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Autore: CriLife    04/06/2013    3 recensioni
Questa storia viene direttamente dal cuore di un'inguaribile romantica, che sogna e sogna e non fa altro tutto il giorno e la notte!! Se sei una persona dolce, a cui piacciono queste sdolcinatezze, questa storia fa per te! Un po' alla volta sto procedendo a scriverla e ovviamente mi piacerebbe sapere che ne pensano gli altri! perciò buona lettura, spero vi piaccia!! CriLife
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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La luce che entrava dalla finestra mi aveva svegliata già all’alba, ma ero rimasta in dormiveglia finché avevo potuto.
Dopo di che dovetti alzarmi, quando Jemy mi si sedette letteralmente in faccia, ridendo felice.
Jeremy, detto Jemy, era mio fratello più piccolo, aveva quattro anni. Essendo io molto più grande di lui, mi adorava e cercava di starmi il più vicino possibile. Anche mentre dormivo.
- Jemy...- mi lamentai, provando a spostarlo.
- Sono sulla tua testa!- continuò lui ridendo.
- Ah, sì?- dissi io.
In un impeto di energia, lo presi per le braccia e lo feci atterrare sul letto, arrivandogli sopra e facendogli il solletico.
- Hai vinto, hai vinto! Mi arrendo!- mi urlava lui, tra un’ondata di risa e l’altra.
Finito quel momento di forza, tornai al mio stato di quasi incoscienza di chi si è appena svegliato e non esattamente nel migliore dei modi.
Mi trascinai in cucina, dove come al solito mia madre leggeva il giornale, in piedi appoggiata al bancone e con un mestolo in mano. Probabilmente una nuova ricetta, per non si sa cosa.
- Ciao mamma, io vado allora!- disse mia sorella. Sì, l’intermedia dei tre. Sophia aveva cinque anni meno di me e come accade in ogni normale famiglia, noi due litighiamo. Molto. Ma le voglio bene, è comunque mia sorella.
- Che bella faccia, Nic!- mi disse a mo’ di saluto e io le feci una smorfia in risposta, con un cenno della testa.
“Nic” era il soprannome con cui mi chiamavano in casa.
Quando ero piccola e Sophia aveva poco più di due anni, in televisione facevano in cartone animato, dove questo esploratore, Nick, salvava in ogni puntata un animale, o delle piante rare, delle persone, era il mio eroe.
Al tempo, Sophia pendeva dalle mie labbra e io avevo l’indole del capitano, quindi le ordinai di chiamarmi “Nic” come l’esploratore e ovunque lo scrivevo, sbagliata, solo per il piacere di dire che ero lui. Mia madre continuava a dirmi di smetterla, quando mia sorella mi chiamava così, sospirava e scuoteva la testa.
Dopo qualche tempo però, cominciò a sfuggire anche a lei ogni tanto e da allora divenne ufficiale. Tutti mi chiamavano Nic, anche Jeremy.
Mi sedetti al tavolo rotondo, ancora apparecchiato per la colazione e ringraziai mentalmente mia madre, perché c’era ancora del The, nella teiera.
Non che non potessi parlare con mia mamma, la quale stava a poco più di due metri da me, ma ero ancora troppo assonnata per poter parlare.
Cominciai  a inzuppare il primo biscotto nel The, quando sentii il portone rosso sbattere, giù dalle scale.
Sentendo un vocio, mia madre andò ad affacciarsi per vedere chi fosse e tornò indietro di corsa, togliendosi il grembiule.
- È lui, è Alex! Con papà!- mi bisbigliò freneticamente.
Io sbarrai gli occhi.
Alex? Adesso? Oh, no. Non conciata così!
Corsi in bagno, mi lamentai con me stessa dei miei capelli che quando ce n’era bisogno non stavano mai in ordine, li pettinai e con gli indici provai a togliere da sotto gli occhi, gli aloni neri di trucco della sera prima.
Quando tornai in cucina, lo vidi.
Mi venne un tuffo al cuore. Possibile che alla luce del sole fosse ancora più bello? A quanto pare, sì.
Alex era seduto al tavolo e stava avendo una conversazione silenziosa con Jemy che lo guardava, diffidente.
Jemy era seduto su una piccola sedia, e davanti sul tavolino da gioco stava un puzzle, ancora da completare per metà.
Gli mancava un pezzo, per unire due blocchi già formati e dopo un attimo di esitazione per vedere la reazione del bambino, Alex lo individuò e lo pose tra i due pezzi da unire.
Jemy sfoggiò il suo sorriso sdentato e lo ringraziò.
- Io sono Alex - disse tendendogli la mano.
- Io sono Jeremy e ho compiuto quattro anni!-.
Alex si complimentò con lui per l’età importante e quando mi vide si aprì in un sorriso, al quale io non potei fare a meno di ricambiare.
- Ciao, Amelia!- mi salutò mentre mi avvicinavo.
-Ciao- risposi io, con la voce leggermente incrinata.
 - Allora, come dicevo prima, ti devo ringraziare davvero! Non so cosa fare per sdebitarmi, ma sei mai avrai bisogno di qualcosa-disse mio padre avvicinandosi a mia madre – Conta sul nostro aiuto!- concluse in tono solenne.
Alex, lusingato e stupito rispose: - Signore, la ringrazio moltissimo, ma davvero, non mi dovete niente-.
Si girò a guardarmi.
- Chiunque l’avrebbe fatto-.
Continuò ad osservarmi. Con quegli occhi. Verdi, chiari.
Distolsi lo sguardo prima di rimanere a bocca aperta come un’idiota, a causa della sua esagerata bellezza.
Lui come se niente fosse, si rivolse nuovamente a mio padre e gli disse: - Ora dovremmo andare alla centrale, Amelia deve dare la sua deposizione, il prima possibile, così da mettere dentro quei due prima che riescano a trovare delle scappatoie-.
Due pensieri mi riempirono subito la testa: cosa indossare per non sfigurare davanti ad Alex e l’angoscia del rivivere ancora la scorsa notte.
Il mio viso doveva esprimere il mio stato di inquietudine, dovuto ad entrambi miei pensieri, perché Alex si protese verso di me e mi strinse un braccio, guardandomi negli occhi.
- Andrà tutto bene, non devi preoccuparti. Ci sarò io lì, ad aiutarti-.
Mi si scaldò il cuore a queste parole e sentivo il mio braccio ardere, lì dove ancora teneva appoggiata la sua mano.
-Forse... Forse dovrei venire anche io!- propose poco sicuro mio padre.
A papà non erano mai piaciute le stazioni di polizia, non lo so doveva essere una specie di sua fobia.
-Signor Hall, non si disturbi, non è necessario! Sarà solo una procedura standard e io devo andarci comunque per la mia deposizione. Sicuramente sarà indaffarato, può stare tranquillo- disse rassicurando mio padre - Sempre che vada bene ad Amelia – concluse, voltandosi a guardarmi.
Io caddi improvvisamente dalle nuvole, dato che Alex continuava a stringere il mio braccio e per me, per i miei ormoni in particolare, era una cosa davvero sconvolgente.
- Ehm... Certo, no. Va bene così!- risposi non del tutto sicura di quello di cui stavano parlando.
Alex alzò leggermente l’angolo della bocca, tanto da indurre in modo del tutto involontario un altro mio sorriso.
- Va bene, sì. In effetti, devo tornare in ufficio ora- borbottò mio padre.
Dopo che fu uscito, la cucina rimase nel silenzio.
Alex abbassò lo sguardo e mi accarezzò con il pollice il braccio. Poi fece una piccola risatina.
- Cosa c’è?- gli chiesi.
- Ti piace la felpa, eh?- rispose lui guardandomi.
Arrossii all’istante. La sera prima non avevo tolto la felpa che mi aveva dato, ci avevo dormito. Sotto indossavo ancora il vestito della festa.
- Ehm...Sì, ora vado a cambiarmi- lo liquidai, sottraendomi a malincuore da quella dolce stretta e correndo in camera, per affrontare il dilemma “vestiti”.
Quando tornai in cucina, semplicemente con jeans e maglietta, trovai Alex in piedi vicino alla porta.
Jemy gli stava tendendo la mano e quando l’altro l’afferrò, disse: - È stato un piacere conoscerti, signore-.
- Anche per me, assolutamente- rispose Alex, molto serio.
- Sono pronta- annunciai, per attirare la sua attenzione.
Alex, così imponente, muscoloso, anche in una semplice maglietta che però aderiva perfettamente al suo torace scolpito e i jeans, che gli cadevano a pennello, appariva proprio come un soldato, grazie al suo taglio di capelli e il portamento così  composto, autoritario, ma nonostante tutto questo, non potevo avere paura di lui. Mi bastava incrociare il suo sguardo e il timore che poteva ispirare, scompariva, come in quel momento, mentre mi sorrideva comprensivo e mi assicurava della sua presenza, solo attraverso i suoi occhi. Erano magici. Lui era magico, un soldato magico e incantevole.
Mi tendeva la mano, così grande e accogliente.
La presi con piacere e scendemmo insieme le scale per uscire.
Era febbricitante per quel contatto che non accennava a concludere e infatti, per tutto il viaggio fino alla centrale di polizia, continuò a stringermela e una volta lì, dovette mollare la presa per salutare il famoso Mike.
  
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