AIUTAMI
°8°
*Perdono per l’attesa che impongo ogni volta…*
*Scrivere
questa storia non è facile, devo “lottare” con la mia pigrizia, con i miei
periodi di mancanza di ispirazione, con il mio voler rendere la trama originale
e credibile…e non è facile…perdonatemi…*
*Spero di non deludere nessuno con questo capitolo…*
*Grazie come sempre a tutte le ragazze (Airis, Yumi, Hinao85, Cla21, Kiromi, Kate91, Cristie,
Kirara90, Isots e Key_Saiyu),
che hanno avuto il tempo di leggere la mia storia e di commentarla. Spero che
le vostre aspettative non vengano distrutte…grazie
davvero*
*Note a fondo pagina*
*Melania*
*******************************************************************
Il silenzio della mia casa mi
accoglie…Micky starà dormendo…strano che non mi abbia sentito.
Salgo di sopra entrando nella mia
camera. Lo trovo accoccolato sopra il mio cuscino.
Quante volte lo avrò sgridato che
non voglio trovare i suoi peli sopra il letto quando dormo…mi avvicino,
alzandolo per la collottola.
Incomincia a miagolare infastidito.
-
Micky…!
Ci guardiamo negli
occhi…uffa...lo accarezzo. Non riesco ad essere arrabbiato con lui per più di
cinque minuti.
Ripenso alle parole di Sakuragi. Anch’io
ti devo molto stupido gatto.
Apro la sacca da dove estraggo la
busta che mi ha dato Anzai-san. Non la voglio ancora aprire…la
poggio sopra il comodino.
Domani ci
penserò…
Mi stendo sopra il letto
sospirando…Micky si accoccola contro il mio fianco, fuseggiando.
Il buio della stanza mi avvolge.
Prendo il taglierino dalla tasca…me lo rigiro fra le dita. Lo apro…la lama
tagliente riluce nell’oscurità.
Un senso di oppressione mi
avvolge…pensare…pensare che questa lama feriva la sua
pelle, la sua carne.
Cosa ti ho
portato a questa disperazione?
Cosa ti ha
portato a questo baratro senza fine, a quest’autolesionismo
crudele?
Richiudo la lama…al buio si può
intravedere la forma stilizzata della volpe incisa sopra. Passo il pollice
sopra…avverto sotto il polpastrello il
taglio della plastica.
La avrà
inciso lui questa volpe?
-
Baka Kitsuneeeeeeeeee!!!
***
Stamattina fa freddo. Alzo il
viso verso il cielo plumbeo…forse nevicherà…c’è elettricità nell’aria.
Mi stringo maggiormente la sciarpa di lana intorno al collo. Come si può andare
a scuola a quest’ora del giorno? Mi copro uno sbadiglio con la mano gelida.
La bici è accanto a me…con questo
freddo morirei pedalando.
Sono passati vari giorni da
quando Sakuragi mi ha donato il suo taglierino. L’ho posto dentro il cassetto
del comodino vicino al futon. Insieme
alla busta…non l’ho ancora aperta.
Ci devo ancora pensare…perché non
sono più certo di quali siano le mie priorità ora. E contattare mio padre…non
mi entusiasma.
E quel sentimento sottile
di oppressione s’insinua di nuovo dentro le mie
ossa.
Alzando lo sguardo mi rendo conto
di essere già arrivato a scuola. Faccio per varcare il cancello quando sento
afferrarmi per un braccio.
Mi giro irritato e incontro gli
occhi scuri di Mito. Ci guardiamo per pochi secondi in viso…mi lascia la manica
del cappotto. La sua espressione è seria…e quasi a disagio.
-
Ti devo
parlare.
Sorrido lievemente in modo
sarcastico.
-
Grazie…ma
non voglio “parlare” con te. Con voi…a proposito dove hai lasciato il
tuo gruppo?
Faccio per rigirarmi ed entrare
nel cortile dalla scuola ma Mito mi riafferra per il braccio.
Ora mi ha davvero
irritato.
Mi giro di scatto mollandogli un
destro contro la mascella. Lo vedo indietreggiare sul selciato.
Si tocca il labbro…il sangue
incomincia a macchiare la pelle. Si deve essere rotto.
Mi guarda serio…
-
Stronzo…ti devo
parlare di Hanamichi. Se t’interessa vieni alla pausa pranzo sopra la terrazza.
E mi supera, massaggiandosi la
mascella. Lo sguardo corrucciato.
Lo osservo entrare dentro il
portone della scuola. Che cosa vorrà ora da me?
***
Spalanco la porta della terrazza.
Fa davvero freddo. Per l’ennesima volta mi chiedo chi me l’ha fatto fare di
venire qui.
Dopo qualche secondo sento dei
passa provenire dalle scale. Un canglore della porta in metallo e lui è qui.
-
Mh…sei venuto.
-
Me lo avevi
chiesto.
Ci guardiamo negli occhi.
Lo vedo sospirare…poi infilandosi
le mani dentro le tasche dei pantaloni si accosta contro il muro.
-
Senti…io non
sono uno stronzo…mi dispiace per quello che è
successo la settimana scorsa.
È che…
A disagio estrae dalla tasca il
pacchetto di sigarette. Ne accende una…alcune volute di fumo si disperdono
nell’aria, insieme al vapore del nostro respiro.
-
Non c’è
bisogno che mi spieghi nulla.
Alza lo sguardo fissandomi.
Non sei una cattiva persona Mito.
Questo lo so. Lo si comprende dalla voce di Sakuragi quando parla di te.
Ma penso non ci sia altro da
aggiungere. Se volevi scusarti l’hai fatto. Mi giro per andarmene ma la sua
voce mi blocca.
-
Tu sai…che Hanamichi è orfano?
-
Sì.
-
Io…- butta
la cicca per terra… - ho conosciuto Hanamichi in seconda media. Era…devastato.
-
Mh…?
Inarco il sopracciglio perplesso.
-
Era…sempre
furioso. Sembrava avere una rabbia in corpo
inesauribile. Tutti nella scuola avevano paura di lui…lo evitavano. E più la
gente lo evitava…più Hanamichi faceva di tutto per
attirare l’attenzione. Una volta picchiò anche un professore.
Sakuragi…
-
Io mi tenevo
alla larga da lui. A quei tempi ero già diventato uno scapestrato insieme agli
altri ragazzi del Guntai…ma di lui avevo paura. Sembrava
non avere limiti…anzi…sembrava che non li cercasse nemmeno. Poi però…
Mito sorride nostalgico. Gli deve
volere davvero bene…
-
…un giorno
fui coinvolto in una rissa con dei sempai di un liceo. I ragazzi del Guntai non
erano con me…mi stavano massacrando…e arrivò lui. Non disse nulla…incominciò a
scazzottarsi con quei ragazzi. In pochi minuti erano tutti per terra doloranti.
Sembrava una belva. Quando riprese il controllo di sé…mi osservò. E
candidamente mi chiese se ero un suo compagno di classe.
Scoppia a ridere.
-
Ti rendi
conto? Aveva rischiato di essere picchiato a morte…per una persona che nemmeno conosceva.
Per lui…l’importante era solo sfogarsi. Quel giorno compresi che la sua non era
rabbia…ma tristezza. E disperazione.
È per questo
motivo che non mi parli mai del tuo passato?
Ti vergogni di te stesso?
-
Incominciai
a conoscerlo meglio. Hanamichi era una persona…era un
amico di cui ti potevi fidare. Smise di provocare risse (nel limite del dovuto
naturalmente)…e sembrava essersi calmato. In realtà…sotto quella corazza di
violenza…era un bambino. Io…l’ho sempre considerato come un fratello…per
questo motivo….quando mi ha detto che voleva rimanere solo, che non voleva
avere più a che fare con me e il Guntai…io mi sono
sentito tradito.
-
Dovresti
dirlo a Sakuragi tutto questo.
Mito abbassa la testa…triste.
-
Non
posso…quel giorno….abbiamo litigato pesantemente…e ci siamo dette parole…
Scuote la testa come per
scacciare dei pensieri malevoli.
-
Capisco…che
cosa vuoi da me?
Alza di scatto il capo
guardandomi serio.
-
Io… - estrae
dalla tasca della divisa un’altra sigaretta…la accende - …stagli vicino.
Io penso che…ho paura che… - aspira un po’ di fumo…socchiude gli occhi - …che si possa fare del male.
Allora te ne
sei accorto anche tu, Mito…
-
Dopo…la morte
del padre…lui…
La morte del
padre?
-
E’
cambiato…e… - sospira. Sembra davvero combattuto – …io non so molto del suo
passato. Non ne parlava con piacere…so solo che il padre è morto di infarto. Ma
non mi ha mai raccontato nulla di quel giorno. Avvertivo in lui…un senso di
colpa. Di voler espiare in qualche modo il dolore.
-
Già…chi ti ha insegnato?
-
Mio padre.
Quel
giorno…in cucina. Mi accennò a suo padre…alla sua passione per cucinare.
-
A volte si allontanano le persone per non farle soffrire al
proprio fianco.
Mito alza lo sguardo. Mi
osserva.
-
Lui non si è
fidato di me. Capisco solo questo.
E poi…perché tu?
Perché proprio tu?
Me lo sono
chiesto in questi giorni…roso dalla gelosia, lo ammetto – e ride lievemente.
La gelosia.
La avverto sempre intorno a me.
Dai ragazzi. Dalle ragazze.
Ma io non ho mai chiesto di
essere al centro dell’attenzione. Anzi.
-
Io non so
perché…si è avvicinato a te.
Certo ha sempre parlato di te…e tu hai un qualcosa di magnetico che attira la gente…ma Hanamichi non ti si è avvicinato per questo
motivo.
Ci guardiamo negli occhi.
Suona la campanella.
Mito abbassa la testa.
-
Va
bene……….chiudiamola qui. Ho parlato anche troppo….a lui non farebbe
piacere…non dirgli che ti ho cercato- sospira…- stagli vicino. Io…forse gli
parlerò. Grazie per essere venuto.
Annuisco, faccio per allontanarmi
ma vedo che Mito non mi segue.
-
Non hai
lezione ora?
Mi da le spalle. Vedo che prende
un’altra sigaretta dalla tasca…
-
Sì… - volta
il capo, vedo solo il suo profilo. Gli occhi lucidi… -…ne fumo un’altra e poi
scendo.
E penso che sia meglio lasciarlo
solo.
Gli occhi bagnati persi nel cielo grigio.
***
-
Devi
fermarti anche oggi?
Sakuragi compare dietro le mie
spalle.
-
Sì….la
punizione dura per un mese…
-
Ah…- mi si
avvicina ulteriormente, inginocchiandosi.
-
Deficiente…avevo
appena passato la pezza bagnata sul parquet – Hanamichi porta lo sguardo sulle
sue scarpe di ginnastica, arrossendo – sì…proprio
dove stai ora.
-
Scusa… - e
china leggermente la testa…un’espressione buffa sul viso. Un bambino.
-
Lascia
stare…cos’altro ci si può aspettare da un do’hao? – e sorridendo leggermente
continuo a passare la pezza sulla restante porzione di parquet.
-
Hey! Non
offendere sai! – ma a dispetto delle sue parole lo vedo ritornare sul bordo
campo, vicino all’entrata, cercando di ricalpestare
le orme calcate in precedenza.
-
Vuoi una
mano?
-
No…ho quasi
finito.
Sei gentile Hanamichi…e non riesco a far coincidere questo tuo
carattere…con ciò che mi ha detto Mito poche ore fa.
Sapevo che eri un teppista…ma in
fondo nemmeno io mi posso considerare un “bravo ragazzo”. Eppure…non immaginavo che la violenza
fosse una costante della tua vita in passato.
Non so se parlargli di Mito. Però…
-
Questo
pomeriggio Mito mi ha cercato.
Lo vedo sussultare. Il suo
sguardo diviene serio. I suoi occhi, concentrazione.
-
Perché? – e il tuo tono è gelido.
-
Voleva
parlarmi di te.
Chiude gli occhi.
Porta la
testa contro la parete della palestra che gli da le spalle.
Sembra combattuto.
Forse infastidito.
O forse dentro di sé è felice che Mito
nonostante tutto si preoccupi ancora per lui.
-
Ti ha detto
di mio padre vero? – riporta lo sguardo su di me. Cerca nel mio viso la
risposta. Sorride leggermente… - non sa mai tenere la bocca chiusa quello…
- ma nonostante il suo tono scherzoso lo vedo teso.
Hai paura
del mio giudizio
Hanamichi?
Riprendo a strofinare il parquet.
-
Mi ha detto
che è morto – mi alzo, dandogli le spalle…- e che tu dopo quel giorno…sei
cambiato.
Sakuragi non parla…avverto un
muro di silenzio dietro di me.
- E’ da allora…che ti
tagli? – butto nel secchio pieno d’acqua la pezza, girandomi. Osservandolo.
Ha chiuso gli occhi. Di nuovo.
-
Sì… - abbassa la testa…- ma quello è stato solo
l’apice. Ho trovato solo un altro modo di sfogare il mio
dolore. Prima era rivolto verso gli altri…dopo ho compreso che non potevo
meritarmi nemmeno quello.
-
Mia madre è
morta quando avevo sette anni.
Alza di scatto il viso,
guardandomi. Sorpreso.
Forse sono sorpreso anche io.
Ma un giorno avrei dovuto dirlo a qualcuno.
E forse
c’era un altro modo per esternarlo.
Forse oggi non era il giorno adatto.
Ma se si
vuole che una persona si fidi di noi…bisogna farlo per primo noi stessi.
Ed io in
questo momento mi sto fidando di te. Sto affidando un dolore lacerante che mi porto da anni dentro le
ossa dentro le mani.
E so che potrai accoglierlo.
Perché comprendi, forse meglio di
me, cosa comporta la perdita di una persona cara.
-
Erano sue
tutte quelle pentole…- e sorride lievemente al ricordo di quella serata passata
a casa mia a cucinare - …mi dispiace Kaede.
-
Sono passati
molti anni ormai – e incomincio a raccogliere i palloni sparsi per la
palestra…devo riporli dentro la cesta metallica e poi finalmente ho
finito…ignoro gli occhi di Sakuragi puntati sulla mia schiena.
-
Ora capisco
perché la tua casa trasuda solitudine…e malinconia.
Mi blocco…tre palloni stretti al
mio petto.
-
Sono gli stessi
sentimenti che si possono avvertire standoti accanto…e non capisco come
nessuno se ne accorga Kaede.
Sospiro. Chiudo la cesta.
-
Nessuno evidentemente se ne preoccupa.
Ci guardiamo negli occhi.
Qualcosa è cambiato definitivamente fra di
noi.
In questo momento.
Inclina la testa, sorride.
-
Se hai un
po’ di pazienza…ti vorrei raccontare della mia stupida vita fino ad ora.
-
Potrei anche
sprecare un po’ di tempo…per te.
Sorrisi. La fiducia che finalmente si libera incontrastata
fra di noi…
Niente più
segreti Hanamichi.
Niente più bugie.
***
Le strade dei negozi illuminano
ad intermittenza i nostri visi. Camminiamo lentamente, le mani infreddolite
infilate nei pesanti cappotti. Il borsone a tracolla.
Forse dovremmo fermarci da
qualche parte per parlare con calma. Ma non ne abbiamo voglia.
Camminando
le parole scompariranno lungo la strada.
E il peso del loro significato potrà essere
smentito dalla leggerezza con cui aleggeranno nel cielo scuro.
Passiamo vicino a una grande
magazzino. Dalle porte scorrevoli che si aprono e chiudono ininterrottamente
sentiamo provenire una musichetta natalizia.
-
Sai…sai
Kaede…io non so cosa è la morte.
Riporto lo sguardo su Sakuragi.
Ha lo sguardo perso nel vuoto.
-
So solo che
quando è morto mio padre…avrei voluto stringerlo fra le mie braccia. E
chiedergli di non lasciarmi. Perché io ero ancora un ragazzo, un bambino…gli
avrei voluto dire che avevo ancora bisogno di lui. Che avremmo dovuto avere
ancora tanti momenti felici insieme…dovevamo festeggiare il mio diploma…la mia
prima ragazza...e vederci crescere e invecchiare insieme. Dovevamo ancora
conoscerci davvero. Questa è la verità.
S’interrompe sospirando…
Un bambino ci corre
accanto…seguito subito dopo da una madre tutta scarmigliata.
-
Forse……….forse la morte è mancanza…e quando mi sono reso conto che non avrei
più potuto parlare a mio padre, che non avrei più potuto ricevere una sua
carezza o anche uno schiaffo…quando mi sono reso conto che tutto era finito…io
volevo solo morire.
Scomparire.
Si blocca sul marciapiede. Vedo
le sue mani serrarsi con forza dentro le tasche del cappotto. I suoi occhi sono
diventati lucidi.
Non voglio
che stia male.
Gli poso una mano sopra il
braccio, cercando i suoi occhi.
Ci sono io
accanto a te Hanamichi. Vorrei
che potessi leggere questo nel mio sguardo.
-
Kaede fa
così male…così male…è un dolore che ti attanaglia il petto e soffoca…e ci sono dei momenti in cui mi sembra di
poter davvero morire. Ma…
Chiude gli occhi. Le palpebre si
serrano.
-
Ma…forse
merito tutto questo dolore. Io…il giorno in cui è morto…non ero accanto a
lui. È morto da solo…su un pavimento freddo. Impolverato. Da solo…- si porta le
mani sugli occhi…- io non ero con lui Kaede. Non ero con lui…lui mi ha donato l’affetto di una famiglia…e
io l’ho ripagato in questo modo. Non ero mai in casa. Gli rispondevo
male. Eppure lui mi sorrideva sempre. E nei suoi occhi leggevo comprensione
per la mia rabbia, per il mio dolore di
vivere. E questo mi faceva ancora più arrabbiare.
E su di lui vomitavo tutto lo
schifo che provavo verso me stesso.
Hanamichi…
-
E quel
giorno…mentre lui moriva…io ero in giro a fare botte con dei ragazzi più
grandi. Non ero con lui…non ero con lui…sono solo un assassino…- e le sue parole si perdono in un sussurro
disperato
Quanto dolore…quanto dolore dentro di te.
Ma ora non
sei più solo….se cadi…ci
sono io ora a proteggerti. Ci sono io.
E finalmente……….finalmente comprendo.
Il
sentimento che serbo dentro di me.
Che coltivo da settimane.
Ora comprendo.
-
Hanamichi…- e il mio sussurro si perde fra i suoi
capelli carminii, mentre le mie braccia si stringono
intorno alla sua vita muscolosa…- smettila Hanamichi…smettila
– e mentre glielo sussurro, passo delicatamente le dita fra i suoi capelli…
E avverto le sue lacrime…libere,
scorrere sulle sue guance. Inumidiscono il mio collo.
Sento qualche passante sussurrare
qualcosa, passandoci accanto. Ma non m’importa.
Dopo pochi minuti lo avverto
scostarsi dalla mia spalla.
-
Scusami…non
volevo scoppiare a piangerti addosso – si passa le dita sopra gli occhi umidi,
non guardandomi…imbarazzato.
-
Non c’è
nulla di male a mostrare le proprie debolezze…e detto da me penso valga molto
come affermazione…no? – e riesco a strappargli un debole e pallido sorriso.
-
Mh…- si scosta
da me… - sì…penso di sì.
Ci guardiamo negli occhi.
E finalmente
posso perdermi nel tuo sguardo dorato.
Senza remore.
Posso annegare.
E non mi spaventa più.
Vorrei accarezzarti il viso,
cancellare le ultime tracce di lacrime dalla tua pelle. Ma non posso.
-
Entriamo in
un locale….mangiamo qualcosa?
Annuisco.
E mentre ci dirigiamo verso un
piccolo chiosco…incomincia a nevicare.
E riscopro
il candore della neve nei tuoi occhi fanciulleschi…sorpresi.
E felici.
***
Il locale è caldo…ci togliamo i
pensanti cappotti…e il cambiamento di temperatura ci arrossa il viso e le
mani…sento il sangue pulsare dentro le mie dita.
-
Cosa ordini?
-
Una zuppa di
verdure. Non ho molti soldi con me… - e mentre lo dico, guardo sconsolato
dentro il mio portafogli.
-
Penso anch’io…
Dopo aver ordinato cala il
silenzio fra di noi. Avverto Hanamichi imbarazzato. Probabilmente per ciò che
mi ha raccontato poco prima e per la sua reazione emotiva.
Lo osservo guardarsi le mani. Come
ho fatto a essere così cieco fino ad ora?
Il mio interessamento verso di
lui.
La mia preoccupazione.
Il mio pensare a lui…
Tutto questo
ha un nome.
È racchiuso
in un semplice nome.
Ma non voglio che si vergogni di
se stesso o di ciò che mi ha raccontato. Voglio che si senta libero di dirmi
tutto ciò che vuole…senza ripensamenti. O vergogna.
Ma non so come dirgli tutto questo.
Ad un tratto rompe il silenzio,
fissandomi di sottecchi.
-
Scusami…pensavo
di essere preparato a raccontarlo…ma evidentemente non ero ancora pronto
abbastanza... – e sospira.
-
Non
preoccuparti…sai…sei la prima persona a cui ho detto che mia madre è morta…e
sono passati 11 anni…- sorrido mestamente…- ti comprendo…
Ci sorridiamo lentamente.
-
Tuo
padre…era il tuo genitore naturale?
Sospira…forse non dovrei
riportare la discussione su quest’argomento…ma penso faccia bene a entrambi
parlarne. Esternare il nostro dolore.
Per troppo tempo…per troppi
anni…da soli…abbiamo dovuto sopportare tutto.
Scuote la testa lentamente.
-
No…sono
stato abbandonato quando ero appena un neonato… - il suo sguardo si perde per
il locale…- le Assistenti Sociali hanno deciso di chiamarmi Hanamichi perché la
via dove è ubicato l’Istituto in passato era ricolma di fiori (nota
1)…
-
Un nome dal
significato delicato per un maschietto…
-
Già…-
sorride, accarezzandosi i capelli…- e sono cresciuto lì per molti anni. I
problemi sono sorti verso l’età dei sette anni…mi rendevo conto che tutti i
bambini con cui ero cresciuto…erano stati adottati…tutti tranne me.
Il suo sguardo si adombra.
-
Non so
perché…evidentemente il mio viso non ispirava simpatia…o forse era il mio
sguardo...
-
Mh? – non
capisco…
-
Le
assistenti sociali sussurravano che non ero un giapponese puro…i miei occhi
erano sì nocciola…ma cangianti…sembravano dorati…la dimostrazione che
uno dei miei due genitori doveva essere uno straniero. E forse era per questo che nessuno mi
voleva.
-
È assurdo…
Eppure i suoi occhi…sono
così………………….espressivi.
Mi hanno
sempre portato, sin dall’inizio, ad uno stato di confusione persistente.
-
Già…naturalmente
non me lo dicevano direttamente. Le sentivo sussurrare alle mie spalle. Ero un
bambino molto pacato…anche se può sembrare strano…e compresi che così non avrei
ottenuto nulla. E allora decisi che se nessuno mi poteva volere bene…allora
mi sarei fatto odiare…o avrei cercato di scatenare una qualche minima
reazione nei miei confronti.
Dopo pochi
mesi non mi sopportava più nessuno. Ero diventato vivace. Rumoroso.
Insopportabile.
Scoppia a ridere.
-
Penso di
aver fatto perdere un po’ di anni a tutti coloro che gestivano la Comunità…ero
sempre in punizione….- la sua risata si trasforma in una piega dolce… -
poi…quando avevo 10 anni…un giorno…arrivò un uomo. E disse che voleva
diventare mio padre.
Io non ci credevo.
Quando un
bambino mi venne a dire che un signore stava firmando le carte nell’ufficio
della Direttrice per potermi adottare (nota 2)…pensai che mi stesse prendendo crudelmente in
giro. E lo picchiai.
Arrossisce, sfuggendo il mio
sguardo.
-
Non riuscivo
a credere…che qualcuno mi potesse volere con sé. Ormai ero totalmente
disilluso…e rassegnato al fatto che sarei cresciuto dentro la Comunità.
Sai…dopo una certa età è difficile che ti adottino...normalmente le coppie di
genitori cercano bambini piccoli da poter crescere. Ma lui…non so perché…mi cercò.
Mi sorride…e io sorrido con lui…
-
Pieno di
ammaccature per la rissa appena fatta e incredulo, entrai nella macchina del
signor Sakuragi. Nel breve tragitto che facemmo per arrivare a casa mi spiegò
che viveva solo e che sua moglie era morta molti anni prima. Io ero
silenzioso…mi disse che lo avevano colpito i miei occhi…e il mio nome…doveva
essere un segno del destino (nota 3)…me lo
ripeteva sempre…
Il suo racconto è interrotto
dall’arrivo della cena. Il cameriere posa sul tavolo due ciotole ricolme di
zuppa. Prendiamo le bacchette di legno, separandole.
-
Penso…che
quello sia stato il periodo più bello della mia vita…anche se…la mia
rabbia non era cessata.
Anzi.
Più
crescevo…più aumentava.
Non so
perché…non so cosa volevo ottenere…ero solo uno stupido. Non riuscivo ad
accettare completamente l’amore di quell’uomo. Ero scontento della mia vita,
avrei voluto avere dei
genitori
naturali, una famiglia vera. Non meritava un figlio come me…
Per un momento penso che Sakuragi
si rimetta a piangere, gli occhi lucidi e le bacchette serrate in una morsa fra
le dita. Ma con un profondo sospiro si calma…e ricomincia a mangiare.
-
Il signor
Sakuragi ti voleva molto bene Hanamichi. Probabilmente lo avevano avvertito del tuo carattere…e del tuo
passato. Ma lui ti ha accettato lo stesso come suo figlio, consapevole forse di
cosa stava andando in contro. Lui ti voleva bene…e accettava tutto di te…quando
affermi che lui ti sorrideva e nei suoi occhi leggevi la comprensione…penso non
ci sia dimostrazione più forte dell’affetto che serbava nei tuoi confronti.
Comprendeva la tua rabbia…
Sakuragi mi fissa, sorpreso per
il mio discorso, insolitamente lungo per le mie abitudini. Poi china il viso,
le guance arrossate…
-
E’ lui che
ti ha insegnato a cucinare?
-
Sì…era un
cuoco in un ristorante vicino casa…nei momenti di
“tregua”…mi insegnava a cucinare...a provvedere a me stesso…forse, dentro di
sé, sapeva già che non saremmo stati insieme per molto tempo…
Rigira le bacchette nella ciotola
ormai ricolma solo di brodo.
-
Dopo la sua
morte…ho incominciato a tagliarmi. Non mi bastava più picchiare gli
altri. Avevo bisogno di un dolore vero…alternativo. Ero dovuto ritornare
in Comunità…e quando lo psicologo si accorse di cosa stava succedendo…mi diede
semplicemente degli anti-depressivi. Non fece nient’altro.
-
Era il suo lavoro…che stronzo… - depongo la
ciotola sul tavolo, dopo aver bevuto il brodo.
Sakuragi alza le spalle.
-
Stavo
diventando ingovernabile. Un giorno ero anche svenuto a mensa. Alla fine decisero
d allontanarmi dalla Comunità, con la scusa che oramai ero capace di provvedere
a me stesso. Mi trovarono un piccolo appartamento e un lavoro. E il resto lo
conosci.
Hanamichi sospira.
-
Era da molto
che volevo raccontare tutto a qualcuno…e…sono contento che sia successo con
te, Kaede.
Ci guardiamo negli occhi.
Vorrei dirgli molto…e ora che conosco il suo
passato…sento il sentimento che provo verso di lui espandersi lungo tutto il
mio corpo, in una dolce e calda sensazione.
Ma non so ancora esprimere a voce…tutto
questo…
Rimango indeciso per pochi
secondi…poi, lentamente, la mia mano scorre sul tavolo per poi posarsi
delicatamente sulla sua. Avverto il suo sussulto sorpreso, i suoi occhi
sgranati…il dorso della sua mano, caldo, sotto il mio palmo. Non stringo, non
premo…voglio solo che comprenda la mia vicinanza…il mio esserci per lui.
Il mio
ringraziamento per avermi donato il suo passato nelle sue parole emozionate.
Hanamichi mi sorride dolcemente…e sento la sua mano girarsi…i nostri palmi si
sfiorano. E mi sento felice.
-
La prossima
volta…mi dovrai raccontare il tuo di passato…Kaede.
Stringo la sua mano.
-
Non
scapperò.
Da te…non
scapperò mai…
Ora che ho compreso di amarti.
***
Ci lasciamo all’entrata della
metropolitana…deve andare a lavorare.
Ci guardiamo negli occhi. Mi
sento strano…forse per la natura dei sentimenti che provo per lui.
-
Grazie per
la chiacchierata Kaede. Mi sento davvero meglio ora.
-
Quando avrai
bisogno di parlarmi…ti ascolterò. Sempre.
E so di essere arrossito mentre
lo dicevo. Ma non importa…sono ampiamente ricompensato dal suo sorriso luminoso
.
E non riesco a trattenermi.
Dio…lascio cadere la bicicletta per terra per poi abbracciarlo forte. Contro di
me. Ed è ormai una sensazione conosciuta il suo corpo contro il mio.
E la amo.
Lo amo.
-
Kaede…………?- avverto il suo sussurro imbarazzato
contro il mio collo. Ma nonostante le sue parole avverto le sue braccia
ricambiare la mia stretta.
Ma che cazzo
sto facendo? Devo essere
impazzito.
Lo lascio andare di
scatto…imbarazzato lo guardo…poi riprendo velocemente la bicicletta…ci monto
sopra.
-
Allora…ciao…buon lavoro –
farfuglio (ho mai farfugliato in vita mia?) velocemente.
Hanamichi mi guarda sorpreso…poi mi sorride solare e salutandomi con la mano si
volta, scendendo le scale della Metro.
Lo guardo scendere fin quando
scompare dietro l’angolo del corridoio sotterraneo. Poi dandomi dell’idiota
incomincio a pedalare veloce, tornando a casa.
Che cosa mi è preso?
Solo perché sono gay non
significa che anche lui lo sia. Anche se…
Pedalo…pedalo…veloce.
Velocissimo. Acquisto velocità. Sfreccio per le vie semi-deserte della città.
L’aria mi gela il viso. Le mani. Ma non m’importa.
I pensieri sono solo rivolti a
Lui. A ciò che mi ha raccontato. Al calore delle sue lacrime. Del suo
abbraccio.
L’amore…che cosa sarà mai? È
davvero questo peso che avverto dentro di me?
Penso che potrei gridare per questo
sentimento…e piangere. Sì…gridare e piangere.
Sono solo un ragazzo…e sono sommerso da tutto questo…potrei
volare con la mia bicicletta…per queste vie deserte…sì, accelerare, e lasciarmi
trasportare dall’aria fredda, aprire le braccia ed essere accolto dalla notte.
Fino ad ora non avevo vissuto…
Ti amo…
E solo questo importa.
Kaede Rukawa ama.
Note
Nota 1: Il nome “Hanamichi” è formato
in giapponese da due kanji: “花- hana” che significa “fiore” e ”道 - michi” che
significa “via”.
Nota 2: Non so effettivamente se esista una
figura professionale che gestisca una Comunità…parlando genericamente di
Direttrice ammetto di essermi presa una “licenza poetica”. Inoltre non si può
adottare un bambino dopo averlo visto una volta e senza aver avuto colloqui con
Assistenti Sociali e aver avuto il beneplacito del Tribunale Dei Minori (almeno
qui in Italia)…pertanto anche in questo caso ho voluto semplificare la trama.
Nota 3: Il cognome “Sakuragi” è composto da due
kanji: “桜- sakura” che
significa “ciliegio” e “木 – gi” che significa “legno, albero”. Da
qui il gioco di parole…