Laura li raggiunse in camera che erano le 19:30. Solo quando
comparve, uno zaino in spalla e una valigia al fianco, Tom la finì di fare su e
giù per la stanza.
Bill la guardò. Aveva lo sguardo perso e il sorriso un po’ più spento dei giorni
prima. Gli fece tristezza. Il suo timore era che Tom si sarebbe stancato di lei,
come si stancava di tutto a parte la musica, e allora avrebbero dovuto assistere
tutti a qualcosa di penoso.
Tom non era come lui in amore. Tom si faceva trasportare dagli istinti, Tom non
pensava. Era solo un ragazzo di diciotto anni dopotutto, faceva quello che tutti
facevano a diciotto anni. Tutti a parte lui, Bill.
Bill non aveva una concezione particolare e ben definita dell’amore, ma di certo
sapeva di non aver mai provato un’emozione di quel genere, e non riusciva a
concepire l’idea di scegliere una ragazza dal mucchio e portarsela in albergo.
Gustav salutò normalmente Laura, con il suo solito modo di fare misurato, Georg
fece un sorriso da idiota. Lui e suo fratello su parecchi argomenti si trovavano
d’accordo.
Bill osservava. Erano giorni che si limitava a fare quello e basta. Aveva capito
che, anche soltanto guardando una persona, si poteva capire tanto. Ma Laura per
lui era un soggetto strano. Non riusciva ad afferrare i suoi pensieri, il suo
carattere. C’era qualcosa di complicato e malinconico in lei. Era come un
disegno abbozzato, a cui lentamente andavano ad aggiungersi linee. Ma quello che
assolutamente non riusciva a capire era come Tom si fosse innamorato in quel
modo di lei. Fosse stato solo desiderio fisico se la sarebbe portata a letto e
ci avrebbe messo un punto, ma addirittura pretendere di portarla con loro…
C’era forse qualcosa che lui non riusciva a vedere?
Laura incrociò lo sguardo di Bill: la guardava impassibile. Non sembrava molto
contento della sua presenza.
Tom le sfiorò la mano. Incrociarono gli sguardi. Sorrideva. Quel tocco non era
stato casuale.
Laura sentiva una sorta di ansia che la faceva agitare. Forse non stava facendo
la cosa giusta…senza il forse. Ma non riusciva ad opporsi a quel processo che
era iniziato.
Dove altro poteva andare? Vagare senza meta, si…ma per quanto? Una, due
settimane al massimo, e poi sarebbe dovuta tornare. Tornare a quella vita troppo
pesante, che la soffocava ogni giorno un po’ di più. Dover sopportare la
presenza di sua madre che si autodistruggeva, solo uno spettro della donna che
doveva essere stata, uno spettro che aveva cominciato a consumare anche lei.
No…no. Doveva restare lontano da casa il più possibile. Diventare abbastanza
forte per reggere quel peso. Capire cosa voleva dire vivere.
Poteva darsi che Tom fosse arrivato al momento giusto. C’era un filo che li
legava ormai. Lui si era preso qualcosa di suo, suo e basta.
A trarla in salvo da quei quesiti esistenziali arrivò Saki, seguito dalla donna
bionda che aveva dato i biglietti a Tom pochi giorni prima. Fuori dalla porta
facevano la guardia due bodyguard dagli sguardi truci.
Saki le si avvicinò, e per un attimo lei ebbe timore che la cacciasse. Invece le
disse che i suoi bagagli sarebbero stati portati al tourbus su un altro van. Poi
l’uomo controllò che fossero tutti pronti e uscì dalla stanza parlando in un
walkie talkie.
La donna bionda la squadrò. Aveva il viso molto truccato, troppo truccato.
-Seguimi- disse secca.
Laura guardò Tom in cerca di spiegazioni e lui alzò le spalle.
Ubbidì e la seguì nel corridoio.
-Vediamo di fare in fretta- aveva una voce tagliente. Tirò fuori un mazzetto di
fogli dalla cartella e stappò una penna dalla punta affilata.
-Nome-
-Ehm…Laura-
-Cognome-
-Klein-
-Sei maggiorenne vero? Non vogliamo tirarci dietro genitori isterici- disse la
donna.
-Si, sono maggiorenne…ho anche la carta d’identità se le serve. E non c’è nessun
problema per mia…per i miei- rispose. La donna sospirò.
-Lo spero. Metti una firma qui- disse porgendole la cartelletta. C’erano quattro
o cinque fogli stampati in carattere minuscolo.
-Cos’è?- chiese.
-Firmando qui ti impegni a non rilasciare interviste, non pubblicare pezzi su
giornali di qualsivoglia Stato, non fare spionaggio, o tutto ciò che di nocivo
ti potrebbe venire in mente. Nel caso in cui violerai una delle clausole, che
firmando ti impegni a rispettare, ti denunceremo-
Laura rimase spiazzata. Nessuna delle cose che la donna le aveva sputato addosso
le erano mai passate per la mente. Firmò dove doveva. Poi la donna conservò i
fogli nella sua cartelletta rigida.
-Allora. D’ora in poi, secondo il volere di Tom, ci seguirai. Però mettiamo bene
in chiaro le cose. Nessuno deve sapere della tua esistenza e di tutta la
faccenda, motivo per cui tu nello staff sarai identificata come truccatrice.
Quando ci saranno party, comparse in tv, spettacoli, o comunque sarà richiesta
la nostra presenza in luoghi pubblici, tu camminerai lontana dai ragazzi,
assieme al resto dello staff. I nostri fan sono molto sensibili alle presenze
femminili, e questo potrebbe influire sul mercato…oh…ma tu non sai nemmeno di
cosa sto parlando- la donna interruppe il fiume di parole per conservare la
penna nel taschino del tailleur nero. – In genere dovrai fare quello che ti
diremo io e Saki. Chiaro?-
-Si…- disse Laura incerta. Tutto quello che le aveva detto la donna era
difficile da assimilare in una volta.
Tornarono nella camera. I ragazzi si stavano preparando. Tutti portavano grandi
occhiali sa sole, eccetto Gustav. Laura inforcò i suoi.
“Sei sicura? Sei ancora in tempo…”
L’impossibilità di opporsi divenne la sua scelta.
Uscirono dall’albergo passando per l’entrata principale. Dalle vetrate della
Hall si vedevano già i fotografi appostati. Bill, Tom, Gustav e Georg
camminavano tranquilli, circondati da una decina di bodyguard. Saki teneva tutto
sotto controllo, muovendo la testa da una parte all’altra. La donna bionda la
prese rudemente per un braccio e la trascinò accanto a se poco prima che
varcassero l’uscita.
Quando furono fuori i fotografi li assalirono come cavallette. Laura ne fu
intimorita, sembrava di essere allo zoo. La sua accompagnatrice era del tutto
tranquilla, per niente disturbata dalla ressa. I ragazzi non si vedevano dietro
tutto quel via vai di fotografi e bodyguard.
Dopo un paio di minuti buoni finalmente riuscirono a raggiungere le macchine.
Saki si preoccupò di far salire i ragazzi uno per uno nel primo van, poi salì
nel posto passeggero. Laura seguì la donna bionda ed assieme a lei salì nel
secondo van.
-Dovrai farci l’abitudine se hai intenzione di rimanere con noi- disse la donna
fredda. Evidentemente doveva essersi fatta sfuggire un’espressione sofferente.
–comunque per i primi tempi, prima di fare qualsiasi cosa, chiedi a Saki o a
me…ah, io sono Angela- aggiunse porgendole la mano. Anche quel gesto era pura e
semplice formalità, impostata. Laura se ne rese conto e Angela le divenne
definitivamente antipatica. La sua stretta era ghiacciata e dura. La
rispecchiava perfettamente.
Attraverso i vetri oscurati vide Monaco, la Monaco che non aveva visitato per
niente. Una città che aveva assistito alla nascita di quell’incontrarsi di
situazioni fortuite e inaspettate. La Monaco che non la conosceva e la salutava
per sempre.
Bill scaraventò la borsa che portava a tracolla sul letto.
Ricominciava tutto, di nuovo. Era contento. Dopotutto lui e gli altri erano
“animali da palcoscenico”, come diceva sempre sua madre. Ma a guastare
sottilmente quella contentezza c’era la “nuova presenza”.
Bill si sedette sul letto mentre il tourbus partiva. In fondo al corridoio vide
Laura. Era seduta ad uno dei tavoli vicini ai finestrini. La ragazza estrasse
un’agenda nera dalla sua borsa e cominciò a scrivere, lo sguardo che si perdeva
oltre il vetro. La sua presenza aveva un che di confuso.
Poi arrivò Tom. Si sorrisero, lui la baciò. Bill scosse la testa. Ecco dov’era
finito per tutto quel tempo nel pomeriggio.
Si alzò e chiuse la porta.
La cosa sarebbe durata poco, e comunque non era affar suo.
Prese il suo blocco dalla borsa e tirò fuori una penna dal tappo mangiucchiato.
Meglio concentrarsi su qualcosa di più edificante dell’immaturità di suo
fratello.
[Soundtrack: Special Needs - Placebo]
Laura spinse la pesante porta a vetri ed uscì fuori. L’autogrill era deserto, si
sentiva solo lo sfrecciare delle macchine in autostrada. Il freddo si era fatto
ancora più intenso e le si infilava dappertutto. Saltellò sui piedi e si
allontanò un po’ dall’entrata.
Estrasse il cellulare dalla tasca. Lo accese con il timore di ricevere un’altra
chiamata da sua madre.
“Muoviti…muoviti stupido coso inutile”
Il display ci mise un tempo sconsideratamente lungo per illuminarsi. Minuti che
i suoi sensi di colpa ingigantirono.
Appena vide la luce azzurrina spiccare nel buio compose il numero a memoria,
facendo sfrecciare le dita sui tasti.
Il solito, impietoso, rumore degli squilli. Poi, finalmente, una voce.
-Pronto?-
-Monica…-
-Lauraaa!!!- la ragazza allontanò il cellulare dall’orecchio. Aspettò che i
fischi sinistri provocati dall’urlo terminassero, poi lo riaccostò al viso.
-Ehi…-
-Ma dove eri finita?! Ti ho cercata in questi giorni! Ti avrò chiamata come
minimo un centinaio di volte!- esclamò l’amica dall’altra parte. Sua nonna
doveva star bene, aveva la voce allegra.
-Devi scusarmi…sono successe parecchie cose-
Come dirglielo? Come riassumere tutto ciò che aveva provato in quei giorni in
semplici parole?
-Non ti preoccupare…Mi hai solo fatta preoccupare un po’…non giustificarti-
Monica non era mai indiscreta. Era delicata, lasciava che fosse lei a
confessarle quello che sentiva di dire.
-Grazie…-
Per un attimo calò il silenzio.
-Dove sei?- chiese Monica. Sicuramente l’aveva chiesto per riempire quel vuoto
improvviso, ma non poteva sapere che era la domanda sbagliata.
-Ehm…veramente, non lo so- rispose mordendosi il labbro. Prendere il respiro le
risultò difficile.
-Sono partita Monica- disse. Silenzio.
-Per dove? Con chi?- Monica manteneva il controllo, ma c’era già qualcosa che le
tremava nella voce.
-Non lo so, adesso sono da qualche parte in Francia…sono partita con Tom e i
suoi amici…vado in tour con loro- Laura si ascoltò mentre diceva quelle parole.
Sembravano impossibili da capire anche a lei.
-E poi?- chiese Moni.
“Non lo so Monica…non lo so nemmeno io…”
-Poi tornerò…quando arriverà il momento-
“O forse non tornerai? È questo che stai cercando di dirle?”
-Quindi basta? Ci dividiamo?-
“Non dire così Monica, ti prego”
-No, io non ti lascio. Tornerò, te lo prometto- Laura ingoiò. Sentì un sapore
amaro di mezza verità in bocca.
“Tu non c’entri nulla…sono io…sono io che ho bisogno di staccarmi dalla mia
realtà”
-Avrei voluto abbracciarti…almeno questo…forse riesco a capire quello che stai
facendo e perché…solo che…non lo so Laura- Monica sospirò dall’altra parte del
telefono. Sospiro che lei avrebbe potuto vedere condensarsi nell’aria gelida e
scomparire assieme al suo. Anche se a dividerle ormai c’erano tanti chilometri e
tanti pensieri, Laura sentiva Monica vicina, presente. Forse era quello il
segreto della loro amicizia.
-Continuerò a farmi sentire…magari meno frequentemente, ma non mi dimentico di
te. Ti penserò sempre, te l’ho detto, te l’ho promesso. E se tua nonna sta male,
se succede qualcosa, o se semplicemente hai bisogno di parlare, io sono qui, per
te. Ci sono sempre stata e sempre ci sarò-
Silenzio.
A volte le parole non dette pesano. Pesano perché interpretiamo i silenzi, e
nella maggior parte dei casi, quando ascoltiamo il silenzio di qualcuno che
amiamo, l’interpretazione è quella giusta. Ma questo non vuol dire che ci
piaccia, che ci rassicuri, che ci rincuori il semplice capire. Perché a volte i
silenzi ci lasciano dentro laghi ghiacciati, che bruciano nel petto come lame,
che ci bloccano il respiro e inghiottono pensieri e parole.
-Va bene Laura…ora mia nonna mi sta chiamando…ci sentiamo- sussurrò Monica.
-Ci sentiamo Moni. Ti voglio b..-
Tuuu. Tuuu. Tuuu.
Laura guardò il cellulare infuriata e impotente. Niente più credito.
“No! No! Non è possibile!”
Imprecò dentro di se stringendo i denti. Quella telefonata non doveva finire
così.
Si appoggiò al muro grigio e ruvido del bar. Guardò il cielo.
Si vedevano le stelle. Le stelle erano sempre li.
Era tutto il resto che cambiava senza aspettarla.
*Flashback*
-Come ti immagini da grande?- Monica si mette a pancia in giù nel prato e
morde un filo d’erba.
È un sabato pomeriggio di primavera. Fa già caldo. Il giardino brilla,
tempestato di fiori dai colori sgargianti. Fiori rossi, gialli, blu, che si
mescolano insieme sorridendo, baciati dal sole. C’è odore di nuova stagione e
aria pulita.
Laura copre il sole con una mano e pensa per un attimo.
-Non lo so…voglio fare qualcosa che mi piaccia…forse scrivere, magari
insegnare…- risponde – tu?-
Monica aggrotta la fronte in quel suo modo buffo, da bambina.
-Nemmeno io lo so…solo una cosa ho ben chiara in mente…un progetto- dice aprendo
il viso in un sorriso.
-Cosa?-
L’amica si toglie il filo d’erba dalla bocca e lo osserva, persa altrove.
-Vorrei vivere vicina a te…magari in due case affiancate. Condividere lo stesso
giardino, le stesse altalene per i bambini. Cucinare insieme…qualcosa del
genere- Monica posa lo sguardo su di lei. E’ così trasparente, priva di lati
oscuri. E’ quello che si vede e basta. Come uno specchio d’acqua.
Laura guarda il giardino. Non sembra esistere nient’altro oltre quei cespugli
profumati.
-E’ una stupidata vero?- dice Monica scuotendo la testa. Sottili ciuffi di
capelli biondi le cadono sulle guance pallide.
Laura le prende una mano. Si stendono entrambe e chiudono gli occhi ai raggi
caldi.
-No, non è una stupidata. È uno dei momenti più belli che la vita ci riserverà-
Bill uscì dall’autogrill. Controllò che suo
fratello non fosse nei paraggi e tirò fuori una Marlboro Light dal pacchetto che
teneva ben conservato nella borsa.
Sentiva il bisogno incalzante di nicotina. Spesso gli succedeva, soprattutto se
era nervoso. E in quel momento Bill Kaulitz era nervoso, si. Aveva appena finito
di litigare con Tom nel bagno degli uomini. Motivazione: Laura. Quella ragazza
stava già diventando un problema. Adesso Tom pretendeva che lui fosse anche
loquace e simpatico.
Bill accese la sigaretta e fece un tiro. Guardò il fumo galleggiare nell’aria
davanti al suo naso, e quando si dissolse un viso pallido prese il suo posto.
-Fumi?- Laura lo guardò con un sorriso strano. Aveva gli occhi arrossati. Bill
annuì perplesso.
La ragazza gli sfilò la sigaretta dalle dita e fece un tiro senza guardarlo. La
vide soffiare fuori il fumo con tranquillità, come se fosse stata una cosa
normale quella che aveva appena fatto.
-Sbagli. La voce che hai dovresti tenertela stretta. Non si rimane giovani per
sempre- Laura fece cadere la sigaretta a terra e la spense con il piede. Poi lo
lasciò li, impalato.
Nemmeno Tom si era mai preso una libertà del genere con lui.
Laura si immerse nel calore artificiale dell’autogrill.
Non stava bene, no, per niente.
Raggiunse Gustav, Tom e Georg al bar. Stavano ridendo tra loro.
-Ehi…dov’eri sparita?- chiese Tom quando la vide. Era avvolto in una felpa
rossa, enorme.
-Sono andata a prendere una boccata d’aria- rispose lei –dov’è che avete domani
il concerto?- chiese per portare l’attenzione altrove.
Georg si guardò intorno, Tom aggrottò la fronte. Gustav era impegnato a bere una
coca.
-Non lo sapete?!-
Georg sorrise imbarazzato, Tom fece lo stesso.
-Non è che non lo sappiamo…facciamo fatica a ricordare. L’unico che deve sapere
bene dove siamo è Bill, perché tocca a lui fare i saluti sul palco- disse.
-Poi abbiamo fatto parecchie date qui in Francia…riuscire a ricordare tutte le
città che tocchiamo con il tour è un’impresa- aggiunse Georg.
-Saremo a Nizza- disse Gustav sorridendo.
-Ok, grazie Gustav, ci hai fatto fare la figura dei coglioni!- sorrise Tom.
-Perché invece?- ribatté il biondino. Georg gli diede una spinta. Risero.
Sembravano dei ragazzi qualunque, Laura non se li vedeva da rockstar.
-E tu? Come mai hai deciso di venire con noi?- chiese Gustav dopo aver
riacquistato l’equilibrio.
-Ho ricevuto una proposta che non potevo rifiutare- rispose Laura. Sentì Tom
ridere sommessamente accanto a lei.
Georg e Gustav si guardarono.
-Ragazzi, ripartiamo- Saki li interruppe, una busta di plastica in mano.
Laura finì di scrivere la sua seconda pagina di diario e chiuse l’agenda. Si
stiracchiò e sbadigliò. Scrivere le era sempre servito. Era uno sfogo libero,
poteva dire ciò che voleva e poi rileggere le pagine due giorni dopo, ridendo
delle assurdità che produceva la sua mente.
Si alzò e attraversò lo stretto corridoio che portava alla camera. Rifletté che
quel tourbus aveva più mobili di casa sua.
All’improvviso una porta si spalancò di fronte a lei. Non fece in tempo a
spostarsi, e la superficie liscia la colpì in pieno viso.
Cadde a terra.
Per un minuto non capì nulla. Poi comprese di essere stesa sulla moquette scura
del corridoio. Il naso le faceva tanto male che le lacrimavano gli occhi.
-Cha ca…- da dietro la porta spuntò prima la faccia di Bill, poi quella di Tom.
Appena capirono quello che era successo si catapultarono su di lei.
-Bill sei un coglione- fu la prima cosa che disse Tom.
Bill si inginocchiò e si portò una mano alla bocca.
-Oddio…scusami…oddio…ce la fai ad alzarti?- chiese senza prestare attenzione al
fratello. Tom la guardava preoccupato dall’alto, non c’era abbastanza posto a
terra. Lei annuì appena. Si sentiva parecchio intontita.
I gemelli la sollevarono e la portarono al tavolo. Quando si sedette Laura sentì
qualcosa di caldo colarle dal naso. Bill e Tom sgranarono gli occhi nello stesso
modo.
-Ehm…Bill, sei un coglione- ripeté Tom. Bill si voltò e corse nel corridoio,
rispuntando un secondo dopo con un rotolo di carta igienica in mano.
Le sue mani e quelle di Tom si affannarono a strappare fasce di carta. Poi Tom
le portò la testa all’indietro e le appoggiò un pezzo di carta appallottolata
sotto il naso.
-Ahi- gemette Laura. Le aveva toccato troppo forte il naso.
-Scusami!- esclamò Tom. Bill le asciugò la bocca. Laura vide il sangue rosso
sulla carta.
-Non devi metterle la testa all’indietro!- disse poi il ragazzo
raddrizzandogliela e tamponandole il sangue che colava con un altro pezzo di
carta.
-Si che devo! È così che si fa!- ribatté Tom portandole la testa all’indietro.
-No! Così il sangue le cola in gola idiota!- Bill le raddrizzò la testa.
-Ma che cazzo dici?! Come fa a fermarsi il sangue così?!- Tom gliela portò di
nuovo indietro.
Laura li afferrò entrambi per i polsi.
-RAGAZZI PER FAVORE!- urlò per sovrastare i loro schiamazzi.
I gemelli si interruppero.
Fu Tom a cominciare a ridere, poi lo seguì Bill. Era buffo, ridevano e
sembravano la stessa identica persona. Laura si unì a loro, la mano premuta
sotto il naso.
-Ora che avete finito di giocare con la mia testa potete aiutarmi sul serio?-
disse quando il fazzoletto si inzuppò. I due annuirono.
Fece bagnare un asciugamano sotto l’acqua fredda da Bill, mentre Tom buttava via
i pezzi di carta sporchi di sangue sparsi per la stanza.
Dopo uno o due minuti di tamponamenti, mentre i ragazzi la guardavano come se
dovesse morire da un momento all’altro, il sangue si fermò.
Laura si avviò verso il bagno, seguita da Tom e Bill. Si avvicinarono tutti e
tre allo specchio quadrato.
-E’ rotto?- chiese Tom.
Laura guardò il naso. Era rosso, ma non sembrava storto. Come doveva essere un
naso rotto?
Bill allungò la mano intenzionato evidentemente a toccarlo, ma Tom lo bloccò con
uno schiaffo dietro il collo.
-Deficiente non le hai nemmeno chiesto se puoi. Se le fai male?- disse. Bill lo
guardò torvo.
-Deficiente io ho già toccato un naso rotto, o hai dimenticato Tommy Haiden in
quarta?- disse scocciato. Poi allungò di nuovo la mano dalle unghie smaltate e
appoggiò le dita affusolate sul suo naso, premendo leggermente.
A Laura veniva da ridere, non fosse stato per la paura di essersi spaccata il
naso.
-Sembra a posto- decretò Bill dopo un po’ –prova a fare così- mise il viso
accanto al suo ed arricciò il naso. Era assolutamente ridicolo. Tom le strinse
il braccio, evidentemente per cercare di non scoppiare a ridere. Laura arricciò
il naso come le aveva detto Bill. Lo fece più volte, incoraggiata da lui, di
fronte allo specchio, Tom che sussultava per le risate soffocate.
-Che cosa state facendo?-
I tre si voltarono presi alla sprovvista.
Georg e Gustav li stavano guardando, appoggiati alla porta del bagno.
Tom scoppiò a ridere e Bill e Laura lo seguirono, sotto gli sguardi perplessi
degli altri due.
Laura spense la luce e si stese nel letto. Era comodo, molto più che a casa.
Casa. Dov’era la sua casa adesso?
Chiuse gli occhi. Sentiva il rumore del tourbus che procedeva a velocità
regolare. Il vento e il freddo li fuori.
Click.
La porta della sua camera si aprì, a terra comparve un fascio di luce. Solo
pochi attimi e la stanza ritornò nel buio. Passi. Qualcuno che sollevò il
lenzuolo. Fruscio di cotone pulito.
Laura aveva già capito chi era, quando un braccio la cinse, e labbra le si
posarono sul collo. Avvertì il metallo di un piercing contro la pelle.
Tom le sussurrò delle parole all’orecchio, che la fecero arrossire
nell’oscurità.
Un bacio
Poi un altro
Un altro ancora…