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Autore: hipster    03/06/2013    2 recensioni
Kurt Hummel è un ragazzo come tanti: fuma, è il bullo della scuola, tutti lo temono e lo rispettano insieme al suo migliore amico Sebastian. Ma quando una notte sua madre gli farà visita, capirà che la sua vita ha bisogno di una svolta. Per riuscire a salvare la sua vita futura e la sua anima, dovrà servirsi dell’aiuto di un ragazzo, Blaine Anderson.
“Per redimerti completamente dovrai ottenere il perdono da qualcuno puro di cuore che hai ferito e per te ho scelto Blaine Anderson. Avrai il compito di renderlo felice e di esaudire tre dei suoi desideri più profondi. Ma la cosa più importante è che tu ti penta delle tue azioni passate, Kurt. Sii felice, piccolo mio.”
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel, Sebastian Smythe, Warblers/Usignoli | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La gamba di Kurt si muoveva su e giù come se fosse un trapano in funzione, anche la sedia su cui era seduto sembrava tremare insieme a lui come sottoposta ad una scossa di terremoto al grado 7 della scala Richter. Si sentiva così patetico in quel momento, per come stava reagendo, ma non poteva farne a meno! Era troppo nervoso all’idea di quello che stava per accadere.

Il ragazzo stava aspettando pazientemente da almeno dieci minuti (o forse non così tanto pazientemente, a dirla tutta) che il signor Anderson si liberasse per poter parlare con lui come aveva programmato. Era giunto a casa di Blaine poco prima, determinato a parlare con Aidan; durante il viaggio in macchina guidato dalla noiosa e squittente voce del navigatore (odiava Sebastian quando gli faceva certi scherzi, come modificarla e renderla il più insopportabile possibile) aveva anche provato il discorso da fare: voleva essere deciso e autoritario, ma soprattutto pronto a qualsiasi cosa Aidan potesse dire per contestarlo. Nell’auto era sembrato così facile “rispondere” a domande e accuse immaginarie, ma adesso che Kurt aspettava nel salotto degli Anderson si chiedeva se fosse stata davvero una buona idea presentarsi lì in quel modo, senza un preavviso o comunque senza averlo detto almeno a Blaine. Se fosse stato Aidan, anche lui si sarebbe sbattuto fuori a calci nel sedere.

Stava pensando seriamente di battere in ritirata – scattare in piedi, evitare il maggiordomo (usando la forza, se necessario) e fuggire di corsa sperando che non liberassero i cani come succedeva sempre in cartoni animati scadenti – quando la porta di aprì e un uomo entrò nella stanza. Il suo piano andò in fumo, come una piccola bolla di sapone scoppiata da un bambino. L’uomo era piuttosto alto, con i capelli ricci scurissimi e gli occhi verde intenso; non sembrava vecchio, al contrario, dimostrava al massimo quarant’anni. I lineamenti del viso erano squadrati e marcati, ma comunque armoniosi, e ricordavano vagamente quelli di Blaine. Nel complesso era molto bello e attraente, e Kurt poteva immaginare benissimo da chi Blaine avesse ereditato la sua compostezza e il suo temperamento: dietro gli occhi di quell’uomo era acceso un fuoco alimentato da passione e tenacia, e questa sensazione fu confermata quando Aidan gli strinse la mano e si presentò con un: «Aidan Anderson». La sua voce era profonda e autoritaria e Kurt avrebbe potuto immaginare benissimo il suo Blaine proprio così dopo trent’anni. Era la sua fotocopia, se non fosse stato che Blaine non era così intimidatorio come suo padre. Negli occhi di Blaine si celava una dolcezza che sembrava inesistente in quelli di Aidan.

Gli occhi dell’uomo si accesero di comprensione – e preoccupazione? – quando Kurt si presentò come “un amico di Blaine”, con voce bassa e imbarazzata. Gli fece cenno di accomodarsi e, prima che Kurt potesse dire una parola, gli chiese se poteva offrirgli qualcosa. «Oh- uhm... un caffè andrà benissimo, grazie.» rispose Kurt, preso in contropiede da così tanta gentilezza: per quanto al McKinley fosse amico i molti ragazzi al Glee, spesso la sua “fama” di combinaguai lo precedeva presso i genitori, e si sa che la gente ha questa brutta abitudine di giudicare gli altri ancor prima di conoscerli davvero. Aidan richiamò il maggiordomo che gli aveva aperto la porta – Greg, si chiamava Greg. Sul serio, quanto erano ricchi gli Anderson per permettersi un maggiordomo? – e diede disposizioni per far preparare due caffè. Sembrava voler ignorare volutamente l’imbarazzo di Kurt, tentando però di farlo sentire a proprio agio; il ragazzo gliene fu immensamente grato, anche se non sapeva come avrebbe reagito quando si sarebbe deciso a parlare.

Quando furono di nuovo soli e il silenzio scese tra loro, Kurt si decise a prendere la parola; prese un respiro profondo per ritrovare il coraggio e la voce (era un tic che aveva preso da Blaine, che cominciava sempre così i suoi discorsi “seri”), ma proprio quando stava per aprire bocca e dire: “Sono qui per parlarle di suo figlio”, fu interrotto dalla porta che si apriva. Si voltò verso di essa, maledicendo il tempismo del loro nuovo ospite, ma quando si rese conto di chi fosse il suo cervello si azzerò: era entrata una giovane donna, bassina ed esile, con capelli corvini lunghi fino a metà schiena lasciati liberi in ciocche ordinate; gli occhi a mandorla le davano un’aria esotica e lo avrebbero certamente intimidito se i lineamenti del suo viso non fossero stati così dolci e materni. Le labbra carnose e rosee erano atteggiate in un sorriso tenero, che si allargò quando la donna incontrò lo sguardo adorante di suo marito. Si guardavano in un modo così intimo da far sentire Kurt un intruso e anche più solo che mai.

Non è il momento di pensarci si disse, riscuotendosi.

La donna chiuse la porta di legno bianco dietro di sé con un movimento lento ed aggraziato e poi puntò i suoi occhi dolci e al tempo stesso penetranti su Kurt; il ragazzo avrebbe potuto giurare che quella fosse la madre di Blaine. Avrebbe potuto riconoscerla tra mille altre donne, sebbene non l’avesse mai vista prima di quel momento. «Signora Anderson, salve.» disse, dopo essersi ripreso dalla sua vista: se Aidan gli era sembrato vagamente simile a Blaine per alcuni tratti fisici, la somiglianza di Amihan Anderson con suo figlio era quasi sconcertante. C’erano in lei quella grazia e bontà e dolcezza così pure che Kurt era solito associare solo a Blaine. Ed era molto bella, bella come suo figlio. Lei gli sorrise caldamente e si affrettò a stringergli la mano che Kurt le porgeva. «Chiamami Amy, caro. Tu sei...?» rispose, stringendo la sua mano con vigore.

«Kurt, Kurt Hummel. Sono un amico di suo figlio.» rispose il ragazzo e stavolta non poté ignorare il lampo di preoccupazione che balenò negli occhi di entrambi. «È- successo qualcosa a Blaine?» chiese la donna esitante, quasi come se fosse spaventata dalla sua stessa domanda. Kurt scosse la testa, ansioso di spiegarsi e maledicendosi mentalmente per essersi presentato lì così, quando furono nuovamente interrotti dalla porta che si apriva. Greg entrò, portando con sé un vassoio con due tazze di caffè e una di the.  Kurt ringraziò l’uomo e bevve un sorso della bevanda calda e buonissima prima di parlare.
«Blaine sta bene. O almeno fisicamente, sì, sta bene.» si affrettò a precisare e poté vedere entrambi rilassarsi, prima che lo sguardo dell’uomo si facesse di nuovo sospettoso: «Non ci sono stati altri episodi di bullismo alla Dalton, vero?» chiese preoccupato, mentre sua moglie cercava la sua mano per stringergliela forte, forse per conforto, anche se Kurt non avrebbe saputo dire se fosse stata lei o lui a necessitare di conforto. «No, no, stia tranquillo.» rispose velocemente, prima che potesse ripensare al fatto che almeno un mese prima era stato proprio lui il bullo di Blaine.

Si chiese se il ragazzo ne avesse parlato con i suoi genitori, anche se non credeva Blaine l’avesse fatto; quando parlava di loro, molto raramente, li descriveva come molto lontani da lui. Specialmente il padre.
Ma per la prima volta in vita sua si sentì fisicamente male al pensiero di aver ferito qualcuno e ringraziò silenziosamente sua madre per averglielo fatto capire e per avergli dato la possibilità unica di rimediare ai suoi errori in quel modo.

Sia Aidan che Amihan si rilassarono al sentire le sue parole e la donna sospirò, visibilmente sollevata.

«Allora cos’è successo? Si è cacciato nei guai?» continuò Aidan. “Ci siamo” pensò Kurt, tremando un po’ dentro di sé. “O la va o la spacca”. «Volevo parlarle dell’ultima volta che Blaine è venuto a farvi visita.» cominciò con lo stesso tono di voce esitante, tutta la sicurezza che aveva acquistato con l’ingresso della madre di Blaine perduta, e poté vedere lo sguardo dell’uomo farsi subito più freddo: sicuramente ricordava benissimo quell’episodio di due settimane prima, quando Blaine era fuggito via da lui. «Quando è tornato alla Dalton, lui- mi ha raccontato tutto.» concluse, cercando di non farla sembrare un’accusa, anche se lui stesso era ancora arrabbiato. Non riusciva a credere che un padre avesse potuto ferire così tanto il proprio figlio.

«E ti ha chiesto di venire qui? Non è così che ho educato mio figlio, come un codardo che si nasconde dietro gli amici-» esclamò Aidan, guardandolo con disapprovazione prima di scuotere la testa. «Blaine non sa che sono qui. – ribatté Kurt deciso interrompendolo prima che potesse dire altro su Blaine. Gli faceva male sentirlo parlare in questi termini del suo migliore amico. – Sono venuto qui di mia spontanea volontà per dirvi che vostro figlio, dopo il vostro incontro, ha pianto per due giorni.» disse con la voce più fredda e distaccata che riuscì a tirar fuori; aveva ancora davanti a sé l’immagine di quegli occhi arrossati, poteva quasi sentire le lacrime salate che gli bagnavano la camicia e le braccia del ragazzo attorno al suo collo. Non era un bel ricordo e sperava di poterlo cancellare con il suo gesto.
Amihan sobbalzò nel sentire le sue parole e strinse ancora più forte la mano di suo marito: «Aidan...» cominciò, ma l’uomo la interruppe: «Amy, sai che ho detto quelle cose per il suo bene. Non potrà diventare un musicista, ci vuole talento e tantissima fortuna...» esclamò Aidan, parlando sempre più concitatamente, con l’aria di uno che tenta disperatamente di difendersi da accuse che sa essere vere.
«Lei ha mai visto un’esibizione di suo figlio, signor Anderson?» lo interruppe Kurt, aggrottando le sopracciglia in un’espressione severa.

«No, ma cosa c’entra adesso-»

«Dovrebbe. In questo modo capirebbe perché sia io che Blaine vogliamo questa vita per lui: perché è veramente felice solo su un palcoscenico. Le Regionali ci saranno fra due settimane; dovrebbe provare a venire e dopo potrà decidere se accordare a Blaine il permesso di continuare in questo campo. Prima di giudicare se suo figlio potrà farcela o meno, dovrebbe almeno dargli una chance. Per favore, glielo deve.» disse il ragazzo, guardandolo dritto negli occhi e cercando di comunicare molto di più che il semplice discorso che aveva appena pronunciato. Non era nemmeno lontanamente simile ad uno dei discorsi che aveva provato in auto, ma ciò che aveva detto era quello che custodiva nel cuore e niente gli era sembrato più adatto in quella circostanza. Aveva detto solo la metà delle cose che voleva dire, ma si alzò subito dopo e si affrettò a salutare i due coniugi, impaziente di andarsene: si sentiva messo a nudo; per come la vedeva lui, aveva appena confessato i suoi sentimenti per Blaine, perché mai per nessun altro avrebbe fatto una cosa del genere. La cosa lo spaventava. E poi, voleva lasciare ai signori Anderson il tempo per riflettere – e prendere la decisione giusta per Blaine. O almeno sperava che questo bastasse. Burt gli aveva insegnato che la parola è il dono più potente che abbiamo e parlare aiuta a risolvere le questioni dentro e fuori di noi.

Fu accompagnato alla porta dal maggiordomo che lo salutò con garbo, ma quando stava per uscire, la voce di Amihan che lo chiamava lo fece fermare. «Kurt, tu credi davvero che Blaine sarebbe felice, se potesse cantare?» chiese la donna con voce ferma e seria. Sembrava tesa, come se la risposta di Kurt fosse l’equivalente del responso dell’Oracolo di Delfi.

Il ragazzo annuì, senza battere ciglio. «È il suo sogno, signora Anderson. Se glielo distruggerete, lui morirà con esso. Blaine è un ragazzo meraviglioso e merita di essere felice» disse accorato, stringendo involontariamente i pugni. Il sorriso di Amihan si allargò, illuminandole il volto e rendendola ancora più bella: era identica a Blaine quando sorrideva e Kurt si sentì arrossire, perché pensava che anche Blaine era più bello quando sorrideva e il suo viso si illuminava tutto di gioia e calore.

«Sono contenta che Blaine abbia te.» disse sinceramente, e Kurt comprese che Amihan doveva aver indovinato i suoi sentimenti nei confronti di suo figlio. Dio, era davvero così trasparente? E pensare che credeva di essere un ottimo attore. Ma forse nella vita non bisogna essere attori, ma semplicemente se stessi; Kurt lo stava riscoprendo a mano a mano che viveva la sua vita con Blaine e essere finalmente se stesso lo rendeva immensamente felice. Non doveva più nascondersi dietro una falsa facciata con Blaine; non doveva più fingere di essere una statua di marmo senza sentimenti, forte e solida. Poteva essere il piccolo, determinato, passionale Kurt Hummel grazie a Blaine. «Io sono fortunato ad avere lui.» disse, abbozzando un sorriso timido e arrossendo irrimediabilmente. Amihan gli regalò un altro sorriso materno e complice, poi lo lasciò andare via dopo averlo salutato con un caloroso abbraccio che Kurt apprezzò particolarmente. Nessuno lo abbracciava mai in quel modo così vigoroso, a parte suo padre.

Il ragazzo tornò alla sua macchina sentendosi al tempo stesso più sollevato e più vuoto: finalmente si era tolto un peso; l’idea di incontrare i genitori di Blaine lo aveva logorato per giorni, ma adesso cominciava a temere che tutto quello non fosse abbastanza, che gli Anderson nonostante tutto non l’avrebbero ascoltato.

Per la prima volta ebbe paura per sé, perché quelle persone avevano in mano non solo il futuro di Blaine, ma anche il suo e ne erano totalmente all’oscuro. Non sapevano che negando a Blaine i suoi sogni non avrebbero distrutto solo le sue speranze, ma anche quelle di Kurt. Il suo cuore sembrava come impazzito mentre sentiva la crisi di panico in agguato, riusciva a malapena a controllare il respiro mentre la testa cominciava a vorticare senza sosta, facendolo sentire come se stesse per vomitare o svenire.  
Un “bip” proveniente dal suo telefono – fortunatamente – lo distrasse, e per una volta ne fu davvero grato; prese il cellulare e osservò per qualche secondo la bustina da lettere che lampeggiava sullo schermo e che segnalava un nuovo messaggio.

“Pronto per le prove? Courage! – B.”

Kurt si ritrovò inconsciamente a sorridere come un idiota, la crisi di panico completamente dimenticata per il momento, perché quel messaggio era di Blaine. A volte si chiedeva se quel ragazzo con il sorriso luminoso non avesse un sesto senso che gli comunicava quando Kurt stava male e come fare per farlo sentire meglio, invece. La felicità di sapere che non era solo, che il suo Blaine sarebbe stato al suo fianco sempre e comunque, lo rincuorava e spazzava via ogni paura: era certo che avrebbe affrontato volentieri l’Inferno per Blaine.

«Sono fortunato ad averti, Blaine...» mormorò a se stesso, desiderando tanto di poterglielo dire; ma non poteva. Perché lui e Blaine erano solo amici e quello che Kurt avrebbe voluto dirgli non era esattamente una cosa che un ragazzo dice ad un suo amico. Sebastian aveva ragione: Blaine gli piaceva davvero tanto.

“Dammi un po’ di tempo e sono subito da te. Camera tua? – K.” Digitò in risposta, e prima che potesse far partire la macchina, il cellulare squillò ancora: “Sì. Non vedo l’ora :) – B.”

Kurt sorrise nuovamente e infilò il cellulare in tasca, reprimendo un sospiro sognante che lo avrebbe reso ancor di più una dodicenne alla sua prima cotta. Quanto avrebbe voluto che tra lui e Blaine le cose fossero diverse, che non ci fossero complicazioni sovrannaturali tra loro che incasinavano ancor di più i suoi sentimenti già incasinati.

Doveva pensare lucidamente, analizzare la situazione: a lui piaceva Blaine?

Sì, ed era anche piuttosto ovvio. Gli piaceva passare il suo tempo con lui; Blaine era divertente e imprevedibile, sapeva farlo ridere, ma era anche capace di affrontare conversazioni serie e impegnative: con lui poteva parlare di tutto. Il carattere di Blaine era particolare: era sempre solare e allegro, sempre disponibile e volenteroso quando si trattava di aiutare gli altri; ma era anche fragile, sebbene si sforzasse di nasconderlo agli altri per gli altri. E Kurt poteva capirlo alla perfezione: anche lui da quando sua madre era morta nascondeva il suo dolore e la sua rabbia, sebbene dietro l’arroganza al contrario di Blaine. Blaine sapeva trasformare ogni emozione negativa in allegria, o perlomeno si sforzava di farlo; rendeva Kurt felice solo con una canzone. E Kurt amava la sua voce, amava poter cantare con lui; la passione di Blaine per la musica li aveva uniti fin dal primo giorno e aveva continuato a farlo, consolidando il loro rapporto. E, in ultimo, Kurt adorava il viso di Blaine: oggettivamente non era bellissimo, ma era armonioso e tanto dolce. I suoi occhi incorniciati da lunghe e folte ciglia scure erano i più espressivi e aperti e fiduciosi che avesse mai visto e le sue labbra le uniche che desiderasse baciare.

Lo amava?

Non lo sapeva. (Non ancora? Suggerì una vocina dentro di lui). I suoi sentimenti erano confusi e si sentiva come una casa durante le pulizie di primavera: a soqquadro, completamente sotto sopra.
Provava affetto, voleva proteggerlo, voleva vederlo sorridere, amava abbracciarlo. È quello che provano gli amici, o no?
Kurt sbuffò infastidito da se stesso e dai suoi ragionamenti pressoché inutili: lui e Blaine erano solo amici perché Blaine lo considerava solo un amico e nient’altro. Non aveva alcun motivo per continuare a pensarci. Non poteva permettersi distrazioni in quel momento: doveva confidare in Amihan e nel fatto che almeno lei avesse compreso ciò che aveva tentato di dire loro con la sua visita; sperava di potersi fidare di lei. Non aveva altra scelta.
 

*****

 
«Cinque minuti di pausa, B, ti prego! Se continuiamo così, non avrò più voce per le Regionali!» si lamentò Kurt, lasciandosi cadere sul letto di Blaine. Il ragazzo rise e si sedette accanto a lui. «E va bene – acconsentì – ma solo perché sei stato straordinario.» aggiunse con la sua solita gentilezza e sincerità, dandogli una pacca amichevole sulla gamba. Il suo viso aperto e luminoso, sebbene stanco, era bellissimo agli occhi di Kurt che si ritrovò a sorridergli. Annuì come per confermare le sue parole: «Anche tu non sei stato male, Anderson.» si complimentò.

Blaine gli sorrise calorosamente e lo ringraziò, rievocando nella mente di Kurt il ricordo di Amihan Anderson, della sua gentilezza e del suo sorriso: doveva dire a Blaine cos’era successo quel pomeriggio. «Devo dirti una cosa.» disse, sollevandosi a sedere per poterlo guardare negli occhi.

«Dimmi.» incalzò Blaine, vinto dalla curiosità, quando notò che Kurt non accennava a continuare; in realtà, il ragazzo temeva che Blaine si sarebbe arrabbiato con lui perché aveva agito d’impulso e senza consultarlo minimamente. Ultimamente discutere del modo migliore per “realizzare i desideri” di Blaine era diventata quasi un’abitudine per loro; non era più solo il lavoro di Kurt, anche Blaine era intenzionato ad aiutarlo. Il suo primo desiderio, aveva confessato, era stata quasi una “punizione” per come Kurt si era comportato con lui, ma adesso che Blaine lo considerava il suo migliore amico aveva tutta l’intenzione di aiutarlo e salvarlo dalla dannazione eterna.

«Oggi sono stato a casa tua.» confessò Kurt a bruciapelo, incrociando le mani in grembo. Non amava i giri di parole e con Blaine era sempre stato molto diretto. Il ragazzo fece per ribattere, un’espressione di curiosità mista a sorpresa sul suo volto, ma Kurt continuò a parlare, ignorando il suo tentativo: quando era nervoso aveva la brutta abitudine di cominciare a blaterare, senza mai parlarsi: era un’abitudine che aveva preso da sua madre, Burt lo prendeva sempre in giro per questo. «Ho parlato con i tuoi genitori di quella sera e delle Regionali, e ho cercato di convincerli a venire. Tua madre non mi sembrava tanto in disaccordo, anzi; ma tuo padre... è- ho tanta paura che potrei aver combinato altri casini presentandomi così. E, per favore, non arrabbiarti; io voglio davvero aiutarti, perché sei il mio migliore amico dopotutto e-»

«Kurt, calmati!» esclamò il ragazzo, sorridendogli dolcemente e abbozzando una risatina: anche lui di solito si prendeva gioco di Kurt quando cominciava a parlare così tanto, ma non stavolta. Gli prese le mani tra le sue – Kurt non si era accorto di star tremando – e gli accarezzò le nocche con le dita. «Per quanto tu sia carino e divertente quando fai così, devi calmarti. Respira. Non sono arrabbiato con te, anzi, ti sono grato. Tu stai facendo così tanto per me... Dovresti essere tu quello arrabbiato con me piuttosto per quello che ti ho chiesto di fare. Ma ce la faremo, non permetterò che ti succeda qualcosa di male.» disse risoluto, guardando Kurt dritto negli occhi. Ovviamente, aveva subito capito cos’altro preoccupava Kurt così intensamente, anche se il ragazzo non ne aveva fatto cenno. Dio, quanto avrebbe voluto baciarlo in quel momento...

«Grazie.» disse Kurt, sorridendogli sinceramente quando si fu calmato. Blaine ricambiò il sorriso e lo attirò a sé per poterlo abbracciare: Kurt non aveva avuto idea di quanto lo avesse desiderato fino a quel momento.
«Courage.» sussurrò Blaine al suo orecchio, il loro nuovo mantra. Loro due e il loro coraggio contro il mondo. Sì, potevano farcela.
 

******

 
Sebastian era in piedi davanti allo specchio del bagno mentre si lavava i denti con foga ed entusiasmo: aveva un appuntamento con Hunter e non vedeva l’ora che il ragazzo arrivasse. Forse aveva ragione Kurt, dopotutto, e si era preso una cotta per lui. Ormai nessuno più credeva che fosse solo sesso, nemmeno il suo pene.

Era così perso nei suoi stessi pensieri – è vero o no? Mi piace o no? Dovrei parlarne con lui? con Kurt? Cosa fare? – da non accorgersi della porta che si apriva. Fu solo quando un paio di mani familiari si posarono sui suoi fianchi che ritornò alla realtà e Hunter premette le labbra dietro la sua nuca, facendolo sorridere come un ragazzino. Era assurdo riconoscere qualcuno anche dal ritmo del suo respiro? Aveva passato notti ad ascoltarlo. Conosceva ogni sua variante, dal respiro corto e spezzato mentre facevano sesso a quello calmo e rilassato quando correvano insieme che Sebastian non poteva fare a meno di invidiargli. Erano entrambi in forma, ma non sarebbe mai stato all’altezza di Hunter.

Il ragazzo stava continuando a baciargli il collo, facendo sentire Sebastian in paradiso, ma in un istante questi si rese conto che sbrodolarsi di dentifricio non era assolutamente la scena sexy che aveva in mente, perciò si chinò per sciacquare velocemente la bocca, allontanando Hunter da lui con un movimento dei fianchi. Il ragazzo aspettò pazientemente che l’altro si ricomponesse, guardandolo divertito. «Che ci fai qui? Manca ancora un’ora al nostro appuntamento.» disse Sebastian sorpreso, posando lo spazzolino e voltandosi verso di lui per poterlo guardare con un’espressione divertita. «Non avevo voglia di aspettare.» rispose Hunter con sincerità, sollevando le spalle e sorridendogli malizioso prima di baciarlo sulle labbra ancora umide.

Sebastian ricambiò il bacio,stringendogli le braccia al collo per attirarlo ancora più vicino a sé: il cuore sobbalzò di felicità nel suo petto quando la lingua di Hunter si intrecciò alla sua. Sospirarono entrambi quando le loro labbra si separarono e Sebastian si ritrovò a sorridere come un idiota. Hunter gli accarezzò i fianchi con fare provocatorio e Sebastian capì che non c’era più tempo per i sospiri e i ragionamenti sui suoi sentimenti. Lo baciò di nuovo con passione e lo prese per i fianchi per guidarlo sul suo letto, senza permettere che le loro labbra si separassero nemmeno per un istante. Ridacchiarono entrambi quando ricaddero sul letto, accarezzandosi e spogliandosi a vicenda.


«Porca miseria, Kurt, potresti anche bussare!» esclamò Sebastian irritato, quando il ragazzo spalancò improvvisamente la porta, ridendo insieme a Blaine. «Oh, Dio, scusascusascusa!» esclamò lui spalancando gli occhi per la sorpresa ma sorridendo compiaciuto quando si rese conto di cosa avevano interrotto lui e Blaine. «Andiamo via subito, promesso.» aggiunse, entrando e avvicinandosi alla sua scrivania, ricevendo un’occhiataccia da parte di Sebastian per questo. Blaine restò sulla porta, sorridendo imbarazzato e guardando Kurt con fare divertito.

Sebastian sbuffò infastidito e affondò il viso nell’incavo del collo di Hunter che ridacchiò mentre gli accarezzava la schiena nuda e gli lasciava un bacio tra i capelli scompigliati. Quando vide che Kurt non accennava a sbrigarsi, anzi, si divertiva a restare nella camera più del necessario, Sebastian si alzò per poterlo cacciare fuori, tra minacce e spintoni. Kurt rise divertito, fingendo proteste riguardo al fatto che quella era anche la sua camera.

«Dovrete uscire da quella camera da letto, prima o poi!» sussurrò Kurt in tono critico, mentre Sebastian gli chiudeva la porta praticamente in faccia. Non voleva ascoltarlo, sebbene sapesse che aveva ragione. Provava dei sentimenti forti per Hunter ed era arrivato il momento di smetterla di nascondersi.

Si voltò verso il ragazzo semi nudo sul letto e gli sorrise: «Allora, dov’eravamo?»








Note: Sono tornata, gente!
Che bello essere di nuovo qui e poter aggiornare regolarmente. La scuola è finita, woo-hoo!
Scrivo queste note non solo per ringraziarvi di aver letto il capitolo, ma anche per dirvi un paio di cose riguardo alla storia.
Primo, il nome dei genitori di Blaine. è stata durissima scegliere dei nomi che mi piacessero e alla fine ho optato – come avete visto – per “Aidan” e “Amihan”. So che vi state chiedendo tutti il perché (o forse no).
Il nome “Aidan” significa “orgoglioso” e mi sembra piuttosto appropriato per il padre di Blaine, cosa che scoprirete meglio in seguito. (*si sente malvagia perché lei sa come va la storia*)
Il nome “Amihan”, invece, è il nome filippino che sta ad indicare il monsone, il vento che porta la pioggia. Ho scelto questo nome non solo per il significato, ma anche come riferimento ad un’altra bellissima storia che io amo da morire. “Obviously” della meravigliosa Paola, che io ammiro tantissimo.
Secondo, non so a quanti di voi farà piacere la parte finale del capitolo, ma io ci tenevo tanto ad inserirla. Fatemi sapere cosa ne pensate!
A lunedì prossimo!
Baci,
Allie. 






Modificato il 05/01/2014

 

   
 
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