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Autore: exceptions    02/06/2013    2 recensioni
Rue Saint Auguste, a Parigi, ospita un piccolo albergo: il Nordot. Questo conserva ancora un antico splendore che cela però una verità ben diversa: il fallimento è ormai dietro l'angolo. Dentro l'Hotel le vite dei dipendenti e dei proprietari scorrono con sbiadita serenità e solo un fenomenale colpo di fortuna potrebbe far tornare il Nordot alla ribalta, donandogli ancora una volta un buon nome e una nuova veste.
Ecco perché Sylvie, un'aspirante chef abituata a vedere del positivo in ogni situazione, cercherà in tutti i modi di salvare la reputazione dell'Hotel, per preservarne la serenità e coronare il suo sogno d'amore con il suo maestro, il grande chef americano Burton.
Ma niente, in effetti, va come previsto. Soprattutto se ci si mette di mezzo un miracolo non indifferente.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Le destin se moque bien de nous]

-2 Récit de voyage (partie 1)
 
Ogni mattina, subito dopo essersi svegliata, Sylvie preparava la colazione per lei e per la madre. Con ancora il pigiama addosso si metteva ai fornelli stropicciandosi gli occhi, afferrando le cose dal frigo con fare esperto, uno sbadiglio che condiva il tutto meglio di qualsiasi parola. In genere Josephine si alzava esattamente nel momento in cui la figlia poneva a riscaldare i croissant ripieni nel fornetto elettrico, deambulando con lentezza verso la sedia del tavolo della cucina da dove osservava meglio la ragazza che si destreggiava sicura tra i fornelli. Sylvie prendeva quei pochi ingredienti che avevano nel frigo e li trasformava in autentici capolavori, piatti ricchi di fantasia e di colori sgargianti. Croissant fatti in casa con una sfoglia leggera e fragrante, omelette ripiene di formaggi dolci e affettati saporiti, frutta intarsiata con fare artistico. Nell'aria si spargeva un profumo delizioso, capace di aprire anche lo stomaco più testardo e Josephine amava riempirsi le narici di quei mille odori che permeavano l'ambiente. La casa in cui abitavano era piccola, modestissima, con assi di legno scricchiolanti sul parquet e mobili di legno chiaro. Le pareti erano bianche, le finestre in compenso erano grandi e luminose, tanto da far sembrare quel piccolo ambiente molto più ampio di quanto in realtà fosse. Sul balconcino c'erano fiori colorati e un piccolo orto di spezie che Sylvie faceva crescere con cura annaffiandolo tutti i giorni, recidendo le foglie marce e raccogliendo quelle più tenere per i propri piatti. 
Intenerita dal momento, Josehine osservò la figlia con un sorriso gentile e si lasciò andare ad un sospiro sommesso, posando lo sguardo sui particolari della figlia. Gli occhi castani che si socchiudevano un poco quando assaggiava qualcosa, le labbra schiuse quando era attenta, la fronte aggrottata quando c'erano passaggi particolarmente difficili in quello che faceva... rivedeva tanto di lei nella figlia, e allo stesso modo scorgeva Marcel in alcune caratteristiche. I capelli corti e biondi dello stesso identico colore del padre, le ciglia lunghe e folte, la forma del naso... 
"Mamma, mi stai osservando troppo." esclamò ad un certo punto la ragazza, ridestando un poco Josephine da quello stato di calma. La donna tossicchiò un poco e si sgranchì sulla sedia.
"Scusa tesoro, è che quando cucini sei proprio bella." 
Sylvie fece finta di non aver sentito e diede le spalle alla madre, nascondendo un sorriso divertito che le si fece largo sul viso. Prese i piatti e li portò al tavolo e poggiandoli sulla superficie di legno esclamò entusiasta.
"Croissant con crema chantilly e gocce di fondente con tè aromatizzato all'arancia." Josephine arricciò le labbra, inebriandosi di quel profumo. La colazione era un rito, come era un rito pulire la cucina con movimenti automatici prima di uscire o il rifare il letto matrimoniale insieme. Sylvie scendeva per prima avviandosi per le lunghe scale e stringendo il casco dello scooter in mano, la madre invece chiudeva la porta e controllava che tutto fosse al suo posto. Ultimamente, prima di girare la chiave nella toppa, lanciava un ultimo sguardo alla casa e sospirava. Se il Nordot non avesse avuto una ripresa celere sarebbero state costrette a cambiare appartamento non potendo più sostenere le spese dell'affitto, e questo significava dire addio a tutti i bei ricordi che avevano costruito insieme. 
"Mamma, siamo in ritardo!" urlò Sylvie dal piano terra, facendo riecheggiare la voce sulle scale che rimbombarono potenti. 
"Arrivo!" 
 
 
Il nome dello chef del Nordot era Anthony Burton. 
Quarantatre anni ed americano, si vantava spesso di aver fatto gavetta in un pluristellato ristorante newyorkese insieme ad uno dei più rinomati cuochi di oltreoceano, tale Steve Smith. Lui, di stelle Michelin non ne aveva presa mai nessuna, ma il suo invidiabilissimo curriculum e la sua genialità culinaria gli permettevano di mantenere una perenne puzza sotto il naso e un tono scontroso e autoritario in tutto ciò che diceva. Sapeva di essere bravo e non perdeva mai l'occasione per ricordarlo a tutti, usando costantemente la grazia e l'educazione tipiche di un uomo pieno di sé e carico di frustrazione. I pochi introiti del Nordot erano proprio dovuti al ristorante, al quale si poteva accedere anche se non si era clienti dell'albergo. Monsieur Lacroix sopportava poco Burton, esattamente come lo sopportavano poco gli altri dipendenti, ma proprio perché era grazie a lui e alla sua cucina che l'hotel era ancora in piedi, non poteva licenziarlo in alcun modo. Dal canto suo lo chef amava la sua posizione, quella libertà di spadroneggiare su tutti senza alcuna esitazione, e con tutto che la sua fama lì dentro era quella di 'stronzo maniacale' riceveva uno stipendio oltre ogni previsione, che probabilmente ammontava alla somma di cinque o sei degli altri dipendenti. 
"Io non capisco per quale motivo Lacroix non lo butta fuori a calci nel sedere." esclamavano a turno tutti quanti lì dentro, soprattutto gli assistenti della cucina e il maître, una donna di nome Adriana che con l'uomo alternava momenti di odio a momenti di odio profondo. In effetti nessuno nell'albergo sopportava Anthony Burton. 
Nessuno tranne Sylvie. 
Si potrebbe chiamare masochismo, o forse anche autodistruzione. In ogni caso la ragazza lo sapeva chiamare in un solo modo: amore
Era dai tempi in cui non arrivava ancora bene al tavolo della reception che adorava stare in cucina, coccolata e viziata da tutti quanti gli altri cuochi lì dentro. E in effetti, con quelle guanciotte paffute e quegli occhioni nocciola aveva saputo conquistarsi la simpatia di tutti, tranne quella dello chef. Aveva dieci anni quando lo aveva visto la prima volta, completamente assorto nei suoi movimenti, lo sguardo attento che scattava da una parte all'altra della cucina. E lui la notò lì, appoggiata allo stipite della porta che continuava a fissarlo.
"Vai via piccola. La cuisine non è un posto per le femmine." aveva detto con un tono freddo che celava qualcosa di nascosto, il marcato accento americano che spiccava prepotente; aveva sentito bene la piccola Sylvie? Quello nella sua voce sembrava... risentimento? Non si era schiodata di un millimetro, nè quel giorno nè tutti quelli a venire. Burton si era abituato alla presenza della ragazzina, troppo preso nella sperimentazione di nuovi sapori, e lei si era scoperta adorante nell'osservare i gesti di quell'uomo. Di Burton si potevano dire le peggiori cattiverie del mondo, ma di certo non gli si poteva rimproverare il poco estro culinario o la sua poca voglia di lavorare. Era il primo ad arrivare la mattina e l'ultimo ad andarsene, esattamente come lo era Josephine per le cameriere. La donna dal canto suo aveva accolto felicemente la nuova 'fissa' della sua bambina, credendo ingenuamente che quella voglia di stare in cucina le sarebbe presto passata. Cinque anni più tardi, quando una sera Sylvie le confessò che se gli altri in cucina non la vedevano aggiustava i piatti prima di mandarli in sala, Josephine sentì allo stomaco una strana morsa, morsa che aumentò vertiginosamente quando la figlia le chiese di poter frequentare un corso di cucina. 
"Sai quanto costa, piccola?" 
"Sì maman, decisamente troppo. Ecco perché ho intenzione di chiedere allo chef Burton di prendermi come garzone, in modo da poter racimolare un piccolo stipendio. Almeno il pomeriggio dopo scuola." Il suo tono era vivo e carico di aspettative, sicuro e senza inflessioni. Josephine non aveva mai visto suo figlia così sicura di sè. E così era partita una spietata caccia alla raccomandazione, poiché monsieur Lacroix assumeva i dipendenti, ma l'unica vera parola dentro la cucina era quella dello chef. Burton aveva squadrato Sylvie da capo a piedi e aveva incrociato le braccia al petto. 
"Un garzone, niente di più. Te lo dissi già tempo fa che la cucina non è un posto per femmine." E così dicendo le aveva voltato le spalle ed era tornato ad impartire acidi ordini agli assistenti. 
I primi anni erano stati un inferno. 
Sylvie aveva capito sin da subito che Burton stava facendo di tutto per cacciarla via. I lavori più pesanti, pur essendoci garzoni decisamente più prestanti, venivano affidati a lei. Portava fuori la spazzatura, riparava macchinari rotti, gettava e divideva ogni scarto, divideva i cibi nel frigo rimanendo chiusa lì dentro per ore rischiando l'ipotermia. Arrivò un giorno in cui lo chef la stremò con lavori di fatica immani per l'intera mattinata, lasciandole poi duecentoventritre chili di patate da pelare da sola. Sylvie aveva afferrato il pelapatate e in silenzio aveva cominciato a caparne una a una, scartando quelle ammaccate e ripulendo le altre alla perfezione. Tutta la notte aveva mantenuto la schiena china su quella montagna di tuberi, e la mattina dopo era ancora lì, a finire l'ultimo mucchio. Anthony Burton era rientrato nella cucina convinto di non trovare nessuno, e invece al posto del silenzio che si aspettava vide Sylvie in piedi con le mani completamente screpolate, che sciacquava sotto il getto del lavandino gli ultimi resti di una notte insonne. 
"Non me ne andrò mai via." aveva detto la ragazza, senza voltarsi. Lo chef era dovuto andare di fuori a fumarsi una sigaretta per riprendersi dallo chock. Quello stesso pomeriggio Sylvie aveva smesso la tuta da lavoro ed aveva indossato un immacolato grembiule bianco, con il suo nome in verde appuntato all'altezza del cuore. 
Era diventata un commis de cuisine
 
 
Si era resa conto di essersi innamorata del suo capo qualche anno più tardi, quando lo aveva aiutato a guarnire uno dei piatti più complessi del menù del ristorante. L'aveva lasciata fare, incoraggiandola a provare e a rimanere concentrata, poi le aveva afferrato le mani e l'aveva guidata nella guarnizione della cialda. 
"Et voilà." aveva esclamato sorridendo, una cosa poco consona per lui. 
Sylvie si era innamorata di quel sorriso così raro, celando sotto il grembiule un battito piuttosto accelerato. 
"Merci chef." aveva la voce rotta dall'emozione. 
Qualche tempo dopo, ritirando i suo soldi alla banca, Sylvie aveva comprato un biglietto aereo per New York e aveva spedito la prima quota a una delle Accademie di cucina più rinomate degli USA, pronta per partite. Era corsa dal suo mentore e aveva sventolato entusiasta la busta con la lettera di ammissione. 
"Non montarti la testa ragazzina. L'Accademia non ti accoglierà a braccia aperte, è un luogo duro che ti tempra e ti plasma." si era trattenuta dal rispondere che se non aveva mollato la presa con lui, difficilmente avrebbe potuto farlo altrove "Quanto hai detto che ci rimani?"
"Due anni." sì, due lunghissimi anni in cui avrebbe affinato le proprie tecniche e avrebbe finalmente imparato a cucinare sotto l'occhio esperto di rinomati nomi in campo culinario. Le era costato quattro anni di lavoro e molti risparmi della madre messi da parte, ma finalmente avrebbe ottenuto un attestato ufficiale. Si era aspettata qualche nuova parola dolce dall'uomo, magari un nuovo sorriso, ma l'unica cosa che ottenne fu una smorfia e uno sbuffo.
"Tornerai preparata, ma non sarà mai sufficiente." 
Era partita pochi giorni dopo con il cuore in pezzi, tra le lacrime della madre e raccomandazioni inutili piene di dolcezza. Aveva salutato Parigi e si era diretta verso quel mondo grande e inesplorato, con l'unico desiderio di poter tornare e dimostrare a l'uomo che amava quanto fosse diventata brava. 
 
________

Shiao. 
Alours... innanzitutto scusate il ritardo. Ho dato un'esame alquanto spossante e domani ne devo dare un altro, ma non mi andava di lasciarvi così a bocca asciutta.
Ho dovuto dividere il capitolo in due parti, altrimenti sarebbe diventato decisamente troppo lungo (e a me i capitoli troppo lunghi non mi sono mai piaciuti)
Vorrei ringraziare infinitamente tutte le persone che hanno:
recensito
seguito
preferitato
gnegnegnettato la storia. Davvero, grazie. 

Ringrazio anche le persone con cui ho avuto uno scambio di email sulla fiction, per qualsiasi cosa io sono sempre disposta a chiacchierare. 
Il commis de couisine è, in soldoni, l'assistente degli aiuto cuochi. Poi appena servirà vi spiegherò bene come funziona la brigata di cucina (sì, so che sembra il nome di un gruppo di compagni di bevute, ma in realtà è il termine corretto per indicare tutte le persone che lavorano nella cucina)
Il titolo del capitolo, si può tradurre tranquillamente con "diario di viaggio, parte uno"
Come al solito vi rammento che il mio word è andato -e vi giuro che prima o poi rimedio-, quindi se notate errori di ogni tipo non esitate a dirmelo. 
Vado, che ho un centinaio di phrasal verbs da ripassare. 
Amo l'Università. 
BUIO!



 
   
 
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