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Autore: risakoizumi    02/06/2013    2 recensioni
La mia breve vita è stata un susseguirsi di momenti di gioia e infelicità.
La sofferenza è quella che ricordo meglio e che è stata al centro delle mie giornate per lungo tempo.
Una volta ero soltanto l’ex ragazza di Sam dal cuore spezzato e che nessuno sopportava.
Adesso mi sento una persona diversa.
Sono più forte, sento che niente può distruggermi. Sono padrona della mia vita. La triste e collerica ragazza di La Push si è trasformata in una persona nuova.
Osservo il ragazzo che sta in piedi accanto a me. I suoi occhi sembrano sorridermi, come sempre.
"Sei pronta?" mi chiede, prendendomi per mano.
"Sì". Ricambio la sua stretta sicura e familiare.
Il momento è arrivato, ma non ho paura. Santo cielo, sono Leah Clearwater! Dovrebbero essere loro ad avere paura di me!
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leah Clearweater, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Successivo alla saga
Capitoli:
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<< Leah >>.
Per un millesimo di secondo passa davanti ai miei occhi l’immagine del volto di mia madre in lacrime. Riesco ad accantonarla in un angolino della mia mente molto più facilmente rispetto a prima. Ora che sono così lontana da casa è più facile concentrarsi solo su quello che vedo e sento io. Più facile ma non del tutto possibile, purtroppo.
<< Leah >>. Questa voce si insinua prepotentemente nella mia mente.
<< Cosa c’è Seth? >> chiedo esasperata.
<< Non ti stai allontanando troppo? >>.
<< No >>.
<< Mmm >>.
Seth sta cercando di capire a che punto della mia forsennata fuga sono arrivata. Non riesco a spingerlo via dalla mia testa, lui è quello che riesce a entrarci meglio, sicuramente perché è mio fratello ed è l’unico che si è davvero interessato a me da sempre. Il mio fratellino.
<< Smettila con questi pensieri melensi >>.
<< Smettila di frugare nella mia testa >>.
<< Non posso crederci. Sei già vicino a Portland?! >>.
<< Ti ricordo che sono la più veloce >> gli dico, non senza un pizzico di orgoglio.
<< La mamma è molto triste >>.
<< Lo so >>. 
Come potrei non saperlo? Ha pianto così tanto quando sono scesa al piano di sotto con uno zaino in spalla. Credevo che si sarebbe infuriata e che avrebbe urlato. E invece no. Mi ha stupito.
<< Sapevo che sarebbe arrivato questo momento >> mi ha rivelato abbracciandomi. Ho ricambiato la sua stretta rassicurante e ho aspirato il suo profumo unico.
<< Come facevi a saperlo? >>.
<< Una madre sa sempre certe cose >> mi ha sussurrato.
Poi si è staccata da me e mi ha accarezzato i capelli. Ha dovuto alzare la testa per guardarmi negli occhi marroni come i suoi.
<< Spero che tu possa trovare quello che cerchi figlia mia. Fai attenzione, ti chiedo solo questo >>.
"Non lo so neanche io cosa sto cercando" avrei voluto confessarle. << Grazie mamma. Non mi accadrà nulla >>.
Ho abbracciato anche Charlie. Ho varcato la soglia di quella casa seguita da Seth e per la prima volta dopo tanto tempo mi sono sentita con il cuore più leggero. Appena ho messo piede nella foresta è arrivato Jacob. Ho lanciato un’occhiataccia a mio fratello perché ho pensato che sicuramente l’avesse avvertito lui.
<< Leah dove credi di andare? >>.
<< Il più lontano possibile da qui, Jake >>.
Anche stavolta mi sono sbagliata: credevo che mi avrebbe fermato o che con il suo potere di alpha mi avrebbe imposto qualche ordine impossibile da ignorare. Per questo avrei voluto sgattaiolare via senza avvisarlo.
<< Buon viaggio allora >> ha detto invece, mettendomi una mano sulla spalla.
Ho sgranato gli occhi. << Grazie >>.
<< Non fare sciocchezze >> ha aggiunto serio.
<< Se permetterai che accada qualcosa alla mia famiglia ti ammazzerò >>.
Jake ha sorriso. << Anche io ti voglio bene, Leah >>.
<< Non vedevi l’ora di liberarti di me, ammettilo >>.
<< Forse >>. Gli ho dato un pugno sul braccio. Jake ha tolto la mano dalla mia spalla ridendo e si è allontanato di qualche passo.
Ho scosso la testa e mi sono voltata verso mio fratello.
<< Occupati della mamma e di Charlie mentre non ci sono >>.
<< Lo farò >>.
Silenzio.
<< Pensi che passerà molto tempo prima che ci rivedremo? >>.
Ho scrollato le spalle fissando il terreno fangoso della foresta.
<< Starò sempre nella tua testa e ti controllerò >>.
Ho sbuffato. << Questa sì che è una bella notizia >> L’ho guardato in quegli occhi così simili ai miei, puri come la sua anima. “Gli occhi sono davvero lo specchio dell’anima” ho pensato in quel momento. Mi ha stretta in un abbraccio. Una lacrima è scesa lungo la sua guancia. << Abbi cura di te, Leah >>. Ho annuito con un nodo alla gola, incapace di parlare. Poi ci siamo separati, ho iniziato a camminare e prima di addentrarmi nella foresta gli ho lanciato un ultimo sguardo.
 
Sono passate solo cinque ore da quando me ne sono andata e, considerando che ho preso la strada più lunga, passando dalle foreste, sono stata davvero rapida. Corro schivando gli alberi come se fosse la cosa più naturale del mondo. Solo un paio di volte mi sono dovuta trasformare in umana. Ho il grosso zaino appeso al dorso. Deve essere una scena comica quella di un grosso lupo che corre con uno zaino. In questo momento tuttavia non ho voglia di comicità. Ho paura che il filo invisibile che mi lega ai miei fratelli lupi non mi permetta di andare dove voglio.
<< Leah ti ho già detto che allontanandoti troppo potresti sentire il desiderio di tornare…. Soprattutto quando sei in forma animale >>.
<< Jake, lo so. Me l’hai ripetuto un sacco di volte >> dico con tono esasperato.
Ricordo benissimo la fuga di Jake. Lui l’ha sentito quello strano desiderio di tornare indietro.
Sarò legata per sempre alla mia famiglia di mutaforma?
<< Dovresti esserne felice. Il tuo alpha è bello e intelligente >>.
<< Sai Jake, mi piacevi molto di più quando i miei pensieri non t’interessavano perché mi trovavi insopportabile >>.
<< Purtroppo fai parte del mio branco e mi sento responsabile di  te. Sei anche il mio beta!  >>.
<< Embry ha avuto una promozione adesso. Ne sarà entusiasta >>. 
Questo mi fa pensare ai  tanti ragazzini che si sono trasformati ultimamente … sono entrati nel branco di Sam però. Sam è più bravo nell’addestrarli per controllarsi. Molti di loro ora stanno per passare nel branco di Jake.
<< Quel posto sarà sempre tuo qualunque cosa accada.  Ti prego non farmi pensare a quei cuccioli… >>. 
<< Mi dispiace Jake, dovrai farli entrare nel branco al più presto. Comunque stai diventando una femminuccia con tutti questi discorsi, è forse colpa del  mostro di loch  ness?>>.
Jake sbuffa. Sta andando proprio da lei. << Non allontanarti troppo >> ribadisce. Poi la sua voce scompare dalla mia testa. E' sicuramente tornato umano. Resta solo Seth.
<< Sto  morendo di fame  >>.
<< Vai a mangiare allora >>
 suggerisco cercando di nascondere l'entusiasmo. 
<< Vado ma non illuderti. Tornerò presto. La mamma chiede in continuazione di te, sono sicuro che non mi lascerà più dormire o mangiare in pace >>.
<< Non allontanarti ancora >>
 aggiunge prima di sparire dalla mia testa. Non mi da neanche il tempo di ribattere. Ma perché tutti vogliono fare le mammine premurose? Accelero il passo per superare Portland. Voglio mettere almeno due stati di distanza tra me e la mia casa … sento ogni cellula del mio corpo ribellarsi. Desidero così tanto allontanarmi da La Push e da Forks che voglio provare sulla mia pelle se il legame dei mutaforma è davvero così forte ... Così, veloce come il vento, oltrepasso Portland. La foresta è molto bella, siamo davvero fortunati ad avere ancora queste vaste aree incontaminate. Una miriade di animali si allontana al mio passaggio: potrei mangiarli, volendo, ma la carne cruda mi disgusta, non riesco a lasciarmi andare completamente agli istinti di lupo, preferisco sempre essere me stessa, anche quando sono un animale. Non posso quasi credere di averlo fatto: ho lasciato la mia casa, ho lasciato la mia famiglia, i miei fratelli mutaforma, il mio branco, Sam! Avevo già pensato altre volte di farlo, ma era stato solo un pensiero. Stavolta invece è stato diverso: il pensiero di lasciare La Push e Forks non si è limitato a stare nei meandri della mia mente, ma si è impossessato di tutto il mio corpo. Non è passato inosservato, ma è diventato un bisogno fisico: la necessità di cambiare vita, di scoprire il mondo al di fuori di Forks, di non dovermi ritrovare a guardare la faccia di Sam e della sua nuova conquista ogni singolo giorno della mia dannata esistenza. Il mio cuore batte veloce, il mio respiro è regolare, nonostante la lunghissima corsa, e sto proprio pensando che mi sento già meglio. Mi sento più viva. In questi ventuno anni della mia vita ho vivacchiato. E’ arrivato il momento di vivere.
<< Leah dove hai intenzione di andare? >>. E’ Embry.
Non rispondo. Al diavolo tutto e tutti. Che vengano a prendermi di persona se vogliono impedirmi di oltrepassare lo stato dell’Oregon. Posso andare dove voglio. Posso. Allungo le zampe al massimo mentre corro, sto raggiungendo la massima velocità consentitami. E’ il crepuscolo, ma i miei occhi sovrannaturali continuano a vederci perfettamente. Ho intenzione di viaggiare tutta la notte, voglio arrivare a Los Angels.
Jake si è ritrasformato. Pensa che abbia esagerato con la distanza della mia meta.
<< Jake! Se non mi sbaglio tu hai fatto il tuo viaggetto fino in Canada per schiarirti le idee dopo che sei stato piantato! >>.
Una fitta di dolore attraversa tutto il mio corpo. Proviene da lui, ho tirato in ballo un argomento delicato. Ahi.
<< Lo so >> ringhia. << Ti sto solo mettendo in guardia: non dimenticare mai che noi siamo fratelli, una squadra, una sola mente. Siamo legati! >>.
<< Jake, ordinale di non allontanarsi troppo! >> interviene Quil.
<< Quil, qualcuno ha ordinato a Jake di tornare indietro quando si è allontanato? Mi sembra di ricordare di no >>.
Quil sospira mentalmente. Sono felice di averlo zittito. Passano altre quattro ore, durante le quali la mia mente è occupata dai membri del mio branco. Li ignoro. Non mi sono fermata neanche una volta a riposare.  Finalmente, dopo aver controllato, mi rendo conto di aver superato San Francisco. Le voci dei miei fratelli mutaforma si sono calmate: sento le loro silenziose presenze nella testa, ma non mi disturbano più di tanto. Passano altre due ore e qualcosa inizia a cambiare. Le presenze nella mia testa si affievoliscono leggermente. Percepisco la tensione da parte dei membri del mio branco.
<< Leah … cosa succede? >> questa è la voce di mio fratello. La sento sì, ma non al cento per cento come prima. Diciamo al novantotto per cento. Sono spaventata e eccitata al tempo stesso. Poi mentre continuo a correre qualcosa inizia a cambiare dentro di me, alla libertà, alla voglia di lasciarsi tutto alle spalle, alla gioia per il futuro subentra un altro bisogno: quello di riunirmi alla mia famiglia di mutaforma. E’ ancora un bisogno debole, ma mi preoccupa. Cosa mi sta succedendo? C'è un filo inossidabile che mi lega a loro e capisco di non poterlo spezzare. Io voglio riunirmi a loro. E’ incredibile: il mio desiderio, quello di allontanarmi, si sta trasformando nel suo opposto, quello di ritornare al posto che mi spetta dalla nascita, accanto ai miei fratelli. Rallento fino a bloccarmi. Guardo da una parte e dall’altra, indecisa sul da farsi. Non sto tanto bene. Provo a procedere per qualche altro chilometro. La cosa va a peggiorare: più mi allontano più dentro di me cresce la sensazione di fare qualcosa di sbagliato e più voglio tornare a La Push dal mio branco. Mi fermo di nuovo e mi guardo intorno spaesata. E’ notte ormai. Credo di essere al lago di Millerton, mi sembra di aver visto qualche cartello poco fa. Il lago si trova proprio alla mia sinistra. Il paesaggio in questa parte della riserva è più roccioso, più selvaggio. Ascolto i rumori della foresta degli animali che la popolano e li invidio, li invidio così tanto che fa male. Il loro unico problema è quello di sopravvivere ogni giorno: non hanno a che fare con le relazioni umane. Non piango, non sono una frignona. Dentro di me si radica una consapevolezza: questa è la mia vita, non posso scegliere io come viverla. Restare con il branco è il mio destino. Mi sposto un po’ più indietro di qualche chilometro, lungo la riva del lago. La presenza del branco nella mia mente si rafforza leggermente: mi stanno osservando. Resto immobile: non avvilita, non arrabbiata, non sconvolta, ma semplicemente rassegnata. I miei fratelli stanno comunicando tra di loro, sollevati per il fallimento del mio piano “fuggi-il-più-lontano-possibile-da-Forks”. La mia sconfitta li allieta. Bene.
<< Leah non siamo allietati dalla tua sconfitta. Quello che sto cercando di dirti è che noi siamo così. Tutto questo è parte di noi e di ciò che siamo >> dice Jake.
<< Adesso è il tuo turno di risparmiarmi il “te l’avevo detto” >> ribatto con tono secco.
Questa sensazione che ho provato … di tornare dalla mia famiglia … la ricordo. L’ha provata anche Jake quando si è spinto troppo lontano. Ora che il pericolo di “allontanamento eccessivo” di un membro del branco è passato, restano solo Jake e Embry. Seth è andato ad avvisare mia madre che non sono riuscita a mettere zampa a Los Angeles. Il desiderio di tornare da loro non vuole passare così come quell’indescrivibile malessere. Decido di assumere la mia forma umana. Nonostante i segnali che mi manda tutto il corpo, con la mente so che in realtà non voglio tornare indietro. << Leah, aspet … >>. 
Troppo tardi, Jake. Sono tornata umana. Quel desiderio irrazionale si placa un po’ fortunatamente. Forse dovrei provare a spingermi più in là in forma umana? Lo farei se non avessi la certezza che nemmeno così potrei allontanarmi dai mutaforma. Ha ragione Jake: io sono un mutaforma, è nel mio sangue, nel mio DNA, neanche quando sono in forma umana in realtà sono un essere umano. Non lo sono più da un po’, ormai. Mi vesto e mi lascio cadere a terra, accanto al lago. Mi sdraio sulla schiena, usando lo zaino come cuscino. Non ho freddo, non ho fame, non sento niente: ho solo voglia di spegnere i miei pensieri per un po’. Chiudo gli occhi.
 
Vedo le prime luci dell’alba quando li riapro. Sembra che sia passato poco tempo, ma in realtà deve essere passata qualche ora. Ricordo solo di aver sognato di nuovo Sam, come sempre. Sento qualcosa vibrare prepotentemente nel mio zaino. Mi metto a sedere, già sveglia e pronta a reagire. Ops, è il cellulare. Lo prendo e rispondo.
<< LEAH! Hai idea di quello che ho passato !? >>. Ecco. E’ mia madre. Così mi tocca sorbirmi i suoi rimproveri, quelli di Jake, di Seth … insomma un po’ di tutta Forks. Poteva essermi accaduto qualcosa, potevo essere morta, eccetera eccetera. Dimenticano sempre che sono immortale e che poche cose riescono a uccidermi.
<< Ora cosa hai intenzione di fare? >> mi chiede Seth. Lui è stato l’ultimo a rimproverarmi.
<< Seth, mi sto per ritrasformare, possiamo mettere fine a questa interminabile conversazione al telefono? >>.
<< Ok >>. Chiudo la chiamata e poso il cellulare. Mi alzo, mi stiracchio, vado verso il lago e mi spruzzo un po’ d’acqua in viso e un po’ la bevo. Apro lo zaino e mangio qualcosa. Sono davvero affamata. Riesco a dare l’ultimo morso al mio panino quando sento di nuovo vibrare. Mi trasformo, alzando gli occhi al cielo e sospirando.
<< Eccomi >>. Insieme alla mia forma lupesca è tornato anche il bisogno irrazionale di ricongiungermi al mio branco. E’ un piccolo tarlo che si trova in un angolo della mia mente ma che è destinato a ingrandirsi nel caso in cui dovessi allontanarmi ancora, ne sono certa.
<< Allora cosa hai intenzione di fare adesso ? >>. E’ sempre Seth.
Ci penso un po’ su. Cosa faccio? Non voglio tornare a casa. Tuttavia non voglio proseguire verso Los Angeles provando sensazioni non mie e che derivano solo dall’istinto. Non mi resta che una scelta. Ripensandoci non è una cosa così tragica, dopotutto sono lontana da casa centinaia di chilometri e ho sempre desiderato visitare quella città.
<< Vado a San Francisco, fratellino >>.
 
Il viaggio per tornare indietro mi sembra più lungo del previsto. Ho avuto la conferma che non posso allontanarmi troppo dal branco senza provare quella strana sensazione di malessere e di vuoto, come se mancasse qualcosa. A metà mattina sono quasi arrivata a Tracy. Le foreste che ho attraversato per arrivare fin qui sono bellissime: immense distese di acqua illuminate dal sole e sulle quali si riflette la rigogliosa natura circostante. Quando mi mancano ormai poche centinaia metri per arrivare a Tracy torno umana, avvisando prima Seth – non vorrei passare tutta la giornata al telefono. Mi vengono fatte non so quante raccomandazioni sul fatto di usare il telefono, e poi finalmente mi lasciano tornare umana. Indosso un paio di jeans, una maglietta blu a maniche corte, e le mie amate scarpe da ginnastica consunte. Metto lo zaino sulla schiena e finalmente lascio alle mie spalle la natura sconfinata per tornare alla civiltà. Decido di fare l’autostop per arrivare a San Francisco: non posso più correre in forma lupesca, qualcuno potrebbe vedermi. Un pick up rosso si ferma immediatamente.
<< Dove devi andare? >> mi chiede un ragazzo carino abbassando il finestrino.
<< San Francisco >>.
<< Sei fortunata, ci sto proprio andando. Sali pure >>.
Apro la portiera e mi siedo sul sedile nero. Nell’abitacolo c’è odore di menta e di sigarette. Il ragazzo mi guarda curioso, poi riparte. Apro di più il finestrino e il vento mi scompiglia i capelli. Dovrei tagliarli, la mia pelliccia sta diventando troppo lunga per i miei gusti.
<< Non sei di queste parti, vero? >>.
<< No >>.
<< Si vede >>.
Sta qualche minuto in silenzio. Poi riprende a parlare. << Non sei una ricercata voglio sperare >>.
Mi giro a guardarlo. Lui sorride. Ha i capelli biondi, gli occhi azzurri ... è il classico tipo belloccio che piace a quasi tutte le ragazze.
<< No, non sono una ricercata >>.
<< Che fortuna ... Sei troppo carina per la prigione >>.
Tu invece mi sembri troppo cretino per provarci con me.
Gli lancio uno sguardo tagliente. Lo ignora e le sue labbra continuano a essere piegate all’insù, con quello che sicuramente è -secondo lui- il suo sorriso da conquistatore. Mi guarda in uno strano modo che forse dovrebbe essere seducente, con un sopracciglio alzato. Oh. Non so se ridere o se incazzarmi.
<< Grazie >>.
Nella radio c’è un’orribile canzone, anzi, mi sembra troppo persino definirla tale, più che altro è “baccano”.
<< Comunque io mi chiamo Peter >>.
<< Bene >>.
<< Tu invece …? >>.
<< Jessica >>. Non te lo dico il mio nome.
<< E’ un nome bellissimo! >> esclama.
Perché tra tutti quelli che avrebbero potuto darmi un passaggio ho dovuto beccare questo cascamorto qui?
Il tizio continua a parlare di argomenti futili e di cui non mi può importare di meno. Faccio finta di ascoltarlo. Basta annuire ogni tanto: ai ragazzi come lui non interessa fare una buona conversazione. Finalmente gli alberi ai lati della strada diventano sempre di meno, le villette a schiera sempre di più, fin quando entriamo nella città. Benvenuti a San Francisco. Un’ora in macchina con questo tizio mi è sembrata un’eternità.
<< Dove ti lascio? Io sto andando al City College >>. Finalmente ha chiesto qualcosa di utile e di sensato.
<< Scenderò lì anche io>>.
Intanto il paesaggio fuori dal finestrino continua a cambiare: ci sono migliaia di casette, tutte simili, circondate da grandi giardini. Alti alberi costeggiano anche le strade urbane. Si intravedono i primi grattaceli e il traffico frenetico di una metropoli. Per fortuna, nonostante il traffico, arriviamo. Il ragazzo ferma la macchina.
<< Quello è il college. Sono arrivato >>.
<< Hai una cartina? >>.
<< Si dovrei averla qui da qualche parte … >>. Peter fruga un po’ nell’abitacolo e poi tira fuori una mappa. Bravo Peter, non sei poi così insulso come pensavo.
<< Grazie >>.
Noto che si è appoggiato col gomito al mio sedile - è decisamente troppo vicino - così apro la portiera e scendo dalla macchina. Peter si affretta a fare lo stesso. Metto di nuovo lo zaino in spalla e apro la cartina tenendola con entrambe le mani.
<< Se vuoi puoi tenerla … >> mi dice girando attorno alla macchina e avvicinandosi a me.
<< Uhm … allora la tengo >>.
<< Wow Jessica, sei alta quanto me! >> esclama sorpreso.
Distolgo gli occhi dalla mappa e lo guardo. Il sole fa sembrare i suoi capelli del colore dell’oro. E’ abbastanza muscoloso, ma so che se volessi potrei stenderlo in un batter d’occhio.
<< Stavo pensando … se hai intenzione di stare per qualche tempo a San Francisco … potremmo vederci … >>.
Sospiro. << Peter – ti chiami così giusto? – ti ringrazio per il passaggio e per questa >> dico, indicando la mappa, << sei stato molto gentile, ma andrò via molto presto >>.
<< Peccato. Sembri così interessante … >>.
<< Sono sicura che qui ci siano molte altre ragazze interessanti >>. E soprattutto alla tua portata, mio caro.
<< Allora ciao. Chissà magari un giorno ci incontreremo di nuovo >> dice fiducioso.
<< Certo … addio Peter >>. Mi giro e inizio a camminare lentamente. Percepisco il suo sguardo sulla schiena per un po’, poi finalmente sento i suoi passi allontanarsi. Osservo la cartina. San Francisco è immensa: soleggiata, rumorosa e con i suoi ottocentomila abitanti … è perfetta per una vacanza. O per una fuga. Ci sono anche dei parchi naturali … bene, potrei dormire lì come lupo. O potrei cercare un motel. Ho i miei risparmi con me, ma sarebbe meglio trovare un lavoro in questi giorni: i soldi non mi basteranno per sempre. Non so quanto tempo starò qui o quando ritornerò a casa. Non ho progetti per il futuro. Posso solo pensare al presente. Prendo la metropolitana e gironzolo per tutto il pomeriggio tra i grattacieli di quella città, tra la gente indaffarata con la propria vita, ognuno con mille cose da fare. Non sono abituata alla vita frenetica di città. Girovago senza sapere bene cosa fare. Mi rendo conto che è quasi sera e non ho ancora trovato un posto dove dormire. Il tramonto è magnifico, i grattacieli iniziano a illuminarsi, il fiume assume le tonalità dell’arancio del cielo. Prendo per l’ennesima volta la metropolitana e mi ritrovo davanti al Golden Gate Bridge: è uno spettacolo. Il mare, le luci, i grattacieli. Non posso ancora crederci, resto incantata a osservare .... Torno in me. Mangiando un trancio di pizza, mi dirigo verso uno dei motel più economici e più in periferia che sono segnalati su un giornale che ho comprato. Mi accorgo che di notte ci sono molti senzatetto. E’ buio pesto quando finalmente credo di aver trovato il motel. Sono nel quartiere di Tenderloin. Tuttavia mi rendo conto che non esiste nessun motel lì, perché sono in un vicolo cieco. E’ evidente che il venditore di questa guida economica dei motel mi ha fregato. Chissà se esiste qualcuno di questi posti indicati su questo giornale. Sto per tornare indietro quando vedo tre sagome avvicinarsi. Sono tre uomini: uno è un energumeno, due sono più magri. E ora cosa vogliono questi? Sono ancora lontani, sicuramente non sanno che li ho già visti grazie alla mia super vista. Mi squilla il telefono.
<< Pronto? >>.
<< Non ti avevo detto di chiamare? >>.
<< Seth, ti giuro che non me n’ero dimenticata, ma volevo prima trovare un posto dove dormire >>.
<< Non sai ancora dove passare la notte? >>. Sento mia madre parlare, come se fosse messa accanto a Seth e gli suggerisse cosa chiedermi.
<< Dì a mamma che troverò un posto dove dormire. Ora però devo staccare, ho un piccolo problemino >>.
<< Che problemino? >> percepisco già l’ansia nella sua voce.
<< Niente di importante. Tre uomini si stanno dirigendo dalla mia parte e non sembrano venire in pace >> dico con tono annoiato. << Non dirlo alla mamma >> aggiungo in fretta.
<< Ma sono vampiri? >> chiede agitato mio fratello.
<< No >>.
Seth fa un sospiro di sollievo. << Leah cerca di non dare nell’occhio, i succhiasangue sono ovunque >>.
<< Non preoccuparti. Ti chiamo dopo, sono quasi qui ormai >> sussurro.
<< Non fare loro troppo male >>.
Stacco la chiamata e metto il cellulare nella tasca dei miei jeans.
Ormai i tre sono a una decina di metri di distanza. Hanno dei visi orrendi, da criminali.
Uno di loro fa un fischio di apprezzamento. Alla mia destra ci sono un lampione rotto che si accende e si spegne in continuazione e diversi cassonetti maleodoranti. Bene, magari li metterò lì dentro quando avrò finito con loro.
<< Ragazzi guardate che bel bocconcino che abbiamo trovato >> ghigna il più grosso di loro. Sorride con i denti gialli. I tre emanano un odore nauseabondo, di sporcizia. Sono dei delinquenti, è ovvio ormai.
<< Siamo fortunati Glock, è davvero una bella stangona >>.
<< Ha anche uno zaino. Magari ci sono dei soldi, vero dolcezza? >> dice l’altro.
Mi viene quasi la nausea. Che schifo. Per la prima volta in vita mia mi chiedo se sia giusto non permettere ai succhiasangue di nutrirsi di questi individui. Se ci fosse stata un’altra ragazza al posto mio, cosa sarebbe successo? Non voglio pensarci.
<< Sei senza voce? Non urli in cerca di aiuto? >>. Ridono tutti e tre.
<< Ho una voce. Ma non potete immaginare quanto mi secchi sprecare fiato con dei tipi come voi >> dico gelida.
<< Ehi ehi che lingua tagliente ! >>. Ridono ancora.
<< Non mi fate paura >>.
<< Dovresti averne invece >> minaccia il più grosso di loro. << Non hai idea di quello che abbiamo intenzione di farti … >>. La sua voce è un sussurro maligno.
<< Forse siete voi a non avere idea di quel che io ho intenzione di farvi. Voi non siete essere umani, non siete degni di essere definiti tali. Siete dei rifiuti umani >>.
<< Come osi … >> uno di quelli più bassi si lancia contro di me con un coltello. Per gli standard umani si muove abbastanza velocemente. Per quelli sovrannaturali è invece lentissimo. Aspetto pazientemente che mi raggiunga e che alzi il coltello per ferirmi. Fermo il suo braccio a mezz’aria. Sono anche più alta di lui. Prova a vincere contro la mia stretta, a liberarsi, ma il suo braccio non si muove di un millimetro. La sua forza per me è inesistente. Lo spingo delicatamente lontano, scagliandolo contro un muro. Se avessi usato solo la metà della mia forza sarebbe sicuramente morto. Gli altri due si lanciano contro di me urlando. Il più grosso mi sta per dare un pugno alla mandibola. Lo lascio fare. Il colpo non mi sposta di un millimetro. Lui inizia a urlare di dolore. Poi gli do un calcio e lo stendo a terra. Il terzo guarda sconvolto il suo amico che è piegato a terra dolorante. Gli do un pugno sul naso – sempre con delicatezza per non ucciderlo – e poi un lieve calcio in mezzo alle cosce. Fuori tre. Spero di averlo reso impotente. Li guardo un istante. Meriterebbero la morte. Apro uno dei tre cassonetti dell’immondizia e li metto tutti e tre dentro, senza sforzo. Mi strofino le mani – che schifo erano davvero sudici - e inizio a camminare per uscire dal vicolo. All’improvviso mi rendo conto che qualcuno mi sta osservando. Sento respirare in alto, sul tetto del palazzo alla mia sinistra. Guardo immediatamente in alto. Non c’è nessuno. Solo il buio della notte. Il rumore del respiro è scomparso. Non poteva essere un vampiro altrimenti avrei sentito l’odore. Ho percepito pochissime scie vampiresche durante il giorno: i succhiasangue escono di notte a nutrirsi, con il sole rischiano di brillare. Sono sicura che se rifacessi lo stesso percorso che ho fatto questo pomeriggio adesso che è notte sentirei le loro scie. Allora un umano mi ha forse visto? In ogni caso non importa, non può aver capito molto con questo buio. Esco dal vicolo e entro in un pub. Ci sono diversi ubriachi, qualcuno di loro mi fa delle avances. Li ignoro. Chiedo indicazioni al barista per il motel che stavo cercando. La strada indicata nella guida era proprio sbagliata. Sto per mettermi in cammino quando il mio olfatto lo capta: l’odore dolciastro di succhiasangue. Quest’odore mi fa rianimare. Ho proprio bisogno di sfogarmi strappando qualche braccio a un viscido succhiasangue: prima con i tre violentatori mi sono dovuta trattenere! Corro veloce in direzione opposta rispetto a quella in cui dovrei andare per raggiungere il motel. L’odore nauseabondo è sempre più forte. Ma sento anche qualcos’altro … dei ringhi? Un cuore che batte. Alla puzza dolciastra si aggiunge un odore nuovo, diverso. Non nauseabondo, non buono come quello dei miei fratelli, ma un odore … unico. Non so in che altro modo descriverlo. E’ forse un altro mutaforma? Dei rumori metallici arrivano alle mie orecchie. Sono sempre più vicina al punto in cui si trovano i succhiasangue … sono sei, ne sono certa. I ringhi gutturali adesso sono forti. Arrivo in un altro vicolo - stanotte sto davvero sviluppando una passione per i vicoli, eh - e, come previsto, ci sono sei succhiasangue. Due di loro sono quasi a pezzi. La creatura ringhiante – non so in che altro modo definirla- che sta combattendo contro i succhiasangue non ha potuto finire quei due perché è occupata ad allontanare gli altri. E’ decisamente in svantaggio e non sta avendo la meglio. Non ho il tempo di osservarla: mi tolgo lo zaino e mi trasformo in pochi millesimi di secondo. La mia natura mi ha chiamata. Ignoro le voci di Embry e Seth nella mia testa.
<< Leah, cosa stai facendo? >>.
<< Cos’è quella … cosa? >>.
<< Non puoi combattere in sei contro uno! >> urla Seth spaventato. Ma sa benissimo che non sono sola. Sto aiutando quel coso. Forse siamo dalla stessa parte. Mi lancio su uno dei vampiri. Sono neonati sicuramente, forti ma inesperti. Lo sbrano facendolo a pezzi, un po’ alla volta. Un altro però mi da un calcio e mi lancia contro il muro. Mi rimetto subito in piedi e mi avvento su di lui per strappargli il braccio con i denti. Lo faccio in tanti brandelli, i rumori metallici e l’odore dolciastro sono ovunque. Poi mi occupo di un altro che sta per saltare al collo della creatura impegnata a uccidere gli altri succhiasangue. Tutto finisce in pochi minuti. Non ho nemmeno il fiatone. Restiamo io e quella cosa a guardarci. E’ enorme, su due zampe, con una faccia lupesca. Deve essere un mutaforma come me! Intorno a noi ci sono disgustose parti del corpo dei vampiri.
<< Leah scappa da questa creatura!! E aggiustati le costole, incosciente! >> mi dice Seth.
<< Seth, va tutto bene >>. 
Torno immediatamente in forma umana. Se quella cosa avesse voluto uccidermi avrebbe già potuto farlo. Mi chino a terra e mi tasto la gabbia toracica: sento due costole sporgere troppo. Per fortuna non sono rotte, sono solo … troppo sporgenti. Ho perso tempo, stanno guarendo così, in maniera errata. Intanto tengo gli occhi fissi sulla creatura. Le sue iridi gialle diventano umane. Le sue zampe diventano piedi e mani, e gli artigli diventano dita. La pelliccia scompare. Resta un uomo, nudo. Ha un fisico asciutto, non eccessivamente muscoloso. I suoi capelli ricci sono neri e gli ricadono intorno alla testa, ribelli. Ha gli occhi scuri, la pelle chiara leggermente abbronzata, le labbra sottili. Mi fissa curioso e sbalordito. Del sangue secco gli imbratta il collo, probabilmente dove i vampiri lo hanno ferito. Con uno grande sforzo di volontà spingo forte con le mani le costole per metterle a posto, stringendo le palpebre e i denti. Gli occhi mi lacrimano per il dolore. Respiro affannata. Mi alzo in piedi lentamente e mi tasto per assicurarmi che non sporgano ancora. Bene, guarirò di nuovo in fretta adesso. Mi asciugo le lacrime che sono uscite involontariamente e torno a fissare l’uomo. Ha un’espressione divertita.
<< Nessuno ti ha mai detto che è maleducazione fissare la gente? >> chiedo con voce ancora affannata per il dolore, guardandolo.
Le sue labbra si piegano in un sorriso. Mi si avvicina. Adesso lo vedo  meglio. E’ poco più alto di me. Le sue iridi sono blu. Con gli occhi percorre tutto il mio corpo.
<< Ho sempre desiderato conoscere una ragazza senza pudore >>. Ha una voce estremamente profonda e grave.
<< Potrei dire lo stesso di te >> ribatto facendo scorrere lo sguardo lungo il suo corpo come ha fatto lui con me.
<< Che temperamento! >>.
Incrocio le braccia al petto. << Chi sei? E soprattutto … che cosa sei? Un mutaforma? >> chiedo diretta, senza tanti giri di parole.
<< Mmm … suppongo che tu sia un mutaforma… donna. Eccezionale >> afferma entusiasta, guardandomi con la testa piegata leggermente di lato. Ha ignorato la mia domanda.
<< Vuoi rispondermi ? >> chiedo infastidita.
Lui ride, portandosi una mano ai capelli per toglierli dalla fronte. Vorrei dargli un pugno su quel bel faccino.
<< Non avrei mai pensato di incontrarne uno … >> dice più rivolto a se stesso che a me. Gli lancio uno sguardo inceneritore.
Mi tende la mano. << E’ un piacere fare la tua conoscenza ragazza-mutaforma. Mi chiamo Alexander e sono un figlio della Luna >>.

 
   
 
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