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Autore: melania    19/12/2007    11 recensioni
Una notte come le altre. Un futon caldo in cui dormire. Una finestra a separarlo dalla pioggia che imperversa fuori. Poi...il suono di un campanello che interrompe il silenzio. E la sua vita.
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il silenzio della mia casa mi accoglie

AIUTAMI

°8°

 

 

*Perdono per l’attesa che impongo ogni volta…*

*Scrivere questa storia non è facile, devo “lottare” con la mia pigrizia, con i miei periodi di mancanza di ispirazione, con il mio voler rendere la trama originale e credibile…e non è facile…perdonatemi…*

*Spero di non deludere nessuno con questo capitolo…*

*Grazie come sempre a tutte le ragazze (Airis, Yumi, Hinao85, Cla21, Kiromi, Kate91, Cristie, Kirara90, Isots e Key_Saiyu), che hanno avuto il tempo di leggere la mia storia e di commentarla. Spero che le vostre aspettative non vengano distrutte…grazie davvero*

*Note a fondo pagina*

 

*Melania*

 

 

 

 

 

 

 

*******************************************************************

 

 

 

 

 

 

 

Il silenzio della mia casa mi accoglie…Micky starà dormendo…strano che non mi abbia sentito.

Salgo di sopra entrando nella mia camera. Lo trovo accoccolato sopra il mio cuscino.

 

Quante volte lo avrò sgridato che non voglio trovare i suoi peli sopra il letto quando dormo…mi avvicino, alzandolo per la collottola.

 

Incomincia a miagolare infastidito.

 

-          Micky…!

 

Ci guardiamo negli occhi…uffa...lo accarezzo. Non riesco ad essere arrabbiato con lui per più di cinque minuti.

 

Ripenso alle parole di Sakuragi. Anch’io ti devo molto stupido gatto.

 

Apro la sacca da dove estraggo la busta che mi ha dato Anzai-san. Non la voglio ancora aprire…la poggio sopra il comodino.

 

 

 

Domani ci penserò…

 

 

 

 

Mi stendo sopra il letto sospirando…Micky si accoccola contro il mio fianco, fuseggiando.

 

Il buio della stanza mi avvolge. Prendo il taglierino dalla tasca…me lo rigiro fra le dita. Lo apro…la lama tagliente riluce nell’oscurità.

 

 

Un senso di oppressione mi avvolge…pensare…pensare che questa lama feriva la sua pelle, la sua carne.

 

 

 

 

Cosa ti ho portato a questa disperazione?

 

Cosa ti ha portato a questo baratro senza fine, a quest’autolesionismo crudele?

 

 

 

 

 

Richiudo la lama…al buio si può intravedere la forma stilizzata della volpe incisa sopra. Passo il pollice sopra…avverto sotto il polpastrello il taglio della plastica.

 

 

 

La avrà inciso lui questa volpe?

 

 

 

-          Baka Kitsuneeeeeeeeee!!!

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Stamattina fa freddo. Alzo il viso verso il cielo plumbeo…forse nevicherà…c’è elettricità nell’aria. Mi stringo maggiormente la sciarpa di lana intorno al collo. Come si può andare a scuola a quest’ora del giorno? Mi copro uno sbadiglio con la mano gelida.

La bici è accanto a me…con questo freddo morirei pedalando.

 

 

 

 

Sono passati vari giorni da quando Sakuragi mi ha donato il suo taglierino. L’ho posto dentro il cassetto del comodino vicino al futon. Insieme alla busta…non l’ho ancora aperta.

 

Ci devo ancora pensare…perché non sono più certo di quali siano le mie priorità ora. E contattare mio padre…non mi entusiasma.

 

 

 

E quel sentimento sottile di oppressione s’insinua di nuovo dentro le mie ossa.

 

 

 

 

Alzando lo sguardo mi rendo conto di essere già arrivato a scuola. Faccio per varcare il cancello quando sento afferrarmi per un braccio.

Mi giro irritato e incontro gli occhi scuri di Mito. Ci guardiamo per pochi secondi in viso…mi lascia la manica del cappotto. La sua espressione è seria…e quasi a disagio.

 

-          Ti devo parlare.

 

Sorrido lievemente in modo sarcastico.

 

-          Grazie…ma non voglio “parlare” con te. Con voi…a proposito dove hai lasciato il tuo gruppo?

 

Faccio per rigirarmi ed entrare nel cortile dalla scuola ma Mito mi riafferra per il braccio.

 

 

 

 

Ora mi ha davvero irritato.

 

 

 

 

Mi giro di scatto mollandogli un destro contro la mascella. Lo vedo indietreggiare sul selciato.

Si tocca il labbro…il sangue incomincia a macchiare la pelle. Si deve essere rotto.

 

Mi guarda serio…

 

-          Stronzo…ti devo parlare di Hanamichi. Se t’interessa vieni alla pausa pranzo sopra la terrazza.

 

E mi supera, massaggiandosi la mascella. Lo sguardo corrucciato.

 

Lo osservo entrare dentro il portone della scuola. Che cosa vorrà ora da me?

 

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Spalanco la porta della terrazza. Fa davvero freddo. Per l’ennesima volta mi chiedo chi me l’ha fatto fare di venire qui.

 

Dopo qualche secondo sento dei passa provenire dalle scale. Un canglore della porta in metallo e lui è qui.

 

-          Mh…sei venuto.

 

-          Me lo avevi chiesto.

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

 

 

Lo vedo sospirare…poi infilandosi le mani dentro le tasche dei pantaloni si accosta contro il muro.

 

-          Senti…io non sono uno stronzo…mi dispiace per quello che è successo la settimana scorsa.

È che…

 

A disagio estrae dalla tasca il pacchetto di sigarette. Ne accende una…alcune volute di fumo si disperdono nell’aria, insieme al vapore del nostro respiro.

 

 

 

 

 

-          Non c’è bisogno che mi spieghi nulla.

 

 

 

 

 

Alza lo sguardo fissandomi.

 

 

 

Non sei una cattiva persona Mito. Questo lo so. Lo si comprende dalla voce di Sakuragi quando parla di te.

 

Ma penso non ci sia altro da aggiungere. Se volevi scusarti l’hai fatto. Mi giro per andarmene ma la sua voce mi blocca.

 

-          Tu sai…che Hanamichi è orfano?

 

-          Sì.

 

-          Io…- butta la cicca per terra… - ho conosciuto Hanamichi in seconda media. Era…devastato.

 

-          Mh…?

 

 

 

 

Inarco il sopracciglio perplesso.

 

 

 

 

-          Era…sempre furioso. Sembrava avere una rabbia in corpo inesauribile. Tutti nella scuola avevano paura di lui…lo evitavano. E più la gente lo evitava…più Hanamichi faceva di tutto per attirare l’attenzione. Una volta picchiò anche un professore.

 

 

 

 

Sakuragi…

 

 

 

 

-          Io mi tenevo alla larga da lui. A quei tempi ero già diventato uno scapestrato insieme agli altri ragazzi del Guntai…ma di lui avevo paura. Sembrava non avere limiti…anzi…sembrava che non li cercasse nemmeno. Poi però…

 

Mito sorride nostalgico. Gli deve volere davvero bene…

 

 

 

 

 

 

-          …un giorno fui coinvolto in una rissa con dei sempai di un liceo. I ragazzi del Guntai non erano con me…mi stavano massacrando…e arrivò lui. Non disse nulla…incominciò a scazzottarsi con quei ragazzi. In pochi minuti erano tutti per terra doloranti. Sembrava una belva. Quando riprese il controllo di sé…mi osservò. E candidamente mi chiese se ero un suo compagno di classe.

 

Scoppia a ridere.

 

-          Ti rendi conto? Aveva rischiato di essere picchiato a morte…per una persona che nemmeno conosceva. Per lui…l’importante era solo sfogarsi. Quel giorno compresi che la sua non era rabbia…ma tristezza. E disperazione.

 

 

 

 

 

 

 

 

È per questo motivo che non mi parli mai del tuo passato?

 

Ti vergogni di te stesso?

 

 

 

 

 

 

 

-          Incominciai a conoscerlo meglio. Hanamichi era una persona…era un amico di cui ti potevi fidare. Smise di provocare risse (nel limite del dovuto naturalmente)…e sembrava essersi calmato. In realtà…sotto quella corazza di violenza…era un bambino. Io…l’ho sempre considerato come un fratello…per questo motivo….quando mi ha detto che voleva rimanere solo, che non voleva avere più a che fare con me e il Guntai…io mi sono sentito tradito.

 

 

 

 

-          Dovresti dirlo a Sakuragi tutto questo.

 

 

 

 

 

 

Mito abbassa la testa…triste.

 

-          Non posso…quel giorno….abbiamo litigato pesantemente…e ci siamo dette parole…

 

Scuote la testa come per scacciare dei pensieri malevoli.

 

 

 

 

 

 

-          Capisco…che cosa vuoi da me?

 

 

 

 

 

Alza di scatto il capo guardandomi serio.

 

-          Io… - estrae dalla tasca della divisa un’altra sigaretta…la accende - …stagli vicino. Io penso che…ho paura che… - aspira un po’ di fumo…socchiude gli occhi - …che si possa fare del male.

 

 

 

 

 

Allora te ne sei accorto anche tu, Mito…

 

 

 

 

 

 

 

-          Dopo…la morte del padre…lui…

 

 

 

 

La morte del padre?

 

 

 

 

 

-          E’ cambiato…e… - sospira. Sembra davvero combattuto – …io non so molto del suo passato. Non ne parlava con piacere…so solo che il padre è morto di infarto. Ma non mi ha mai raccontato nulla di quel giorno. Avvertivo in lui…un senso di colpa. Di voler espiare in qualche modo il dolore.

 

 

 

 

 

 

-          Già…chi ti ha insegnato?

 

-         Mio padre.

 

 

 

 

 

Quel giorno…in cucina. Mi accennò a suo padre…alla sua passione per cucinare.

 

 

 

 

 

 

 

-         A volte si allontanano le persone per non farle soffrire al proprio fianco.

 

 

 

 

 

 

 

Mito alza lo sguardo. Mi osserva.

 

 

 

 

 

 

-          Lui non si è fidato di me. Capisco solo questo.

E poi…perché tu?

 

Perché proprio tu?

 

 

Me lo sono chiesto in questi giorni…roso dalla gelosia, lo ammetto – e ride lievemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

La gelosia.

La avverto sempre intorno a me. Dai ragazzi. Dalle ragazze.

 

 

Ma io non ho mai chiesto di essere al centro dell’attenzione. Anzi.

 

 

 

 

 

-          Io non so perchési è avvicinato a te. Certo ha sempre parlato di te…e tu hai un qualcosa di magnetico che attira la gente…ma Hanamichi non ti si è avvicinato per questo motivo.

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

 

Suona la campanella.

 

 

 

 

Mito abbassa la testa.

 

 

 

 

 

 

-          Va bene……….chiudiamola qui. Ho parlato anche troppo….a lui non farebbe piacere…non dirgli che ti ho cercato- sospira…- stagli vicino. Io…forse gli parlerò. Grazie per essere venuto.

 

 

 

Annuisco, faccio per allontanarmi ma vedo che Mito non mi segue.

 

 

 

-          Non hai lezione ora?

 

 

Mi da le spalle. Vedo che prende un’altra sigaretta dalla tasca…

 

-          Sì… - volta il capo, vedo solo il suo profilo. Gli occhi lucidi… -…ne fumo un’altra e poi scendo.

 

 

 

 

 

E penso che sia meglio lasciarlo solo.

 

 

Gli occhi bagnati persi nel cielo grigio.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

-          Devi fermarti anche oggi?

 

 

 

Sakuragi compare dietro le mie spalle.

 

 

 

 

-          Sì….la punizione dura per un mese…

 

-          Ah…- mi si avvicina ulteriormente, inginocchiandosi.

 

-          Deficiente…avevo appena passato la pezza bagnata sul parquet – Hanamichi porta lo sguardo sulle sue scarpe di ginnastica, arrossendo – sì…proprio dove stai ora.

 

-          Scusa… - e china leggermente la testa…un’espressione buffa sul viso. Un bambino.

 

-          Lascia stare…cos’altro ci si può aspettare da un do’hao? – e sorridendo leggermente continuo a passare la pezza sulla restante porzione di parquet.

 

-          Hey! Non offendere sai! – ma a dispetto delle sue parole lo vedo ritornare sul bordo campo, vicino all’entrata, cercando di ricalpestare le orme calcate in precedenza.

 

-          Vuoi una mano?

 

-          No…ho quasi finito.

 

 

 

 

Sei gentile Hanamichi…e non riesco a far coincidere questo tuo carattere…con ciò che mi ha detto Mito poche ore fa.

 

 

 

 

 

 

Sapevo che eri un teppista…ma in fondo nemmeno io mi posso considerare un “bravo ragazzo”. Eppure…non immaginavo che la violenza fosse una costante della tua vita in passato.

 

 

 

 

 

Non so se parlargli di Mito. Però…

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Questo pomeriggio Mito mi ha cercato.

 

 

 

 

 

 

 

 

Lo vedo sussultare. Il suo sguardo diviene serio. I suoi occhi, concentrazione.

 

 

 

-          Perché? – e il tuo tono è gelido.

 

-          Voleva parlarmi di te.

 

 

 

Chiude gli occhi.

 

Porta la testa contro la parete della palestra che gli da le spalle.

Sembra combattuto.

 

Forse infastidito.

 

O forse dentro di sé è felice che Mito nonostante tutto si preoccupi ancora per lui.

 

 

 

 

 

 

 

-          Ti ha detto di mio padre vero? – riporta lo sguardo su di me. Cerca nel mio viso la risposta. Sorride leggermente… - non sa mai tenere la bocca chiusa quello… - ma nonostante il suo tono scherzoso lo vedo teso.

 

 

 

 

Hai paura del mio giudizio Hanamichi?

 

 

 

 

 

 

 

Riprendo a strofinare il parquet.

 

 

 

 

 

-          Mi ha detto che è morto – mi alzo, dandogli le spalle…- e che tu dopo quel giorno…sei cambiato.

 

 

 

 

 

Sakuragi non parla…avverto un muro di silenzio dietro di me.

 

 

 

 

 

 

 

- E’ da allora…che ti tagli? – butto nel secchio pieno d’acqua la pezza, girandomi. Osservandolo.

 

 

 

 

Ha chiuso gli occhi. Di nuovo.

 

 

 

 

 

-          … - abbassa la testa…- ma quello è stato solo l’apice. Ho trovato solo un altro modo di sfogare il mio dolore. Prima era rivolto verso gli altri…dopo ho compreso che non potevo meritarmi nemmeno quello.

 

-          Mia madre è morta quando avevo sette anni.

 

 

 

 

 

 

Alza di scatto il viso, guardandomi. Sorpreso.

 

Forse sono sorpreso anche io.

Ma un giorno avrei dovuto dirlo a qualcuno.

 

 

E forse c’era un altro modo per esternarlo.

 

Forse oggi non era il giorno adatto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ma se si vuole che una persona si fidi di noi…bisogna farlo per primo noi stessi.

 

 

 

 

 

 

 

Ed io in questo momento mi sto fidando di te. Sto affidando un dolore lacerante che mi porto da anni dentro le ossa dentro le mani.

 

 

 

 

E so che potrai accoglierlo.

 

 

 

 

Perché comprendi, forse meglio di me, cosa comporta la perdita di una persona cara.

 

 

 

 

 

 

 

-          Erano sue tutte quelle pentole…- e sorride lievemente al ricordo di quella serata passata a casa mia a cucinare - …mi dispiace Kaede.

 

 

 

 

 

-          Sono passati molti anni ormai – e incomincio a raccogliere i palloni sparsi per la palestra…devo riporli dentro la cesta metallica e poi finalmente ho finito…ignoro gli occhi di Sakuragi puntati sulla mia schiena.

 

 

 

 

 

 

-          Ora capisco perché la tua casa trasuda solitudine…e malinconia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mi blocco…tre palloni stretti al mio petto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Sono gli stessi sentimenti che si possono avvertire standoti accanto…e non capisco come nessuno se ne accorga Kaede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sospiro. Chiudo la cesta.

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Nessuno evidentemente se ne preoccupa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Qualcosa è cambiato definitivamente fra di noi.

 

In questo momento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Inclina la testa, sorride.

 

-          Se hai un po’ di pazienza…ti vorrei raccontare della mia stupida vita fino ad ora.

 

-          Potrei anche sprecare un po’ di tempo…per te.

 

 

 

 

 

Sorrisi. La fiducia che finalmente si libera incontrastata fra di noi…

 

 

 

 

 

Niente più segreti Hanamichi.

Niente più bugie.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Le strade dei negozi illuminano ad intermittenza i nostri visi. Camminiamo lentamente, le mani infreddolite infilate nei pesanti cappotti. Il borsone a tracolla.

 

Forse dovremmo fermarci da qualche parte per parlare con calma. Ma non ne abbiamo voglia.

 

Camminando le parole scompariranno lungo la strada.

 

 

 

 

 

 

E il peso del loro significato potrà essere smentito dalla leggerezza con cui aleggeranno nel cielo scuro.

 

 

 

 

 

 

 

Passiamo vicino a una grande magazzino. Dalle porte scorrevoli che si aprono e chiudono ininterrottamente sentiamo provenire una musichetta natalizia.

 

 

 

 

 

 

 

-          Sai…sai Kaedeio non so cosa è la morte.

 

Riporto lo sguardo su Sakuragi. Ha lo sguardo perso nel vuoto.

 

 

-          So solo che quando è morto mio padre…avrei voluto stringerlo fra le mie braccia. E chiedergli di non lasciarmi. Perché io ero ancora un ragazzo, un bambino…gli avrei voluto dire che avevo ancora bisogno di lui. Che avremmo dovuto avere ancora tanti momenti felici insieme…dovevamo festeggiare il mio diploma…la mia prima ragazza...e vederci crescere e invecchiare insieme. Dovevamo ancora conoscerci davvero. Questa è la verità.

 

S’interrompe sospirando…

 

Un bambino ci corre accanto…seguito subito dopo da una madre tutta scarmigliata.

 

 

 

 

 

-          Forse……….forse la morte è mancanza…e quando mi sono reso conto che non avrei più potuto parlare a mio padre, che non avrei più potuto ricevere una sua carezza o anche uno schiaffo…quando mi sono reso conto che tutto era finito…io volevo solo morire.

 

Scomparire.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si blocca sul marciapiede. Vedo le sue mani serrarsi con forza dentro le tasche del cappotto. I suoi occhi sono diventati lucidi.

 

 

 

Non voglio che stia male.

Gli poso una mano sopra il braccio, cercando i suoi occhi.

 

 

 

Ci sono io accanto a te Hanamichi. Vorrei che potessi leggere questo nel mio sguardo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Kaede fa così male…così male…è un dolore che ti attanaglia il petto e soffoca…e ci sono dei momenti in cui mi sembra di poter davvero morire. Ma…

 

Chiude gli occhi. Le palpebre si serrano.

 

-          Ma…forse merito tutto questo dolore. Io…il giorno in cui è morto…non ero accanto a lui. È morto da solo…su un pavimento freddo. Impolverato. Da solo…- si porta le mani sugli occhi…- io non ero con lui Kaede. Non ero con lui…lui mi ha donato l’affetto di una famiglia…e io l’ho ripagato in questo modo. Non ero mai in casa. Gli rispondevo male. Eppure lui mi sorrideva sempre. E nei suoi occhi leggevo comprensione per la mia rabbia, per il mio dolore di vivere. E questo mi faceva ancora più arrabbiare.

 

E su di lui vomitavo tutto lo schifo che provavo verso me stesso.

 

 

 

 

 

Hanamichi…

 

 

 

 

 

 

 

-          E quel giorno…mentre lui moriva…io ero in giro a fare botte con dei ragazzi più grandi. Non ero con luinon ero con luisono solo un assassino…- e le sue parole si perdono in un sussurro disperato

 

 

 

 

 

 

 

Quanto dolorequanto dolore dentro di te.

 

 

 

 

 

 

 

Ma ora non sei più solo….se cadi…ci sono io ora a proteggerti. Ci sono io.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E finalmente……….finalmente comprendo.

 

Il sentimento che serbo dentro di me.

 

Che coltivo da settimane.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora comprendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Hanamichi…- e il mio sussurro si perde fra i suoi capelli carminii, mentre le mie braccia si stringono intorno alla sua vita muscolosa…- smettila Hanamichismettila – e mentre glielo sussurro, passo delicatamente le dita fra i suoi capelli…

 

 

 

E avverto le sue lacrime…libere, scorrere sulle sue guance. Inumidiscono il mio collo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sento qualche passante sussurrare qualcosa, passandoci accanto. Ma non m’importa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo pochi minuti lo avverto scostarsi dalla mia spalla.

 

-          Scusami…non volevo scoppiare a piangerti addosso – si passa le dita sopra gli occhi umidi, non guardandomi…imbarazzato.

-          Non c’è nulla di male a mostrare le proprie debolezze…e detto da me penso valga molto come affermazione…no? – e riesco a strappargli un debole e pallido sorriso.

-          Mh…- si scosta da me… - sì…penso di sì.

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

 

 

E finalmente posso perdermi nel tuo sguardo dorato.

 

Senza remore.

 

 

Posso annegare.

 

E non mi spaventa più.

 

 

 

 

 

 

Vorrei accarezzarti il viso, cancellare le ultime tracce di lacrime dalla tua pelle. Ma non posso.

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Entriamo in un locale….mangiamo qualcosa?

 

Annuisco.

 

E mentre ci dirigiamo verso un piccolo chiosco…incomincia a nevicare.

 

 

 

 

E riscopro il candore della neve nei tuoi occhi fanciulleschisorpresi.

 

E felici.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Il locale è caldo…ci togliamo i pensanti cappotti…e il cambiamento di temperatura ci arrossa il viso e le mani…sento il sangue pulsare dentro le mie dita.

 

-          Cosa ordini?

 

-          Una zuppa di verdure. Non ho molti soldi con me… - e mentre lo dico, guardo sconsolato dentro il mio portafogli.

 

-          Penso anch’io…

 

 

Dopo aver ordinato cala il silenzio fra di noi. Avverto Hanamichi imbarazzato. Probabilmente per ciò che mi ha raccontato poco prima e per la sua reazione emotiva.

 

 

 

Lo osservo guardarsi le mani. Come ho fatto a essere così cieco fino ad ora?

 

 

Il mio interessamento verso di lui.

 

 

La mia preoccupazione.

 

Il mio pensare a lui…

 

 

 

Tutto questo ha un nome.

È racchiuso in un semplice nome.

 

 

 

 

 

 

Ma non voglio che si vergogni di se stesso o di ciò che mi ha raccontato. Voglio che si senta libero di dirmi tutto ciò che vuole…senza ripensamenti. O vergogna.

 

Ma non so come dirgli tutto questo.

 

 

 

 

 

Ad un tratto rompe il silenzio, fissandomi di sottecchi.

 

-          Scusami…pensavo di essere preparato a raccontarlo…ma evidentemente non ero ancora pronto abbastanza... – e sospira.

 

-          Non preoccuparti…sai…sei la prima persona a cui ho detto che mia madre è morta…e sono passati 11 anni…- sorrido mestamente…- ti comprendo…

 

 

 

Ci sorridiamo lentamente.

 

-          Tuo padre…era il tuo genitore naturale?

 

Sospira…forse non dovrei riportare la discussione su quest’argomento…ma penso faccia bene a entrambi parlarne. Esternare il nostro dolore.

 

 

 

Per troppo tempo…per troppi anni…da soli…abbiamo dovuto sopportare tutto.

 

 

 

 

 

Scuote la testa lentamente.

 

-          No…sono stato abbandonato quando ero appena un neonato… - il suo sguardo si perde per il locale…- le Assistenti Sociali hanno deciso di chiamarmi Hanamichi perché la via dove è ubicato l’Istituto in passato era ricolma di fiori (nota 1)

 

-          Un nome dal significato delicato per un maschietto…

 

-          Già…- sorride, accarezzandosi i capelli…- e sono cresciuto lì per molti anni. I problemi sono sorti verso l’età dei sette anni…mi rendevo conto che tutti i bambini con cui ero cresciuto…erano stati adottati…tutti tranne me.

 

Il suo sguardo si adombra.

 

-          Non so perché…evidentemente il mio viso non ispirava simpatia…o forse era il mio sguardo...

 

-          Mh? – non capisco…

 

-          Le assistenti sociali sussurravano che non ero un giapponese puro…i miei occhi erano sì nocciola…ma cangianti…sembravano dorati…la dimostrazione che uno dei miei due genitori doveva essere uno straniero. E forse era per questo che nessuno mi voleva.

 

-          È assurdo…

 

 

Eppure i suoi occhi…sono così………………….espressivi.

 

 

Mi hanno sempre portato, sin dall’inizio, ad uno stato di confusione persistente.

 

 

 

 

-          Già…naturalmente non me lo dicevano direttamente. Le sentivo sussurrare alle mie spalle. Ero un bambino molto pacato…anche se può sembrare strano…e compresi che così non avrei ottenuto nulla. E allora decisi che se nessuno mi poteva volere beneallora mi sarei fatto odiare…o avrei cercato di scatenare una qualche minima reazione nei miei confronti.

 

Dopo pochi mesi non mi sopportava più nessuno. Ero diventato vivace. Rumoroso.

 

Insopportabile.

 

 

 

 

Scoppia a ridere.

 

-          Penso di aver fatto perdere un po’ di anni a tutti coloro che gestivano la Comunità…ero sempre in punizione….- la sua risata si trasforma in una piega dolce… - poi…quando avevo 10 anni…un giorno…arrivò un uomo. E disse che voleva diventare mio padre.

 

Io non ci credevo.

 

Quando un bambino mi venne a dire che un signore stava firmando le carte nell’ufficio della Direttrice per potermi adottare (nota 2)…pensai che mi stesse prendendo crudelmente in giro. E lo picchiai.

 

 

 

 

 

 

Arrossisce, sfuggendo il mio sguardo.

 

-          Non riuscivo a credere…che qualcuno mi potesse volere con sé. Ormai ero totalmente disilluso…e rassegnato al fatto che sarei cresciuto dentro la Comunità. Sai…dopo una certa età è difficile che ti adottino...normalmente le coppie di genitori cercano bambini piccoli da poter crescere. Ma lui…non so perchémi cercò.

 

 

 

Mi sorride…e io sorrido con lui…

 

-          Pieno di ammaccature per la rissa appena fatta e incredulo, entrai nella macchina del signor Sakuragi. Nel breve tragitto che facemmo per arrivare a casa mi spiegò che viveva solo e che sua moglie era morta molti anni prima. Io ero silenzioso…mi disse che lo avevano colpito i miei occhi…e il mio nome…doveva essere un segno del destino (nota 3)me lo ripeteva sempre…

 

 

 

Il suo racconto è interrotto dall’arrivo della cena. Il cameriere posa sul tavolo due ciotole ricolme di zuppa. Prendiamo le bacchette di legno, separandole.

 

 

 

 

 

-          Penso…che quello sia stato il periodo più bello della mia vita…anche se…la mia rabbia non era cessata.

 

Anzi.

 

Più crescevo…più aumentava.

 

 

Non so perché…non so cosa volevo ottenere…ero solo uno stupido. Non riuscivo ad accettare completamente l’amore di quell’uomo. Ero scontento della mia vita, avrei voluto avere dei

genitori naturali, una famiglia vera. Non meritava un figlio come me…

 

 

 

 

 

 

Per un momento penso che Sakuragi si rimetta a piangere, gli occhi lucidi e le bacchette serrate in una morsa fra le dita. Ma con un profondo sospiro si calma…e ricomincia a mangiare.

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Il signor Sakuragi ti voleva molto bene Hanamichi. Probabilmente lo avevano avvertito del tuo carattere…e del tuo passato. Ma lui ti ha accettato lo stesso come suo figlio, consapevole forse di cosa stava andando in contro. Lui ti voleva bene…e accettava tutto di te…quando affermi che lui ti sorrideva e nei suoi occhi leggevi la comprensione…penso non ci sia dimostrazione più forte dell’affetto che serbava nei tuoi confronti. Comprendeva la tua rabbia…

 

Sakuragi mi fissa, sorpreso per il mio discorso, insolitamente lungo per le mie abitudini. Poi china il viso, le guance arrossate…

 

 

 

 

 

 

 

 

-          E’ lui che ti ha insegnato a cucinare?

 

-          Sì…era un cuoco in un ristorante vicino casa…nei momenti di “tregua”…mi insegnava a cucinare...a provvedere a me stesso…forse, dentro di sé, sapeva già che non saremmo stati insieme per molto tempo…

 

 

 

Rigira le bacchette nella ciotola ormai ricolma solo di brodo.

 

 

 

 

-          Dopo la sua morte…ho incominciato a tagliarmi. Non mi bastava più picchiare gli altri. Avevo bisogno di un dolore vero…alternativo. Ero dovuto ritornare in Comunità…e quando lo psicologo si accorse di cosa stava succedendo…mi diede semplicemente degli anti-depressivi. Non fece nient’altro.

 

-          Era il suo lavoro…che stronzo… - depongo la ciotola sul tavolo, dopo aver bevuto il brodo.

 

 

Sakuragi alza le spalle.

 

 

 

-          Stavo diventando ingovernabile. Un giorno ero anche svenuto a mensa. Alla fine decisero d allontanarmi dalla Comunità, con la scusa che oramai ero capace di provvedere a me stesso. Mi trovarono un piccolo appartamento e un lavoro. E il resto lo conosci.

 

Hanamichi sospira.

 

 

 

 

 

 

 

-          Era da molto che volevo raccontare tutto a qualcuno…e…sono contento che sia successo con te, Kaede.

 

 

 

 

 

 

Ci guardiamo negli occhi.

 

 

Vorrei dirgli molto…e ora che conosco il suo passato…sento il sentimento che provo verso di lui espandersi lungo tutto il mio corpo, in una dolce e calda sensazione.

 

 

 

Ma non so ancora esprimere a voce…tutto questo…

 

 

 

 

 

Rimango indeciso per pochi secondi…poi, lentamente, la mia mano scorre sul tavolo per poi posarsi delicatamente sulla sua. Avverto il suo sussulto sorpreso, i suoi occhi sgranati…il dorso della sua mano, caldo, sotto il mio palmo. Non stringo, non premo…voglio solo che comprenda la mia vicinanza…il mio esserci per lui.

 

 

Il mio ringraziamento per avermi donato il suo passato nelle sue parole emozionate.

 

 

 

 

 

 

 

 

Hanamichi mi sorride dolcemente…e sento la sua mano girarsi…i nostri palmi si sfiorano. E mi sento felice.

 

 

 

 

-          La prossima volta…mi dovrai raccontare il tuo di passato…Kaede.

 

Stringo la sua mano.

 

 

 

 

 

-          Non scapperò.

 

 

 

 

 

 

 

 

Da te…non scapperò mai…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ora che ho compreso di amarti.

 

 

 

 

***

 

 

 

 

Ci lasciamo all’entrata della metropolitana…deve andare a lavorare.

Ci guardiamo negli occhi. Mi sento strano…forse per la natura dei sentimenti che provo per lui.

 

 

 

-          Grazie per la chiacchierata Kaede. Mi sento davvero meglio ora.

 

-          Quando avrai bisogno di parlarmi…ti ascolterò. Sempre.

 

 

E so di essere arrossito mentre lo dicevo. Ma non importa…sono ampiamente ricompensato dal suo sorriso luminoso .

 

 

 

 

 

 

 

 

E non riesco a trattenermi. Dio…lascio cadere la bicicletta per terra per poi abbracciarlo forte. Contro di me. Ed è ormai una sensazione conosciuta il suo corpo contro il mio.

 

E la amo.

 

 

 

 

 

 

Lo amo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          Kaede…………?- avverto il suo sussurro imbarazzato contro il mio collo. Ma nonostante le sue parole avverto le sue braccia ricambiare la mia stretta.

 

 

 

 

Ma che cazzo sto facendo? Devo essere impazzito.

 

 

 

 

Lo lascio andare di scatto…imbarazzato lo guardo…poi riprendo velocemente la bicicletta…ci monto sopra.

 

 

-          Allora…ciao…buon lavoro – farfuglio (ho mai farfugliato in vita mia?) velocemente.

 

 

Hanamichi mi guarda sorpreso…poi mi sorride solare e salutandomi con la mano si volta, scendendo le scale della Metro.

 

 

 

Lo guardo scendere fin quando scompare dietro l’angolo del corridoio sotterraneo. Poi dandomi dell’idiota incomincio a pedalare veloce, tornando a casa.

 

 

 

Che cosa mi è preso?

Solo perché sono gay non significa che anche lui lo sia. Anche se…

 

 

 

 

Pedalo…pedalo…veloce. Velocissimo. Acquisto velocità. Sfreccio per le vie semi-deserte della città. L’aria mi gela il viso. Le mani. Ma non m’importa.

 

 

 

 

I pensieri sono solo rivolti a Lui. A ciò che mi ha raccontato. Al calore delle sue lacrime. Del suo abbraccio.

 

 

 

 

 

 

 

L’amore…che cosa sarà mai? È davvero questo peso che avverto dentro di me?

 

 

Penso che potrei gridare per questo sentimento…e piangere. Sì…gridare e piangere.

 

 

Sono solo un ragazzo…e sono sommerso da tutto questo…potrei volare con la mia bicicletta…per queste vie deserte…sì, accelerare, e lasciarmi trasportare dall’aria fredda, aprire le braccia ed essere accolto dalla notte.

 

Fino ad ora non avevo vissuto…

 

 

 

 

 

 

Ti amo…

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E solo questo importa.

 

Kaede Rukawa ama.

 

 

 

 

 

 

 

Note

 

 

Nota 1: Il nome “Hanamichi” è formato in giapponese da due kanji: “- hana” che significa “fiore” e ” - michi” che significa “via”.

 

Nota 2: Non so effettivamente se esista una figura professionale che gestisca una Comunità…parlando genericamente di Direttrice ammetto di essermi presa una “licenza poetica”. Inoltre non si può adottare un bambino dopo averlo visto una volta e senza aver avuto colloqui con Assistenti Sociali e aver avuto il beneplacito del Tribunale Dei Minori (almeno qui in Italia)…pertanto anche in questo caso ho voluto semplificare la trama.

 

Nota 3: Il cognome “Sakuragi” è composto da due kanji: “- sakura” che significa “ciliegio” e “ – gi” che significa “legno, albero”. Da qui il gioco di parole…

   
 
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