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Autore: Ivola    28/05/2013    5 recensioni
Le storie di Panem sono varie e numerose. Avete mai sentito parlare dei promessi del Distretto 6, quei due ragazzi che avrebbero fatto di tutto pur di ammazzarsi a vicenda e non sposarsi? Loro sono solo una sfocatura, come tanti altri.
Klaus e London. London e Klaus.
Un altro matrimonio combinato, le persone sbagliate, un cuore solitario, e tutto ciò che (non) può essere definito amore.

▪ VI: « Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. [...]
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. Non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. « Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso London avesse deciso di parlare ancora.

▪ XIII: « Perché lo state- no, perché lo stai facendo? »
L’altro lo guardò bene negli occhi, con un’espressione che Klaus non seppe decifrare.
[...]
« Mert szeretlek » rispose Ben semplicemente.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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Note: Sì, ci sono. Purtroppo per voi.
I flashback di questo capitolo sono la cosa più lime che abbia mai scritto, quindi non vi stupite se fanno non poco schifo. Ah, e vi avverto che il linguaggio colorito si farà sentire abbastanza, here. Dopotutto sono Klaus e London, no?
Comunque, due paroline sul titolo: un ipocondriaco è una persona che ha paura delle malattie. Klaus e, per certi versi, London considerano l'amore come una malattia... quindi fate due più due (cinque!) che non mi va di spiegare-barra-rovinare i miei ragionamenti profondi (ma dove? AHAHHA). Diciamo che la cosa è altamente interpretabile.
Notate bene che Klaus è parecchio suscettibile quando si parla delle sue... doti. :')
Non vi riempio di altre chiacchiere; devo andare a studiare le mie bellissime quaranta pagine di arretrati.
Buona lettura ♥


Il titolo del capitolo è ispirato a "Hyper Chondriac Music" dei Muse.

Il banner appartiene a pandamito ♥













 



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Blur
∞ 
(Tied to a Railroad)




 
 
006. Sixth Chapter – Hypochondriac.




Gemiti sfuggiti al loro controllo.
Sospiri eccitati.
Sussurri maledetti.

« Che cosa mi stai facendo? » ansimò la ragazza, tentando di aggrapparsi alle sue spalle. Era decisamente una domanda stupida, visto che era piuttosto evidente cosa il ragazzo stesse facendo. In realtà, London moriva dalla voglia di sapere perché Klaus le avesse sconvolto la vita – e la serata – così.
Perché era alla mercé del nemico, in quel momento? Cosa l’aveva trascinata verso una simile sconfitta?
Klaus non si degnò neanche di rispondere, ben concentrato a muoversi sul suo corpo con gli occhi distanti e le labbra socchiuse. I capelli lievemente lunghi per gli standard di un ragazzo perbene gli cadevano davanti al viso, colorandolo di ombre scure.

« Rispondimi! » gridò London, prima che un’ondata di lussurioso piacere non la costringesse a inarcare la schiena.
Il ragazzo non aveva né la voglia né la forza di ribattere, per cui la zittì con un bacio rabbioso. 
« Taci » le sussurrò, corrugando la fronte e mantenendo le labbra a pochi centimetri dalle sue nel caso la ragazza avesse deciso di parlare ancora.
Il petto di London si alzava e abbassava a una velocità costante, a ritmo con il suo respiro affannato.
Girò la testa di lato, per evitare di guardare suo marito o per evitare che lui la guardasse, ma permettendo involontariamente, così, che Klaus le baciasse il collo scoperto. Si era reso conto con piacere che quello fosse il punto debole della ragazza, la quale, infatti, gemette di conseguenza.
London, di riflesso, strinse più vigorosamente le cosce intorno alla sua vita e gli affondò le unghie nelle schiena contratta, aggrappandovisi come se stesse per cadere all’indietro da un momento all’altro.
Klaus mugugnò qualcosa, ma non si fermò, inabissando il volto tra l’incavo della spalla e del collo di lei.
London avrebbe voluto fare qualsiasi cosa pur di sottrarsi a quell’umiliazione – una cosa di cui si sarebbe sempre vergognata in futuro, ne era certa – ma forse non lo voleva davvero, perché si lasciò andare in balia del piacere, abbandonando tutti i pensieri e gli insulti che le venivano in mente in un angolo della sua testa.


Quando London aprì gli occhi, era ancora buio. Neanche un filo di luce filtrava dalle tende che ornavano la finestra alla sua sinistra. Capì che dovevano essere le cinque del mattino all’incirca, perché sentiva di aver riposato abbastanza da aver raggiunto quell’orario.
Aveva la mente annebbiata, come se la sera prima fosse stata un miscuglio di voci, persone e situazioni troppo complicate da mettere insieme, per la sua testa.
Era girata su un fianco e di fronte a sé vedeva uno specchio a muro con la cornice intarsiata di legno. Non mise subito a fuoco quel che vi era riflesso, ma poi, soffermandosi e abituando la vista al buio, riconobbe la propria figura rannicchiata sotto il lenzuolo, quasi in posizione fetale. Aveva i capelli scompostamente disordinati sul cuscino e si sentiva la fronte imperlata di sudore.
Per un momento si chiese se avesse la febbre, ma scacciò subito quel pensiero, mentre delle immagini le sfrecciavano davanti agli occhi. Comprese di essere nuda, perché la seta del lenzuolo le accarezzava dolcemente la pelle. Sporse giusto un po’ il viso per notare alcuni indumenti sparsi sul pavimento. Il suo reggiseno di pizzo bianco spiccava in modo particolare, poi il suo vestito da sposa gettato in un angolo. Poi, ancora, notò una cravatta. E dei pantaloni, indubbiamente maschili.
Si accorse solo in quel momento del respiro lieve alle sue spalle e, collegando il tutto ai ricordi ancora sfocati della sera precedente, il cuore iniziò a batterle più forte del previsto. Le salì quasi in gola.
Oh no.
Si girò piano, cercando di fare il minimo rumore possibile – non che ci volesse molto sforzo, comunque, considerando che era sempre stata abbastanza silenziosa quando voleva.
All’altro capo del letto, Klaus le dava le spalle, steso su un fianco esattamente come lei era stesa qualche istante prima. Dormiva ancora.
Avrebbe voluto urlare di indignazione, ma si trattenne. Gli fissò la schiena, sperando che magari si sarebbe sentito osservato e che perciò si sarebbe svegliato. Così avrebbe potuto urlargli contro quanto voleva.
Osservò bene la sua pelle. Non era molto scura, ma sicuramente più della propria. Dove il lenzuolo li nascondeva appena, comparivano alcuni segni rossi tracciati nella carne, dei vividi graffi lasciati da lei stessa qualche ora fa.
Per un attimo si beò al pensiero di potergli aver inflitto dolore, ma poi si rese conto che quei marchi non erano altro che il simbolo della propria debolezza, visto che non gli aveva piantato le unghie nella schiena tantovolontariamente.
Ignorando quel pensiero, soffermò lo sguardo sulla cicatrice bianca e appena visibile che quasi gli circondava la spalla destra, esattamente dove il tributo del Distretto Due aveva calato la sua ascia. Non l’aveva notata prima, evidentemente troppo presa a concentrarsi su altro. Lo staff di Capitol City doveva aver fatto veramente un buon lavoro per renderla così poco visibile. Ma dopotutto, appunto, si trattava della ricca capitale.
London a volte dimenticava che Klaus era tornato dall’arena da poco più di una settimana. Se solo qualcosa fosse andato diversamente, forse ora lei non sarebbe stata sposata. E non sarebbe andata a letto con lui.
Un brivido le scese lungo la schiena, ma non sapeva dire di che natura.
Ho fatto sesso con Klaus, realizzò mentalmente, sconvolta. Non riusciva a focalizzare altro.
Si alzò sui gomiti, poi si sedette sul materasso a gambe incrociate, lasciando cadere il lenzuolo in grembo.
Era sudata; aveva bisogno di una doccia. Era probabilmente l’unica cosa in quel momento in grado di distrarla da tutto quel casino.
Si alzò con un fruscìo del lenzuolo e controllò che Klaus non si fosse mosso. Non aveva decisamente voglia di discutere con lui ora. Si stropicciò gli occhi ancora assonnati, trovando le ciglia secche di mascara e le palpebre pesanti. Raccolse i suoi indumenti – abito da sposa compreso – e li poggiò su letto, allontanandosi poi velocemente da quella camera, sede di ricordi tanto (tanto?) spiacevoli.
Raggiunse in men che non si dica il bagno adiacente alla stanza da letto e, senza indugio, si infilò sotto la doccia, lasciandosi bagnare dall’acqua calda, che prese a scorrere sul suo corpo cancellando le tracce più superficiali della notte precedente.

 

*




Klaus si accasciò sul corpo della ragazza dopo un’ultima spinta, lasciando che quel piacere peccaminoso gli scorresse fin nelle vene. Si sorprese soddisfatto, ma anche stanco, spossato.
Strinse London a sé, beandosi del suo profumo, al quale non aveva badato sino a quel momento. Le circondò la vita con le braccia e affondò il viso tra i suoi capelli.
London ebbe un lieve tremito, ma non si sottrasse, socchiudendo gli occhi quando il respiro ancora affannato di Klaus le solleticò il collo.
Il ragazzo le accarezzò la schiena nuda con i polpastrelli, poi le posò un veloce bacio su una spalla. London sospirò e tremò, ma non disse niente.
Klaus si domandò perché lo stesse facendo, ma quel pensiero aleggiò per qualche istante nella sua testa finché non si dissolse del tutto. Non gli importava, a dire il vero. Non gli importava di nulla.
Si stese accanto a lei, mentre il respiro tornava regolare e i muscoli si rilassavano.

« Adesso puoi dirmi tutto quello che vuoi » sussurrò piano, con la voce tuttavia ancora arrochita.
London lo fissò per un istante, arricciando le labbra. 
« Vaffanculo. »
Klaus si era già aspettato una replica del genere, per cui non si stupì più di tanto e aggiunse senza esitare: « Ci sono già. Ovunque sei tu è ‘fanculo’. »
La ragazza, dopo un’ultima truce occhiata, si girò dall’altro lato.

Il primo rumore che percepì fu il lontano scrosciare dell’acqua.
Strizzò gli occhi nel buio, e pian piano cominciò a distinguere la stanza e a rendersi conto di dove si trovava.Camera da letto.
Il lenzuolo di seta gli fasciava il corpo sudato e aveva i capelli appiccicati alla base del collo. Si girò d’istinto verso l’altro lato del letto, allungando un braccio e trovandolo freddo e vuoto, la sagoma di un corpo ancora impressa sul coprimaterasso stropicciato.
Sbuffò appena, realizzando che lo scroscio d’acqua doveva provenire dal bagno accanto alla stanza. London era già sveglia.
Peccato, si disse sogghignando, avrei voluto vedere il suo faccino imbronciato appena sveglio.
La sua mente si svutò per un istante, poi ricomparvero caparbie le immagini della sera precedente.

« Cazzo » biascicò con la voce ancora impastata dal sonno. Si passò una mano sulla fronte, improvvisamente cosciente.
« Cazzo, cazzo » ripeté frustrato, alzandosi velocemente, raccogliendo i boxer dal pavimento e recuperando una canottiera a mezze maniche da un cassetto del comò – come avesse fatto poi a capire che la biancheria si trovasse lì era solo un mistero.
Indossò il tutto velocemente, raggiungendo il bagno ad ampie falcate. Bussò con un certo vigore, la fronte aggrottata.

« Si può? » gridò con impazienza. Per un attimo lo scroscìo della doccia si fermò.
« No che non si può! » urlò in risposta l’inconfondibile voce di London.
« Oh, ma che t’importa? » sbuffò Klaus, dando di riflesso un altro pugno alla porta. « Abbiamo appena fatto- »
Prima che potesse concludere quell’ovvia constatazione, la porta si aprì, rivelando la ragazza con i capelli bagnati sulle spalle e un asciugamano bianco convulsamente stretto intorno al busto. « Non dirlo! » gridò, gli occhi che dardeggiavano scintille. « Non è mai successo. »
Klaus alzò un sopracciglio. « Ah, sì? »
London, per tutta risposta, gli sbatté nuovamente la porta in faccia.

 

*


 
London, chiusa in bagno con ancora l’asciugamano pulito avvolto addosso, ringhiò contro la porta. Avrebbe volentieri lanciato qualcosa contro di essa, se solo vi fosse stato qualcosa da lanciare.

« Ucciditi, Klaus, e fai un favore a tutti quanti! » strillò.
« Bel modo che hai di affrontare i problemi! » La voce dell’altro arrivò ovattata, ma London comprese perfettamente le sue parole, che ebbero solo l’effetto di farla alterare ancora di più.
Ma non può stare zitto e basta?, pensò con rabbia, mentre il vapore scaturito dalla doccia continuava ad infestare l’ambiente, appannando lo specchio e lasciando un sottile strato di umidità sui mobili.

« Fai sempre così, Londie? » continuò Klaus, insistente. « Scappi da ogni cosa? Non è dignitoso, sai… »
London riaprì la porta, cercando di recuperare la calma. « Sto finendo di farmi la doccia, se non te ne sei accorto » spiegò, inspirando. « Non ne potremmo parlare dopo da brave persone civili»
L’altro roteò gli occhi. « Io ne volevo parlare adesso. »
La ragazza gli scoccò un’occhiata furiosa. « Ah, perfetto. Comincia tu, allora. » Incrociò le braccia sotto al seno, lasciando che l’asciugamano le scivolasse più in giù del previsto.
Klaus, prima di lasciarsi sfuggire un ghigno divertito, la osservò compiaciuto.
Ora, London non era mai stata una ragazza pudica – basti pensare che baciava suo fratello in pubblico fregandosene altamente del parere altrui –, ma quando se ne accorse non poté fare a meno di andare in escandescenze. Nessuno poteva guardarla in quel modo, neanche Klaus. Specialmente Klaus.
Gli diede uno schiaffo, mentre le gote le si arrossarono – dalla rabbia, naturalmente. 
« Smettila! » disse adirata, girandosi dall’altro lato.
« Di fare cosa? »
« Beh » borbottò London, gonfiando le guance come una bambina, « … di fare questo»
Klaus annuì con aria da uomo vissuto e alzò le braccia in un finto segno di resa. « Non sto facendo proprio niente, tesoro. »
« Adesso mi chiami anche tesoro? » chiese, punta nel vivo. Si voltò nuovamente verso di lui, trovandoselo a una sola spanna dal viso. Aveva di nuovo quello sguardo divertito e malizioso al contempo, così irritante…
L’avrebbe baciata di nuovo, lo sapeva. E lei, lei… sarebbe caduta di nuovo nella trappola. Inorridì al pensiero e fece un passo indietro.

« Ti chiamo come mi pare: Londie, tesoro, mia adorata… quale preferisci? » le chiese fintamente interessato – tanto non avrebbe ascoltato la sua opinione comunque.
« Avanti » fece London con uno sbuffo, spazientendosi. « Hai detto che volevi parlare. Perciò, parla, ed evita di dire cazzate. »
« Ti è piaciuto? »
Lo aveva chiesto candidamente, alzando un sopracciglio. Lei credette di non aver capito bene.
« Stai scherzando? »
« Per niente. »
« Sei venuto a rompermi le palle solo per chiedermi questo? » domandò, scioccata. « Sei un maiale, Klaus! E, se vuoi saperlo davvero, no che non mi è piaciuto… Se solo tu fossi più simile a Ben, forse avrei potuto anche- »
Klaus le prese il mento con una mano e la guardò dritto negli occhi. « Sei una puttana, London, lo sai? »
London stava per urlargli qualche rispostaccia come si deve, ma Klaus scese al piano di sotto prima che lei potesse accorgersene.
E tanti saluti alla bella replica che le era venuta in mente.

 

*



Klaus era furioso, adirato, incazzato.
Scese le scale rivestite di moquette torturando il corrimano di legno e precipitandosi alla disperata ricerca di quella cantina che – lo sapeva – doveva pur esserci in qualche parte di quella fottuta casa.
Aprì una decina di porte circa, per poi sbatterle violentemente alla scoperta delle inutili stanze che nascondevano. Sperò che London lo stesse sentendo.
Si sentiva un estraneo in casa propria, il che non era decisamente il massimo, considerando che avrebbe dovuto vivere lì per almeno un bel po’ di tempo. Anni, addirittura. Con quella troia.
Sbatté un’altra porta con forza, sentendo persino la credenza con i piatti di ceramica vibrare e mandare rumori sinistri. In realtà, che quella casa fosse caduta a pezzi non gli importava più di tanto.
Gli bastava trovare una bottiglia di liquore, e forse tutto avrebbe cominciato ad avere un senso.
Infine, non trovò la cantina, ma qualcosa che somigliava a un piccolo studiolo, nascosto tra il salone e la sala da pranzo. Entrando, fu investito da un piacevole odore di tabacco. Quel posto gli sarebbe piaciuto, si disse.
L’ambiente non era niente di che: una stanza rettangolare tappezzata di libri e con al centro una sottospecie di scrittoio di legno; di fronte ad esso, una semplice poltrona di velluto rosso scuro. Probabilmente era stata arredata dai Bridge, perché i suoi avrebbero dato un contributo decisamente più pacchiano – facendolo passare per “classico”, naturalmente.
Accarezzò lievemente lo scrittoio, e aprì la scatola di ferro poggiata su di esso. Sigari.
Dio da qualche parte esiste, pensò quasi sollevato, prendendone uno con un a lui estranea delicatezza. Dalla stessa scatoletta recuperò un accendino di ottima fattura, probabilmente antico, ornato da strani simboli etnici. Ne ammirò la lavorazione giusto un istante, prima di accendersi il sigaro e inalare una buona quantità di nicotina. Sbuffò il fumo, rilassandosi per un secondo.
Ha detto che non le è piaciuto, pensò, prima di fare un altro tiro. Fottuta bugiarda.
Si lasciò cadere sulla poltrona, reclinando il capo sulla testiera e rilasciando una seconda nuvoletta di fumo denso. Socchiuse gli occhi, quando si accorse del leggero pizzicore immediatamente sotto le scapole. Non vi aveva badato prima. Graffi.
Sul suo volto si formò una smorfia, che si trasformò in un ghigno sardonico. E, poi, ancora, in un’espressione rabbiosa.
Che puttana, ripeté nella sua testa, non trovando insulto migliore per descriverla. Vorrei proprio vedere se quell’idiota di Ben riesce a raggiungere certi livelli – e qui gli comparve un altro sorriso sghembo, che scemò immediatamente ricordandosi del segreto più grande che condivideva con quello.
Si era domandato più volte se Ben avesse mai parlato della loro fatidica notte con qualcuno, ma in genere smentiva subito ogni ipotesi perché entrambi sapevano bene che qualsiasi fuga di informazioni avrebbe rovinato la reputazione sia dei Bridge che dei Wreisht.
In realtà a Klaus non importava molto della sua famiglia, ma l’altro non avrebbe mai dato un simile dispiacere ai suoi genitori e alla sua amata sorella. Per cui, forse, su di lui si poteva contare abbastanza.
Si chiese cosa avrebbe fatto London se un giorno fosse venuta a sapere di quella maledetta questione. Di sicuro ne sarebbe rimasta sconvolta.
Accarezzò per un istante il pensiero di rivelarglielo a tradimento, giusto per infrangere un po’ le sue convinzioni, ma poi considerò che sarebbe stata come un’arma a doppio taglio. Anche Ben, infatti, aveva avuto l’intenzione di usarla contro di lui, al matrimonio.
Klaus non poté fare a meno di pensare che quei due gemelli gli avevano praticamente rovinato la vita. Eppure era stato a letto con entrambi, nell’ultimo anno.
Dettagli, pensò sbuffando altro fumo. Solo grazie alle circostanze.
Tentò di rilassarsi, anche se invano. Ormai aveva i nervi a fior di pelle.
E inoltre, prima che potesse fare qualsiasi altra cosa, bussarono alla porta. Il campanello rimbombò all’improvviso nel quieto silenzio mattutino della villa.
Klaus diede un’occhiata all’orologio dello studiolo. Le sei e mezza.
Non si chiese neanche chi avesse l’ardire di bussare a quell’orario, perché una vaga idea già ce l’aveva.
Andò ad aprire prima che lo potesse fare London.

« Oh, Benjamin, qual buon vento? » salutò, riconoscendo sull’uscio della porta proprio chi aveva pensato qualche istante precedente.
Ben cercò di non fare caso al fatto che Klaus fosse praticamente seminudo e lo guardò in faccia. 
« Devo parlare con London » disse flebilmente. In realtà sulla sua faccia pallida si poteva leggere con chiarezza che il ragazzo aveva sperato che ad andarlo ad aprire sarebbe stata la sua gemella.
« Per… ? » domandò Klaus, non spostandosi dalla porta per non lasciarlo entrare.
« Non rientra nei tuoi interessi » borbottò l'altro.
« E a quest’ora, poi? » gli chiese, ignorando il suo ultimo intervento.
« London è sempre sveglia e pronta, a quest’ora. »
« Capisco » annuì il moro, spostandosi giusto di poche spanne per lasciarlo passare. « Accomodati pure » continuò sarcasticamente.
Ben entrò nell’atrio, titubante. Probabilmente gli faceva uno strano effetto sapere che adesso London viveva lì, in compagnia della persona più sgradevole del mondo. Si guardò intorno, notando che i due sposi si erano curati di lasciare l’intera casa esattamente come lui l’aveva lasciata la sera precedente. C’era un po’ di disordine in giro, ma cercò di non badarvi.

« Dovreste assumere una cameriera » gli disse, notando i petali di rose ancora sparsi un po’ ovunque.
« Un giorno » rispose Klaus con un veloce gesto della mano.
« London dov’è? » domandò Ben sbirciando in direzione delle scale con aria spaesata. Forse si sentiva in imbarazzo, ma non voleva darlo a vedere.
« Di sopra » ribatté con un sorriso obliquo che il giovane Bridge non seppe interpretare. Rimasero qualche istante in silenzio.
Ben si guardava intorno nervosamente e Klaus lo fissava di sottecchi.

« Oh, prima che me ne dimentichi » disse il moro come se se ne fosse ricordato solo in quel momento. « Stanotte abbiamo fatto sesso. »
La faccia di Ben, se possibile, sbiancò di botto. « Oh » bisbigliò, cercando disperatamente una traccia di bugia negli occh scuri di Klaus, che bevve avidamente la sua reazione con un ghigno soddisfatto. Infine, l’albino fece un mesto sorriso. « A quanto pare, alla fine non puoi proprio fare a meno di andare a letto con un Bridge. Vero, Klaus? »
Stavolta fu l’altro a impallidire, e contrasse la mascella. « Semmai il contrario, Watchie»
Ben non sembrava per nulla felice, eppure riuscì a replicare: « Oh, no, Klaus. Almeno su questa cosa sono sicuro di avere ragione. »
Klaus, di scatto, lo spintonò in direzione del muro e lo bloccò con le spalle contro la parete. « Non ci giurare. Voi Bridge del resto non capite mai un cazzo. »
E in quel momento, quando sarebbe potuto accadere l’inevitabile, entrambi sentirono dei passi cadenzati scendere le scale.
« Ben? » chiese London, nel vedere suo fratello tra le grinfie di Klaus. « Klaus! » urlò poi, rivolgendosi direttamente a lui.
Il moro lasciò le spalle dell’altro con uno sbuffo. 
« Ecco. Adesso è tutto tuo » le disse con eloquenza, mentre London sembrava cacciare fumo dalle narici tanta era la rabbia. « Così potrete scopare tutto il giorno e tutta la notte, basta che lo fate a casa vostra. »
« Infatti » riprese London quasi strillando, prendendo Ben per mano. « Adesso ce ne andiamo a casa. La nostra vera casa. »
Klaus vide saettare lo sguardo della ragazza nella sua direzione, ma lui era concentrato sul viso di Ben, che era ornato da un’espressione più sconcertata del solito.
Sorrise sarcastico. 
« Divertitevi. »
London uscì di casa sbattendo violentemente la porta e trascinandosi suo fratello dietro.
E, mi raccomando, aggiunse Klaus con il pensiero, non prendete troppo spunto da me, quando sarete sotto le coperte.



 













   
 
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