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Autore: Leopoldo    27/05/2013    1 recensioni
Due vite più differenti e distanti sono difficili da immaginare.
Un soldato dello US Army che ha lasciato la sua città natale senza tornare per anni ed una giovane supplente di Letteratura possono intrecciare i loro destini e rimanere legati l’uno all’altro?
-Au, Quick centric, accenni possibili di altre coppie-
Genere: Commedia, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kurt Hummel, Noah Puckerman/Puck, Nuovo personaggio, Quinn Fabray | Coppie: Puck/Quinn
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7. Il mio lavoro. 

 

 

Esiste solo una cosa in grado di trasformare il solito buon umore con cui Quinn si sveglia, in particolar modo da quando vive a Lima, in pessimo: la telefonata di sua madre quando si avvicina il giorno del Ringraziamento.

 

… e verranno anche i parenti da Ames, compreso lo zio Lou. Hai presente lo zio Lou, quello che gira con le bombole d’ossigeno? Ci sarà anche lui alle cena a casa di tua sorella

Quinn nasconde un sospiro dietro la mano, pregando mentalmente sé stessa di non esplodere. “Mi fa piacere” farfuglia a denti stretti, osservando distrattamente il parcheggio del McKinley.

Perché tu e Beth non vi unite a noi?

“Forse perché Frannie non ci ha invitate? E non l’ha fatto nemmeno l’anno scorso o quello prima?” sbotta in un attimo di rabbia, massaggiandosi nervosamente la testa con la mano libera dal telefonino.

Tesoro, tua sorella … lei … dà per scontato la vostra presenza, ecco. Sono sicura che se ti presentassi con Beth sarebbe molto contenta

“Immagino” borbotta ironica, rabbrividendo per una folata improvvisa di vento. Ci ha messo un po’ ad arrivare, ma alla fine anche Lima, dopo uno stranamente mite Ottobre, è stata baciata dal freddo inverno.

“Perché non vieni tu, per una volta, alla mia cena del Ringraziamento?” butta lì, in un gesto che sembrerebbe istintivo e irrazionale ma non lo è. Conosce già la risposta di Judy Fabray.  

Beh … veramente … io ho già detto a Frannie che sarei andata da lei, non mi sembra cortese cambiare idea all’ultimo momento

Un sorriso amaro si dipinge sulle labbra di Quinn. Tutti gli anni sua madre usa sempre la stessa identica scusa.

Forse, però … mi sembrano secoli che non vedo mia nipote

Come? Ha sentito bene o se l’è immaginato?

“A-anche a lei farebbe piacere vedere la nonna” mormora, allibita, sorpresa e persino un po’ speranzosa. “Potresti darmi una mano con il tacchino e il resto, non sono proprio capace di cucinare per tante persone”

Tante persone? Non … non si parla solo di te e Beth?

“Ci saranno anche Santana, Chris e suo fratello” sussurra, inconsapevolmente spaventata dall’idea di dire qualcosa di sbagliato. Ha sempre voluto bene a sua madre e ha sempre tenuto molto alla sua opinione, nonostante tutto.

… ecco, allora … non … Quinn, io-

“Lo so che non ti piacciono Santana e Sebastian perché sono gay” la interrompe con un tono supplichevole. “So anche che odi Christian e non riesci a sopportare la sua vicinanza però ti prego, fallo per tua nipote. E per me

Mi chiedi troppo, Quinn. Non posso passare il tempo a litigare con una persona come … come quell’uomo ipocrita e meschino che ti manipola a suo piacimento

Quinn si passa rapidamente una mano sugli occhi, cercando di impedire anche ad una sola lacrima di scendere. Non ne vale la pena.

Mi chiedo come mai tu invece continui a permettergli di starti vicino e di stare vicino a Beth. Dovresti davvero … stai ridendo?!

Sì, sta ridendo. Una risata ironica, persino triste, frutto dell’ennesima occasione in cui ha osato sperare di poter ricevere da Judy Fabray ciò che ci si aspetta comunemente da una madre.

“Sai, mamma” calca sull’ultima parola, caricandola del massimo disprezzo di cui sia capace. “A volte io mi chiedo se sei consapevole di avere un’altra figlia oltre a Frannie o se fai finta che io non esista, visto che deve essere molto brutto per te ricordarsi ogni volta che non sono sposata, ho una figlia ma non un uomo al mio fianco e non faccio la casalinga

Termina la chiamata con un gesto secco ancor prima di poter sentire la risposta di sua madre, sempre ammesso che abbia provato davvero a darne una.

Ogni anno, alla vigilia di ogni dannatissima festa, per Quinn è sempre la stessa storia. Sembra quasi che Judy faccia apposta per farla innervosire e farle scaricare tutta la tensione che accumula durante il resto dell’anno.

E probabilmente le chiede tanto obbligandola a stare in presenza di Chris, però è ingiusto non riconoscergli nessun merito. Senza dimenticare che lui, pur avendo mille difetti e mille colpe, non ha mai alzato la voce, insultato o mancato di rispetto a Judy o a suo padre. Mai, nemmeno una volta.

 

“Professore Fabray, ha un momento?”

 

Sobbalza spaventata dalla voce alle sue spalle che l’ha colta completamente di sorpresa. Deve anche aver fatto una faccia molto strana –o terrorizzata– a giudicare dal modo in cui il Preside Figgins ridacchia. 

“S-signor preside …” balbetta, cercando di riprendersi dallo spavento “… non l’ho sentita arrivare”

 

“L’ho notato” sorride furbescamente. “Come le chiedevo poco fa, avrei bisogno di parlarle un momento”

 

“Mi dica”

 

“Ormai siamo a metà Novembre e, se non sbaglio, il suo contratto di supplenza scade esattamente tra un mese” le spiega, aspettando di vederla annuire prima di proseguire. “Probabilmente una professionista come lei avrà già trovato una sistemazione per il resto dell’anno scolastico, eppure … eppure vorrei lo stesso proporre di sostituire la professoressa May fino a giugno. Del prossimo anno scolastico”

 

Dire che Quinn sia spiazzata dalle parole di Figgins sarebbe riduttivo. Ormai aveva già preventivato di doversi trasferire a Cleveland prima delle feste natalizie, invece …

“Un anno e mezzo? Ma … s-si può?”

 

Figgins annuisce severamente un paio di volte, solenne come al solito –spesso quando non importa.

“La professoressa May ha deciso di usufruire di tutti i giorni di malattia e di ferie che ha accumulato in questi anni in una volta sola. Visto i riscontri entusiasti e la dedizione ai suoi alunni che ha dimostrato prendendo a cuore la causa del club del libro, ho pensato fosse naturale chiedere a lei” spiega, attendendo una risposta da Quinn che però non arriva. “Ovviamente il suo contratto verrà adeguato, se questo è il problema” aggiunge, mal interpretando l’esitazione della giovane insegnante.

 

“No no, assolutamente!” fa subito lei, agitando nervosamente le mani davanti a sé. “Ero solo … nulla. Sono entusiasta di questo lavoro e non posso fare altro che ringraziarla”

 

Figgins si esibisce in un sorriso vagamente demoniaco e piuttosto inquietante, allungando poi la mano a Quinn. “Abbiamo un accordo?”

 

“Direi di sì” ridacchia lei, accettando la stretta.

 

“Allora la aspetto nel mio ufficio, finite le lezioni, per mettere la cosa nero su bianco” afferma con la solita pomposità, non attendendo nemmeno una risposta. Gira i tacchi e torna dentro l’edificio scolastico, dipinta sul volto l’aria di chi ha appena vinto la lotteria.

 

Quinn, da persona a modo e piuttosto paziente quale è, riesce addirittura ad aspettare che la schiena bella dritta del preside sparisca in fondo al corridoio prima di guardarsi intorno e, una volta sicura che non si sia nessuno, iniziare a saltellare sul posto.

 

“Un po’ di contegno, su” ridacchia da sola dopo qualche saltello, sistemandosi il cappotto lungo beige che indossa.

Dopo la chiamata di sua madre, nulla avrebbe potuto sollevarle il morale tranne questa splendida notizia. Non è al settimo cielo, di più.

 

Un magnifico sorriso si incastona sul suo viso leggermente arrossato per il freddo mentre infila una mano nella borsetta per cercare il cellulare.

Un sms a Santana è automatico e doveroso, nonostante la sua presunta migliore amica continui a comportarsi in modo strano da qualche tempo a questa parte. Sembra sempre di fretta, molto spesso è fredda con lei e praticamente sempre accampa scuse per interrompere le telefonate quando iniziano a diventare troppo lunghe.

È innegabile che tutto ciò la infastidisca ma, per sua fortuna, presto Santana arriverà a Lima per il Ringraziamento e nessuno –nessuno, mai, in nessun caso, in nessun Universo– riesce a sfuggire a Quinn quando si trova faccia a faccia con lei.

-Non dovrò andare a Cleveland! Starò a Lima per un altro anno e mezzo! Chiamami appena puoi, Satana-

 

Soddisfatta, decide di inviare un altro sms, stavolta a Kurt, con la speranza che non abbia la suoneria attiva e che il suo cellulare non si metta a squillare nel bel mezzo della lezione che sta facendo.

 

Mentre rinfila il telefono nella borsa e si volta per imitare Figgins e tornare dentro le mura del McKinley, un pensiero divertente la fa sorridere, se possibile, un poco di più. Stando alle parole del Preside, gran parte del merito della sua riconferma va a Stacey Evans e al suo club del libro. Forse meriterebbero un regalo, magari per Natale.

 

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Quando il capo ti convoca nel suo ufficio e passa i primi due minuti buoni del tempo a guardarti con l’aria di chi ha appena rubato un dolcetto ad un bambino e se ne vergogna profondamente, non è mai una buona cosa.

Inoltre, per qualche strano motivo, Puck nell’ultimo periodo non è esattamente un campione di ottimismo.

 

“Signor Slawski, non ho molta voglia di rimanere altri dieci minuti a fissare la sua faccia, anche se la trovo estremamente simpatica” sbotta Noah ad un certo punto, artigliando con le mani i braccioli della poltroncina su cui è seduto. Non è mai stato nemmeno un campione di pazienza, se è per questo. “Perciò, tagliamo le testa al toro. Sono licenziato?”

 

“Beh, ecco …” gigioneggia l’uomo, mugugnando qualcosa tra le labbra “… non ho le possibilità economiche per rinnovare il tuo periodo di prova anche per il prossimo mese”

 

Puck si lascia andare contro la sedia, piegando la testa all’indietro e sbuffando piuttosto forte. Lo sapeva, se lo sentiva, ne era certo.

 

“Mi dispiace tanto. Sei un bravissimo ragazzo e un gran lavoratore, ma-”

 

“In un mese cosa può essere cambiato talmente tanto da non poterti più permettere uno stipendio da facchino in prova?” grugnisce scocciato, tornando a fissare l’uomo in faccia e abbandonando definitivamente il lei. Tanto non è più il suo capo, no?

 

“Purtroppo le vendite continuano a stentare e … la crisi è impietosa, lo sai” farfuglia Mr. Slawski, rosso in viso, forse per l’imbarazzo o forse solo per lo sforzo.

 

“Lo erano anche un mese fa” gli ricorda, duro, trascinando la sedia più vicino alla scrivania. “Se ho fatto qualcosa di sbagliato, se qualche cliente si è lamentato di me o qualsiasi altra cosa di questo tipo, io devo saperlo. Ok?”

 

“No, no, no, no, no” mitraglia il proprietario de ‘La terra del materasso’, evidentemente intimorito, appiattendosi il più possibile contro la sedia e tentando di allargare con un dito il colletto della camicia. “Assolutamente no, Puck. È solo che … Barry è già abile ed arruolabile, quindi non … non ho più bisogno di un sostituto”

 

La poltroncina di Noah scivola sul parquet dell’ufficio di Gordon Slawski con un rumore di plastica piuttosto fastidioso mentre lui si alza in piedi, decisamente minaccioso, puntando un dito in direzione del suo ormai ex datore di lavoro.

“Io non mi faccio prendere per il culo in questo modo”

 

Il suo tono di voce è talmente calmo e fermo che, paradossalmente, se quelle stesse parole le avesse urlate non avrebbe avuto un decimo dell’effetto che invece ha ottenuto.

 

“Io non mi faccio prendere per il culo” ripete più forte, giusto per essere chiaro, mentre ormai la faccia di Mr. Slawski è diventata bordeaux. “Perciò, ora tu mi dici la verità. Tutte quelle promesse del cazzo tipo … fai due mesi di prova e poi, se sei capace oltre che simpatico, ti assumo … erano vere o avevi solo bisogno di un tappabuchi per il tizio con la schiena rotta?”

 

Il povero Gordon rimane impietrito per diversi secondi, qualche gocciolina di sudore che gli cola sulla tempia. Indipendentemente dal fatto che Noah sia stato un soldato, un uomo alto più di un metro e ottanta decisamente muscoloso e con il collo che pulsa per la rabbia fa sempre paura, specialmente se sai di avere la coscienza sporca.

Lui non può saperlo ma la sua grande fortuna è non averlo incontrato appena un anno fa.

 

Anche perché il Noah di oggi riesce a riprendere il controllo sui propri nervi prima di esplodere, respirando a fondo un paio di volte prima di tornare a sedersi. La vena del collo, però, pulsa lo stesso e il suo volto è livido di rabbia.

“Sto aspettando” sibila tra i denti, nascondendo la bocca dietro le dita della mano.

 

“M-mi vergogno molto a-ad ammett-terlo ma …” balbetta Slawski dopo aver allentato il nodo della cravatta “… è come dici tu. Purtroppo l’infortunio a Barry è capitato in un momento davvero denso di richieste e … ho un’azienda di dirigere, certe volte sono costretto a prendere discussioni discutibili. Non mi aspetto che tu capisca”

 

“No, infatti non capisco” replica piccato. “Non poteva dirlo fin dall’inizio? Almeno avrei evitato di cercare per settimane un appartamento che ora non posso più permettermi”

In realtà sta dicendo una bugia. Non ha ancora trovato un posto che soddisfi le sue esigenze, nonostante non sia un tipo che si fa troppi problemi, però, visto che ormai non ha più un lavoro, almeno può tornare al motel con la soddisfazione di averlo fatto sentire una merda per come è stato trattato.

 

“Sono mortificato” farfuglia Gordon Slawski, chinando il capo con fare colpevole.

 

“Puoi chiedere scusa quanto ti pare, tanto non cambierai le cose. Sono senza uno stipendio, ho due mesi di anticipo da pagare e una gran voglia di spaccarti i denti” ringhia appoggiando una mano sulla scrivania, sorridendo compiaciuto quando lo vede sobbalzare per lo spavento. Certo, una denuncia per aggressione è decisamente l’ultima cosa di cui ha bisogno, però un pugno su quella facciona non guasterebbe affatto.

“Addio”

 

Detto questo, Noah gli scocca un’ultima occhiata omicida e si alza senza aggiungere altro, afferrando il giubbotto di jeans che aveva appoggiato sulla poltroncina ed uscendo dall’ufficio di Slawski.  

 

È umiliato, incazzato e decisamente frustrato. Ogni piccola vittoria finisce con il venir travolta da una valanga di sconfitte e di schifo.  

Pur essendo un combattente e pur avendo deciso che riuscirà a rimettere in piedi la propria vita ad ogni costo, più tempo passa a Lima e più gli viene voglia di tornare in Georgia.

 

Infila il giubbotto non appena mette piede fuori da ‘La terra del materasso’, rabbrividendo istantaneamente al contatto con l’aria di metà Novembre, talmente gelida da fargli pizzicare il volto e gli occhi.

 

Infila una mano nei jeans ed estrae il cellulare. Scorre la rubrica alla ricerca del numero di sua sorella ma, prima di avviare la chiamata, opta per rinunciare. Sicuramente Debs tirerebbe fuori una montagna di proteste, di cause legali e altre cose che non è per niente in grado di reggere psicologicamente, senza contare che il rischio che lo costringa a parlare finalmente con quel coglione –ebbene sì, ha deciso di chiamarlo così d’ora in poi– del suo ragazzo è alto.

 

Scorre ancora la rubrica, soffermandosi su un nome che aveva completamente rimosso. Forse … no, meglio evitare.

Scende fino ad arrivare alla K di Kurt e fa partire la chiamata. Ha decisamente bisogno di parlare con qualcuno che abbia già finito il liceo. 

 

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Questa è la grande serata e no, non perché festeggerà l’allungamento del contratto con il McKinley andando al cinema da sola con Kurt. O meglio, è anche per quello, ma soprattutto per il fatto che questa è la prima sera in cui lascerà Beth a casa con Deborah.

 

Le ci sono volute due settimane prima di lasciarsi convincere ad avere una sorta di colloquio, salvo poi scoprire che tutto quello che le madri delle compagne di scuola di Beth dicono la verità.

Sembra proprio una ragazza sveglia, giudiziosa, piuttosto attenta ai dettagli e meticolosa nell’appuntarseli tutti.

Subito dopo la chiacchierata che hanno avuto l’ha invitata a trascorrere qualche ora con Beth, facendo finta che lei non ci fosse, per vedere se alla figlia sarebbe piaciuta e se fosse riuscita a non farle combinare guai. Inutile dire come è andata a finire.

Non è ancora convinta al cento percento, soprattutto dopo aver imparato che Deborah è una studentessa del McKinley –cosa che l’ha davvero scioccata, visto che le era sembrata una collegiale–, però tra tutte le aspiranti babysitter che ha esaminato lei è decisamente quella con più punti a favore.

 

“Allora io vado” comunica Quinn ad alta voce, infilando il cappotto nero pesante che ha dovuto tirare fuori dall’armadio per combattere il freddo atroce che è sceso su Lima nelle ultime ore.

 

“Dai, Beth, vai a salutare la tua mamma”

 

La piccola si sporge dal divano con un sorrisone gigantesco, appesi al collo gli occhiali da aviatrice da cui non si separa mai.

“Ciao mami, divertiti con Kurt” la saluta con la manina, voltandosi subito dopo per tornare a guardare la televisione.

 

Oh beh, c’è da dire che la storia della babysitter non l’ha sconvolta troppo. Anzi, per niente.

 

È costretta, suo malgrado, a tornare nel soggiorno, acchiapparla al volo ed ad issarsela tra le braccia per distoglierla dai suoi cartoni, affondando immediatamente le dita nel suo pancino per colpirla nel suo arcinoto punto debole.

“Non mi saluti come si deve, eh? Allora io mi vendico”

 

“No, mami, basta!” trilla la bambina, dimenandosi nella stretta della madre e sfoggiando i suoi nuovi incisivi ormai spuntati completamente.

 

“Solo se mi saluti per bene” mormora Quinn mettendo un finto muso e interrompendo il solletico per sentire la risposta.

 

Solo a questo punto Beth, dopo averci pensato ancora qualche secondo, allunga le mani per abbracciare la madre, lasciandole un bacio con schiocco sulla guancia.

“Buona serata, mami”  

 

“Anche a te, Bi” annuisce compiaciuta Quinn, rimettendo la figlia al suo posto.

 

Deborah, seduta acconto a Beth sul divano, e i suoi grandi occhi da cerbiatta dalle iridi scure la stanno fissando, un sorriso sincero dipinto sulle labbra.

 

“Potresti … accompagnarti alla porta?” le fa, accompagnando il tutto con un gesto eloquente della testa. Deve farle –per la settima volta– le ultime raccomandazioni.

 

“Ma certo” le risponde la babysitter, forte della sua ormai biennale esperienza con i genitori apprensivi, cogliendo al volo. Regala una carezza sul capo a Beth, che risponde con una risatina, e raggiunge Quinn, già ferma ad aspettarla sulla porta.

 

“Ti ho lasciato il mio numero di cellulare? E quello del padre di Beth?”

 

Deborah soffoca una risata facendo una smorfia e piegando la testa verso il basso, tirando poi fuori dalla tasca anteriore della felpa un quadernetto con la copertina bianca e rossa.

“Ho il suo, quello di …” apre verso la fine ed inizia a leggere “… Christian S. aperta parentesi papà chiusa parentesi, di Santana L. e di Sebastian S. aperta parentesi solo in caso di emergenza estrema chiusa parentesi

 

“E quello della polizia? E dell’ambulanza? … ok. Ti prego, fai finta che non abbia detto quello che ho appena detto” farfuglia, piuttosto imbarazzata, notando l’espressione eloquente stampata sul volto di Deborah.

 

“Non si preoccupi, non è la madre più apprensiva con cui mi trovo a lavorare” le sorride la ragazza, infilando le mani nella tasche posteriori dei jeans con l’intento di smorzare un attimo la situazione. “La più strana in assoluto aveva installato un impianto di videocamere a circuito chiuso apposta per me … cioè, per evitare che rubassi ed essere sicura che non trattassi male suo figlio. Ok, ci sta essere preoccupate, però c’è un limite a tutto, no?”

 

Oh, le telecamere! Perché non le è venuto in mente prima?

“… che esagerazione, certo, hai ragione” ridacchia nervosamente dopo essersi accorta che Deborah sta aspettando che dica qualcosa. “Ovviamente non ci sono videocamere, tranquilla”

 

La giovane babysitter annuisce timidamente, dondolandosi appena avanti ed indietro.

 

“Ricordati” riprende Quinn. “A letto alle nove e trenta precise e la televisione deve essere spenta almeno un’ora prima che vada a nanna. Poi … ah, già” mormora, prendendo dalla borsetta il portafoglio. “Quanto abbiamo detto?”

 

“Facciamo la prossima volta, sempre ammesso che Beth voglia ancora me” sorride Deborah, agitando le mani e spingendo praticamente il portafoglio nella borsa. “Faccio così, di solito”

 

“… ok, perfetto” fa Quinn, evitando di fare obiezioni od osservazioni per mancanza totale di esperienza. “La cena è solo da scaldare, nella dispensa ci devono essere anche delle patatine se per caso ti venisse fame anche se non credo di fare più tardi delle undici o-”

 

“Si diverta” la interrompe la ragazza, impedendole di rendersi ancora più ridicola di quanto già non abbia fatto.

 

“Beh … divertitevi anche voi” concede Quinn, uscendo di casa in fretta dopo aver lanciato un ultimo sguardo al divano.

 

Scende gli scalini del condominio saltandone qualcuno, scivolando rapidamente fino alla macchina.

Una volta ferma sul sedile del guidatore, si lascia andare ad un lungo sospiro e appoggia la testa sul volante, sperando di non aver fatto una brutta figura. O almeno, di non averla fatta così brutta.

 

Prolungare di proposito questa chiacchierata per rimanere a casa un altro po’ è un trucco vecchio come il mondo, anche patetico se vogliamo, però è la prima volta che Beth rimane con qualcuno che non sia un parente e la cosa le mette un’ansia pazzesca.

 

“Solo Dio sa cosa farò quando sarà adolescente” pensa a voce alta, scuotendo la testa da sola. Sa perfettamente di essere troppo apprensiva, ma non può farci davvero nulla.

 

Allaccia la cintura e mette in moto, direzione casa di Kurt e poi, se riesce a non impazzire nel mentre ed a fiondarsi a casa, cinema.

 

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Si porta alle labbra la bottiglia di vetro, prendendo un sorso non troppo lungo ma sufficiente a farlo rabbrividire quando quel sapore amarognolo entra in contatto con le sue papille gustative. Niente, non riesce proprio a farsela piacere.

 

“Nessuno ti obbliga a bere birra se non ti piace” lo sbeffeggia Puck con un ghigno, prendendo a sua volta un sorso.

 

“Lo faccio per farti compagnia, stupido orso” borbotta Kurt, appoggiando la bottiglia sul tavolino –rigorosamente su un poggia bicchieri– con il chiaro intento di non berne mai più. “Oppure potremmo parlare di come mai ti trovi spaparanzato sul mio divano in silenzio quando mezz’ora fa al telefono sembravi sull’orlo di una crisi di nervi”

 

“Mi hanno licenziato” sbuffa Noah, giocherellando con l’etichetta della birra. “Anzi, mi hanno cacciato a calci”

 

“E questo lo hai già detto. Ok, quel tipo è stato un vero stronzo, ma da qui a deprimersi ce ne passa” tenta Kurt, appoggiando una mano sulla spalla dell’amico. Questo è il momento in cui può finalmente fare un breccia nelle difese che Puck ha eretto e non ha la minima intenzione di lasciarselo scappare. “Stiamo parlando di un lavoro come facchino in prova per un negozio di materassi. Che altro c’è?”

 

“Da dove cominciare …” si tira su, appoggiando momentaneamente la birra vicino a quella di Kurt e guardandolo negli occhi “… sono stanco di vivere in un motel, sono a corto di soldi e dopo aver girato tutta Lima quello era l’unico lavoro che sono stato in grado di trovare” elenca contando con le dita. “Sono tre ottime ragione, scegli tu quella che ti piace di più” conclude con un’alzata di spalle, riprendendo immediatamente la bottiglia per un sorso.

 

“Guarda che non c’è mica bisogno di fare così, sto solo cercando di aiutarti” l’apostrofa Kurt, abbastanza seccato dal comportamento di Noah. 

 

“Sì, hai ragione, scusami” sospira Puck subito dopo, lasciandosi ricadere pesantemente contro il divano. “È solo che … è frustrante

 

“Ok, lo capisco. Per questo ti chiedo di parlarne” tenta Kurt, sorridendo quando l’amico si volta un attimo per un’occhiata veloce. “Partiamo dai soldi. Non avevi dei risparmi da parte?”

 

“Ne ho, però mi servono per … per fare altro, non posso toccarli”

 

“Li hai investiti in qualche obbligazione o cose del genere?” chiede Kurt, curioso, non cogliendo il fatto che quel non posso sia in realtà un non voglio.

 

“Voglio usarli per mandare Debs al college o, se non vuole andarci, per aiutarla a fare qualsiasi cosa voglia fare” spiega, scrollando le spalle con finta indifferenza. “È il mio … regalo per il suo diploma

 

“Oh, Puck, è una delle cose più tenere che abbia mai sentito” commenta Kurt, un pochino commosso.

È passato troppo tempo e ha evidentemente finito con il dimenticare quanto Noah sia sempre stato protettivo e dolce con la sorellina. Eppure la sua meraviglia era stata enorme quando, negli anni del liceo in cui lo conosceva ancora solamente per la fama di bulletto, criminale e predatore, aveva scoperto questo lato della sua personalità. 

 

“Farei di tutto per lei, lo sai”

 

Kurt annuisce, perso nei suoi pensieri, incrociando le braccia al petto e picchiettandosi l’indice sul mento. “Potrei prestarti io dei soldi, ho qualche risparmio da parte”

 

“Assolutamente no”

Il tono di voce di Puck è così severo ed autoritario da fargli sollevare un sopracciglio per lo stupore.

“Non ho intenzione di prendere dei soldi da altri senza nemmeno la sicurezza di poterli restituire”

 

“Era solo un’idea” si scusa, quasi. “Sentiamo. Tu invece cosa proponi?” aggiunge, scettico, aspettando una risposta prima di ricordargli un paio di cose.

 

“Beh …” mormora Noah, accarezzandosi la cresta con la mano libera “… mentre scorrevo la rubrica per chiamare te, ho trovato il numero di un vecchio amico che avevo completamente rimosso. Era in un altro plotone della mia stessa compagnia e, prima di abbandonare l’esercito, mi aveva detto di chiamarlo nel caso avessi mai avuto bisogno di un lavoro”

 

“Rinunciare ad un prestito da un amico per andare a cercare un lavoro chissà dove e che potrebbe anche non esserci. O non essere mai esistito. Logico” sorride ironico Kurt, beccandosi un’occhiata in tralice dall’amico. “Sai che, se non ti conoscessi così bene, penserei che stai cercando un modo per allontanarti da Lima? Di nuovo?”

 

Puck apre la bocca per rispondere con qualcosa di offensivo, tipo ‘fottiti’, salvo poi optare per un sorso di birra. Scuote appena la testa, digrignando i denti per far finta di non aver colto il sarcasmo dell’amico.

E visto che mi conosci bene, cosa pensi che stia facendo?”

 

“L’idiota, come tuo solito” l’apostrofa Kurt, mettendogli una mano sulla spalla per farlo voltare. “Credi che gli Evans non mi abbiano detto dell’assegno mensile che gli hai fatto recapitare puntualmente fino ad un anno fa?” mormora a voce stranamente bassa, puntandogli contro il dito con fare accusatorio. “Pensi che non ricordi della tua settimana da barbone passata in giro per Lima prima di accettare di venire a vivere da noi?”

 

Gli occhi cerulei di Kurt scrutano con fermezza quelli nocciola di Puck, sostenendo senza timore il suo sguardo duro.

 

Poi, però, il campanello trilla un paio di volte, ed entrambi si alzano in piedi, ognuno dei due con una preoccupazione diversa.

 

“T-tuo padre?” balbetta Noah, allungando istintivamente una mano verso la giacca.

 

Il giovane professore opta per ignorare –almeno momentaneamente– questa reazione quantomeno eccessiva, scuotendo il capo una paio di volte.

“Quinn” aggiunge immediatamente. “Le avevo detto di passare di qui per festeggiare il suo nuovo contratto di due anni”

 

“Oh” sospira Puck, ricadendo sul divano. “Almeno a qualcuno non fanno promesse che non vengono mantenute” sorride, molto più sollevato.

 

“Non credere che la nostra discussione sia finita qui” gli fa, minaccioso, prima di andare al citofono. “Sì?”

 

Sono Quinn. Sono un po’ in ritardo, scusami

 

Almeno lei non se ne è dimenticata.

“Tranquilla” ridacchia abbastanza nervosamente Kurt, dandole il tiro ed aprendo la porta dell’appartamento.

Getta poi un’occhiata alle sue spalle dopo aver captato qualche rumore sospetto e, difatti, becca Noah intento ad infilarsi la giacca di jeans.

“Che stai facendo?”

 

“Mi cavo dai piedi?” fa lui, retoricamente, sistemandosi il colletto della giacca. “Non dovete festeggiare?”

 

“Sì, però non ti lascio andare via cos-”

 

“Eccomi, ce l’ho fatta!”

 

 Kurt sobbalza, colto completamente di sorpresa dalla voce squillante di Quinn.

“C-ciao” farfuglia voltandosi, permettendo all’amica leggermente ansante di entrare.

 

“Tutta colpa della babysitter. Cioè, è mia perché non volevo andare via, però …” si interrompe, voltandosi un attimo verso Kurt intento a chiudere la porta “… ciao Puck

 

“Ciao Quinn” mormora lui, infilando le mani in tasca. “Congratulazioni per il tuo lavoro”

 

“Oh, beh … grazie mille. Ho interrotto qualcosa, per caso?” sorride maliziosamente la professoressa, beccandosi una manata non troppo forte ma nemmeno troppo indiscreta sul sedere da Kurt.

 

“Dacci un taglio, Fabray” l’apostrofa usando il cognome, chiaro segnale di insofferenza sull’argomento, facendola ridacchiare.

 

“Stavo giusto andando via” aggiunge Noah.

 

Un attimo dopo, però, sui tre cala un silenzio improvviso. Sono in piedi, si guardano l’uno con l’altro e nessuno dice niente, soprattutto perché nessuno sa bene se sia il caso di parlare o meno.

 

“So che ti avevo promesso un cinema, tesoro” inizia Kurt, rivolgendosi a Quinn con un nomignolo che mostra una volta di più quanto in fretta i due abbiano legato. “Però Puck è appena stato licenziato e-”

 

“Kurt” lo interrompe Noah, un’espressione truce dipinta sul volto. “Non penso che a lei interessi. È venuti qui per festeggiare, non per parlare dei fatti miei” calca sulle ultime tre parole, sperando che l’amico colga e smetta.

 

Certe volte, però, Kurt Hummel sa essere sordo a certe richieste. O molto, molto subdolo.

Tanto sa già tutto di te” alza le spalle, schietto. “E poi, forse abbiamo qui l’unica persona al mondo in grado di farti ragionare. Perché non approfittarne?”

 

Noah scuote il capo, incredulo. “Perché, ma è solo un’ipotesi, vorrebbe divertirsi anziché passare la serata ad ascoltare i miei problemi?” chiede allargando le braccia e guardando Quinn, cercando il suo sostegno. 

 

“Ordiniamo una pizza e guardiamo qualche vecchio dvd” insiste Kurt, facendo passare una mano intorno alle spalle della collega, ancora immobile nel punto esatto in cui si trovava dopo essere entrata nell’appartamento. “Ti prometto che questo weekend faremo ciò che vorrai tu. E pago io la babysitter”

 

“O-ok” concede alla fine Quinn, rivolgendo uno sguardo dispiaciuto ad un sempre più sconsolato Puck.

 

Kurt sorride, soddisfatto della sua testardaggine. Un po’ gli dispiace rovinare un bel momento a Quinn. Dall’altro lato, però, non ha la minima intenzione di permettere a Noah di scappare ancora e, se il prezzo per intrappolarlo qui è sacrificare un cinema con l’amica, è ben felice di pagarlo.

 

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“Scusa la mia ignoranza, ma non puoi fare domanda per entrare nella polizia? Dopotutto sei un ex soldato, no?”

 

Puck fa no con la testa, appoggiando i gomiti sul tavolo e chiudendo una mano nell’altra proprio davanti al suo viso.

“Non ho la minima idea di come funzioni” ammette in tutta onestà, prendendosi un paio di secondi per riflettere sulla domanda di Quinn. “Potrei dare un’occhiata su internet, però ... l’idea di mettere di nuovo una divisa non mi fa fare i salti di gioia, proprio no”

 

“Allora vedi che sei tu ad essere schizzinoso?” tenta Kurt, notando l’espressione un po’ più cupa del solito di Puck.

 

“Su questo ti devo dar ragione” ridacchia Noah, sforzandosi di accantonare il momento di leggero abbattimento.

 

“Puoi sempre chiedere a tua sorella di insegnarti a fare il babysitter” scherza ancora Kurt, dando una gomitata a Quinn per distogliere la sua attenzione da una fetta gigante di pizza con le verdure. “Tu lo prenderesti uno così per tenere Beth?”

 

La giovane insegnante prende un po’ di tempo mandando giù il boccone e pulendosi la bocca con un tovagliolo, approfittandone per squadrare il volto semiserio di Noah. La sua attenzione si sofferma a lungo sulla cresta che si erge sul cranio rasato e poi sulle spalle massicce.

No” decreta prima di scoppiare a ridere, seguita a ruota da Kurt.

 

Debs ha fatto la stessa identica battuta, solo che lei ha diciassette anni e voi dieci di più” borbotta Puck, versandosi un bicchiere d’acqua. “Tirate voi le conclusioni”

 

“Eddai, brontolone, si fa per fare due risate.

 

Quinn, invece, sta avendo una specie di illuminazione mistica. “Come hai detto che si chiama tua sorella?” chiede con uno strano tono di voce.

 

“Deborah. Potresti anche averla vista o averla addirittura in classe, è una junior del McKinley” spiega, indicando poi Kurt. “Lui le insegna francese”

 

“No, no. Io insegno solo agli studenti dei primi due anni” riflette lei, iniziando a chiedersi quante probabilità ci siano. “Fa la babysitter, no? E, per caso, ha i capelli bruni molto scuri e molto lunghi, gli occhi nocciola e una Ka arancione scuro?”

 

“Color bronzo” mormora Puck, aggrottando le sopracciglia. “Come fai a sapere tutte queste cose?”

 

“Perché in questo momento è a casa mia e sta facendo da babysitter a mia figlia” risponde Quinn, non riuscendo a credere alle sue stesse parole. “Dio, è una delle coincidenze più clamorose che abbia mai visto”

 

“Incredibile” concorda Kurt, usando una mano per appoggiare il volto sorridente.

 

“Adesso che ci penso mi ha pure detto il suo cognome ma non avevo collegato a te” aggiunge Quinn, sistemandosi una ciocca bionda dietro l’orecchio, prima di iniziare a raccontare della festa di Halloween in cui l’ha vista ed è rimasta impressionata e abbia deciso di darle una chance.

“… ed ha un quaderno dove si appunta tutto, in modo da non dimenticarsi nulla”

 

“Non pensavo fosse così seria” mormora Puck con un sorriso sincero, passandosi una mano sul collo. “Almeno uno dei due è abbastanza maturo da essere bravo in qualcosa, giusto?” ridacchia, profondamente soddisfatto di tanti complimenti per la sorellina, lasciando però gli altri due di stucco.

 

Quinn annuisce in maniera stentata, quasi forzata, prima di gettare un’occhiata a Kurt.

“Credo sia solo questione di metodo” butta lì, neanche stesse parlando con un alunno che non si applica. “Anche io quest’anno ho dovuto inserirmi in una nuova realtà, sai, no? Forse ti serve solo un … inizio, un punto di partenza

 

“Sì, beh, è la stessa cosa che avevo pensato anche io” afferma Puck, condividendo le parole della ragazza. “Mi serve un buon lavoro e da domani riprenderà a cercarlo. Come dicevo prima con lui, un vecchio commilitone qualche anno fa mi disse di rivolgermi a lui se mai avessi bisogno di un lavoro”

 

“E se non fosse il lavoro?” li interrompe Kurt, attirando su di sé gli sguardi degli altri due. “Perché non una casa?” chiede cercando un contatto visivo con Noah. “Perché non vieni a vivere qui, nella camera libera, finché non trovi un lavoro?”

 

 

 

 

 

Note dell’autore.

 

Avevo detto giovedì/venerdì, ho aggiornato lunedì … dai, ce l’ho quasi fatta. In realtà avrei potuto pubblicare anche ieri però non ho avuto tempo. Pessimo.

Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che odio la madre di Quinn e non sarà meno odiosa in questa fic, e che nel prossimo capitolo avremo non una, non due, bensì tre diverse cene del Ringraziamento. Se riuscirò a tirare fuori dalla mia testa esattamente ciò che immagino, il prossimo capitolo potrebbe essere uno dei più interessanti tra quelli che ho pubblicato.

Ah, scopriremo finalmente perché Santana è strana con Quinn. E forse anche la cosa di Marley, però devo valutare ancora un paio di cose. 

 

Detto questo, ringrazio di cuore le fantastiche persone che hanno letto lo scorso capitolo, chi l’ha commentato e tutti coloro che hanno aggiunge ‘Home’ tra i preferiti, i seguiti e di da ricordare. Grazie mille, davvero, non so come ringraziarvi. Cioè, un modo ci sarebbe, ovvero aggiornare più in fretta, me ne rendo conto anche io, però il tempo è quello che è. Sorry.

 

Passando alla raccolta di one-shot, invece, dopo aver ringraziato chi ha letto e le due buone anime che hanno inserito la raccolta nelle seguite, devo essere molto onesto. Non so quando aggiornerò ancora. Spero –e credo– dopo il prossimo capitolo di Home. E, visto che, esattamente come mi aspettavo, nessuno ha commentato e nessuno ha dato il proprio voto, deciderò io quale scrivere. *risata da Dottor Male*

 

Ora, dopo aver ringraziato ancora chi è arrivato fin qui e aver rinnovato l’invito a farmi sentire le vostre opinioni in qualunque modo riteniate opportuno, direi che ho terminato anche le note.

Alla prossima, augurandomi che sia il prima possibile.

Pace.

 

  
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