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Autore: ScleratissimaGiu    27/05/2013    0 recensioni
Samantha è stata assunta nello studio legale Benson&Clarks per le sue ottime referenze, ma il suo egocentrismo e la sua arroganza con uno dei suoi colleghi, William, stanno esasperando proprio il diretto interessato.
Stufo del suo comportamento, egli convincerà il suo capo ad affidarle un caso senza speranza: far uscire Charles Manson, lo spietato killer che terrorizzò gli USA, dal carcere e mandarlo agli arresti domociliari.
Tratto da una storia vera.
Genere: Generale, Mistero, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre io e mia madre ci gustavamo il nostro champagne accoccolate sui comodi e lussuosi divanetti color rosso scuro nel mio ufficio, in quello di Crossway stavano sorgendo problemi molto seri.
E quando dico “problemi molto seri”, intendo la mia primissima causa come avvocato.
Cooper reggeva in mano un plico sotanzioso dalla copertina color panna, mentre Crossway rimaneva seduto alla sua scrivania fissando il vuoto.
- Dobbiamo fare qualcosa! - esclamò William, battendo un pugno sul tavolo - è un’occasione che non può sfuggirci stavolta.
Il capo alzò lo sguardo su di lui, una maschera di perplessità sfumata di rabbia.
 - Dico, da che spacciatore ti servi ultimamente, Will? - gli rispose di botto, alzandosi bruscamente dalla sua sedia girevole, che venne spinta indietro finchè sbattè contro la parete - Ti ascolti quando parli?
- Signor Crossway, pensi a che cosa vorrebbe dire per lo studio: sarebbe un colpo enorme, sia vincerla che perderla.
- Io non prendo una causa per perderla, Bill. Dovresti saperlo bene.
Non era mai un buon segno se il capo lo chiamava Bill; lo imparai da Pam.
Non seppi mai fino in fondo il perché, mi pare perché uno dei figli di Crossway, che di nome faceva proprio Bill, si drogava e poi morì di overdose in un bagno della stazione… ma l’ho già detto, non lo ricordo.
Ad ogni modo, Cooper rimase in silenzio, e Philip riprese la sedia e si rimise seduto.
- È una bella gatta da pelare… - osservò sottovoce, massaggiandosi le tempie - Lasciami solo, Bill. Devo pensare.
Cooper uscì dal suo studio a testa bassa, e mentre camminava mi urtò nel corridoio, facendomi quasi cadere.
Gli rivolsi uno sguardo scocciato e arrabbiato, sbuffando.
- Che c’è? - sbottò lui.
- Guardi dove mette i piedi, - gli dissi, guardandolo di sbieco.
- Guardi dove mette i suoi, piuttosto - mi rispose, oltrepassandomi.
Che razza di maleducato, pensai, mentre mi ripulivo il vestito blu e mi ravviavo i lunghi capelli castani.
- Samantha?
Pam mi stava chiamando dalla sua scrivania, reggendo in mano una circolare.
Quando arrivai, me la mostrò; si trattava di un breve programma della settimana.
- Vedi, domani conoscerai tutto il personale, - mi spiegò, inforcando i suoi occhiali dalle lenti enormi - saprai di cosa ti occuperai e che cosa fanno gli altri.  La sera, poi, ci sarà una festa di benvenuto per te giù, nella sala delle feste.
- Davvero? - le chiesi, meravigliata.
- Certo. È un’usanza dello studio, inventata e mantenuta dal signor Crossway…
Pam aveva smesso di parlare, fissando un punto oltre le mie spalle.
Mi voltai, e vidi che proprio il signor Crossway stava radunando tutti gli avvocati del piano.
- Che succede? - domandai ancora, tornando a guardare la mia segretaria.
- Non ne ho la più pallida idea… - rispose questa, osservando il rapido via vai di gente.
Adesso, gli avvocati stavano entrando nello studio del capo, che si richiuse la porta alle spalle.
Dall’ascensore, stava arrivando a grandi passi Cooper, seguito da altri due uomini.
- Will, ma che… - cominciò Pam, ma lui rispose prontamente prima che lei potesse terminare la frase.
- Non posso dire nulla, - disse infatti - dunque non chiedermi nulla. Voi, andate, vi starà aspettando.
I due che erano arrivati con lui si avviarono verso lo studio di Crossway, lasciando noi tre a guardarci in faccia.
E, ovviamente, lasciando me libera di rendere al mio nuovo collega pan per focaccia.
- Ma le pare il modo? - gli dissi, indicando i due che si erano appena congedati senza alcun saluto.
- Non s’impicci, - tagliò corto lui, girando i tacchi.
- Lei è un gran maleducato.
Si voltò, alzando le sopracciglia.
Non sopportavo quell’atteggiamento autoritario e infantile che stava assumendo nei miei confronti: non lo meritavo.
- Come dice?
- Mi ha capito, lei è un maleducato.
Si avvicinò di nuovo, tanto da poter sussurrare la sua risposta e far sì che venisse udita solo da me.
- Non dureresti venti minuti qui dentro, - mi sorrise, un ghigno maligno e furbo.
- Sono l’avvocato migliore che si può trovare qui in giro, - gli risposi, restituendogli il sorriso - mettimi alla prova.
Il suo ghigno svanì per un attimo, per riformarsi qualche secondo dopo.
Tenendolo ben stampato sul suo viso, si avviò nuovamente verso l’ascensore, e osservai le porte che di chiudevano.
Oh sì, pensai, mettimi alla prova.
  
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