbe voluto e lo interruppe di scatto, « Era esattamente il punto della giornata. Non volevo pensare a nulla di che. »
Lui si morse la lingua giusto perché gli sembrava inutile ed egoista rischiare di litigare, ma buttò fuori l’aria: « Ho capito. Lo so. Mi dispiace, ma mi hai fatto preoccupare. »
« Non devi, » reiterò lei, e si ri-afflosciò giù, « Non c’è niente di cui preoccuparsi. Sto bene e va tutto bene. Dovete solo concedermi il tempo di riprendermi. »
L’alieno avrebbe solo voluto aggiungere che nascondere le cose sotto al tappeto non era sicuramente la strategia giusta, non dopo accadimenti del genere, che lui lo sapeva bene, ma preferì il silenzio, conscio che il muro della ragazza non sarebbe stato abbattuto tanto facilmente e di certo non con cieca insistenza.
Se stare con le altre era la maniera che preferiva per lasciarsi quel momento alle spalle, lui avrebbe solo dovuto accettare la cosa, accettare i suoi ritmi.
Minto si distese di più tra i cuscini e si voltò così da poggiare il viso e una mano contro al suo petto; Kisshu sentì un minimo di inquietudine abbandonarlo e le baciò la testa, mormorando contro i capelli neri: « Se vuoi dormire, posso andare. »
« No, » le dita sottili gli strinsero di getto la maglietta e lei scosse la testa, accoccolandoglisi meglio addosso. Non aveva pensato prima di parlare, e nonostante il senso di colpa che ancora le pungeva la gola, in quel momento aveva bisogno di sentirlo lì con lei, « Rimani. Per favore. »
« Quanto vuoi, tortorella, » rispose lui in un sussurro, accarezzandole i capelli e baciandola ancora, « Non devi neanche chiederlo. »
Mickey s’intrufolò di nuovo tra loro, incastrandosi sotto al braccio della ragazza e guaendo, estremamente soddisfatto dell’aver conquistato il letto per la seconda notte di fila. Kisshu avrebbe quasi giurato che gli avesse rivolto uno sguardo di sfida, però cedette allo sguardo implorante e gli concesse qualche carezza.
« Cos’è che ti ha raccontato esattamente la peste bionda? »
« Non chiedermi di ripeterlo. » 
 
 
 
§§§
 
 
 

L
’invito ufficiale per il ritrovo a villa Aizawa, con ordine del giorno un riassunto sul poco che Minto era riuscita a carpire degli alieni di Gaia, fu lanciato a mattina inoltrata il giorno dopo, con appuntamento per l’ora del tè, cosicché tutti potessero organizzarsi al meglio; e affinché la padrona di casa potesse mettere in ordine le idee e costruirsi il discorso più appropriato possibile, ripetendosi quali dettagli omettere e su quali, invece, soffermarsi di più. Il tutto senza risultare troppo ovvia, anche se lo sguardo da cane da caccia di Kisshu le trapanò la schiena tutto il tempo.
Non le sfuggì nemmeno l’ironia del fatto che, da ventun anni a quella parte, il pomeriggio precedente al suo compleanno era stato destinato ad ogni preparativo per la festa del dì successivo, e invece in quel momento stava solo istruendo lo chef su quali tramezzini servire nello studio di suo padre per un colloquio sulla sua prigionia.
Scosse la testa e fletté ancora le dita, allontanando il pensiero quanto più possibile. Doveva smetterla di soffermarsi su ciò che le era stato tolto e pensare solo a come sfruttare appieno quella situazione.
Con una puntualità insolita, l’intero gruppo si presentò alla villa all’orario concordato palesando una vaga allegria per alleggerire la situazione, avviandosi per i corridoi parlottando a bassa voce mentre seguivano il maggiordomo.
Lo studio del signor Aizawa non era una stanza che frequentavano spesso, e Minto l’aveva scelta anche per quel motivo, oltre all’austerità che emanava. In più, era abbastanza spaziosa per accoglierli tutti con comodità, grazie anche al lungo tavolo di noce che svettava al centro e che suo padre utilizzava nei rari momenti in cui ospitava riunioni di lavoro formali a casa.
Lei si aprì nel solito sorriso di circostanza quando gli amici li raggiunsero, indicando con studiato decoro il carrellino portavivande ben fornito. Kisshu, invece, li accolse tutti appoggiato a braccia incrociate contro la scrivania, il viso scuro e l’aria di chi, nuovamente, fosse pronto a prendere a calci il primo malcapitato che avesse aperto bocca.
« Minto-san, non c’era bisogno che ti disturbassi così tanto, » disse Keiichiro, accettando di buon grado una tazza di tè.
La mora fece spallucce e si diresse al tavolo, reggendo la sua tazza preferita: « Sciocchezze, siete miei ospiti. E non deve essere un’occasione di disagio, giusto? Accomodatevi pure. »
Si sedette in uno dei posti centrali senza attendere risposta, né senza badare alle occhiate che, fu certa, gli altri si scambiarono. Kisshu, che ancora non aveva detto una parola, si staccò dalla scrivania in un movimento fluido e si accomodò dritto alla sua sinistra, tirando pure la sedia un po’ più vicina alla sua. Ichigo, al contempo, si sedette subito alla sua destra, mettendole davanti anche un piattino con dei tramezzini che però fecero solo rivoltare lo stomaco alla mewbird.
Con molto poco rumore, di nuovo così insolito per loro, le altre tre Mew Mew, i due americani e i due Ikisatashi riempirono un lato del tavolo, occupandolo con un paio di laptop e dei registratori: perfino Masha sbucò dalla borsa di Ichigo, frullando fino alla padrona di casa e accoccolandosi tra le sue braccia senza chiedere permesso.
« Partirei dall’inizio, » cominciò Keiichiro, schiarendosi la voce e digitando veloce sulla tastiera, « Dalla battaglia, se non vi dispiace. »
« Eviterei di rivedere le immagini, » commentò caustica Zakuro, seduta direttamente in fronte a Minto come per essere pronta a studiarne ogni reazione, ma Pai la guardò con freddezza:
« Capire come hanno fatto potrebbe rivelarsi – »
« Facciamo senza, » lo interruppe Kisshu velenoso, poi fece un cenno verso Ichigo e Purin, « Io mi stavo scontrando direttamente con Kert. Voi? »
La mewscimmia fece a pezzetti un angolino del tramezzino con le dita: « Ichigo-nee san e io stavamo dietro a quello biondo. Poi ho visto Retasu nee-san e Zakuro nee-san cadere in ginocchio, e… »
Retasu si mosse a disagio sulla sedia prima di parlare: « È stata colpa di quello con i capelli neri, » bofonchiò, quasi rabbrividendo al ricordo, « All’inizio ci stava lontano, e sembrava quasi annoiato dall’intera situazione. Quando si è avvicinato, però… »
« Ci ha tolto il fiato, » continuò Zakuro quando la Mew verde tentennò, « Letteralmente. Aveva come delle ombre, attorno a sé, ed è stato come se diventassero… più concrete e reali. Come se davvero stesse diventando tutto nero. E non ci fosse più nulla. »
« Probabilmente è lo stesso potere che hanno usato su di me, » Minto prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, anche per fermare le lacrime che percepì pizzicare, « La stanza in cui mi trovavo è sempre stata al buio, avvolta da una specie di nebbia fatta quindi di ombre. E quella sensazione che descrivete, è stato per me anche come se stessero prendendo i miei ricordi e… trasformandoli in un incubo. »
Scese un silenzio assordante mentre le parole delle ragazze venivano assorbite. Ichigo le coprì le mani con una delle sue e le rivolse quell’occhiata affettuosa e carica di preoccupazione che aveva affinato con la maternità; di solito, Minto l’avrebbe sgridata per quel suo eccesso di melodrammaticità, scostandola con poco garbo, ma mentre riprendeva a raccontare, sforzandosi di far suonare la voce in maniera più sicura possibile, fu grata che il palmo caldo dell’amica attutisse un po’ il tremolio delle sue.
« Non ho molto da dire, » gracchiò e si schiarì ancora la voce, evitando pervicacemente lo sguardo degli altri, ma soprattutto quello di Kisshu, una statua di sale accanto a lei, « Come vi ho già raccontato, ho  passato tre giorni in quella stanza. Era davvero una stanza da letto, in una casa, quasi simile alla mia. Al di fuori c’era un corridoio, ma è stato tutto quello che sono riuscita a vedere. C’era questa oscurità tutt’intorno che bloccava qualsiasi cosa – luce, rumore, tutto. »
Pai fu il primo a parlare, dopo qualche istante di silenzio: « Potrebbe essere stata la causa per la quale i nostri sistemi non riescono tutt’ora a identificare la loro posizione. Ma significherebbe un potere non indifferente. »
« Anche il mio ciondolo Mew era completamente fuori uso. Ho provato diverse volte a chiamarvi, ma… be’, lo sappiamo. »
Ichigo emise un verso strozzato al suo sarcasmo, e la stretta sulle sue mani aumentò per un istante.
Minto continuò come se non si fosse mai fermata: « Volevano informazioni su di noi, ovviamente. Sapere come funzionassero i nostri poteri, credo che in parte abbiano anche carpito qualcosa del nostro DNA modificato. Non sembravano sapere nulla della storia di Deep Blue, o del ruolo di Duaar e della Mew Aqua. Almeno, era solo Kert che interagiva con me, anche se mi è parso di capire che non fosse lui quello in grado di fare quel… trucchetto con la mente. Che hanno usato per cercare di convincermi a parlare. »
Udì la sedia accanto a lei scricchiolare e Kisshu sibilare piano al sottotesto di quell’ultima affermazione, ma la mora giocherellò solo con il cucchiaino della sua tazza di tè. Nello stesso istante, Keiichiro si sporse un po’ in avanti per cercare di incontrare il suo sguardo:
« Minto-san, non devi scendere nei dettagli se è troppo difficile, mi raccomando. »
« Non so come facessero… non erano situazioni inventate dal nulla, erano situazioni che sono certa di aver vissuto, solo rigirate, rimescolate, in una maniera tale da… da renderlo una tortura, è inutile fare tanti giri di parole. Un ricordo con i miei genitori era pressoché uguale, tranne per… la cattiveria nelle loro parole, o i dettagli su Seiji, le sue presenze in città. Altri erano su… » s’interruppe e scosse la testa, questa volta cercando di non guardare Ichigo, « Insomma, come se sapessero esattamente cosa cambiare, come renderlo un’arma. »
Questa volta, lo stridio della sedia che venne allontanata di scatto la fece sussultare, però continuò a fissare dritta davanti a sé le venature del tavolo, anche quando Kisshu cominciò a camminare avanti e indietro come una tigre in gabbia.
« A proposito di arma, » Minto si schiarì la gola e prese un sorso per ristorarsi, « Una cosa può tornarci davvero utile: a un certo punto mi sono addormentata, e quando mi sono svegliata, mi sono ritrovata in forma umana, perché ero esausta. Ovviamente quando mi hanno catturata, mi hanno portato via l’arco, non devo stare neanche a raccontarvelo. Ma il punto principale è che, una volta ripresami un attimo, sono riuscita a ritrasformarmi. E avevo di nuovo il mio arco. Come se non fosse mai successo nulla. »
Un mormorio di stupore si levò dalle altre Mew Mew, mentre gli americani si scambiarono un’occhiata incuriosita.
« Be’, che figata, in effetti! » esclamò Purin con una punta di contentezza in più del dovuto, « Non ci abbiamo mai pensato… anche se non mi ricordo di aver mai perso i miei tamburelli. »
« Però è complicato, trasformarsi e ritrasformarsi durante una battaglia comporterebbe dei rischi non indifferenti. »
Minto scrollò le spalle al commento di Zakuro: « Credo sia stata l’unica scoperta degna di nota. Oltre al fatto che sì, la motivazione per l’invasione Geota parrebbe il fatto che il loro pianeta sta diventando sovrappopolato e non vogliono rischiare di mettere in pericolo il loro ecosistema, a quanto pare fantastico. »
« Dimmi che almeno sei riuscita a piantargli una freccia tra le gambe. »
La battuta di Taruto le strappò un sorriso: « Ci ho provato. Ne è valsa la pena. »
Kisshu, ancora a marciare irrequieto alle sue spalle, ringhiò quando la vide sfiorarsi sovrappensiero lo sterno, dove svettava il livido provocatole da Kert quando lei aveva cercato di colpirlo, ma lei persistette ad andare avanti.
« Questo è tutto, direi. Come già detto, io ho parlato solo con Kert. Giusto poco prima di liberarmi, è spuntato quell’altro, il capo della banda. Ha detto qualcosa su una certa Espera, sul fatto che nemmeno lei riuscisse a respirare quando… ah sì, » aggiunse alla fine, stanca, « Kert sa fare un’altra cosa. In ambienti molto ristretti, può manipolare l’aria intorno a sé così da renderla irrespirabile, qualcosa del genere. Un altro giochetto che a fatto per tentare di rendermi più disposta a raccontargli cose. »
« Lo ammazzo. »
Sia Pai che Zakuro lanciarono uno sguardo d’avvertimento a Kisshu; il maggiore degli Ikisatashi poi si concentrò di nuovo su Minto: « Ogni altro dettaglio che pensi sia utile? »
« C’era un’altra… » la mora aggrottò la fronte mentre provava a ricordare gli ultimi istanti dentro quella casa, « Quando Rui è entrato, ha lasciato la porta aperta, loro erano tutti in corridoio, e c’era una figura in più che non mi pare aver riconosciuto. »
« Oh, perfetto, » Ichigo si lasciò andare a un gemito esagerato, « Ce ne mancava anche un’altra. »
« Quindi? » Kisshu si fermò di scatto e incrociò le braccia, « Cosa abbiamo intenzione di fare? Stare qui di nuovo ad aspettare che ci prendano ancora alla sprovvista? »
Keiichiro si scambiò un’occhiata d’intesa con Pai prima di rivolgersi all’alieno dai capelli verdi: « Credo sia giusto dare tempo a tutti di riprendersi. Anche durante l’ultimo scontro siete riusciti a – »
« Appunto. Approfittiamone e colpiamo. »
« Colpiamo dove, esattamente? » sbottò Pai, stanco, « Per tua informazione, ne sappiamo quanto prima. I nostri sistemi non sono ancora in grado di localizzarli. »
« Allora miglioriamoli. »
« Lo dici come se tu sapessi come, » s’intromise Ryou, anch’egli parecchio provato e innervosito dal comportamento ostile di Kisshu, « Ma a parte fare ancora più casino del solito, non mi pare tu sia riuscito a inventarti geniali soluzioni. »
« Non sono io il genio della situazione, giusto? » replicò con veleno l’altro, guardandolo rabbioso e continuando a parlare a denti stretti.
Ichigo si alzò e sventolò le mani: « Non litigate, » esclamò con forza, lanciando uno sguardo specialmente intenso al marito, « È già stato un pomeriggio non semplice. Ci serve coesione. »
« Ci serve un piano. »
« E penseremo al piano! » sbuffò sfinita, alzando gli occhi al cielo, « Non c’è altro, vero, Minto-chan? »
La mora pensò che fosse la maniera di Ichigo di dirle che le dava ragione rispetto alla discussione del giorno prima, che decisamente Kisshu non era nello stato mentale per venire a sapere altre cose, quindi si limitò ad annuire.
« Se mi venisse in mente qualcos’altro... »
Keiichiro le rivolse un altro sorriso incoraggiante: « Mi raccomando, Minto-san, non rimuginarci troppo. L’importante è che tu sia tornata a casa sana e salva. »
Kisshu ringhiò un’altra volta e fece per commentare probabilmente il suo disaccordo riguardo al “sana”, ma Zakuro s’intromise con un sorriso: « E dobbiamo festeggiare. »
« Oh, onee-sama, non lo so… » Minto si sfregò di nuovo i lividi che spuntavano dalle maniche della camicia, « Non sono molto in vena… »
« Dai, dai, nee-san, una cena tra di noi, » Purin si alzò e, di nuovo in barba a tutti i principi fondamentali della mora, circumnavigò il tavolo per andarla ad abbracciare, « Anche qui da te, senza sbatta. »
« Non capisco come si coniughino esattamente qui da me e senza sbatta. »
« Un pigiama party è super comodo. »
Minto guardò di nuovo Zakuro e il suo sorriso incoraggiante, e dopo qualche secondo annuì più convinta: « Vi va bene per le sette e mezza domani sera? »
 « Sììì, » Purin la stritolò un altro paio di istanti, praticamente facendole perdere due o tre decibel nell’orecchio destro, poi saltellò energica dalle altre, « Riunione regali! »
« D’accordo, la proseguiamo fuori, » anche Keiichiro si alzò e si scambiò uno sguardo d’intesa con la padrona di casa, « Riposati, Minto-san. E grazie per il tuo prezioso aiuto. So che non deve essere stato facile. »
Con un ultimo sorriso, e un giro concitato di saluti e promesse per il giorno dopo, li condusse quindi tutti verso l’uscita. La casa piombò nel solito silenzio assordante, e Minto percepì un brivido freddo di immensa stanchezza serpeggiarle giù per la schiena.
Avvertire anche Kisshu e la sua irrequietezza incombere per la sala non era certo d’aiuto.
Con un sospirò si alzò e si sfregò la fronte, ringraziando con un sorriso la cameriera che subito venne in soccorso a raccogliere tazze e piattini dal tavolo.
« Mi sembra tutto una stronzata. »
Minto dovette trattenersi dall’esalare a voce alta e intimò a Kisshu di tacere con un’occhiata glaciale, se non altro per le orecchie che era meglio non coinvolgere.
« Compiere azioni azzardate non è mai stata la scelta migliore, » si limitò a replicare a denti stretti, avviandosi a passo spedito verso la propria camera.
« Neanche aspettare che ci caschino le risposte in grembo! » replicò il ragazzo, seguendola, « O lasciarli buoni e comodi e – »
« Kisshu, per favore! » la mora si bloccò appena oltre l’entrata della stanza e alzò le mani in un gesto di stanchezza, « Hai sentito anche tu gli altri, i nostri sistemi sono bloccati e non abbiamo la maniera di rintracciarli, quindi per ora dobbiamo accettare la situazione così com’è. Non facevamo niente di molto diverso quando si trattava di voi. »
Un lampo sdegnoso attraversò le iridi dell’alieno, che sembrò fisicamente mordersi la lingua e prendere un secondo prima di parlare, mentre lei gli dava le spalle per l’ennesima volta in quella giornata e si avvicinava alla sua toeletta.
« Minto, » il sussurro le arrivò forte e risoluto, con una vena d’ira non indifferente e che la fece sussultare, « Quando dico che ti amo, voglio dire che farei qualsiasi cosa per te. »
La comprensione di ogni singolo significato di quella frase le causò nuovamente un tremore lungo la spina dorsale mentre immagini chiarissime le scorrevano davanti agli occhi. Non seppe neanche lei cosa le prese, pensò solo che l’ultima volta che avevano fatto l’amore le sembrasse lontanissima, e che c’erano cose che avrebbe solo voluto cancellare e in quel momento non aveva altra maniera di farlo.
Si voltò e gli prese il viso tra le mani, baciandolo senza dargli possibilità di replica; né sembrò che Kisshu stesse aspettando qualcosa di diverso, vista la foga con cui la ricambiò, stringendola così forte da spezzarle il fiato e cercando di accarezzare ogni singolo millimetro di lei che poteva raggiungere. Si spogliarono a vicenda con veemenza ancor prima di arrivare al letto, lei alla ricerca come sempre del calore del corpo di lui per infrangere un gelo che era dentro al suo petto e non c’entrava nulla con l’autunno.
Quando però Kisshu la stese sotto di sé e Minto socchiuse le palpebre per guardarlo mentre le scivolava dentro, il cuore le precipitò in gola e lei sussultò a incrociare i suoi occhi.
Occhi dorati.
Gli stessi che aveva visto in quella stanza, eppure così dissimili.
Gli stessi che l’avevano guardata mentre le vomitavano addosso veleno, gli stessi che l’avevano illusa di esserne uscita, gli stessi che l’avevano osservata con divertimento mentre l’aria l’abbandonava e i polmoni bruciavano, mentre…
Te l’ho già detto, passerotto: a me serve solo dimenticare, non mi importa di altro.
Portarti a letto è stato piacevole anche per toglierti di dosso quella smorfia da altezzosa che hai sempre. Sentirti pregare, per una volta, è stato così soddisfacente...
Gemette per tutte le ragioni sbagliate e cercò di camuffarlo strusciandosi contro di lui, ma Kisshu conosceva ogni millimetro del suo corpo alla perfezione e s’immobilizzò subito, preoccupato di averle sfiorato con un po’ troppa decisione uno dei lividi.
« Ti ho fatto male? »
Minto scosse la testa e poi, d’istinto, non riuscendo a sopportare quel velo di dubbio negli occhi dell’alieno, si voltò prona, artigliandoli al tempo stesso la mano.
Non bramava che il suo odore, il suo calore, il modo in cui la faceva sentire, ma al contempo non riusciva a guardarlo, a sopportare il suo sguardo preoccupato, a sostituire i ricordi che di nuovo le affollavano la mente con la sensazione vera e concreta di averlo lì.
Lo avvertì titubare, per una volta, riguardo alla sua scelta, nonostante non avesse mai formulato richieste particolarmente sdolcinate durante quei momenti, e la mora sollevò appena i fianchi, aumentando la stretta sulla sua mano.
« Kisshu, ti prego, » emise in un sospiro, « Stringimi e fai l’amore con me. »
« No, » con tono quasi dolorante, Kisshu si staccò da lei e si sedette sulle ginocchia, tentando di voltarla con cautela, « Non finché non mi dici cosa c’è. »
Minto dovette reprimere un mugolio: « Niente, » esalò, provando a suonare convincente mentre gli rivolgeva l’accenno di un sorriso da sopra la spalla, « Pensavo che – »
L’alieno le lanciò un’occhiataccia e fu meno gentile nel girarla, questa volta, così da guardarla in faccia: « Ne hai parlato prima, e d’accordo. Ma non ne hai parlato con me. »
La mora sentì il gelo farsi di nuovo spazio nello stomaco e afferrò il lenzuolo per coprirsi prima di mettersi seduta: « Ho detto tutto quello che dovevo dire, » esclamò lenta, per non fare tremare la voce, « Volevo solo… stare con te. Non pensarci, non renderla più grande di quanto non sia. È passato. »
« Così passato che non riesci nemmeno a guardarmi in faccia, » sputò lui, rimangiandosi le parole subito dopo quando l’avvertì ritrarsi un po’ di più e abbassare lo sguardo, colpevole.
Kisshu sospirò e si scostò i capelli dagli occhi, afferrandole poi la mano, « Tortorella, ascolta, » se la premette sul petto, lì dove la pelle si faceva spessa e deturpata, « Non è la stessa cosa, okay, ma io… so cosa vuol dire affrontare momenti davvero difficili. Non dico che tu debba continuare a parlarne, ma tenersi tutto dentro non… »
Minto quasi sillabò la frase successiva: « Abbiamo appena passato, che ne so, un’ora a parlarne. »
« Non prendermi per imbecille, » replicò lui di nuovo con un po’ troppo gelo, « Hai menzionato mezza situazione, e visto quanto cerchi di evitare il discorso, mi sembra lampante che ci sia qualcos’altro sotto. Qualcosa che proprio non vuoi dirmi. »
La ragazza ritrasse di scatto la mano ed emise uno strano verso dal naso mentre si alzava dal letto, portandosi dietro il lenzuolo: « Mi stai accusando di non avere il coraggio di dire le cose come stanno? Ho raccontato tutto, tutto il necessario, non so cosa tu voglia di più o… o cosa ti aspetti, perché – »
« Dovrei sapere come aiutarti. Insomma, Minto, guarda come sei ridot– »
« Lo sto continuando a ripetere, come aiutarmi! » strillò lei, quasi battendo il piede a terra, « Però non mi sembra che il messaggio sia recepito! »
Kisshu sospirò e alzò le mani in segno di arresa: « Voglio solo che tu stia bene, d’accordo? Perché non è così, ed è giusto che non lo sia. Nessuno si aspetta che tu stia bene ora, Minto, sono passati solo due cazzo di giorni. Però devi – »

« Non devo un bel niente, » replicò lei a voce stridula, « Sta a me decidere cosa fare o non fare. Capito? »
L’alieno si raggelò, poi la osservò un altro paio di istanti prima di annuire con estrema lentezza.
« Come vuoi. Se hai bisogno, sai dove trovarmi. »

Minto si sentì improvvisamente svuotata e sola quando lo vide alzarsi dal letto per rivestirsi; si strinse un po’ di più il lenzuolo attorno a sé e sospirò: « Kisshu, non… »
Lui sventolò una mano come a dirle di non preoccuparsi intanto che si rimetteva i pantaloni, poi le si avvicinò e le lasciò un bacio sulla fronte e una carezza del pollice sulla guancia.
« Vado a cercarti un regalo, » le mormorò, « Ci vediamo stasera, se ti va. »
La mora si limitò ad annuire, un groppo in gola di senso di colpa grande quanto una mela che le bloccava le parole, e Kisshu svanì con un soffio senza dirle altro.
 
 
 
 
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Non gli pareva che nessuno di loro fosse in realtà nel gran mood di festeggiare, ma Ryou aveva da tempo smesso di chiedersi quali fossero i meccanismi che condizionavano gli animi delle ragazze e le loro conseguenti interazioni.
Sicuramente il gelido riserbo di Kisshu, quella sera, così diverso dal suo carattere dirompente ed estroverso, non gridava allegria per quella festa improvvisata. E se lui si fosse messo a pensare alla mail che pareva far pesare il cellulare in tasca un paio di chili in più…
Come sempre quando si trattava di Minto, anche nei momenti in cui era palese non fosse molto in forma, la cena era stata elegante, ottima e abbondante, come se ci fossero state molto più che ventiquattr’ore di preparazione alle spalle; e nemmeno quello lo aveva stupito, dopotutto, ben abituato ai mirabolanti standard della famiglia Aizawa.
Anche Keiichiro era riuscito a rifinire una splendida torta a due piani alla crema chantilly, e Ryou si domandò se – in barba a tutta la scaramanzia – l’avesse iniziata a preparare con largo anticipo, sicuro che l’occasione si sarebbe presentata.
Retasu tagliò una fetta di dimensioni non indifferenti e la passò alla festeggiata, che con enorme soddisfazione del pasticcere, se la gustò decisa, nonostante fosse già il bis.
« Quindi adesso la onee-san può bere negli Stati Uniti, » commentò Purin, divorando lei stessa una seconda fetta più grossa della prima, « Potresti organizzare un bel viaggio quando sarà anche il mio turno, onii-san. »
Ryou alzò solo un sopracciglio, un fastidioso ronzio all’orecchio al soggetto: « Stai già mettendo le mani avanti, noto. »
« Metti che tu e Ichigo onee-san vogliate mettere in cantiere un altro bebè, bisogna organizzarsi per tempo! »
« Purin, ti prego, » gemette la rossa, guardandola sconvolta, « Per ora basta Kimberly, che non dorme da due notti. »
« Il tuo peggiore incubo, Momomiya. »
Lanciò uno sguardo infastidito a Minto e poi le rivolse una linguaccia: « Non dico niente solo perché è il tuo compleanno e voglio essere carina. »
« Era anche il mio compleanno quando l’hai scoperto, un anno fa, sicuri che non ci sia un’altra sorpresina? »
« E smettila! »
Una risatina si levò dal gruppo, puntellata dal rumore delle forchettine contro la ceramica, e Ryou controllò di nascosto un’altra volta l’app di e-mail sul cellulare. Per la East Coast era ancora mattina presto, ma se qualcuno si fosse svegliato particolarmente volenteroso…
Forse avrebbe dovuto smetterla di manifestare così intensamente – o gufare – perché il telefono prese a vibrargli intensamente in mano, un numero parecchio familiare che riempì lo schermo.
Si scambiò solo un’occhiata d’intesa con Keiichiro, ignorando invece quella interrogativa e leggermente irritata di Ichigo, e si alzò per uscire in corridoio, così da poter parlare liberamente. La moglie non era ancora in grado di capire del tutto quando lui entrava in modalità completamente madrelingua, ma preferiva essere prudente, soprattutto conoscendo il caratterino della rossa.
La ragazza in questione, infatti, non si esimette dall’alzare gli occhi al cielo e sbuffare, parlando piano verso Zakuro: « Possibile che non sappia smettere di lavorare? »
La modella le versò un altro po’ di champagne: « Non sarebbe il Ryou che conosci, in quel caso. »
« Ma almeno a una cena di compleanno! »
« Dai, nee-san, almeno non è la tua. »
Lei arricciò il naso verso Purin: « Grazie del supporto. »
« Dite che il nii-san la finisce quella fetta? »
L’intera torta venne spazzolata intanto che Shirogane terminava la sua telefonata, a cui dopo un po’ si aggiunse Keiichiro, strappando un altro po’ di sonori mugugni da parte della compagnia. Col dolce terminato, e gli altri due in separata sede, Pai ne approfittò per controllare l’orologio e guardare Retasu.
« Mi sembra di capire che la festa stia terminando. »
Kisshu, spaparanzato in maniera poco elegante su una delle poltrone, lo osservò con un sopracciglio alzato: « Non sia mai che ti diverti troppo, tu. »
« Preferisco non arrecare troppo disturbo, io. »
Il fratello fece schioccare la lingua in maniera ironica, e Zakuro s’intromise con lo studiato sorriso di circostanza: « Magari è meglio far riposare Minto. »
La mora esalò piano, palesemente non entusiasta all’idea di rimanere da sola ma al tempo stesso chiaramente esausta: « Grazie per essere venuti. I regali sono bellissimi. »
Purin, accoccolata accanto a lei, la strinse: « Invecchi bene, onee-san. »
« Ma dai! »
I due americani tornarono in stanza, uno di loro con una faccia che a Zakuro non preannunciava niente di buono, così la modella si prodigò a raggruppare tutti per farli uscire il più celermente possibile.
« Facciamo un pigiama party presto, promesso, » Minto salutò le amiche sulla soglia, di nuovo non estraendosi troppo presto dai loro abbracci.
« Guarda che me lo segno. »
« Momomiya, come se tu avessi bisogno degli inviti. »
Ichigo le fece l’ennesima linguaccia prima di avviarsi lungo il vialetto illuminato di luce soffusa, incominciando a bofonchiare con Shirogane. Minto la osservò per un istante con un sorrisetto intenerito, poi si voltò verso Kisshu, che si era poggiato alla porta socchiusa.
« Anche quest’anno, niente candeline. »
Lei sbuffò divertita e alzò gli occhi al cielo mentre scuoteva la testa: « Questa è proprio una fissazione. »
« È divertente, » la prese in giro lui, togliendo una mano dalla tasca del giubbotto di jeans per attorcigliarsi un boccolo nero attorno al dito, « E te l’ho detto che il tuo compleanno ti intenerisce. Guarda quanti abbracci hai dato. »
« Sei geloso? »
« Sempre, » Kisshu rispose a tono all’ironia e poi spostò il palmo sul suo viso, accarezzandole lento la gota, « Un anno fa ti ho baciato per la prima volta. »
Minto avvertì il ventre frullarle alla voce roca con cui mormorò, al ricordo di quel bacio inaspettato: « Lo so. C’ero anch’io. »
L’alieno sbuffò divertito e poi roteò gli occhi: « Concedimeli cinque secondi di romanticismo, tortorella, almeno nelle occasioni speciali. »
« Un compleanno non è così speciale. »
« Pensavo di più a una cosa come l’anniversario. »
« Ma oggi non è il nostro anniversario. »
« E figuriamoci, » Kisshu la canzonò ancora e si avvicinò di un passo, « Sentiamo, allora quando si confà che sia? »
Minto arricciò il naso ma decise di stare al gioco; aprì la bocca per rispondere convinta che quella mattina di fine dicembre le sembrava molto più appropriata, quando un crampo le prese lo stomaco a tutte le versioni del ricordo che le ripassarono in mente, insieme alle mezze verità, a quelle che ancora non le andavano giù, al pensiero di tutto il tempo perduto per questioni diverse e per motivi differenti. Kisshu dovette accorgersi di qualcosa, perché la mano sulla sua guancia si contrasse per un istante e anche il suo viso si fece più duro.
Lei scosse la testa e inspirò piano, abbozzando un sorriso tremolante: « Ci penserò, » glissò, pur sapendo che era la risposta sbagliata e pregando che gli bastasse lo stesso, che potesse leggere oltre quelle due parole.
L’alieno la studiò per un paio di secondi, immobile, e lasciò cadere la mano con uno sbuffo: « Zero romanticismo, tortorella. »
La mora sorrise ancora e inalò l’aria fredda che filtrava dalla porta ancora aperta per reprimere le emozioni contrastanti che le si affollavano dentro e poter decidere come procedere.
« Sono effettivamente esausta, » mormorò poi, fissandogli più il colletto del giacchetto che il viso, ma gli afferrò comunque le dita, « Perché non rimani a dormire? »
Le sembrò che un peso non indifferente si levasse dalle spalle del ragazzo, quindi passando a lei ancor più senso di colpa, ma Kisshu si limitò a chiudere l’uscio prima di intrecciare le dita con le sue.
« Niente cane, però. »
« Mickey. »
« Il cane. »
« Dorme con me da più tempo di te, sai. »
« Appunto, è ora che si levi dalle palle. »
« Kisshu! »
 
 
 
 
Ichigo non era mai stata sottile, ma pure Ryou, dopo un po’, diventava un libro aperto, soprattutto se di malumore, quindi non si stupì più di tanto quando la moglie lo prese di petto non appena si chiuse la porta d’ingresso alle spalle.
Kimberly dormiva dai nonni, perciò la rossa ebbe tutta la libertà di mettersi le mani sui fianchi e parlare con il tono di voce agguerrito della sua adolescenza: « Si può sapere che avevi di tanto importante da dire al telefono mentre eravamo a cena? »
Shirogane s’impose di contare fino a dieci, ben sapendo che sarebbe passato dalla parte del torto non appena avesse aperto bocca.
« Il fuso orario, Ichigo, » esclamò pacato, « A volte non ho molte possibilità di scelta su quando essere contattato. »
La rossa ci rimuginò un po’ sopra, poi spinse comunque avanti il mento: « Quindi? C’è qualcosa che non va? Di solito ti mandano solo messaggi. »
L’americano sciorinò nella sua mente tutte le possibilità che aveva di recapitare le novità. Forse la stava facendo solo più grossa di quella che era, Ichigo si era sempre dimostrata molto comprensiva, ed era una cosa fuori dal comune, non certo una ricorrenza già accaduta. Forse si stava solo fasciando la testa prima di essersela rotta.
Sospirò e si appoggiò a un mobile dell’ingresso, scompigliandosi i capelli prima di spiegare: «  Ti ricordi che quando siamo tornati, ti ho raccontato che stavamo cercando dei soci per supportare il nuovo progetto? »(*)
Ichigo si sforzò di fare mente locale: « Sì, ma era più di un anno e mezzo fa… »
Lui annuì: « Ci abbiamo messo un po’ a trovarne qualcuno di abbastanza convinto e al tempo stesso solido, e che sembrasse affidabile. Solo che ora dobbiamo passare a una nuova fase più attiva del progetto, e i nostri nuovi soci vorrebbero incontrarci di persona, invece che solo su videoconferenze. »
Di nuovo, la rossa assimilò il discorso con calma, iniziando a perdere la pazienza per i giri di parole che sembravano voler evitare il punto: « … e quindi? »
« Quindi, avrei un volo prenotato per dopodomani. »
Scese il silenzio totale mentre Ichigo continuava a scrutarlo come se gli fosse cresciuta una seconda testa, e lui proseguì, nel tentativo di risollevare l’atmosfera.
« Si tratta solo di un paio di settimane, massimo tre. Giusto per incontrare tutti, firmare i documenti necessari, mettere in piedi i prossimi processi e assicurarci che tutto funzioni anche da remoto. »
Ichigo incrociò le braccia al petto e sembrò annuire: « Perciò… tutto così, all’improvviso. Non molto amichevoli, questi soci, sapendo che sei dall’altra parte del mondo. »
Ryou poté già avvertire i timpani dolergli: « Non proprio. Ne avevamo parlato, ma non era stato confermato nulla, ancora, e… »
Un fuoco che conosceva bene si accese nelle iridi della ragazza: « Lo sapevi… e hai deciso di parlarmene quando era già tutto pronto? »
« Te l’ho detto appena ne ho avuto conferma, » ribatté  lui, « Era inutile starsi a preoccupare se – »
« Oh, andiamo, Shirogane,  di nuovo! » strillò la rossa, battendo un piede a terra, « E ti sembra meglio dirmi il giorno prima che devi andare oltreoceano a tredici ore di fuso, per tre settimane?! Mentre siamo di nuovo affrontando una battaglia intergalattica con degli alieni che hanno appena rapito e torturato la mia migliore amica!? Con in più una neonata da badare a casa?! Io cosa mi dovrei inventare esattamente adesso?! »
La parte più razionale di lui avrebbe voluto rispondere che aveva ben poco da fare rispetto alla nuova minaccia aliena, anche perché non era certo una scusa che avrebbe potuto sbandierare ai colleghi, ma sapeva che qualsiasi cosa avrebbe solo peggiorato la situazione.
« I know, I know, you’re right, » tentò di risolvere, avvicinandosi a lei, « Ma sarà per pochissimo, non c’è bisogno di preoccuparsi. Andrò solo io, quindi Keiichiro può – »
« Akasaka-san non è mio marito né il padre di mia figlia, » rimbeccò subito lei, gli occhi lucidi, « E te l’avevo già detto. Io sono tua moglie, Shirogane, e mi devi dire le cose! In anticipo! »
« Ichigo, non mi sembra così grave, è solo un viaggio di lavo – »
« Masaya aveva detto la stessa cosa, » Ichigo parlò con voce tremula e lo guardò con rabbia, « Che era solo uno scambio. Che sarebbe durato poco. E non eravamo sposati, né stavamo combattendo, né avevamo una bambina da accudire. E sia ben chiaro, Shirogane, io non ho intenzione, per nulla, di intraprendere un’altra relazione a distanza, per quanto poco tempo sia. »
Shirogane la guardò spiazzato; avrebbe voluto ribattere che stava esagerando, che le cose non erano per niente comparabili, che non si era neanche mai posto il dubbio di una relazione a distanza e che piuttosto avrebbe mollato le redini dei suoi affari. Non riuscì a dire nulla di tutto ciò, perché Ichigo fece dietrofront e marciò su per le scale, chiudendo la porta della camera da letto con un tonfo assordante.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
(*) Capitolo uno, Together again
   
 
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