Eccoci al primo finale, quello negativo, come si capisce dal titolo.
Per prevenire eventuali critiche, faccio una piccola premessa. È esagerato, lo so benissimo. Esagerato, ma non inverosimile (ci sono ragazzi che arrivano a suicidarsi per molto meno) perché il bullismo psicologico è quello del peggior tipo e ve lo dice chi lo ha provato e chi lo vede esercitare ogni giorno su di una persona che non lo merita assolutamente.
In poche parole, riconosco che quello che ho descritto è un caso limite, ma non ho voluto cambiarlo, perché è semplicemente simbolico.
Spero vi piaccia, anche se lascia un po’ tanto amaro in bocca.
Il prossimo finale sarà più allegro!!
Un bacio a tutti,
Temperance
Ringraziamenti:
Barbycam: Garazie mille, da me e Alessandro. Sì, lui sta un po’ meglio, fortunatamente….e ha detto che a farlostar meglio è stato questo finale qui…bah, vallo a capire! Al prossimo commento! Un bacio
Romanticgirl: e pensa che Claire esiste davvero! Non la sopporto…..però mi serviva!
LaTerrestreCrazyForVegeta: Grazie mille per tutti i complimenti! Oggi ero carica,
poi, perché nell’ultimo tema ho preso 10 e mi sono
messa a scrivere a raffica…non ho nemmeno riletto questo pezzo! Per quanto
riguarda la storia…beh, il primo finale non ti piacerà molto se sei per l’happy ending! Il secondo già di
più….
NewGirl: Ciao! Sì, mi hai già recensitoqualcosa…non
ricordo se “sipario” o “una canzone per te” o entrambe XD. Comunque ri-grazie per il
benvenuto!
Vivy93: Beh….Claire è fatta per essere odiata… e sono contenta di essere
riuscita a renderla così spregevole! Ryan si
ricrederà oppure no? Chissà chissà… Grazie mille per
tutti i complimenti, sono felice che il mio stile piaccia: in questi racconti
ci metto sempre tutto quello che posso!
L’amaro
Ryan stava in piedi sul tetto di Palazzo Evans, il grande residence che i
suoi genitori possedevano in centro ad Albuquerque.
Gli era sempre piaciuto quel posto e amava andare a riflettere o,
semplicemente, a riposare seduto ai margini del giardino che si estendeva sopra
alla costruzione.
Era irreale vedere la
città sotto di lui, le automobili ridotte a minuscole luci lanciate in una
corsa folle e, spesso, insensata sul lungo nastro d’asfalto nero.
Quando era lì, dimenticava tutto. I suoi problemi,
i suoi affetti, i pensieri belli e quelli brutti
sparivano, scacciati da un dolce e straordinario senso di pace, che lo
avvolgeva nel suo mantello come il più dolce e passionale degli amanti.
Se Ryan Evans avesse dovuto scegliere un posto per morire, di certo
sarebbe stato quello.
“Il carrozzone riprende la via
Facce truccate di malinconia
Tempo per piangere
No, non ce n’è
Tutto continua anche senza di te.”
(Renato Zero,
Il carrozzone)
Con le lacrime agli occhi, Gabriella posò la lettera che aveva scritto per lui sulla pietra grigia.
Aveva impiegato tutta la notte a scrivere quell’inutile pezzo di carta, ci aveva messo il cuore e l’anima e ora… ora lui non l’avrebbe mai più letta.
Non avrebbe più letto nulla, a dire il vero, così come non avrebbe mai più ascoltato una canzone, né sfiorato i tasti di un pianoforte con quella delicatezza solo sua, che lo faceva apparire così simile ad un angelo.
Il sottile foglio bianco andò a depositarsi su una piccola montagna di fiori e piccoli oggetti che tutti gli alunni dell’East High avevano portato per porgere l’ultimo saluto ad un ragazzo semplice e speciale allo stesso tempo che li aveva lasciati per sempre.
Silenziosamente, Gabriella si chiese come era possibile che delle semplici parole, per quanto terribili, potessero avere un potere tale da far arrivare una persona al punto di togliersi la vita.
Aduna persona come Ryan….
Lentamente, la ragazza si inginocchiò davanti alla lapide e con il pollice accarezzò il contorno della foto di ceramica dalla quale Ryan le sorrideva, distante e vicino allo stesso tempo.
Un peso enorme le gravava sul cuore. Il peso di una colpa che non aveva ma che sentiva più forte e più sua che mai: quella di non essere andato a cercarlo, quella notte maledetta.
Lo aveva amato davvero, non per il semplice capriccio di voler fuggire da una storia che le stava stretta.
Lo aveva amato più di Troy, più di chiunque altro e se avesse saputo cosa aveva in mente di fare mai e poi mai lo avrebbe lasciato andare.
E invece lui era rimasto solo e questo era il risultato.
“Stupido.” Sussurrò, rivolta alla lapide. “Non mi hai nemmeno salutata…..”
Sapeva di essere patetica.
Sapeva che non era per fare un dispetto a lei che Ryan si era buttato da quel tetto ma per il suo carattere fin troppo sensibile che non era stato capace di tollerare oltre insulti privi di fondamento.
Aveva sbagliato, questo sì, ma Gabriella non riusciva a dargli la colpa di quel gesto stupido e avventato che aveva portato via molto a tanti ma, soprattutto, a lui stesso.
“Mi mancherai.” Disse ancora la ragazza, posando un bacio sulle proprie dita per poi sfiorare lievemente la fotografia. “Mancherai a tutti noi.”
Gabriella si alzò in piedi e si allontanò, senza più guardarsi indietro.
Erano stati giorni di sofferenza, quelli appena passati. Giorni in cui le era sembrato che tutto il mondo pesasse sulle sue spalle ma stare a piangere in un cimitero non era di certo il modo migliore per far guarire quella profonda ferita che la scomparsa di Ryan aveva lasciato nel suo cuore.
Tutto ciò che poteva fare, che tutti potevano fare era ricordare quel meraviglioso ragazzo che per troppo poco tempo era stato il suo personale angelo.
“Remember me when you’re out
walking
When snow falls high outside your
door
Late at night when you’re not sleeping
And moonlight falls across your
floor…”
(Tim McGraw, Please remember me)
Non appena Gabriella sparì oltre il cancello del camposanto, un paio di piedi leggeri e veloci si avvicinarono al luogo dove prima si trovava la mora.
Claire era rimasta fino ad allora nascosta, lontana da lì. Non voleva che Gabriella la vedesse.
Non voleva essere vista da nessuno così, con le lacrime che le sbavavano il trucco, a piangere sulla tomba di un ragazzo che era morto solo ed esclusivamente per colpa sua, per la sua stupida, stupida mania di essere sempre al centro dell’attenzione, sempre la più bella, sempre la migliore.
Beh, essere la migliore non significava necessariamente essere la più umana, no?
Eppure ora quanto avrebbe voluto non aver mai detto quelle parole, anche a costo di risultare un po’ meno brillante, un po’ meno….. un po’ meno lei.
Avrebbe tanto voluto chiedergli scusa, fargli sapere che non era sua intenzione fargli del male…ma come poteva fare, ora, ora che lui non c’era più?
Spostò gli occhiali da sole dagli occhi chiari, evitando di fissarli in quelli di lui, dipinti su quel freddo pezzetto di ceramica e iniziò a parlare.
“Ciao, Ryan….. sorpresa! Non ti aspettavi di vedermi qui, eh? Certo che non te lo aspettavi…praticamente ti ho ucciso io…” La ragazza si passò velocemente una mano sul viso, per poi catturare una ciocca ribelle e riporla al suo posto dietro all’orecchio destro. “Mi sento…mi sento una cretina a stare qui a parlare con una tomba ma ci sono delle cose che ti devo dire, perché così forse riuscirò a sentirmi un po’ più pulita… anche se non credo che questo sia davvero possibile. Però, vedi, Ryan, io non ti odiavo, non volevo che arrivassi a questo… forse ero tra quelli che lo volevano di meno…” Guardandosi intorno per controllare che non arrivasse nessuno, Claire si sporse verso la lapide, come a dover sussurrare un segreto all’orecchio di qualcuno. “Ok, carte in tavola. Tu mi piacevi, Ryan… ero innamorata di te ma non potevo ammetterlo…così ti trattavo male, forse sperando di convincermi che ti consideravo davvero uno sfigato…..che non morivo ogni volta che dicevo qualcosa di cattivo nei tuoi confronti…che tutti i tuoi tentativi per fare colpo su di me mi facevano dannatamente piacere. Non potevo ammetterlo, capisci, Ryan? La mia immagine, tutto ciò che ero sarebbe scomparso nel nulla se avessi ammesso di essermi presa una sbandata per uno come te. Gabriella ti meritava senz’altro di più…..e tu non meritavi di certo una fine come questa…Non volevo che finisse così…non volevo….” I singhiozzi iniziarono a scuotere il suo corpo magro, impedendo alla giovane di continuare a parlare.
Si sentiva terribilmente in colpa per ciò che era successo e, tornando indietro, di certo non avrebbe più rifatto tutto ciò che aveva portato fin lì.
Peccato che tornare indietro fosse impossibile.