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Autore: suxsaku    20/12/2007    2 recensioni
Un mago ciarlatano, scorbutico e intrattabile.
Una ladra idealista, sognatrice e suscettibile.
Una profezia centenaria, astrusa e frammentata.
<< Fabrum esse suae quemque fortunae. >>
<< Che significa? >>
<< Che ciascuno è artefice della propria sorte. >>
Storia a cui tengo davvero molto. Sebbene abbia tutta la vicenda stampata in mente, non l'ho messa completamente per scritto, perciò gli aggiornamenti non saranno frequentissimi.
>> EDIT Capitolo 19. Ho fatto una correzione: alla fine del capitolo mancava una frase di Wantz; a causa dell'html si vedevano solo le virgolette. Ringrazio Yuna per la segnalazione.  <<
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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cap 16

Salve a tutti. ^^

Ecco altre quattordici (O_O) pagine nelle quali non succede molto a livello d'azione, ma vengono svelate alcune cose di interesse non indifferente. In questo capitolo mi sono soprattutto sbizzarrita per quanto riguarda le frasi: forse i dialoghi risulteranno "strani" come al solito (o "accademici", Lore dixit, e a ragion veduta), ma vado piuttosto fiera di alcune singole frasi. Se qualcosa colpisce anche voi, mi piacerebbe che me lo diceste: vorrei farmi un’idea se ciò che voglio comunicare arriva al destinatario oppure no, o se semplicemente quello che scrivo piace.

Il sedicesimo capitolo ha scatenato molte reazioni del  tipo“Che? Wantz ha una famiglia?!”. Ora ne saprete di più. Ora la verità comincia ad intravedersi. E alcune immagini cominciano a distorcersi.

Indi, spero che questo premierà coloro che hanno la pazienza di aspettare i miei aggiornamenti così sporadici (alla faccia di quelli che hanno gettato la spugna: Eco e le sue prime cento pagine del Nome della Rosa docent). I commenti mi fanno sempre piacere. ^^

E ora via, si comincia!

 

Capitolo 17: Finestre sul passato

 

Seduto sul dondolo in legno costruito in un moto di iperattività di Marhalt e scaraventato da lui stesso davanti allo sgangherato edificio che avevano l'ardire di chiamare casa, Wantz si godeva quella familiare sensazione oscillante, quel dondolio regolare che con i suoi moti perpetuamente uguali aveva fatto da contorno, personaggio silenzioso e fedele, a tante sue giornate. Avanti e indietro, ora immaginariamente vicino alle stelle che brillavano nel cielo cupo e gli mormoravano il suo futuro in una lingua a lui inafferrabile, ora spinto indietro verso ricordi vivi, ma passati, proprio perché ricordi.

Al suo fianco, lunga figura immobile, Marhalt se ne stava in piedi, il volto alzato al cielo, forse intento anche lui nell'insolubile decifrazione dei criptici messaggi celesti.

<< Non ti siedi? >>, chiese Wantz con noncuranza eccessiva.

<< Sai che odio quell'affare >>, fu la prevedibile risposta.

<< Non mi capacito di come tu possa disprezzare così una tua creazione... >>

<< Lo sai perfettamente. Mi da la nausea >>, rispose pacato, ma un po' seccato di essere caduto ancora su quel punto.

<< Non crucciarti >>, ridacchiò il mago, assaporando lo spostamento d'aria e il lento movimento del dondolo. << Sembra che sia un problema comune. >>

<< Dici? >>, domandò distrattamente, lo sguardo perso nella trapunta luminosa che li sovrastava.

<< Oh sì >>, assicurò. << Dovresti vedere che effetti può provocare un viaggio su un carro. >>

Marhalt strizzò gli occhi, sospettoso. << Perché ho l'impressione che tu abbia torturato quella povera ragazza? >>

La risposta di Wantz fu preceduta da una breve risata. << Non mi sembra che abbia un aspetto così malconcio... Dici che devo nutrirla meglio? >>

<< Non parlarne come se fosse un animaletto >>, lo ammonì. << A cena mi è sembrata una bravissima persona: educata, gentile, spigliata... >>

<< ... insopportabile, guastafeste... >>

<< ... dotata di pazienza ammirevole, visto che è riuscita a convivere con te, determinata ma al contempo dolce... >>

<< ... decisamente irritante e rumorosa. >>

Lo spilungone rise. << Questo secondo i tuoi personalissimi metri di giudizio. >>

<< Non nego che sia una persona dotata di grande forza d'animo, di notevole resistenza al dolore e alla fatiche, e tante altre belle cose, ma i difetti non le mancano. >>

<< Come a tutti gli esseri umani >>, puntualizzò. << Cosa te la rende così ostica da digerire? >>

<< Uno su tutti. >> Inspirò e assunse un'aria solenne. << La sua voce è così forte che diventa arduo pensare. >>

Il ragazzo annuì con serio cipiglio. << Capisco. Per un tipo riflessivo e meditabondo che rasenta il mutismo come te è un grave impedimento, decisamente. >>

<< E' come un uccellino >>, continuò. << Non ha il senso della stabilità. Ma io ne ho a sufficienza per entrambi. >>

<< Senza offesa, ma io penso che sia più probabile il contrario. >>

Non ottenne nessuna reazione dal compagno. Evidentemente si era perso in qualche suo ragionamento ispirato da quanto appena detto. Uno sbuffo di vento scompigliò a Marhalt i capelli castani, scuriti dalla notte, dal loro taglio insolito ma strategico. Si schiacciò il ciuffo in modo da coprire meglio l'occhio sinistro, guardando di sottecchi l'espressione affranta che calava lentamente sul volto del mago.

<< Cosa c'è? >>, chiese, allusivo.

<< Solo il solito, incontenibile senso di vuoto. >>

Marhalt sospirò. Sapeva bene cosa si prova quando si è in quello stato, ci era passato anche lui. Ma non poteva fare nulla per lui, più di quanto già non facesse: doveva riuscire ad uscirne da solo.

<< A parte questo, che ormai, devi ammetterlo, rappresenta la normalità, cos'altro ti preoccupa? >>

<>

<< Da una di quelle che ti tormenta di più, per esempio. >>

Seguì un breve silenzio. Si stava alzando il vento, e Wantz aveva smesso da un pezzo di dondolarsi. Marhalt batté a terra con forza un piede che gli si era addormentato; gli succedeva spesso. Wantz diceva che era a causa della sua sproporzionata e superflua altezza; che il sangue per circolare lungo un percorso così lungo ci metteva troppo. Ma non era bene prenderlo sul serio, perché da sempre il mago era giusto un tantino seccato di dover stare venti centimetri più in basso di lui. Del resto non era un problema pressante. No, avevano decisamente questioni peggiori a cui pensare.

<< Lei ha... E' riuscita ad attraversare una mia barriera. >>

Restò senza fiato. A stento riuscì a parlare, e solo dopo una doverosa pausa.

<< Stai scherzando? >>

<< Ma ti pare? >>, dibatté stizzito, riacquistando un po' della consueta tracotanza. << E non è l'unica cosa, riguardo a lei, che mi lascia interdetto. >>

<< Buon Dio... Stento a crederci. >>

Wantz lo guardò con gli occhi socchiusi. << Non dirmi che non te ne sei accorto. >>

Il ragazzo agitò una mano davanti al volto. << Scherzi? Si percepisce benissimo. Quella ragazza ha qualcosa di particolare, ma non saprei definire con chiarezza cosa. Appena l'ho guardata con un po' d'attenzione, sono stato invaso da una sensazione indefinibile. Non fatico a credere che faccia parte della profezia. >>

<< E io non sono nemmeno più stupito che l'Oscuro la stia cercando con assillante pedanteria. >>

Marhalt sgranò gli occhi. << Numi, se addirittura Lui dimostra un interesse nei suoi confronti... Quel qualcosa non è certamente una cosa comune. Il fatto che nemmeno noi riusciamo a definire e nemmeno a capire cosa sia mi preoccupa. Di certo le porterà guai. Ma come possiamo aiutarla a difendersi da qualcosa che non sappiamo cosa sia? >>

<< A parte il fatto che ha dimostrato di sapersi difendere benissimo da sola... >>, mugolò il mago ripensando a quanto la ladruncola sapeva essere violenta sia a parole sia in azioni. << Ha già dovuto affrontare entità sconosciute. Ha pure scacciato in malo modo un regalino mandato a domicilio dall'Oscuro. >>

<< E, a quanto mi dici, ha osato non solo opporsi a te, ma anche farsi beffe delle tue arti magiche, riuscendo a sopravvivere alla tua ira >>, sottolineò. << Mai essere umano riuscì a fare tanto. >>

Wantz rise sarcastico. << Una bambina ardimentosa, inutile negarlo... >>

<< Che ne diresti di spiegarmi per bene? Magari dall'inizio. Con tutti i dovuti particolari. Tanto... >>, lanciò un'occhiata alla casa, dove dormivano, ignari del loro colloquio, Iwen e Jillian. << I bambini sono a letto da un pezzo. >>

<< Che ora sarà? >>

<< A occhio e croce, le due. >>

Rassicurato dal favore della notte avanzata, Wantz si dispose, pur di malavoglia, a riassumere tutto ciò che era successo durante la sua assenza da Past e, in special modo, le ultime settimane, dopo l'incontro-scontro con la piaga sifilitica dall'aria innocentemente angelica che alla lunga lo avrebbe sfiancato, ne era sicuro.

"Ricordi, ricordi...

I ricordi servono a tenere le persone vicine. Rievocare un sorriso, una frase, una fisionomia, un gesto... Anche i morti restano vivi nei ricordi delle persone care.

Perché, allora?

Perché sono stato così folle da non accontentarmi dei ricordi?

Così infantile. Così egoista.

Se lo raccontassi a qualcuno, che reazioni otterrei?

Marhalt, se te lo dicessi, cosa penseresti? Ti arrabbieresti perché te l'ho tenuto nascosto per tutto questo tempo? O ti limiteresti a darmi dell'idiota?

Ah, storie, so benissimo cosa diresti. Saresti deluso di me. Ma non temere.

Anch'io sono deluso di me."

Terminato il resoconto delle settimane precedenti, Wantz tacque. Era di indole taciturna: non gli piaceva parlare tanto per farlo ed aveva difficoltà a reggere conversazioni lunghe. Raccontare, però, gli riusciva bene. Anche in quel momento, non si era limitato a descrivere i fatti, li aveva raccontati; c'era una differenza sottile, ma sostanziale. A suo parere, una persona si può descrivere, ma una vita si può solo raccontare. E così aveva fatto per quel pezzo della sua esistenza. Come avrebbe potuto limitarsi ad un riassunto freddo delle illusioni vinte dalla ragazza, ad un'analisi distaccata dei problemi superati e di quelli che sarebbero sopraggiunti, o ad uno sterile elenco dei dubbi nati in quel breve ma intenso arco di tempo? Le parole, cosa inusuale, gli uscivano fuori con facilità e il suo parlare, cosa ancora più rara, era spontaneo, senza artifici. Più volte troncò frasi a metà, cambiò termini poco adatti, indugiò su due esempi per scegliere quello che rendesse meglio l'idea di ciò che voleva dire, balzava da un evento all'altro, nel desiderio di fornire un quadro chiaro di ciò che aveva vissuto. Truccare la propria vita e fornirne una versione menzognera sarebbe un'inutile perdita di tempo; questo pensava, e di conseguenza narrava. Adesso Marhalt restava in attesa. Le domande che gli si affollavano in testa erano tante, così come le ipotesi e i rimproveri per il comportamento del suo barbaro amico, ma stava iniziando ad avere sonno, quindi aspettava il momento adatto per terminare il discorso, con l’intenzione di continuarlo l'indomani.

<< Non potrò mai dimenticare la bellezza del suo pianto >>, disse Wantz all'improvviso, riferendosi alle occasioni in cui la ragazza aveva pianto, ma in particolare a quello seguito alla dipartita del "ricordo". << Ti faceva sentire che l'anima racchiude davvero qualcosa di prezioso. >>

Marhalt sbatté le palpebre, sorpreso che il mago parlasse apertamente di un argomento così spinoso. << Wantz, io... >>

<< Non sai cosa dire, eh? Meglio, non c'è nulla da dire. In certi casi guardare senza poter avere provoca invidia, rancore; in altri invece la contemplazione di ciò che non si può avere appaga, rasserena. Questo è uno di questi ultimi. Vedere che c'è ancora qualcuno con un'anima così pura, nonostante la prevalenza, ormai, di anime corrotte, spietate, sporche, dannate, vendute, rubate, nere... mi fa sentire bene. >>

Lo spilungone sorrise. << Non ci credo. Non dirmi che hai trovato una speranza >>, insinuò, canzonatorio.

Wantz scosse la testa. << Speranza è una parola grossa, e in questo caso decisamente fuori luogo. >>

<< Per ora >>, sussurrò, troppo tentato di punzecchiarlo e incurante del rischio di farlo innervosire. Si voltò e si avviò verso la casa, sicuro che non avrebbe ricevuto risposta a quella provocazione. Entrò, con il vago sentore che forse, finalmente, qualcosa aveva riscosso il mago dal torpore in cui era caduto ormai da troppo tempo, e si chiuse la porta alle spalle. Speranza, curiosità o qualunque cosa fosse, era ben accetta, purché servisse a dargli una scrollata e a farlo scendere dal gradino di distacco che gli fungeva da istintiva difesa. Ridacchiò, sentendolo masticare parole con un misto di disprezzo e rassegnazione.

<< Per ora. >>

"Sono due anni. Due anni che vivo con addosso le conseguenze di ciò che ho fatto.

E non si tratta solo del rimorso.

Non è nemmeno questione di orgoglio.

E neppure il peso di quest'ennesimo errore.

E' qualcosa di molto più opprimente.

Glielo leggo negli occhi, ogni volta. Lui non me lo fa pesare, forse non gli importa davvero, ma la verità è innegabile.

Ogni volta, durante i nostri surreali incontri, me lo chiedo con ansia crescente.

Perché? Perché fate finta di niente, maestro?

E' colpa mia."

Quando si svegliò, indugiò a letto. Valutò la possibilità di prepararsi qualche discorso, di riflettere su come comportarsi in una situazione così inaspettata, ma non riusciva a trovare nulla di adatto. La cosa migliore da fare era comportarsi con naturalezza, perché così si erano comportati con lei i padroni di casa. Aveva cenato nel mezzo delle beghe, dei punzecchiamenti, delle battute e del particolare ma evidente affetto che legava quei tre eccentrici personaggi. Il lentigginoso bambino impertinente, Iwen, e Marhalt, lo stangone dall'aria serafica e dall'incrollabile sorriso, l'avevano accolta senza riserve e si erano comportati come loro solito, facendola sentire a suo agio proprio grazie all'assenza di formalismi e all'atmosfera quasi familiare che regnava tra loro. Quindi, come la sera precedente, sarebbe stata semplicemente se stessa.

Scese dal letto, lo rifece frettolosamente, si diede una sistemata guardandosi nello specchio che stava appeso sbilenco alla parete, uscì dalla piccola e spoglia camera che gli avevano assegnato e scese le scale, fermandosi titubante nel minuscolo ingresso. Davanti a lei c'era la porta che dava all'esterno, alla sua destra invece c'era la cucina, da dove giungevano dei rumori indistinti. Dall'uscio della cucina fece capolino Marhalt, che la salutò con un sorriso a cui lei rispose con un titubante "Buongiorno".

<< Vieni >>, le disse. << La colazione è pronta. >>

Jillian si era chiesta come avesse fatto ad accorgersi che era scesa, visto che si era mossa silenziosa come quando si infiltrava nelle case per rubare, ma quell'interrogativo venne subito soppiantato da un altro non appena entrò nella stanza. Dire che la colazione era pronta era poco. Era tutto fumante, appena finito di essere preparato, come se ci fosse stata la certezza lei che sarebbe arrivata in quel preciso istante. Si sedette a tavola, allo stesso posto del giorno precedente, guardando un po' stupita le uova e la minestra che il ragazzo le servì.

<< Ah, immagino che ti sembri un po' strano >>, disse in risposta al suo stupore. << Noi mangiamo abbondante la mattina perché non facciamo pranzo. Stiamo tutto il tempo nell'orto a lavorare. Non immagini quanto ci sia sempre da fare. >>

<< Sì, lo. Ho esperienza nei lavori agricoli >>, assicurò, sollevando il cucchiaio e tuffandolo nella minestra preparata con le verdure che loro stessi coltivavano.

Marhalt sedette di fronte alla ragazza, cercando di scrostare con un cucchiaio di legno un paiolo ricoperto da una patina verdastra decisamente poco attraente.

<< Se ti fa schifo mangiare così abbondante la mattina, dillo. Ti preparo qualcos'altro >>, propose, premuroso.

<< Oh, no. Non c'è nessun problema. >>, si affrettò a smentire. << Sono abituata a mangiare quel che capita a qualsiasi ora. >>

Il ragazzo sorrise. << Va bene. Ma non farti scrupoli di nessun genere, mi raccomando. >>

Jillian mangiò in silenzio, contemplando il lavoro di pulitura dello stangone: la crosta non sembrava intenzionata ad abbandonare il suo domicilio. Guardò quel ragazzo alto e gentile sfregare il paiolo con tutte le sue forze: le sembrava un tipo calmo e pacato, probabilmente più maturo di quanto la sua età esigesse; quel suo fare tranquillo e quel suo essere sempre sorridente le trasmettevano una sensazione di quiete e di sicurezza. Era certa che svolgesse una funzione di mediatore durante le dispute degli altri due, e si comportava a tutti gli effetti come un fratello maggiore. Nonostante la fiducia che ispirava e il suo carattere mite, c'era in lui qualcosa di strano. Il taglio di capelli, per esempio. La cura con cui celava l'occhio sinistro. La sua abitudine di camminare, parlare, cucinare, tenendo spesso l'occhio destro chiuso: si muoveva, tagliava, faceva tutto come se ci vedesse, eppure un occhio era serrato e l'altro non poteva certamente superare la spessa barriera formata dal ciuffo. E le rare volte che apriva il destro, lo teneva rigorosamente socchiuso. Per quanto si sforzasse, non riusciva a evitare di formulare ipotesi assurde. Già se lo immaginava affetto da una malattia che lo avrebbe reso cieco, e quello risultava essere un allenamento per arrivare preparato al buio perenne. Ma tutte le supposizioni non era soddisfacenti. Sospettava che la risposta fosse legata a qualche evento particolare, magari magico. Forse era vittima di qualche maledizione.

Si vergognò dei suoi  sospetti ingrati guardando il suo placido e rassicurante sorriso.

<< Tu non mangi? >>, gli chiese, passando alle uova.

<< Già fatto. Sono in piedi da un pezzo. Noi mezzadri dobbiamo essere mattinieri. >>, rispose, perdendo il controllo del cucchiaio, che schizzò via e gli ricadde sul naso.

Jillian non riuscì a non ridere. Marhalt si massaggiò il naso, sorridendo rassegnato.

<< Mi dispiace se ho rallentato i vostri ritmi. Normalmente non mi sveglio così tardi. >>

<< Non ti preoccupare. Wantz mi ha raccontato la vostra ultima disavventura. Avevi del sonno da recuperare, e mi ha detto di non svegliarti. >>

<< Premura inusuale >>, sussurrò acida.

Il ragazzo sembrava divertito. << Deve essere dura per te aver a che fare con un tipo come lui. >>

Jillian ingoiò un boccone e sbuffò. << Buzzurro è la definizione adatta. >>

<< Immagino che la difficoltà maggiore sia riuscire ad instaurare un dialogo con lui >>, disse con tono comprensivo.

<< Non mi lascia mai aprir bocca >>, confermò.

<< Tienigli compagnia ancora due anni e scorderai il suono della tua voce >>, rise il ragazzo.

<< A proposito, dov'è? >>, chiese, realizzando solo allora che si sentiva così allegra perché nessuno le aveva ringhiato contro o l'aveva squadrata con aria supponente.

Ci pensò un attimo. << Veramente non saprei. >>

<< A tramare qualcosa di losco, sicuro >>, scandì con convinzione.

Una voce la fece trasalire.

<< In effetti è un po' che non succedono disastri. >>

Si voltò e vide Iwen entrare con un cesto pieno di patate. Si sedette e appoggiò il cesto sulla tavola.

<< Ciao >>, bofonchiò in imbarazzo rivolto a Jillian. Non doveva aver a che fare molto spesso con le donne, e quindi non sapeva bene come comportarsi con lei; oppure si vergogna per la sera precedente, quando le aveva chiesto se era la schiava del mago. O forse, memore della vendetta della ragazza, e volendo evitare di essere sollevato di nuovo per i piedi e di roteare per aria, la riteneva un pericolo per la sua incolumità. Era un ragazzino di qualche anno più piccolo di lei, ancora ingenuo; sembrava costantemente nervoso, un tipo irrequieto che non riesce mai a stare fermo, impulsivo, una vera testa calda. Quando si agitava i suoi capelli rossi parevano delle fiamme guizzanti. Aveva il viso tempestato di efelidi, così come il resto del corpo. Pareva un ragazzino normalissimo, ma anche lui le dava la stessa impressione di mistero insoluto di Marhalt. Non poteva proprio fare a meno di chiedersi in quale circostanza avesse perso il braccio sinistro.

<< Indovina cosa c'è per cena >>, canticchiò allegro Marhalt.

<< Quello che mangeremo per i prossimi sei mesi >>, grugnì risentito.

<< Non disprezzare il cibo, Iwen >>, lo ammonì.

<< Non le disprezzo in quanto cibo, ma in quanto tuberi da estrarre dalla terra >>, spiegò, grattandosi il naso.

<< A proposito, entro sta sera dobbiamo assolutamente finire di raccoglierle. >>

<< Grandioso >>, biascicò con un'aria scocciata che le ricordò molto le smorfie di Wantz e le strappò una risata. Iwen alzò gli occhi su di lei e vide i piatti vuoti; li prese con l'unica mano che aveva e li posò vicino ad altre stoviglie in attesa di essere lavate. << Se hai ancora fame dillo >>, grugnì.

<< Grazie, sono a posto >>, rispose sorridendogli, nel tentativo di scioglierlo un po'.

Iwen arrossì lievemente. << Comunque, se poi ti viene fame, dillo: noi di solito non pranziamo, ma qui c'è tutto il pane che vuoi. >>

<< Oh sì >>, annuì Marhalt, tornando ad esaminare il paiolo. << Wantz adora il pane, mangerebbe solo quello. Se c'è lui nei paraggi, sta' sicura che puoi avere tutto il pane che vuoi. >>

Il ragazzino si rigirò una panata in mano. << Quindi se non resisti fino a cena puoi tranquillamente strafogarti di pane. >>

Jillian ringraziò. << Iwen, per caso sai dov'è Wantz? >>

<> Fece un'impercettibile pausa. << E' lì? >>, aggiunse, con un chiaro riferimento ad un luogo che loro conoscevano bene, e che lei non poteva sapere.

<< No. >> La risposta valeva per entrambe le domande.

Non dissero altro a riguardo, forse secondo un tacito accordo. Jillian non insistette e restò un po' in silenzio, guardando Iwen che sbeffeggiava l'amico per la scelta discutibile dell'attrezzo di raschiamento: con fare esperto si armò di un coltello e si mise a raschiare i lati del paiolo con energia. Troppo energia. La patina crostosa si staccava in grossi grani e schizzava ovunque per la cucina, con sommo orrore di Marhalt al pensiero di dover ripulire tutto. Afferrò il braccio del ragazzino per fermarlo, col solo risultato di dirottare gli schizzi contro di lui. Prima che Iwen si fermasse, aveva la faccia e il capelli ricoperti di verde. In mezzo alle risate di Jillian, alle scuse divertite di Iwen e ai gemiti di disgusto di Marhalt, si aggiunse un'altra voce.

<< Perché perdete tempo in questa maniera assurda quando le patate fremono d'impazienza? >>

Marhalt si ripulì con il dorso della mano e lo guardò storto, pur sorridendo benevolo. << Oh, sta' zitto, Wantz. Altrimenti ce n'è anche per te. >>

Wantz stava appoggiato al davanzale della finestra (che più che altro era un buco nel muro che veniva chiuso con una pezza di tela ruvida, visto il costo proibitivo dei vetri) e li fissava con la solita aria di superiorità venata di ironico distacco. Aveva cambiato vestiti: via il mantello, la spada e i vestiti scuri, adesso indossava una maglia azzurra e un paio di calzoni grigi; si era anche legato i capelli con un nastrino. Teneva in mano una pagnotta sbocconcellata e aveva la bocca sporca di farina. Jillian, a vedere ciò, sorrise.

<< Ben svegliata. Vedo che ci divertiamo, eh? >>, sogghignò all'indirizzo della ragazza.

<< Parla per te >>, gemette lo spilungone, sputando un'invadente pezzo verdastro che gli era entrato in bocca.

Wantz storse la bocca in un sorriso canzonatorio. << Grazie per il tuo solerte impegno a tenere alto l'umore della truppa >>, disse a Iwen.

<< Ma le pare >>, ammiccò.

Jillian guardò il mago con un misto di divertimento e dolcezza.

<< In verità ridevo per te >>, ammise.

<< Effettivamente... >>, rifletté il più grande del gruppo. << Ma come ti sei conciato? Sei tutto sporco di farina. >>

<< Da che pulpito. Ma ti sei visto? Vatti a specchiare, ne vale la pena >>, rispose maligno, passandosi però immediatamente il dorso della mano sulle labbra.

Seguì un momento di disordine in cui Marhalt, specchiatosi e capita l'entità del disastro, inseguì per tutta la casa il rosso scalmanato e, una volta catturato, lo mise, straccio alla mano, a rimediare a ciò che aveva combinato.

<< Comunque... >>, riprese Jillian quando riuscì a frenare le risate. << Non era per la farina. Sono favorevolmente impressionata nel vedere che sei capace di provare affetto verso qualcuno. >>

Ci fu un momento di silenzio generale. Wantz aveva lo sguardo rassegnato che assumeva ogni volta che lei se ne usciva con un'affermazione del genere; Iwen si era bloccato per lo stupore e fissava alternatamene il mago e la ladra; Marhalt, a occhi chiusi, diede un colpetto col piede al bambino perché si rimettesse all'opera.

<< Che carina >>, sospirò quest'ultimo con fare sognante. << Non mi capita spesso di sentire frasi così cariche di sentimento. Ci voleva proprio uno spirito femminile qui dentro. Questi due non mi danno mai soddisfazioni di questo tipo >>, terminò, risentito.

Wantz lo fulminò con lo sguardo, ma probabilmente era contento di poterne uscire in modo decoroso. << Scusa tanto se non sono di indole zuccherina e smielata. E poi se stessi dietro a tutte le sue uscite poetiche perderei delle giornate intere. >>

Marhalt posò le mani sulle spalle di Jillian. << Hai il mio permesso: seppelliscilo di melensaggini >>, affermò con aria solenne, investendola ufficialmente di quell'ingrato compito.

<< Non vi deluderò >>, promise con fare altrettanto serio. << Hai sentito? >>, chiese al mago con un sorriso canzonatorio e malizioso. << Sono stata autorizzata, perciò non lamentarti. >>

<< Ne morirò >>, protestò il diretto interessato.

<< Appunto >>, confermò Iwen.

Mentre lo spilungone si dilettò a tormentare il bambino con una ramanzina sul rispetto, Wantz lanciò a Jillian un'occhiata preoccupata. Lei lo guardò interrogativa, ma lui si limitò a scuotere la testa. Jillian si chiese ancora quale fosse veramente la relazione che legava quei tre ragazzi, chi fossero veramente, e cosa passasse nella testa del suo compagno di viaggio. E ancora non seppe rispondersi.

<< Bando alle ciance Marhalt, >>, chiamò infine il mago, << abbiamo un problema. >>

<< Sarebbe? >>

<< Il gufo. Verrà oggi. >>

Sussultò. << Non dirmelo. Vuole le patate? >>

<< E anche polemizzare. >>

<< Accidenti... Molla lo straccio, mozzo! >> Alzò Iwen di peso e cominciarono a discutere su come velocizzare la raccolta.

Jillian si avvicinò alla finestra dove stava il mago. << Senti, Wantz... >>

Staccò un morso di pane e lo masticò con gusto. << Umh? >>

<< Oggi è domenica. Mi chiedevo se non fosse possibile andare a messa. Immagino che in questo paese ci sia una chiesa. >>

Va bene che la richiesta poteva suonare un po' da zitella bigotta, ma il gelo che cadde dopo la sua domanda le sembrò fin eccessivo. Erano ammutoliti all'istante, persino Iwen aveva smesso di accampare scuse per sfuggire ai tuberi, e la fissavano stupiti . Iwen e Marhalt, almeno. Wantz, oltre che sbigottito, sembrava... ferito.

Sentì il bisogno di giustificarsi, anche se neppure lei sapeva perché. << Sono due settimane che non ci vado... Pensavo che si potesse fare, visto che tanto non hai intenzione di ripartire oggi... >>

Si riprese. Cancellò quell'aria ferita e sbalordita e riacquistò l'inespressività che lo contraddistingueva.

<< Iwen. Puoi accompagnarla tu? >>

Il ragazzino aveva assunto un'espressione stranamente seria. << Sì, non c'è problema. >>, acconsentì subito. << Le patate? >>, aggiunse. Jillian però ebbe l'impressione che non avesse acconsentito solo per scampare alla raccolta: c'era un motivo di fondo. Qualcosa nella sua richiesta aveva turbato il mago, qualcosa che i suoi due compari conoscevano bene, e lei non riusciva a immaginare. Qualcosa legato al  motivo che li spingeva a non volerla lasciar andare da sola.

Wantz sogghignò, forse nel tentativo di ripristinare l'atmosfera allegra di prima. << Si fa a modo mio. >>

"Non me la sento di classificarlo come un errore, perché non è stato involontario, l'ho fatto in piena consapevolezza. Era ciò che volevo.

La definirei piuttosto un'imperdonabile leggerezza.

Pensavo che sarei riuscito a gestire la cosa. Pensavo che fosse giusto farlo.

Mi giustificavo dicendomi che era legittimo. Invece non era solo scorretto nei suoi confronti e contro qualsiasi morale.

Era contro natura."

Indossato il più semplice dei (due) vestiti che possedeva, quello blu scuro troppo leggero che Wantz disprezzava tanto, Jillian uscì quasi di corsa dalla porta d'ingresso.  Marhalt le aveva detto di sbrigarsi: loro abitavano fuori dal villaggio ("A prudente distanza", pensò lei), per raggiungere la piazza principale dove c'era la chiesa ci voleva solo una decina di minuti, ma era tardi e la funzione sarebbe cominciata a breve. Raggiunse Iwen, fermo nel prato che conduceva all'orto. Si era messo una giacca nera sbiadita e troppo lunga, probabilmente appartenete a uno degli altri due ragazzi. Era il meglio che aveva trovato, farfugliò in scusa. Jillian sorrise del suo impacciato contegno; gli lisciò alcune pieghe che si erano formate sulle spalle, sfiorando titubante la manica destra, che Marhalt aveva arrotolato fin sulla clavicola e fissato con uno spillone.

<< Perfetto >>, commentò.

Iwen, che aveva distolto lo sguardo mentre lei lo sistemava, stava ridendo guardando davanti a sé. Jillian si voltò e seguì la linea dello sguardo del ragazzino, fino all'orto. Wantz stava ritto in piedi nel centro dei solchi delle patate, il braccio sinistro alzato all'altezza del collo e indice e medio alzati davanti al naso, l'altro invece veniva agitato su e giù, a sinistra e a destra: ad ogni movimento del braccio destro una patata schizzava fuori dalla terra, roteando in aria e ricadendo con grazia, senza ammaccarsi, nelle casse che Marhalt, rigorosamente ad occhi chiusi, reggeva e sostituiva man mano che si riempivano. Con movimenti precisi e ritmo sostenuto, lavoravano senza pause e in un silenzio concentrato.

Iwen staccò a fatica gli occhi da quel surreale e fantastico spettacolo e si incamminò.

<< Andiamo >>, intimò alla ragazza.

<< Sarebbe questo il suo modo di raccogliere le patate? >>, chiese, indispettita dal modo inconsueto e sconsiderato di Wantz di servirsi della magia.

Annuì. << Sì. Così, almeno, finiranno in tempo per l'arrivo del gufo. E io mi sono evitato quella seccatura. >>

<< Ma chi è il gufo? >>, domandò, camminandogli di fianco.

Il ragazzino fece una smorfia. << Il padrone dei nostri terreni. Lo chiamiamo gufo perché assomiglia in tutto e per tutto ad uno di quegli uccelli notturni; se lo vedrai, capirai subito a cosa mi riferisco. Marhalt è un suo vassallo >>, spiegò tutto d'un fiato.

<< Ho capito. Quindi vi occupate dei suoi campi e degli alberi da frutto, e in cambio lui prende parte del raccolto. >>

<< Esatto. Wantz ha sentito che oggi ci farà una visita a sorpresa e pretenderà la sua quota di patate. E' una sua cattiva abitudine, venire a riscuotere senza preavviso >>, soffiò con risentimento.

Jillian evitò di chiedersi come Wantz lo avesse effettivamente sentito; aveva il sentore che non avesse solo sentito delle voci, ma che fosse andato direttamente alla fonte. Ringraziò di non essere nella lista del ragazzo delle "menti da visitare e/o da tenere sotto controllo".

Sentirono i rintocchi delle campane annunciare l'inizio della messa. Allungarono il passo.

<< La stai trattando come una stupida. Farai del male anche a lei. >>

Wantz non rispose. Sollevò una cassa piena di patate e si diresse verso il capanno di fianco alla casa che fungeva da magazzino e da stalla. Marhalt lo seguì, tenendo due casse contro i fianchi. Avevano finito velocemente e senza fatica; ora non restava che dividere il raccolta a metà, in attesa dell'arrivo del famelico padrone.

<< Sto cercando di fare del mio meglio >>, disse infine. Sistemò la cassa a terra, vicino alle altre, nel magazzino buio e soffocante.

<< Vero è che sei arrugginito, ma sono certo che puoi benissimo convivere con quella ragazza. >> Posò il carico e si terse con un fazzoletto il sudore dalla fronte, mentre Wantz controllava che il suo cavallo avesse biada a sufficienza per tutta la giornata. Uscirono e tornarono in casa.

<< Mi sto sforzando, ma conosci la mia deficienza quanto al vivere insieme a qualcun altro >>, ricordò Wantz.

Lo spilungone prese alcuni tuberi dalla cesta che aveva portato Iwen e li lavò in una tinozza piena d'acqua.

<< In solitudine un uomo può acquisire qualsiasi cosa, ma non un carattere. >>

<< Dio mi ha dato un'anima individuale, e io non la posso seppellire >>, obbiettò.

Marhalt rise. << Tu parli che parli di Dio. Usandolo come legittimazione, poi. >>

Cominciò a pelare patate, sotto lo sguardo assente del mago. Dal paese giunsero i rintocchi che annunciavano la fine della messa. Arrivarono sino a loro le grida dei bambini che, usciti sulla piazza a giocare, gioivano per la fine dell'ora di noia settimanale.

<< Sai... Il vecchio proverbio si può ben dividere fra me e lei >>, riprese Wantz dopo una lunga pausa. <<  Lei ha la "grazia di Dio", e io "quel che basta". >>

Era preparata alle occhiate sospettose che avrebbe potuto ricevere in quanto forestiera; e in qualche modo era pronta anche ad eventuali reazioni inaspettate dovute alla presenza del suo accompagnatore. Una cosa, però, è la prudenza, un'altra il disprezzo.

Ogni singolo abitante che incontrarono per strada lanciò occhiate gelide ad Iwen, il quale rispondeva con un'espressione indifferente che era sicuramente frutto degli insegnamenti di Wantz; e anche in chiesa molti si voltavano a sbirciarli quasi con odio. E tutto quell'inspiegabile astio si rifletteva su di lei.

Prima di entrare e di separarsi (lui sarebbe andato nella zona degli uomini e lei nell'unica navata riservata alle donne, secondo le regole stabilite dal clero), il ragazzino le aveva raccomandato di non parlare con nessuno e di "non raccogliere nessuna provocazione", e ora capiva a cosa si riferisse: madri, vecchie e vergini la fissavano con aria di sfida, quasi volessero che si scusasse di aver portato tra loro un elemento indesiderato. Riuscì a stento a trattenersi dal rispondere a tono a quegli sguardi, ma evitò di reagire per non causare guai ad Iwen. Era lui infatti ad aver scatenato quelle reazioni; lei era soltanto una forestiera che era incappata nel peggio che il paese potesse offrire. Questo leggeva negli occhi dei paesani. Jillian cominciò a intuire a cosa era dovuta la strana reazione dei ragazzi alla sua richiesta di andare a messa.

Praticamente non seguì la funzione, impegnata ad opporre una snervante resistenza passiva, mentre avrebbe voluto riempire di botte tutta quella gente e chiedere che cosa diavolo volessero da quell’eccentrico ma bravissimo ragazzo. Possibile che i pregiudizi potessero spingere a tanto? E di che natura dovevano essere quelli che pendevano come una condanna sugli amici di Wantz, e probabilmente su lui stesso?

Si riscosse dai suoi pensieri quando la gente si cominciò ad alzare per andare a ricevere l'ostia. Lei si guardò bene dal mescolarsi in quella folla ostile, e restò seduta sulla panca, felice che l'arcigna vecchia seduta al suo fianco si fosse alzata e di non dover più subire il suo alito alla cipolla e i suoi strabici occhi accusatori. Dall'altra parte della piccola chiesa vide Iwen rintanato dietro un banco per le confessioni. Incrociò il suo sguardo e il ragazzo scosse la testa ammiccando verso l'altare: le stava suggerendo di non andare. Lei scosse a suo volta risolutamente il capo.

Quando finalmente, con suo enorme sollievo, la messa terminò, uscì e scelse un angolo sicuro della pazzia, lontano dal paese impegnato nelle chiacchiere della domenica, per aspettare Iwen. Il ragazzo fu tra gli ultimi a uscire. La cercò con la sguardo e, una volta individuatala, si diresse verso di lei, lasciando dietro di sé una scia di bisbigli concitati. Appena la raggiunse, un bambino sui nove anni, sbucato dal nulla, si parò loro davanti. Controllò che nessuno badasse a loro e si rivolse a Iwen con evidente agitazione.

<< Sei impazzito? >>, lo rimproverò. << Cosa fai qui? >>

Iwen sembrava contento di vedere il bambino e gli sorrise con fare da fratello maggiore. << Tutto a posto, Fair >>, rispose. << Ho accompagnato un'amica. >>

Il bambino si voltò verso Jillian. << Ah, la straniera. I vecchi infatti erano lì a vociferare sulla ragazza che ti sei portato dietro. Poverina >>, aggiunse, guardandola comprensivo. << Non è piacevole essere la chiacchiera del giorno. >>

<< Immagino tutto le fesserie che si inventeranno >>, sospirò.

Fair incrociò le braccia e annuì con aria saccente. << Le solite manfrine bigotte. >>

Iwen fece una smorfia di disappunto. << Chiederò a Wantz di cancellare dalle loro memorie questo episodio. >>

Il viso del bambino si illuminò di sincera felicità mista a stupore. << E' tornato? >>, esclamò con enfasi, già sazio della ventata di novità che la ragazza aveva portato. << Wantz è tornato? >>

<< Adesso non puoi vederlo >>, spiegò Iwen. << Verrà sicuramente lui a cercarti. >>

<< Davvero? >>, domandò speranzoso.

<< Certo >>, assicurò.

<< Allora promesso >>, sussurrò lui, allontanandosi velocemente e con circospezione.

Iwen rimase per un po' ad osservarlo correre in mezzo alla folla. Si voltò verso Jillian e fece un timido sorriso.

<< Tutto a posto? >>, chiese, avviandosi verso l'uscita del paese.

<< Sì >>, confermò seguendolo. << Anche se devo ammettere che avrei voluto picchiare qualcuno. >>

Il rosso ridacchiò. << Wantz ha ragione. Sei una testa calda. Chissà come fate a sopportarvi. >>

<< Chi dice che lo sopporto? >>, ribatté.

Risero entrambi. Camminarono per un po' in silenzio, ma il ragazzino sembrava inquieto. Ardeva dal desiderio di darle delle spiegazioni, ma non sapeva da dove cominciare.

<< Non è assurdo? >>, disse a un tratto. << Quando in paese hanno scoperto che Wantz è un mago, lo hanno condannato tutti; persino chi gli doveva la vita o era in debito con lui ha iniziato a disprezzarlo. Lo hanno addirittura cacciato, condannandolo all'esilio. L'unico che non si è lasciato vincere dalla superstizione e dalla paura è stato lui. Un bambino, ti rendi conto? >>

Jillian si scurì in volto. << Ora alcune cose si chiariscono. >>

Iwen la guardò interrogativo. << Scusa? >>

<< Penso che questo possa aver inciso sul suo voluto isolamento. >>

Inaspettatamente, il ragazzino rise. << Wantz si offenderebbe se ti sentisse. >>

<>, chiese lei stupita. << E' talmente infantile da non ammettere la verità? >>

<>

Jillian sorrise. << Forse hai ragione >>, ammise divertita. << Ma sicuramente questo lo ha colpito in qualche modo. >>

<< Oh sì, ma forse non nel modo che ti aspetteresti >>, annunciò criptico.

Tacquero per un attimo.

<< Perché non mi spieghi come funziona la mente di Wantz? >>

Iwen non rispose subito, indeciso. << Non sono bravo con le parole. Meglio se chiedi a Marhalt. Però, se vuoi il mio parere... >> Si bloccò.

<< Dovrei capirlo da sola? >>, azzardò.

Il rosso scosse la testa. << Dovresti aspettare che sia lui a spiegartelo. >>

"E' rassicurante vedere un'anima come la sua, davvero. Se la guardo con occhio distratto, lei mi da una piacevolissima sensazione di tranquillità, come se avessi ritrovato la serenità perduta da tempo. Ma se non mi fermo ad un livello superficiale, se scavo a fondo in ciò che sento... Le vedo.

Vedo le macchie nere della mia anima, quelle macchie che non potrò mai cancellare. Quelle macchie che, già orride di loro, paragonate alla sua anima limpida, mi sembrano ancora più disgustose."

Non appena misero piede in casa, Marhalt ficcò in mano a Iwen i suoi vestiti laceri da orto intimandogli di cambiarsi in fretta, mentre Wantz agguantò Jillian per un braccio e la trascinò fuori.

<< E' lecito sapere dove mi stai portando? >>, chiese la ragazza.

<< Via >>, rispose il mago. << Sta arrivando il gufo; è meglio non farci vedere, per evitarci spiegazioni inutili. >>

<< Soprattutto è meglio evitare che veda te, vero? >>

Wantz storse le labbra in un sorriso amaro. << Deduco che a messa ti sei divertita. >>

Si diressero in direzione apposta al campo coltivato, verso il frutteto: si inoltrarono tra gli alberi e si fermarono nel folto della vegetazione, in un punto da cui potevano vedere ma non essere visti. Wantz si sedette ai piedi di un pino e rimase immobile a godersi l'ombra e il fresco che le fronde regalavano. Jillian rimase un attimo a guardarlo, come in attesa di qualcosa, poi si sedette alla sinistra del ragazzo.

<< Ti sei rimesso perfettamente, vero? A vederti adesso non sembra proprio che tre giorni fa fossi in bilico tra la vita e la morte >>, gli disse dopo un breve silenzio.

<< Avevo solo bisogno di riposo >>, si limitò a spiegare. << Tu piuttosto. Eri stanca morta. >>

<< Sì, sono stati due giorni spossanti; ma non ti preoccupare, ho recuperato dormendo sodo questa notte. >>

Il mago sbuffò con evidente fastidio. << Avresti potuto riposare anche di più. Ma no, la signorina voleva andare in chiesa come una qualsiasi zitella. >>

Jillian lo guardò sconcertata. << Si può sapere perché ti crea tanti problemi? >>

La domanda cadde nel vuoto. Wantz aveva lo sguardo perso davanti a sé e pareva intenzionato a ignorarla completamente.

<< Non vorrei dire una sciocchezza e fare la figura dell'egocentrica, però... >>, riprese lentamente. << Quando ho chiesto di poter andare a messa, oltre che stupito, mi sei sembrato... deluso. >>

Il ragazzo persisteva nel suo silenzio, ma sulla sua espressione seccata si era aggiunta una nota di rammarico.

<< Wantz, non prendertela >>, disse, come introduzione all'ennesimo discorso-fiume. << So che non vuoi che mi intrometta nella tua vita, ma io non ci riesco, davvero, non riesco a fingere che vada bene così. Mi hai chiesto di non fidarmi di te, e per quanto ciò sia assurdo ed egoistico posso accettarlo, ma non sopporto di non poterti capire solo perché tu fai di tutto per impedirmelo. Anche se è stato stabilito senza il nostro consenso, noi abbiamo un compito da svolgere insieme e dobbiamo agire di conseguenza. Io non pretendo che tu mi stia a raccontare ogni singolo aspetto del tuo contorto carattere e tanto meno il tuo passato, ma ho bisogno di avere qualche certezza su di te, qualcosa che scacci anche solo in minima parte i dubbi che finirebbero solo col danneggiarci. Perché temo che non potrò mai capirti appieno. >>

<< Lo so >>, assicurò Wantz inaspettatamente. << E per certi versi hai ragione. Ormai è chiaro che io e te dovremo proseguire insieme la via per il completamento della profezia, quindi si rende necessario collaborare ed evitare di sospettarci a vicenda. Pur con disappunto, mi rendo conto che è meglio che tra noi non ci siano troppi segreti, se non l'indispensabile. Ci saranno cose che, per quanto preferirei nasconderti, dovrò per forza dirti. E' inevitabile. Questa potrebbe essere una di esse. Ma tutto a suo tempo, solo se necessario. >>

Jillian lo sbirciò di sottecchi. << Mi stai dicendo che non è il momento per questa spiegazione? >>

Wantz annuì. La ragazza contemplò la sua espressione seria, notando che non aggrottava la fronte come suo solito.

<< E' stato Marhalt a dirti di farmi questo discorso? >>, rise.

Wantz fece una smorfia molto esauriente.

<< Comunque sia >>, riprese, << non voglio che tu lo veda come un obbligo. >>

<< Non dirmi che sarà uno scambio perché giuro che te ne pentiresti >>, minacciò.

La ragazza stava per rispondere, quando sentì delle voci concitate provenire dal magazzino. Sbirciò nascosta dietro il pino: Marhalt e Iwen stavano caricando le casse su un carro sotto le direttive imperiose di un uomo con la gobba.

<< Deve essere arrivato il gufo >>, notificò il mago.

<< Adesso ho capito perché lo chiamate così >>, asserì Jillian. I lineamenti del volto lo rendevano in tutto e per tutto simile all'uccello notturno: gli occhi dilatati fuori dalle orbite, il naso rivolto verso il basso, la bocca troppo piccola e contratta, le guance un po' cascanti. Batteva un piede, impaziente, strigliando i due ragazzi perché erano troppo lenti; Iwen, schiacciato sotto il peso delle casse, stava per esplodere, e il suo rossore in viso probabilmente non era dovuto alla fatica, ma alla rabbia; Marhalt sorrideva rassegnato, tenendo l'occhio destro aperto giusto per figura e ignorando lo sguardo beffardo che il cocchiere del carro rivolgeva loro.

<< Non mi sembra una persona gradevole. >>

<< Infatti non lo è. Non puoi immaginare che scenata avrebbe fatto se le sue patate non fossero state pronte. >>

Jillian gli lanciò un'occhiata complice. << Per fortuna qualcuno è in grado di prevedere le mosse altrui. >> Lui le rispose con un sorrisetto sghembo soddisfatto.

Guardando Marhalt trattenere per il braccio Iwen che voleva assalire il nobile alle spalle mentre questo era impegnato a controllare di averpreso la giusta quantità di tuberi, Wantz fu folgorato all'improvviso da un pensiero: infilò una mano nella tasca dei pantaloni e ne estrasse un paio di forbici affilate di recente. Le porse alla ragazza e la guardò storto.

<< Allora? >>, ringhiò scocciato.

<< Allora cosa? >>, chiese stupita.

<< Me la sistemi questa frangia o no? >>

<< Bastardo, non sono mica il suo araldo! >>

Iwen era sul punto di perdere del tutto le staffe e paonazzo in viso. Il padrone dei loro terreni, una volta appurato che avevano caricato la metà esatta delle casse, era salito di fianco al conducente ed se ne era ripartito subito. Non prima, però, di aver dato un ultimo motivo a Iwen di arrabbiarsi.

Wantz, di ritorno con Jillian, raggiunse i due con la solita flemma. << Che succede? >>

Marhalt stava per rispondergli, ma Iwen lo precedette, seppellendo i presenti con una valanga di parole rapide e risentite.

<< Ha avuto la faccia tosta di chiedermi di consegnare una lettera a un suo conoscente. "Fammi questa cortesia, Iwen". Ma fammi il piacere! Fino a Oulx mi tocca andare. Oulx! Un'ora di cavallo! "Mi raccomando, digli di scrivermi subito una risposta e fattela consegnare." Sicuro, non ho niente di meglio da fare che aspettare che un nobile imbratti un pezzo di pergamena di formalità nauseanti. "E portamela appena torni a Past, senza perdere tempo". Non dubitate, visto che ne perderò già abbastanza per causa vostra. >>

Si bloccò per mancanza di fiato. Marhalt gli diede delle pacche sulle spalle, comprensivo. Il ragazzino inspirò ed espirò a fondo, un esercizio che gli serviva a ritrovare la calma.

<< Ti conviene partire subito >>, gli disse << Altrimenti non tornerai prima che faccia buio, visto che devi passare anche al castello. >>

Iwen gemette cupamente.

<< Velocizzeremo i tempi. Ti accompagno >>, si offrì Wantz.

<< Davvero? >>, chiese il ragazzino con riconoscenza.

<< Meglio che ci sia qualcuno che si accerti che non strozzerai nessuno >>, spiegò Marhalt.

Wantz annuì ridacchiando. << Intanto, vecchia talpa, tu e lo "spirito femminile" potete preparare la cena >>, disse allo stangone.

<< Hai voglia di aiutarmi a pelar patate? >>

<< Con piacere >>, annuì lei.

<< Bene allora: noi studieremo un menù il più appetibile possibile, data la materia prima. Volete delle livree, voi giovani messaggeri? >>

Iwen gli puntò contro la busta sigillata con la ceralacca minacciandolo. << Visto il barbagianni che dobbiamo servire, siamo perfetti così, sporchi di terra e coi vestiti usurati. >>

<< Parla per te >>, obbiettò il mago. << Io mi sono tagliato i capelli per l'occasione. Come sto? >>

<< Uguale a prima >>, fu il commento all'unisono dei due, seguito dalla risata confermante di Jillian.

<< Se solo mi avessi permesso di accorciarteli... >>

<< E' già tanto se si è lasciato spuntare la frangia. Non esiste e mai esisterà chi gli farà abbandonare questo stile unico da selvaggio >>, le sussurrò, invitandola con un cenno a seguirlo in casa. Quando, dopo neanche trenta secondi, si voltò per chiudere la porta, Wantz e Iwen era spariti.

"Prima non ti ho mentito, Marhalt, però, qualche volta...

Un po' la invidio.

Non solo per la sua anima; le mie macchie non mi hanno intaccato così tanto da farmi provare risentimento per la sua condizione più felice della mia. Anzi, me ne rallegro.

Però... Qualche volta...

Non posso fare a meno di chiedermi se...

Se lei è come avrei voluto essere io."

Fuori il cielo andava scurendosi. Un merlo gracchiò, e Naghesh rispose dalla stalla con un nitrito commesso. Qualcosa bolliva dentro il paiolo messo sul fuoco.

<< Tutto a posto? >>

Jillian gli passò una patata perfettamente sbucciata. << Sì, perché? >>

<< Nulla, solo... Mi sembri un po' pensierosa >>, spiegò Marhalt.

<< Colpa di Wantz che mi fa discorsi estranei al suo stile >>, sbuffò.

Il ragazzo alzò il coperchio del paiolo per controllare a che punto era la cottura, ricevendo in faccia uno fiotto di vapore caldo. << Temo sia anche colpa mia. >>

<< Non fraintendermi, Marhalt, il tuo interessamento mi fa piacere, tuttavia... >>, tentennò. << Vorrei che lo facesse di sua iniziativa. >>

<< Non prendertela. E' fatto così. >>

Jillian sorrise. << Lo so. Sto imparando. >>

Prese un'altro tubero dalla cesta, ma invece di pelarlo guardò Marhalt triturare delle erbe che gli servivano per preparare una salsa come condimento.

<< Solo... >>, riprese la ragazza. << Di tutte le cose che non capisco, o che non mi è dato conoscere, una in particolare mi lascia interdetta. >>

<< Ti ascolto, anche se non ti garantisco di poter rispondere. >> La sua voce era calma e calda, la sua parlata lenta e fluida.

<< Il suo sguardo... >> Esitò. << E' sempre così cupo e intenso... Anche quando ride, i suoi occhi non ridono affatto. >>

<< Ha gli occhi di chi è stato forgiato dalla solitudine e dalla disperazione >>, rispose prontamente.

Jillian abbassò lo sguardo sulla patata, rigirandosela tra le mani. << Sì, immagino che ne abbia passate di cotte e di crude, e che il suo carattere si sia indurito di conseguenza. >>

<< Non è sempre stato così.>> Lasciò da parte la poltiglia verde che stava tritando con la mezzaluna, si pulì le mani nel grembiule ingrigito per l'uso che aveva legato in vita e si voltò verso di lei. << Vuoi vederlo? Vuoi vedere com'era prima? >>

Senza neanche aspettare risposta, salì al piano superiore; Jillian lo sentì frugare freneticamente nella stanza che lui divideva con Iwen alla ricerca di qualcosa. Tornò reggendo tra le braccia un grosso arazzo arrotolato. Lo stese accanto al fuoco e fece cenno alla ragazza di avvicinarsi. Jillian si chinò su di esso, osservando il ricamo: rappresentava quattro figure umane. Il primo sulla destra era Marhalt, più giovane ma già dotato di un'altezza fuori dal comune: aveva la sua solita espressione placida e serena, però i capelli erano corti, senza il folto ciuffo che portava ora, e, particolare che spiccava maggiormente, aveva entrambi gli occhi aperti. Alla sua sinistra c'era la sagoma di un uomo che indossava una specie di saio marrone lungo sino alle caviglie e un gilet smanicato grigio; la faccia era stata però strappata via, lasciando al suo posto un buco irregolare che arrivava sino allo sterno. Davanti al decapitato c'era un Iwen sugli undici anni impettito nel tentativo di sembrare più alto, il mento alzato e un'espressione scanzonata in viso; i capelli arancioni erano arruffatissimi e le efelidi un po' più marcate, forse per mancanza di un colore più appropriato. Alla sua destra, a braccia incrociate, c'era un Wantz adolescente non molto più basso di quanto sarebbe diventato al termine della crescita, e cioè, come risultava ora, una ventina di centimetri più basso di Marhalt; indossava gli stessi vestiti che si era messo appena arrivato a Past, aveva i capelli già abbastanza lunghi ma decisamente più curati. Era innegabile che fosse lui, non era molto diverso da adesso, tuttavia c'era in lui una differenza sostanziale: gli occhi verdi brillavano della malizia astuta che gli era propria, ma il suo sguardo era diverso, e le labbra non erano contratte nel suo tipico ghigno beffardo. A guardare quel ritratto non si sarebbe mai potuto immaginare un cambiamento così radicale.

Appariva radiosamente felice, senza traccia di quella malinconia assorta che adesso rivelava. E quel sorriso radioso non era nemmeno paragonabile a quelli strazianti che gli aveva visto fare finora.

<< Quand'è stato? >>

Marhalt distolse lo sguardo dall'arazzo e lo posò su Jillian: per quanto strano, piuttosto che stupida, sembrava arrabbiata. Attese che le spiegasse a cosa si riferisse, chiedendosi se avesse fatto bene a mostrargli quella finestra del passato. Lei teneva gli occhi puntati sul viso ancora immaturo e fanciullesco di Wantz, concentrata come se stesse decodificando un'antica e astrusa scrittura sillabica. Alzò il volto e fissò il ragazzo.

<< Quand'è stato che lui ha smesso di sorridere? >>

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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