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Autore: Valeriagp    28/05/2013    7 recensioni
Attenzione! Spoiler sulla 5a Stagione.
Merlin ha cercato Arthur ogni momento delle sue innumerevoli vite. Ormai rassegnato a non vederlo mai più, un viaggio in Metro gli cambierà la vita.
Primo capitolo ispirato ad una fic breve letta su Tumblr mesi fa, di cui purtroppo non ho mai più trovato l'autore.
Genere: Erotico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Galvano, Merlino, Parsifal, Principe Artù, Un po' tutti | Coppie: Merlino/Artù
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nessuna stagione, Nel futuro
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'A Thousand Years and Back'
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Nota dell’autrice:

E finalmente riesco a pubblicare questo capitolo. Non ho scuse... quasi 2 mesi per scrivere nemmeno tante pagine... però la mia vita quotidiana ha preso il sopravvento prepotentemente e io ho perso controllo sul mio (inesistente) tempo libero :’(

Comunque... spero che in futuro non risucceda, e che io riesca ad essere più costante nella scrittura!

Parlando del capitolo... qui iniziamo a costruire il finale (a cui mancano pochi capitoli). Ci sono cose che probabilmente non comprenderete, ma è assolutamente voluto ;)

Spero che vi piaccia comunque! Lasciatemi recensioni, sono sempre la cosa più bella delle mie giornate :D

Valeria


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Arthur aprì gli occhi: era ancora buio, ma un accenno di bagliore gli fece capire che si stava avvicinando l'alba. Il respiro calmo di Merlin gli solleticava la spalla, su cui il moro era appoggiato, il suo corpo caldo incollato a quello di Arthur.

Il Re sapeva che aveva molti impegni ed obblighi, tra cui spiegare al team che cosa gli era successo nei giorni precedenti e pianificare le loro prossime mosse, ma voleva godersi ancora per un momento la vicinanza del suo Merlin.

Il moro si mosse leggermente e Arthur gli diede un bacio sui capelli, al che Merlin alzò la testa con uno sguardo assonnato ma sorridente e gli diede il buongiorno con un bacio.


Arthur lo guardò con dolcezza e disse: “Allora, sei pronto alla giornata?”

Merlin sorrise stropicciandosi gli occhi e rispose: “Se poi si conclude come quella di ieri, sono pronto a tutto...”

“Puoi scommetterci... d’ora in poi non mi staccherò più da te, Merlin.”

Il giovane mago abbassò gli occhi, poi risollevò lo sguardo e con un movimento fulmineo che poco gli si addiceva, si sedette sopra ad Arthur, a cavallo del suo ventre. Gli prese le mani e le bloccò sul cuscino, sussurrò qualcosa e i suoi occhi si fecero d’oro per un istante, e poi lasciò la presa sui polsi di Arthur. Il biondo provò a muoversi, ma si trovò bloccato, come se fosse legato, allora alzò la testa a guardarsi e vide che sui suoi polsi c’erano delle corde magiche, dorate anch’esse come gli occhi di Merlin. Sorrise e decise di stare al gioco...


“Bene, caro stregone, ora che mi hai in tuo potere cosa hai intenzione di farmi? Torturarmi?”

“Ah, non perderei quest’occasione per nessuna ragione al mondo, Maestà...” e detto ciò iniziò a fare il solletico ad Arthur sotto le braccia e sul petto. Il biondo cercava di divincolarsi ma era per lui impossibile muoversi, fra le corde sulle mani e il peso di Merlin sopra di sé.

Gli mancava ormai quasi il fiato dalle risate, quando disse quasi urlando a Merlin: “Va bene va bene! Farò quello che vuoi! Basta che tu smetta di torturarmi!!”

Merlin sorrise con aria sorniona, e disse: “Tutto tutto??”

Arthur rispose: “Si, qualunque cosa! Chiedi e ti sarà dato!”


Il moro allora smise di fargli il solletico e rimise di nuovo le mani sui polsi di Arthur. Accarezzò le sue braccia con sensualità, e gli baciò il collo, il mento e il viso, fino a fermarsi con le labbra sul lobo del suo orecchio sinistro, dove diede un eroticissimo morso, prima di dire: “Voglio che tu pensi a questo momento per tutto il giorno. Tu, legato, e io che ti domino e faccio di te quello che voglio. E stasera, quando sarà ora di andare a letto, sarò io a prenderti, e tu sarai alla mia mercé. Bisogna pareggiare i conti, mio caro....” Detto questo gli diede un bacio sulla punta del naso e si alzò, lasciandolo lì, sdraiato e ancora immobilizzato dalla magia, ansimante per l’eccitazione che solo il pensiero di quello che gli avrebbe fatto Merlin gli provocava.

Chiuse gli occhi e cercò di liberarsi perché aveva bisogno di toccare Merlin, di toccarsi, di fare adesso quello che il suo amante gli aveva promesso per quella sera. Merlin sentendolo muovere disse: “Ah, dimenticavo... voglio che tu resista e non cerchi modo di alleviare la tua ‘sofferenza’... Ma ti prometto che ne varrà la pena, stasera ti farò impazzire. Promesso?”

 

Arthur dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per rispondere “Va bene, promesso. Ma te la farò pagare, Merlin...”

“E’ proprio quello che spero, mio caro.” Sorridendo, fece un cenno con la mano e sciolse i legacci magici che avevano fino a poco prima immobilizzato Arthur, il quale abbassò le braccia e strinse fra i pugni il lenzuolo per evitare di cercare sfogo alla sua eccitazione.

“Allora, ci prepariamo e andiamo dagli altri?” disse Merlin con un’aria soddisfatta e spavalda.

Arthur sospirò e si disse che sarebbe davvero stata una lunghissima giornata.


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Il briefing con Gaius e gli altri fu lungo e non facile: erano tutti esterrefatti che Morgause si fosse lasciata ingannare da Arthur, che avesse creduto alla sua “interpretazione” in cui fingeva di essersi convertito alla loro causa. Merlin era orgoglioso che il suo Re fosse stato così convincente, ma capiva che gli altri potessero ancora dubitare di lui. Quando notò che Leon guardava Arthur con sospetto - probabilmente memore del tempo in cui Gwen li aveva ingannati tutti - Merlin difese l’onestà di Arthur raccontando al team cosa aveva percepito tramite la magia. A quel punto nessuno si oppose più, e si passò a parlare della strategia da tenere, e a teorizzare cosa Morgause avrebbe chiesto ad Arthur di fare. Dovevano essere pronti a qualsiasi eventualità per poter a loro volta tendere una trappola ai loro nemici alla prima occasione.


Merlin aveva notato che Gwen, per tutto il tempo in cui Arthur raccontava la sua vicenda, era rimasta ad occhi bassi, come se non avesse il coraggio di guardare in faccia gli altri. Quando il mago vide che la donna si alzava e si avvicinava alla finestra, capì che era in difficoltà, e le si avvicinò, lasciando gli altri a discutere, ben sapendo che Arthur lo avrebbe aggiornato su qualsiasi elemento importante della loro chiacchierata.

“Gwen...” le disse, poggiandole una mano sulla spalla. La donna non si girò, e il suo sguardo non lasciò il London Eye che si vedeva in lontananza. Merlin riprovò: “Gwen, va tutto bene?...”

La giovane a quel punto si girò verso di lui, e il mago vide che aveva gli occhi lucidi. Guardando ovunque tranne che nei suoi occhi, Gwen disse: “No, Merlin. Non va tutto bene. Questa situazione per me è... difficile. E’ vero che ero sotto incantesimo, che non ero in me e che era Morgana che mi controllava, però resta il fatto che sono stata io a fare quello che ho fatto. Ho accoltellato io Tyr, quel povero ragazzo innocente.. non sono mai più stata in grado di guardare in faccia sua madre, dopo che sono tornata in me. Sono stata io a tentare varie volte di uccidere Arthur, e ricordo perfettamente quanto lo odiassi in quei momenti. Se non ci fossi stato tu, Merlin, a salvargli la vita... credo che non me lo sarei mai perdonato.”


Prese fiato un attimo e poi continuò a raccontare: “Ho ancora davanti agli occhi quelle immagini, Merlin... quello che vedevo mentre ero alla Torre... voi tutti che mi deridevate, che mi dicevate quanto io fossi fuori luogo come regina, e che avrei fatto meglio a non tornare più visto che ero inutile... Arthur che mi diceva di non amarmi e non volermi più vicino a sé, e che si era reso conto di aver fatto un grosso errore a sposarmi... Era orribile, Merlin. e mi sono lasciata convincere. Sono stata debole...”

A questo punto Gwen era in lacrime, e Merlin le mise un braccio intorno alle spalle, tirandola verso di sé. E lei continuò: “Arthur è fortunato ad averti, Merlin. Il tuo amore e la tua devozione lo hanno salvato talmente tante volte che credo nemmeno tu le ricordi tutte, ormai. Io, a quel tempo, non avevo accanto una persona che amassi così tanto, e che mi amasse così completamente come è sempre stato per voi due. Ed è per questo che Morgana ha potuto controllarmi. Ero sola: nonostante fossi sposata con Arthur e gli volessi un gran bene, per me quegli anni sono stati anni di impegno, di lavoro, di sacrifici. Dovevo essere sempre perfetta, dare di me un’immagine impeccabile, perché partivo da una situazione svantaggiata rispetto ad altre donne che si ritrovano regine. Io ero stata una ragazza comune, una serva per di più, e superare i pregiudizi dei sudditi e dei nobili, e farmi accettare come sovrana, era il mio cruccio quotidiano. Ho fatto tutto ciò che era in mio potere perché la gente mi credesse e mi volesse bene, e alla fine ci sono riuscita. Ma a cosa è servito in fin dei conti? Non sono riuscita a dare un erede ad Arthur, non ho potuto stargli vicino quando più aveva bisogno di me, e oltre a questo l’ho anche tradito, cercando di ucciderlo. A cosa sono serviti i miei sacrifici?”


I singhiozzi di Gwen erano devastanti, evidentemente dover rivivere quelle settimane in cui era stata sotto il controllo di Morgana la distruggeva dentro. Merlin la abbracciò e prese ad accarezzarle la testa, sussurrandole: “Gwen, tesoro, è inutile che tu ti dia tutte queste colpe, soprattutto in questo momento. Il passato è passato, e sai bene che sei stata usata da Morgana per i suoi scopi. Non puoi colpevolizzarti per esserti sottomessa a quell’incantesimo, ci sono persone che impazziscono al solo sentire le urla che la mandragola emette. Tu sei crollata sotto un potere enorme, e a quel punto purtroppo eri solo un pupazzo nelle mani di Morgana, e tutto quello che hai fatto in realtà è stata lei a farlo, non tu! E’ lei che deve pagare tutte queste violenze, non tu, ed ora abbiamo un modo per far sì che ciò succeda. Abbiamo modo di fare il doppio gioco, e finalmente potremo mettere fine a questa faida inutile che va avanti da secoli. Abbiamo bisogno di te Gwen, abbiamo bisogno della tua forza e delle tue capacità, e credo che aiutare Arthur a sconfiggere Morgause e gli altri sia il modo migliore per te per fare pace col tuo passato. Pensi di farcela? Possiamo contare su di te?”


Gwen alzò la testa e finalmente guardò Merlin negli occhi. In quel momento, fra le lacrime, Merlin vide in lei decisione e determinazione. “Certo che potete contare su di me, come sempre è stato. E questa volta proverò un piacere immenso a vendicarmi di quello che mi è stato fatto.”

Detto questo, Gwen lo abbracciò forte e gli sorrise, dicendogli: “Sei un buon amico, Merlin. Siamo fortunati ad averti.”

Merlin arrossì leggermente alle parole di Gwen, e pensò a quanto le volesse bene. Era felice che le cose fra di loro fossero andate a posto, che non ci fosse rancore da parte di lei per il fatto che Arthur aveva sempre amato qualcun altro.

Merlin sentì qualcuno schiarirsi la voce dietro di sé, e dopo essersi staccato dall’abbraccio di Gwen, si girò e vide Lancelot che gli sorrideva: “Mi devo preoccupare, Merlin? Stai cercando di rubarmi la moglie?” La frase era ovviamente detta in modo scherzoso, e Merlin stette al gioco: “Ah no guarda, con tutto il bene che voglio a Gwen, ho altre... preferenze diciamo. E poi sono impegnato...”


A quelle parole Merlin si sentì cingere da due braccia forti, e girando leggermente la testa vide, come pensava, che si trattava di Arthur: evidentemente, il briefing era finito. Il biondo gli diede un leggero bacio su un orecchio, e disse: “Ma davvero? Sei impegnato? E con chi??”

Merlin fece una risatina breve e rispose: “Mah, non so se lo conosci... biondo, bello come un dio greco, e soprattutto una gran testa di fagiolo!”

Arthur diede una pacca sulla pancia di Merlin, e aggiunse: “Attento a quello che dici, potresti pentirtene!”

“Sto sempre aspettando che tu metta effettivamente in atto qualcuna delle tue minacce....” Il tono di Merlin era ora meno giocoso e più seduttivo, e quelle parole dette sottovoce dovettero avere l’effetto che Merlin sperava: Arthur strinse le mani attorno al tessuto della sua t-shirt, e il suo corpo aderì sensualmente a quello del moro. Arthur affondò il viso nel suo collo e, sfiorandolo appena con le labbra, annusò il suo odore. Gli disse: “Merlin, non so cosa mi hai fatto, ma tu mi farai impazzire. Sicuro di non aver usato nessun incantesimo su di me?”

Il mago ridacchiò e rispose: “No mio caro, è solo il mio incredibile fascino...”

Arthur rise e gli diede un pizzicotto su un braccio, poi disse: “Cerchiamo di tornare seri. Abbiamo un bel po’ di cose da programmare.”

Tornarono quindi verso gli altri, pronti a decidere come agire con i loro nemici.


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Morgana camminava in un luogo desolato, avvolto da una fitta nebbia. Era notte, e la luce della luna rischiarava l’oscurità, illuminando le rovine in cima alla collina che la sovrastavano imponenti. Sentiva un’attrazione inspiegabile per quel luogo, nonostante non avesse idea di cosa fosse, né di dove si trovasse, quindi continuò a salire la china del pendio, fino a raggiungere la costruzione di mattoni che sembrava piantata in mezzo all’erba da un gigante.

La nebbia nascondeva alla vista una gran parte di quelle rovine, ma per quello che Morgana poteva intravedere, era una costruzione alta e stretta. Si avventurò all’interno, e la trovò vuota, spoglia di qualsiasi suppellettile, eppure quando chiuse e riaprì gli occhi, per un istante fu in grado di vedere un altare, e su di esso una grossa coppa piena d’acqua, con accanto una donna vestita di blu scuro, il volto dipinto con dei segni che non riusciva a distinguere.


Morgana si sforzò di stabilizzare la visione, e riuscì a focalizzare meglio l’eterea figura davanti a sé. Al guardarla meglio, si rese conto che non era una donna, almeno non completamente. Aveva un aspetto lievemente alieno, e il cappuccio che le copriva parzialmente il volto non riusciva a nascondere le sue fattezze esagerate - aveva il viso oblungo e la pelle chiara, quasi traslucente. No, decisamente non era una donna.

La creatura stava china sulla coppa: guardava nell’acqua senza battere ciglio, a occhi spalancati, e muoveva le labbra come se stesse parlando.

Improvvisamente Morgana sentì una voce lontana che la chiamava, e si rese conto che era quella donna che le parlava: i movimenti delle sue labbra coincidevano con il suo nome.

Sforzandosi di non perdere la connessione visiva con la creatura, disse: “Sono qui, sono io.”

Vide comparire un sorriso sul volto dell’altra donna, che a quel punto si mise a ripetere una frase, che lei inizialmente non comprese appieno, ma che poi sembrò diventare più chiara ogni volta che l’altra la ripeteva. La maga si concentrò ad ascoltare e memorizzare quello che le veniva detto:


“Luce della luna, mia sorella, illumina la via...

Dalla nebbia delle sacre acque rinasco

E nuovamente sarò potente e indomita

Apritevi, o nebbie, e lasciatemi passare

Così ch’io possa ricucire le ferite del tempo

E riparare il torto fatto.”


Non aveva idea di cosa significassero quelle parole, ma sentiva istintivamente che era vitale che le memorizzasse. Quando fu certa di poterle recitare a memoria, disse rivolta alla donna che nella sua visione era di fronte a lei: “Ho capito. Grazie.”

La creatura femminea non staccò ancora lo sguardo dalla coppa, ma sorrise ed annuì. A quel punto alzò la testa e fissò Morgana, e lei potè vedere che i suoi occhi erano grandi e scuri, e la fissavano con un’intensità incredibile. Si sentì improvvisamente risucchiare da una forza a cui non si poté opporre, e tutto intorno a lei divenne scuro... Le mancava l’aria, non riusciva a respirare, e annaspava, annaspava....


Aprì gli occhi e tirò violentemente il fiato, tossendo per via della mancanza d’aria. Era madida di sudore, e non riusciva a riprendere fiato completamente. Dopo qualche minuto si calmò, e si rese conto che era nel suo letto, ed era notte piena. Ora sapeva che i suoi strani sogni, che in questa vita non aveva mai saputo interpretare, erano delle visioni; anche se non lo avesse saputo con sicurezza, quello che aveva appena esperito era stato troppo reale per considerarlo un semplice sogno. E aveva la netta sensazione che fosse un vero e proprio messaggio, inviatole in sogno da quella creatura. Chi poteva mai essere? Non ne aveva idea... ma qualcosa le diceva che non doveva parlare a nessuno di quello che aveva visto e sentito, perché era un messaggio rivolto a lei, e solo a lei.


Giacque per ore nel suo letto, incapace di tornare a dormire, ossessionata dal ricordo della sua visione. Sperava che prima o poi avrebbe capito quale fosse il suo significato.


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Se fosse stato un giorno normale, Mordred non avrebbe pensato due volte alla scuola. Anzi, avrebbe fatto qualsiasi cosa, qualsiasi incantesimo, pur di sgattaiolare via - possibilmente facendo spaventare qualcuno dei suoi antipaticissimi e ordinari compagni di classe nel frattempo.

Eppure oggi gli mancava: sicuramente, ora che ricordava cosa significasse vivere una vita in cui le responsabilità ti venivano gettate addosso fin da piccolo, gli faceva rivalutare la semplicità di una vita in cui l’unico impegno era stare attento in classe e leggere libri il pomeriggio.


E in un’altra situazione, probabilmente avrebbe pensato che Morgause era la persona più figa che conosceva - sicura di sé e della sua magia, spavalda e prepotente, e anche bella, oltretutto.

Pochi giorni fa era stato proprio Mordred a dire a Morgana che non era giusto che loro, potenti maghi ed evidentemente superiori alla plebaglia che girava loro intorno, dovessero nascondersi, quando in realtà avrebbero potuto conquistare tutto e tutti con facilità: bastava unire i loro poteri e avrebbero prevalso senza alcun problema contro i comuni mortali.

E oggi invece, dopo aver conosciuto Morgause, ed esserci stato a diretto contatto per giorni, si era reso conto di quanto fosse profondamente sbagliato quello che lui stesso aveva predicato fino a poco fa: guardando Morgause vedeva perfettamente l’errore di fondo di quel tipo di pensiero, cioè che non c’è realmente bisogno che nessuno prevalga su nessun altro, a patto che ci sia rispetto reciproco.


Questa crociata di distruzione che Morgause stava portando avanti, e in cui aveva coinvolto lui e Morgana, era altrettanto sbagliata di quella che aveva portato avanti, tanti secoli fa, Uther Pendragon. Non c’era differenza agli occhi del giovane. Adesso che il suo dolore per la perdita di Kara si era affievolito - vivere due vite tendeva a mettere tutto in prospettiva - Mordred capiva perché Arthur aveva dovuto condannarla. Le erano state date varie possibilità di pentirsi, e lei le aveva respinte tutte, con negli occhi la stessa folle esaltazione che il giovane vedeva nello sguardo di Morgause. E per quanto gli mancasse l’unica ragazza che avesse mai amato, Mordred capiva che Arthur non aveva avuto scelta, e lo aveva perdonato, in cuor suo.


Era una beffa che fosse giunto a questa conclusione proprio quando Morgause era riuscita ad ottenere ciò che voleva dal Re: lo aveva sotto il suo controllo, e gli avrebbe fatto fare ciò che voleva. Mordred ne era onestamente addolorato, perché Arthur aveva un carattere forte e fiero, ed era l’uomo più coraggioso che il druido avesse mai conosciuto - a parte forse Emrys, che aveva rischiato di essere scoperto per dieci anni pur di restare a fianco del suo Re nonché, se Mordred aveva intuito correttamente ai tempi di Camelot, oggetto del suo amore.

E in effetti, pensando ad Emrys, anche di lui capiva le motivazioni: per come erano andate le cose, e vista la grande diffidenza che Merlin aveva sempre dimostrato nei suoi confronti, Mordred sospettava che lo stregone sapesse che ruolo avrebbe avuto nella morte di Arthur, e quindi lo temesse e facesse di tutto per tenerlo lontano dal suo Re. Le leggende druide narravano degli immensi poteri di Emrys, e Mordred era sicuro che in qualche modo lui avesse avuto una premonizione di quello che era poi realmente successo a Camlann, e da lì era derivato quell’astio che Merlin aveva nei suoi confronti, cosa che al tempo gli era sembrata ingiustificata oltre che ingiusta.


Per vendicare Kara, Mordred aveva ucciso Arthur, rinnegando in un solo gesto il suo legame di gratitudine e amicizia nei confronti dell’uomo, nonché il suo giuramento come Cavaliere nei confronti del Re; e in cuor suo sapeva che, se avesse saputo in anticipo come sarebbero andate le cose, avrebbe fatto di tutto per cambiare il corso della storia. Quindi capiva e perdonava anche Merlin.

Non che a questo punto avesse una qualsivoglia importanza. Il suo posto era con Morgana, e visto che sua sorella era con Morgause, lui sarebbe rimasto al suo fianco, anche perché di Morgause non si fidava affatto, primariamente perché non aveva idea di quale esattamente fosse il suo piano: oltre all’obiettivo già conquistato, cioè sottomettere Arthur alla sua volontà, la donna non aveva condiviso con loro nient’altro. E a domande dirette su ‘cosa succedesse dopo’, lei sviava sempre il discorso e rispondeva a monosillabi. Tutto ciò a Mordred non piaceva.

E gli piaceva ancora meno il modo in cui guardava Morgana: era vero che nella sua vita precedente sua sorella aveva sfiorato la follia - e lui non avrebbe mai dimenticato il suo sguardo da invasata quando l’aveva reincontrata dopo tutti quegli anni a Ismere - ma in questa vita Mordred riusciva a rivedere qualcosa della Morgana buona e compassionevole che aveva conosciuto a Camelot quando era solo un bambino, e quindi considerava che per lei non fosse troppo tardi. E l’influenza di Morgause sicuramente non le faceva bene... chissà per quale motivo sua sorella cambiava così tanto in presenza della sorellastra? Tutto quello che sapeva per certo Mordred, era che non l’avrebbe abbandonata nelle mani di quella megera.


Parlando del diavolo, ecco che Morgause si affacciò in cucina, dove Mordred stava fingendo di leggere un giornale mentre era assorto nei suoi pensieri. Lo guardò con quella faccia altezzosa che gli riservava sempre, mista ad un’espressione di schifo che gli rivolgeva sempre più spesso: Mordred ne era felice, perché così era sicuro che lei non pensasse di avere campo libero con Morgana. Se fosse stato necessario, Mordred avrebbe combattuto e ucciso per lei, di questo era certo.


“Hai visto Morgana? Ho bisogno di parlarle.” Morgause non lo guardò nemmeno mentre diceva questa frase, e a Mordred stavano per saltare i nervi.

“Non è ancora scesa dalla sua camera. E poi, perché devi parlare solo con lei?”

“Non sono fatti tuoi, ragazzino.”

Mordred si alzò di scatto e le andò di fronte, guardandola aggressivamente: “Qualsiasi cosa riguardi MIA SORELLA riguarda me, strega. Quindi parlerai a tutti e due”, le aveva sussurrato con tutto l’odio di cui era capace.

Morgause lo squadrò, il suo viso  a un centimetro da quello del giovane, poi con un’espressione infastidita disse: “E va bene. Se proprio vuoi sapere... In fondo puoi tornarci utile.”


Mordred fece un breve cenno di assenso e si allontanò, tornando a sedersi. In quel momento, Morgana entrò nella stanza, con le occhiaie e i capelli sottosopra, ancora in pigiama. Mordred si alzò per andarle incontro, e le fece una carezza su una guancia dicendo: “Gana, che cos’è successo? Non hai dormito? Brutti sogni?”

La donna gli sorrise e rispose: “E’ vero, non ho dormito, ma nessun brutto sogno, tranquillo fratellino.” Detto ciò, gli diede un bacio su una guancia e andò a prendere una fetta di pane tostato che era sul tavolo. Salutò con un sorriso Morgause, la quale le disse: “Morgana, sorella mia, dopo che avrai mangiato ho bisogno di parlare con te, e con Mordred.”

Morgana la guardò per un istante e poi le disse: “Sembra importante. Mi sbrigo!”


Morgause uscì dalla cucina e dopo poco Morgana e Mordred la seguirono in salone. Si sedettero di fronte a lei sul divano, e Mordred disse: “Allora? Di cosa volevi parlarci?”

La donna li fissò per un istante, poi rispose: “Volevo parlarvi del mio piano. Ma forse è più facile mostrarvelo...” Allungò quindi le mani verso di loro, e fece loro cenno di avvicinarsi. Quando furono alla distanza giusta, Morgause posò le mani sulle loro fronti e sussurrò un incantesimo.


Mordred chiuse gli occhi e sentì Morgana sussultare accanto a sé: davanti ai loro occhi si stagliò un’immagine di Arthur, con Morgause accanto a sé e Mordred e Morgana poco dietro.

Si trovavano in una sala riccamente decorata, con un trono al suo centro. Sul trono era seduta la Regina Elisabetta II, ma a guardarla meglio non era seduta: era accasciata e ad occhi chiusi, evidentemente incosciente. Morgause aveva ancora un braccio esteso davanti al proprio corpo, e si vedeva chiaramente che aveva fatto un incantesimo alla Regina... Mordred si rese conto con orrore che l’aveva uccisa!

Arthur sorrideva con un’aria soddisfatta, e quell’immagine da sola fece rabbrividire Mordred.


L’immagine davanti ai suoi occhi cambiò improvvisamente, e ora si trovavano a Westminster, ed Arthur era seduto su un trono e teneva in mano due scettri, ed in testa portava una corona: la sua incoronazione evidentemente! In prima fila fra gli spettatori d’elite presenti nell’Abbazia c’era Morgause, accanto a Morgana e di nuovo Mordred stesso.

Allora era questo che la strega tramava: uccidere la Regina per far salire al potere Arthur... ma perché? Perché non prendere il potere per sé, o darlo a Morgana? A cosa le serviva Arthur?


La scena cambiò di nuovo, e Mordred si trovò catapultato nel mezzo della Camera dei Lord, e vide che era in corso una votazione. Mordred sentì la voce del Presidente della Camera che diceva ‘Votiamo per lo scioglimento delle Camere: quanti a favore?’ e tutti i Lord alzarono le mani. In un angolo Mordred vide Morgause, i suo occhi dorati e un ghigno soddisfatto sul volto.

Evidentemente, aveva influenzato la votazione per poter centralizzare il potere in mano ad Arthur, di fatto rendendolo un dittatore - l’abolizione delle Camere significava la cancellazione della democrazia.

Fuori dal palazzo di Westminster, sede delle Camere, un cordone di sicurezza cercava di contenere la folla infuriata che dimostrava contro l’abolizione della libertà... e a quel punto Mordred inorridì a vedere che l’esercito, presente davanti al Palazzo, attaccava i dimostranti, anche con armi da fuoco. C’erano feriti e probabilmente anche morti, e la gente spaventata iniziò a ritirarsi.


Di nuovo un cambio di scena... la nebbia di Londra riempiva i vicoli, di notte, e Mordred sentì suonare una sirena, e vide due ragazzi che correvano disperatamente cercando un luogo dove nascondersi. Sul luogo arrivò la Sicurezza, e i soldati, armati di tutto punto, iniziarono ad inseguire i giovani per la strada, finché non li raggiunsero e atterrarono, puntando loro pistole alla tempia. I giovani erano atterriti, e dicevano ‘Scusateci, stavamo rientrando, siamo stati trattenuti e non abbiamo potuto tornare a casa in tempo per l’inizio del coprifuoco!’

In quel momento si sentirono due spari, e Mordred vide con orrore che i due giovani erano stati uccisi. Non poteva credere ai suoi occhi.


Nella visione successiva, Mordred vide passare davanti a sé dei titoli di giornale che lo sconvolsero:

“Arthur Pendragon, il dittatore del passato e del futuro?”

“Regno Unito nel caos: il dittatore Pendragon cancella la libertà dei suoi cittadini”

“Un testimone: Conoscevo Arthur dal suo tempo nell’Esercito, e non posso credere che sia arrivato a tanto

“Il presidente degli USA muove guerra a Pendragon: il Regno Unito a un passo dalla rovina”

“Arthur Pendragon, da molti creduto discendente diretto del mitico Re di Camelot, infanga il nome degli Inglesi in tutto il mondo”


Ora Mordred iniziava ad intuire quanto fosse intelligente il piano di Morgause: non solo si era assicurata il potere assoluto tramite il suo burattino Arthur, ma aveva anche infangato il suo stesso nome, rendendolo capro espiatorio della rovina del suo Paese, e realizzando esattamente il contrario dell’ideale per cui Arthur si era sempre battuto: Albion, un Paese libero ed unito.


La visione di Mordred si modificò ancora, e c’era Arthur al centro della sala del trono, che declamava a gran voce: ‘Nomino mio successore alla guida del nostro Paese, Morgana Rogers!’ Morgana si fece avanti e prese la mano di Arthur sorridendo, e Morgause, nella penombra di un angolo della sala, guardava la scena con soddisfazione.


L’ultima cosa che Mordred vide fu Arthur, sdraiato in un letto in una pozza di sangue, e Morgause con un coltello in mano.... la visione svanì.


Mordred aprì gli occhi, sbarrandoli esterrefatto per l’orrore di quello che la visione di Morgause gli aveva mostrato. Si girò a guardare Morgana e vide che nei suoi occhi c’era una luce terrificante: sorrideva entusiasta per quello che a Mordred faceva venire da vomitare. Non capiva come sua sorella potesse trovare eccitante uno scenario così orribile.

A Mordred quello sguardo ricordò quello che Morgana aveva tanti anni prima, quando lui le disse che Emrys era Merlin: la follia che emanava quell'espressione lo spaventava adesso come lo spaventò allora, e davvero faticava a riconciliare il suo ricordo di Morgana dolce, compassionevole e gentile, con la persona che aveva davanti adesso. E ricordò che Morgana aveva incontrato Morgause dopo aver conosciuto lui, e sempre più si convinse che quella megera avesse a che fare con il cambiamento di sua sorella. Non sapeva ancora cosa le avesse fatto, ma si giurò che lo avrebbe scoperto. Lo doveva a Morgana, lo doveva alla persona che gli aveva salvato la vita quando era ancora un bambino piccolo e solo, spaventato dai suoi poteri e da quello che riusciva a fare.


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Arthur era esausto.

Benché non avessero fatto nulla di particolare quel giorno, erano state ore emotivamente molto faticose: dover spiegare a tutti quello che gli era successo, doversi giustificare con loro e vedere nei loro occhi il sospetto che stesse mentendo, sebbene per poco tempo, lo aveva davvero sfinito. E poi Merlin... La sua presenza era rassicurante, e la sua vicinanza lo calmava, ma bastava un suo casuale tocco, uno sfioramento, una carezza... E il suo cervello andava a fuoco, così come il suo corpo.

Il ricordo della notte precedente era rimasto per tutto il giorno con lui: aver assaporato per la prima volta il suo corpo, ed essersi unito con lui fino a sentire la sua anima traboccare nella propria, lo aveva cambiato molto. Era come se fossero stati destinati da sempre a diventare finalmente una cosa sola, ed aveva la sensazione che non ne avrebbe mai avuto abbastanza.  

Il fatto che Merlin lo avesse provocato così sfacciatamente quella mattina, e che gli avesse dimostrato il suo potere, lo aveva eccitato in un modo incredibile, e per tutto il giorno era rimasto teso come una corda di violino, in attesa che il suo stregone mantenesse la promessa di farlo impazzire quella sera. Ed ora finalmente era sera.


Si sdraiò stancamente sul suo letto, e quelle coperte candide erano la cosa più bella che avesse visto tutto il giorno. Merlin era rimasto in salone a parlottare con Gaius, e immaginava che ne avrebbe avuto ancora per molto, quindi chiuse gli occhi pensando di rilassarsi un attimo prima che arrivasse Merlin.

La cosa successiva che sentì fu un solletico sull'orecchio destro, che lui cercò di scacciare con un gesto della mano. Dopo qualche secondo il solletico tornò e lui, controvoglia, aprì gli occhi. La sveglia sul suo comodino segnava le 2.03. Aveva dormito più di 3 ore senza nemmeno rendersene conto! Si girò sul fianco opposto e il suo cuore saltò un battito quando vide il viso di Merlin, poggiato sul cuscino accanto a lui che gli sorrideva.

"Ciao." sussurrò Merlin, accarezzandogli la guancia coperta da un accenno di barba bionda.

"Ciao stregone." gli rispose Arthur, avvicinandosi al suo volto e posandogli un delicato bacio sulle labbra. "Da quanto sei qui?" chiese il biondo, a un soffio dal viso del suo uomo.

"Un po'..." rispose il moro, "eri così angelico mentre dormivi, non me la sono sentita di svegliarti. Ah, a proposito... Nel sonno hai pronunciato un paio di volte il mio nome. Spero che stessi facendo dei sogni piacevoli..."

"Onestamente non ricordo, ma sicuramente se c'eri tu erano bei sogni."


Il sorriso luminoso di Merlin lo fece sorridere a sua volta, e in fondo era sempre stato così: non aveva mai sopportato quando il suo amico gli teneva il broncio, o era di malumore... Pensò lucidamente per la prima volta che il suo sorriso era il raggio di sole che gli aveva sempre illuminato le giornate.

Abbassando lo sguardo, si rese conto che Merlin era sotto le coperte con lui (ma quando ci si era messo, sotto alle coperte? E per lo più nudo... Non ricordava di essersi spogliato?), e addosso non aveva nulla. Un fremito gli percorse la schiena, e il suo corpo si scaldò istantaneamente: abbassò la testa e annusò profondamente l'odore che emanava dal suo amante, poggiandogli le labbra nell'incavo fra il collo e la spalla. Lo baciò in quel punto a bocca aperta, la sua lingua che andò a cercare la pulsazione del suo cuore sotto la pelle. Merlin emise un sospiro tremolante, e disse: "Spero non ti dispiaccia, quando sono venuto in camera dormivi tutto vestito buttato sul letto, e io mi sono preso la libertá di liberarti degli abiti e coprirti."

Arthur continuò a depositare lievi baci sul suo collo, come a rispondere che no, non gli dispiaceva affatto, e ogni tanto sporgeva la lingua per lasciare tracce umide sulla pelle calda di Merlin. Le mani del moro si infilarono sotto la coperta, e Arthur sentì la punta delle sue dita sfiorargli la schiena in una carezza piena di reverenza.


Merlin parlò di nuovo, con un filo di voce: "Mi sei mancato."

"Anche tu... E starti vicino tutto il giorno non ha aiutato. Non ho fatto altro che pensare a te, tutto il giorno, ed evidentemente anche mentre dormivo. Ripeto che non so cosa mi hai fatto, ma mi hai davvero rapito il cuore e l'anima."

Merlin lo guardò con quei suoi occhi lucenti e azzurri, con uno sguardo pieno d'amore, come a dirgli che per lui era lo stesso, che le loro anime ormai esistevano solo quando erano unite.

Poi però ridacchiò con un'espressione dolce, e rispose: "In questo momento, riesco a pensare solo al tuo corpo... E per tutta la giornata non ho pensato ad altro. Se avessi potuto, ti avrei tenuto chiuso in questa stanza per ore, senza lasciarti modo di scapparmi."

"E chi ti dice che avrei voluto scappare?" Arthur sollevò una gamba, abbracciando con essa il corpo di Merlin, che accompagnò quel movimento con una mano. Le sue dita seguirono il profilo del bacino di Arthur, la sua natica muscolosa che si tendeva, e poi la sua coscia calda che salì fino a circondare il suo bacino. Il tallone del piede di Arthur si puntò dietro alla coscia del moro, e lo avvicinò a sé, facendo finire a contatto i loro corpi.

Entrambi rabbrividirono, e Arthur non poté pensare ad altro che ad avventarsi sulle labbra di Merlin con foga affamata. In un attimo il mago socchiuse le labbra carnose, e lasciò libero accesso alla lingua del suo amante, che si fece strada prepotentemente nella sua bocca.


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Un sospiro gonfiò il petto del mago, che sorrise quando sentì il modo tutto particolare in cui Arthur sussurrò il suo nome: "Mi farai impazzire, Merlin..."

Questi prese la palla al balzo, e non se lo fece dire due volte: sul viso del moro si disegnò un sorriso sornione, e rispose, sempre con un filo di voce "Vuoi davvero che ti faccia impazzire? Lascia fare a me, Sire..."

Arthur sorrise all'uso dell'antico soprannome, e fece per mettersi a cavalcioni di Merlin, quando il moro disse, con finta aria seccata: "Eh no, stasera conduco io il gioco... Te lo avevo promesso, no?"

Con un unico movimento fluido, lo stregone afferrò le spalle del suo Re e lo spinse sul materasso, sedendoglisi in grembo.

Lo sguardo di Arthur si fece scuro dall'eccitazione, e Merlin lo trovò bellissimo così, a bocca socchiusa, ansimante e leggermente rosso in viso. Con una mano scansò le coperte che ancora coprivano in parte i loro corpi, e posò poi le dita nel punto in cui i loro bacini erano a contatto, la loro eccitazione già evidente nei loro corpi. Con il palmo piatto completamente poggiato sulla pelle calda del suo amante, accarezzò languidamente i muscoli della pancia di Arthur, salendo poi fino al suo petto, finendo sul suo collo, circondandoglielo in un gesto a metà fra il dolce e il possessivo.


Arthur fremeva sotto il tocco caldo di Merlin, e lo fissava senza parlare; il moro ricambiò lo sguardo intenso, e gli disse: “Ti fidi di me, Arthur?”

Al che il Re del passato e del futuro rispose: “Sempre, mio Merlin.”

Il mago allora spostò la mano dal suo collo, ed afferrò le sue mani, intrecciando le loro dita. Sollevò le braccia di Arthur, chinandosi a dargli un bacio sguaiato, a bocca aperta, fatto di lingue che si rincorrevano e saliva, dopodiché, con le labbra ancora poggiate a quelle del suo amante, sussurrò un incantesimo e corde magiche, d’oro come i suoi occhi, circondarono i polsi di Arthur.

A differenza della mattina precedente, questa volta il biondo se lo aspettava, quindi non fece altro che chiudere gli occhi ed abbandonarsi nelle mani del mago.

A Merlin sembrava incredibile che il Re, abituato a dare comandi e direttive, sotto al suo tocco e al suo sguardo diventasse così malleabile, e questo lo eccitava moltissimo. Il respiro di Arthur era già accelerato, e Merlin iniziò a ricoprire di baci e morsi leggeri tutto il suo petto, scendendo lentamente, senza mai smettere di sfiorarlo lascivamente con i polpastrelli.

Arthur era ancora ad occhi chiusi, e la sua espressione sconvolta e rapita, perso com'era nelle sensazioni, era una delle cose più meravigliose che avesse mai visto.


L’audace discesa di Merlin continuò, fino a raggiungere l’inguine di Arthur, su cui poggiò le labbra, strappando ad Arthur un sussulto muto - era evidente che faceva fatica a non lottare contro i legacci che gli bloccavano le mani.

Merlin sfiorò con la lingua l’incavo fra la coscia e l’inguine del suo amante, soffiando poi sullo stesso punto. Arthur rabbrividì ed emise qualcosa di simile alla fusione fra un grugnito e il suo nome... Il moro sorrise soddisfatto, era ipnotico sapere di avere quell’effetto su di lui, ed era ben deciso a sfruttare la situazione appieno.

A pochi centimetri dal centro dell’eccitazione di Arthur, Merlin alzò lo sguardo come a voler richiamare l’attenzione del suo Re, a volergli dire GUARDAMI! e lui, comandato da quel primordiale potere che li univa, spalancò gli occhi sul suo mago: Merlin si perse per un istante nell’azzurro profondo del suo sguardo, che circondava il nero delle pupille esageratamente dilatate.


La sua lingua iniziò quindi un'esplorazione della parte più intima del suo amante, e Merlin non riuscì a sopprimere un gemito mentre, occhi negli occhi con Arthur, schiudeva le labbra finalmente per accoglierlo dentro il calore della sua bocca.


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Il Re, ormai spogliato di qualsiasi residuo di orgoglio e altezzosità, si sciolse travolto dalla sensazione della bocca di Merlin attorno a sé... Quello che gli stava facendo probabilmente era illegale, pensò, e non sapeva come avrebbe fatto a non impazzire mentre il suo amante continuava a guardarlo fisso negli occhi, con quell'espressione deliziosamente sfrontata in volto.

La mente di Arthur iniziava ad annebbiarsi, eccitato oltremodo dal fatto di essere legato e quindi completamente sottomesso alle azioni del suo amante. Un brivido lo scosse quando la bocca di Merlin risalì lentamente, fino a che il freddo dell'aria a contatto con la sua pelle bollente colpì come un pugno nello stomaco il biondo. Sempre guardandolo negli occhi, grugnì nervoso il suo nome, incoraggiandolo a non fermarsi, a continuare quello che stava facendo. Ma Merlin gli rispose sfacciatamente: "Lascia fare a me... Non avrai di che lamentarti..."

Arthur si arrese allora, e gettò la testa all'indietro sui cuscini per cercare di scaricare la tensione che lo stava devastando.

Merlin si alzò, allontanandosi di un poco da lui, e il Re sentì la sua mancanza immediatamente. Dopo poco sentì di nuovo il letto abbassarsi sotto il peso del corpo del moro, e le sue mani roventi che lentamente gli divaricavano le gambe, per poi sollevargliele. Arthur puntò i piedi sul materasso e attese, rabbrividendo di piacere al pensiero di quello che Merlin stava per fargli.


Le mani dello stregone tornarono a posarsi sul suo corpo, accarezzandogli i muscoli torniti delle cosce e scendendo fino al centro delle sue natiche; il solo tocco delle sue mani in quel punto del suo corpo lo stava facendo impazzire.

E se pensava di aver sentito tutto, nella vita, Arthur si rese conto che si sbagliava... quando Merlin si unì finalmente a lui, il biondo Re perse completamente la ragione: tutto era Merlin, Merlin e solo Merlin.

La sensazione della vicinanza della sua pelle, sentirsi una persona sola uniti nel piacere dell’amplesso, il suo sguardo adorante che gli accarezzava l’anima erano quasi troppo, troppo. E Merlin era il cielo ed il mare, la terra ed il fuoco: in quel giovane dagli occhi antichi si concentravano tutte le forze della natura, e adesso erano tutte lì per lui, al suo servizio, a sollevarlo e portarlo in una dimensione che era solo loro, dove si persero completamente, fin quando i loro corpi all’unisono esplosero in un caleidoscopio di piacere che li devastò fino alla più remota fibra del loro essere.


Ed Arthur giacque lì, ormai libero dai legacci magici che lo avevano inchiodato al letto e che avevano amplificato le sue sensazioni, e tenne Merlin abbracciato, entrambi svegli, fino alle prime luci dell’alba, appagati e sconvolti dalla potenza del legame che li univa.


Un’unione di anime, si ripeteva Arthur mentre accarezzava i capelli di Merlin, dandogli delicati baci sulla fronte. Le nostre anime si sono ritrovate. Ora siamo finalmente completi.


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