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Autore: Horrorealumna    02/06/2013    1 recensioni
C’è un posto abbandonato e dimenticato nel profondo del cuore di ogni essere umano, dove la realtà e la finzione sono un’unica cosa, dove la verità e la bugia non hanno alcun valore e la paura del silenzio non esiste, così come quella della morte.
E io ne ero completamente a conoscenza.
Il resto del mio cuore era accanto ad una bambina sui sette anni, dai capelli corti e neri, in una città lontana, chiamata Silent Hill.
Genere: Horror, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Mason
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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La Notte In Cui L'Eternità Ebbe Inzio

Avrei voluto tanto risparmiarmi tutto quello.
Lo scontro, le mie paure, l’Incubo... l’intera città, Silent Hill...
Ma se l’avessi davvero fatto, se avessi mollato tutto e fossi anche sopravvissuto, probabilmente, sarei rimasto  intrappolato in questa dimensione oscura per l’eternità. Nessuno mi avrebbe portato via; dovevo provvedere io a far terminare quell’inferno, con le mie forze.
 
Scaricai velocemente la prima cartuccia contro Samael che ancora si librava nell’aria, sopra di me, immobile e col muso rivolto verso di me. Colpii la testa, poi il petto e infine le gigantesche ali; sembrava però immune ai proiettili e anche quando lo beccai precisamente in fronte rimase impassibile e letale come sempre, senza nemmeno emettere un gemito o scomporsi. Notai che quel mostro non sanguinava.
Infilai la mano sinistra in tasca, in cerca di altre munizioni, quando sentii i piedi sollevarsi da terra e il mio corpo colpire il pavimento subito dopo: Incubus aveva sbattuto le ali con tanta forza e velocità da farmi cadere sulla ruggine sotto di me.
L’abominio alzò le braccia al cielo, agitandole con foga, e ruggì. Un suono animalesco misto ad urla uscì dalle sue fauci spalancate che nascondevano minuscoli ma numerosissimi denti, affilati e appuntiti. Gli occhi rossi più delle fiamme dell’inferno brillarono nell’oscurità, quasi accecandomi, mentre sentii il pavimento tremare e un boato arrivare dal buio e dal niente sopra di me.
E poi... la luce di un lampo mi colpì e una saetta incandescente mi sfiorò il fianco destro.
Fui velocissimo, per fortuna: mi alzai in fretta, inciampando qualche metro più avanti, proprio prima che un’altra saetta colpisse il punto esatto in cui ero caduto e seduto prima. Nella confusione avevo lasciato cadere la pistola a un po’ più in là.
Mi sentivo osservato. Da troppe persone. Persino gli azzurri occhi, spenti ma aperti, della carbonizzata Dahlia Gillespie sembravano vagare nelle tenebre, alla mia ricerca, pronti ad immobilizzarmi al suolo e consegnarmi alla morte. Ma non riguardava solo lei: sentivo mille paia di occhi su di me, su Kaufmann, che si era rannicchiata per terra, come un bambino impaurito, e il mostro volante.
Incubus ruggì, forse per la rabbia di non aver colpito il suo bersaglio, e prese ad agitare le ali, sferzando l’aria.
- Pistola... - sussurrai, aguzzando lo sguardo per terra, in cerca dell’arma, mentre la mano sinistra riprese a  vagare nelle consumate tasche della giacca marrone, sporca di cenere, ruggine, sangue e paura: la bottiglia con liquido rosso, la mappa, qualche foglio inutile... dov’erano le munizioni?!
Era tutto quello che avevo? Avevo consumato tutto?
Mi assalì, come un vortice, un’odiosa sensazione di impotenza. Cosa... ?!
Un boato... un’altra saetta.
Per quanto tempo ancora... ?
 
Lo sentii ringhiarmi contro, non appena ritrovai l’arma inutilizzabile. Sentitosi minacciato, spiegò completamente le ali, il muso rivolto verso di me aperto in uno spaventoso ghigno, e si preparò ad attaccarmi.
Stessa procedura: boato, saetta e balzo.
Mi voleva morto, era certo, ma non capivo: perché il dottor Kaufmann era stato completamente ignorato dal mostro? Che l’abominio l’avesse riconosciuto come suo “amico” e avesse deciso di risparmiarlo? O voleva prima finire me, per poi dedicarsi all’uomo?
In ogni caso, la mia “danza macabra” si sarebbe dovuta presto concludere.
 
Lo sentivo ridere di me. Vedevo la mia amata Cheryl nell’oscurità, prendersi gioco della mia situazione preannunciandomi l’imminente morte.
L’aria divenne improvvisamente pesante; respirai a pieni polmoni, assetato d’aria  e deciso a gustarmi tutti gli ultimi intensi secondi che mi rimanevano.
Harry Mason, l’uomo che morì cercando di salvare sua figlia, Cheryl, dalle spire di una città al confine dell’Inferno.
Sarebbe stato un’ottima storia da raccontare, magari davanti ad un bel falò, vicino al fuoco che consumò lo stesso protagonista, con gli amici, giusto per spaventare gli altri e animare un po’ la serata.
Ripensai, ancora, a tutto quello che mi era successo dal mio risveglio in auto, quando ancora speravo di trovarmi in un incubo, e alle mie peripezie. Pensai ai mostri e al terrore che mi suscitavano, a Dahlia che mi manipolò per i suoi interessi, a Lisa Garland, la dolce infermiera in rosso, che non sapeva di essere morta... a Cheryl, la bambina sonnambula che io e Jodie trovammo sul ciglio della strada sette anni fa, metà nascosta di Alessa Gillespie, una bambina maltrattata e tenuta nascosta per la realizzazione di un oscuro piano.
Se proprio il mio destino era morire in quel luogo, avrei tanto preferito farlo con l’immagine di mia figlia impressa nella mia mente, così concreta da sembrare persino presente in quel momento, al mio fianco.
 
- Cheryl... - sussurrai, ancora una volta a me stesso, schivando un altro fulmine.
Il mostro, l’Incubo, ancora più frustrato di prima, ruggì esasperato.
Poi, improvvisamente, si fermò, alzò il muso e ululò... di dolore.
Scintille dorate ricoprivano coprivano il petto da donna e la colonna vertebrale scoperta; le ali, fino a quel momento completamente aperte, si piegarono su loro stesse, portando l’immonda creatura più vicina al suolo.
Ruggì ancora, ma questa volta, insieme al suono animalesco e terribile, dalle fauci dentate, venne fuori anche un urlo da bambina. Gli occhi scarlatti si spalancarono, quasi sorpresi, mentre Incubus allungò le zampe anteriori fino alla testa, strofinandosi il viso, infuriato.
Qualunque cosa stesse succedendo, la creatura sembrava essere in difficoltà. E non avevo la più pallida idea di cosa fare.
L’ululato era così forte da farmi tramare le ginocchia, ma lo strillo femminile era ancora più orribile da ascoltare; poi, per quanto Incubus ci provasse, lanciandomi occhiatacce di fuoco, desiderandomi morto, non era più capace di evocare i fulmini.
La nostra lotta si poteva definire conclusa. Ora era nel bel mezzo di una battaglia intestina, e sentivo che stava cercando di vincere Alessa, l’Incubatrice, Cheryl... o chiunque sia...
Alla fine, dopo un’eternità, il vincitore ebbe la meglio.
O meglio, la vincitrice.
Il mostro strillò un’ultima straziante volta, perdendo il controllo, agitandosi come in preda a mille dolorose convulsioni. Le ali si immobilizzarono e il pesante corpo demoniaco precipitò, incapace di volare, davanti a me, causando un terremoto. Il colpo fu così potente che mi ritrovai a terra.
La caduta di Samael fu accompagnata dalle urla della ragazza e dalla stessa luce accecante che l’Incubatrice emanava prima dell’”esorcismo” di Kaufmann.
Vidi per l’ultima volta brillare quegli spaventosi occhi rossi, vicinissimi ai miei, e sentii l’alito bollente del mostro; cercò di afferrarmi, di prendermi a divorarmi... ma era troppo debole. Era confuso, malandato... per l’abuso dei suoi stessi poteri.
Sentii il dottor Kaufmann, dietro di me, gridare qualcosa, ma non ci feci molto caso.
La luce che Samael sembrava irradiare lo avvolse completamente, nascondendolo alla vista, lasciando dietro di sé solo il spaventoso ruggito.
Mi misi in piedi, dolorante e confuso.
Era la fine?
Ero vivo?
Era un sogno?
L’inferno e il paradiso non erano mai stati così vicini, l’uno all’altro, e mai così infinitamente lontani dall’uomo che aveva provocato l’uccisione dell’Incubo. Svuotato di tutto, privato di tutto e del tesoro più grande, Cheryl: ecco come mi sentivo. Come se mi fossi ancora svegliato nella mia macchina, alle porte della città di Silent Hill.
Ma quello poteva essere l’inizio di qualcosa, magari qualcosa di nuovo.
In ogni caso, non potevo saperlo e neppure immaginarlo quando, dalla luce paradisiaca, brillante e splendente davanti a me, si ricompose la fragile figura dell’Incubatrice.
Mi feci indietro, intimorito.
Era esattamente come appariva prima: bella, luminosa, letale e con la pancia rigonfia. Stranita, ora, intimorita e tremante, giaceva supina. Respirava pesantemente e si muoveva lentamente nel vestito bianco, sporco di Aglophotis e suo stesso sangue. Messasi lentamente a sedere, cominciò a guardarsi intorno.
Io continuai ad allontanarmi in silenzio, ma il lungo e doloroso sospiro dell’Incubatrice mi costrinse a fermarmi; la ragazzina avevo adocchiato il cadavere di sua madre, Dahlia, morta carbonizzata dal suo stesso fulmine. Lo contemplava con dolore, col respiro che si faceva sempre più veloce, corto e rumoroso. Arrivò ad ansimare e quasi mi venne un tuffo al cuore quando, dopo un gemito di dolore, cadde violentemente a terra, proprio dov’era stesa prima, con le mani al petto, quasi incapace di respirare.
“Vai Harry” pensai, muovendo passi incerti “E’ debole,  cosa potrebbe mai farti”.
E in effetti, una volta al suo fianco, lei mi sembrò tutto tranne che pericolosa. Aveva le pallide guance bagnate di lacrime e gli occhi le erano tornati dell’azzurro di sempre. Era tornata Alessa.
- Papà - sussurrò dolcemente quando riuscì a vedermi.
Era Cheryl.
Era Alessa.
Era mia figlia.
Allungò la mano verso di me, a toccarmi, ma fu un tentativo vano: debole e stanca, la mano le ricadde sulla grata con un tonfo. Allora, fui io a piegarmi accanto a lei. Non mi importava se la luce mi accecava. Stare insieme a lei era stare insieme alla mia cara figlioletta.
L’avevo perduta, ma era là.
Le presi delicatamente la mano, incredibilmente fredda al tatto, e la strofinai lentamente. Mi ringraziò sorridendomi e sussurrandomi:
- Papà... scusa... è... colpa mia... tutta...
Provavo pietà per Alessa: persino in quel momento, riusciva a prendersi su le colpe di un rapimento, del tentativo di nascondere la metà perduta della sua anima da sua madre. Per salvarsi aveva dovuto rovinare la mia vita. Forse non glielo avrei mai perdonato, ma in quel momento non potevo pensarci: stava morendo. Era stata lasciata sola per tutta la vita, senza affetto o un sorriso, e non potevo sopportare di vederla ancora ignorata nella morte. Aveva solo quattordici anni!
Inconsapevolmente l’avevo cresciuta, l’avevo amata, era figlia mia.
Sembrò ancora capace di leggermi nella mente in quel momento, perché mi sorrise di nuovo e mormorò, guardandomi negli occhi:
- Non chiedo il tuo perdono... sono stata orribile... solo... non dimenticarmi... per Cheryl... Papà...
Le sussurrai di stare in silenzio: per quanto parlasse a bassa voce, nell’oscurità di quel posto, le sue parole sembravano urlate; ma non si rassegnò: probabilmente non voleva andarsene sapendo di non essere stata ancora perdonata.
- Giuro - promise con la voce sempre più flebile - che ti farò felice, Papà. Per la bambina... che ti... ho... portato via... prometto...
Sorrise ancora, prima che la stessa luce bianca di cui brillava e che aveva portato via Samael in precedenza la nascondesse alla vista; tenevo ancora stretta la mano bianca, non più debole e inanimata come prima. Mi teneva stretto a lei.
“Giuro che ti farò felice”, poi? Cosa intendeva dire?
Chiusi gli occhi fino a quando la luce abbagliante cominciò ad affievolirsi. E quando ritornai a vedere, per poco, non persi i sensi: Alessa, abbandonata dall’aurea luminosa, si era messa a sedere e nella mano libera reggeva un neonato, una femminuccia. La poggiò delicatamente sulle gambe, distrutta, e, strappato un lembo della sua veste bianca, coprì il delicato corpicino della bambina. La guardò, con occhi dolci e lacrimosi per qualche secondo, per poi tornare a guardare me.
Le sue intenzioni erano chiare: lasciata la mia mano, riprese la neonata tra le braccia e dopo averle sussurrato qualcosa, la tese verso i me, con sguardo supplicante. Voleva che la prendessi.
Ero un tantino riluttante, ma alla fine l’accontentai.
 
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Il piccolissimo corpo della bambina era immobile, freddo e pallidissimo, ma irradiava la stessa luminescenza dell’Incubatrice . Gli occhi erano chiusi e non sembrava dare segni di vita. Era... morta? Non sembrava addormentata.
Alessa, intanto, prese a sfilarsi dal collo un medaglione dalla forma rotonda, in grado di essere aperto. Poi, mi disse di darle la bottiglia dal liquido rosso, che ancora portavo nella tasca; la poltiglia rossa fu versata all’interno del ciondolo e, il tutto, venne messo al collo della neonata.
- Scappate... - mi sussurrò sfinita.
Ero shockato. Cosa stava succedendo?
La quattordicenne alzò la mano tremante al cielo e, col suo gesto, sembrò richiamare una stella: era come trovarsi in un tunnel e riuscire a scorgere l’uscita. Ma qualcosa sembrava essere andato storto: dal cielo pioveva fuoco. Fuoco...
- Ti proteggo io, Papà... - ansimò - Vai... vai!
 
Mi misi in piedi, col fagottino tra le braccia, e mi voltai di scatto. Micheal Kaufmann aveva assistito a tutta la scena e guardava la neonata allo stesso modo in cui un bambino guarda sognante la vetrina di un negozio di dolciumi. Tese le mani verso di me, proponendomi di tenere la piccola... quando un paio di mani insanguinate lo presero per le spalle e lo trascinarono indietro.
I capelli biondi e sporchi, gli occhi azzurri, il viso sporco di sangue e la cuffietta da infermiera...
Lisa, l’infermiera, era dietro di lui, con lo sguardo da pazza e un orribile sorriso stampato sul viso. Sembrava essere uscita fuori da un buco del pavimento, mentre ora, si muoveva, snodata e veloce, verso il dottore.
Era quello che quel pazzo si meritava. L’aveva uccisa, le sue droghe avevano fatto il resto.
Lo vidi cadere insieme all’apprendista infermiera nell’Inferno, dalla crepa della grata, nel buio eterno.
 
- Addio...
Alessa continuava a sussurrarmi quella parola, con una dolcezza unica. Era finita per lei e lo sapeva: guardava il cadavere di sua madre e me, senza interrompere il silenzioso pianto e il lamento.
Sentivo che stava morendo per salvarmi.
Il fuoco che veniva giù dal cielo sembrava evitarmi e quella luce lontana si faceva sempre più vicina.
L’ultima visione che ebbi di Alessa Gillespie, fu quella della sua mano tesa verso la bambina e me, e del suo debole corpo. La vidi cadere, vidi i suoi occhi spegnersi e le lacrime cadere.
Poi spirò.
E tornai a dirigermi verso la salvezza, prima che quella “stella” sparisse. La neonata stretta al petto, con medaglione che ciondolava di qua e di là, e il fiatone...
Poi cadde cenere sopra di noi.
Mi ritrovai per le strade nebbiose della città; rividi Dahlia ridere di me:
- E’ perduta! Non esiste più!
Scorsi la povera Lisa piangere lacrime scarlatte:
- Avevi promesso! Mi avevi promesso che saresti venuto a prendermi, per portarmi via con te! - urlò.
E Cybil correre dietro di me, un fantasma:
- Harry! Harry! Dove credi di andare! Da qui non si esce!
Sentii crescere la paura.
- Sopravvivrò - urlai.
Mille mostri, cani sanguinanti e bambini deformi sembravano avermi preparato la via d’uscita. Mi lasciavano passare, ma solo per la bambina che tenevo con me. Mi ringhiavano contro, mi guardavano avanzare, ma non muovevano un muscolo: le infermiere erano immobili come fredde statue, i bimbi grigi piagnucolavano e tendevano le manine verso il fagottino, i cani senza pelle ululavano al cielo bianco, i mostri simili a grandi scimmie parevano quasi chinare il capo e cantare una strana canzone...
Corsi velocissimo e chiusi gli occhi appena vidi il cartello “ STATE LASCIANDO SILENT HILL “.
“Fa che sia così” pensai "Dio, fa che sia vero" ...
 
E...
L’aria gelida mi investì come un treno in corsa.
Aprii piano le palpebre: una strada dissestata, la mia macchina distrutta contro la collina, il sedile di Cheryl vuoto, alberi verdi...
Stringevo una bambina tra le braccia, una neonata che pareva morta.
- Non ci credo - sussurrai. A qualche metro da me scorsi una moto della polizia della città vicina, Brahams.
Ero fuori.
Alzai lo sguardo.
Una pallidissima luna piena, bianca come gli stracci che avvolgevano la neonata, sembrava osservarmi. La pazzia di un uomo, appena tornato dall’Inferno.
Avevo paura.
Cheryl...
- E’ persa... - sussurrai.
Persa.
Mossi qualche passo in avanti: dovevo tornare a casa.
Ma come?
- Persa... E’ persa! - gridai alla luna.
 
E quando arrivò l’alba, arrivò la vita.

ANGOLO AUTRICE:
Il bello è fatto, vero? Altri due capitolo e saluteremo Harry.
:) Tutte le cose hanno una fine, giusto? XD Cooomunque, grazie ancora a tutti quelli che mi seguono e recensiscono. Siete grandi ragazzi :') 
Nella puntata scopriremo di più su questa "bambina immobile".
Capitolo scritto ascoltanto "Hometown" di Joe Romersa a go-go, la song di Harry U__U. E la consiglio caldamente. Racchiude il succo dell'intera vicenda, ecco.
Alla prossima! Besosss :D


 

 
 
 
 
   
 
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