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Autore: Nana Kudo    04/06/2013    6 recensioni
Un sogno. È cominciato tutto così: come un sogno.
Ma poi qualcosa è cambiata, gli ingranaggi di quel orologio chiamato destino hanno deciso di andare avanti a muoversi lo stesso senza prendere minimamente in considerazione l'idea di ritornare indietro all'ora esatta. No. Hanno deciso di non farlo.
Ed ora l'unica cosa che posso fare io invece, per far sì che quel filo rosso che mi lega ancora a tutto ciò che non voglio assolutamente perdere, Ran, e ciò che ancora voglio ottenere, non si spezzi, è cercare in tutti i modi un raggio di luce in questo buio che vuole sembrare perenne, cercare in tutti i modi i Corvi e riuscire finalmente a liberare il cielo dalle loro piume scure e tetre.
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OAV 9. The stranger of ten years afters.
Abbiamo creduto tutti che fosse solo un sogno. Ma in realtà ci sbagliavamo.
Perché? Per saperlo non vi rimane altro che leggere.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Heiji Hattori, Kogoro Mori, Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa, Un po' tutti | Coppie: Heiji Hattori/Kazuha Toyama, Ran Mori/Shinichi Kudo, Shiho Miyano/Ai Haibara
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Capitolo ventitré
Schegge
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…Sorrise a quel tocco così dolce quanto deciso, così timoroso quanto sicuro.. così unico quanto bramato da entrambi. Sorridendo come fece anche Shinichi, che senza più alcuna esitazione strinse la donna sui fianchi, facendola aderire ancora di più al suo corpo, approfondendo ancora di più quella dolce e passionale unione e voglia di cui, entrambi, erano ormai vittime.
Niente più organizzazione, niente più verità, niente più Conan e bugie..
In quel momento sembrava essere sparito tutto, essere volato via tutto come petali di rose al vento, come se non ci fossero mai stati tutti quegli ostacoli a sbarrargli la strada.
In quel momento, solo quel tocco, quel tocco tanto bramato, importava a entrambi.. tutto il resto non aveva più importanza…
 
Ombre.
Sagome nere alle loro spalle riproducevano le loro stesse mosse come fossero il loro riflesso in uno specchio, specchio che, da tante piccole schegge quale si era ridotto, in quel momento si stava rimettendo apposto da solo.
Ogni minima scheggia, ogni minima parte di quel puzzle trasparente e riflettente tornava d incastrarsi con le altre senza più alcuna fatica, come fossero calamite attratte le une dalle altre senza poter farci niente, poter ribattere e dire la loro a riguardo, diventando una cosa sola.
Solida, resistente, ormai immune a qualsiasi altro tentativo di essere rotto.
Immune a qualsiasi altro tentativo di essere anche solo scheggiato.
Specchio come lo erano Ran e Shinichi, che in tutti quegli anni passati lontani, tutto quello che avevano passato e provato erano ormai solo schegge. Schegge che nonostante provassero a stare lontane l’una dall’altra, nonostante i momenti in cui, di ritornare un’unica cosa, una delle due non ne aveva la minima intenzione, alla fine si ritrovavano assieme come calamite.
Più cercavano di stare lontani l’uno dall’altra, più cercavano di mostrare il lato opposto a quello dell’altro, e più si ritrovarono vittime di quella strana forza chiamata gravità.
In fondo, due calamite alla fine s’incontrano sempre, no?
Le loro labbra continuavano a scontrarsi con un misto tra dolcezza e desiderio, le loro lingue erano ormai vittime di una danza passionale che, nessuno dei due, voleva fermare.
Non si sentiva alcun rumore in quella notte di luna piena, nessun suono, nulla.
Solo l’eco delle loro risate fermate qualche minuto prima dopo essersi accorti della loro vicinanza, solo i loro respiri affannati e il battito accelerato dei loro cuori, che tanto batteva forte, sarebbe potuto tranquillamente uscire dallo sterno di entrambi.
Ran portò le braccia dietro il collo del detective, incrociandole, e portandolo ad avvicinarsi sempre di più a lei, ad aumentare sempre di più la presa sui suoi fianchi, il ritmo di quella danza passionale in cui le loro bocche erano intrappolate.
Quanto avevano dovuto aspettare per poter finalmente avere quel momento, quanto?
Ben dieci anni.
Se al momento tutto quel lasso di tempo perso contava? Neanche un po’.
Non contava più il tempo perso come non contava più qualsiasi altra cosa che in quell’istante stava accadendo.
Non importava nulla, semplice.
Shinichi, spinto da una sensazione che non sapeva spiegare col cervello, non riusciva a classificare né capirne il motivo, fece distendere con delicatezza la ventisettenne sulla fredda scrivania scura al centro di quella stanza, mettendosi lentamente sopra di lei, poggiando i gomiti ai lati del corpo della giovane per poter reggersi e non rischiare di schiacciarla col peso del suo.
I loro corpi aderivano perfettamente l’uno all’altro, come fossero stati creati apposta per stare insieme; i loro respiri si fecero sempre più affannati, il cuore che batteva sempre più veloce, la mente di entrambi che lentamente si appannava, si offuscava, togliendoli quasi del tutto la ragione, lasciandoli sotto il completo controllo di quella passione, dolce esternamente ma piccante nel profondo, innocente e inesperta quanto bramosa.
Il detective distolse le labbra da quelle della brunetta, portandole lentamente al collo dove vi lasciò piccoli e continui baci.
Ran cominciò a portare le mani ai capelli dell’amico d’infanzia, giocandoci e rigirandoseli tra le dita.
Sorrise, Shinichi, scendendo sempre più giù fino al primo bottone della camicia nera di Ran. Deglutì, spostando poi il suo sguardo dal tessuto dell’indumento al viso dell’amica d’infanzia, guardandola negli occhi coi suoi blu oceano, come a chiederle il permesso di continuare.
Quella ricambiò lo sguardo lasciandosi sfuggire un sorriso, prima di annuire.
Rispose al suo sorriso con un altro dolce, prima di tornare al corpo della donna.
Slacciò lentamente un bottone dietro l’altro, con una lentezza che fece venire l’ansia alla karateka, con una lentezza che in realtà fungeva da maschera a tutta quella voglia che serbava, custodiva.
Rimase incantato dalla vista che gli si parò dinanzi, una volta aperta completamente la camicia.
Tanto incantato che, dopo essersene accorto, abbassò immediatamente il capo al petto di quella per non farle notare il rossore sulle sue gote.
Fece per lasciare l’ennesimo bacio, quando un tonfo sordo, proprio dietro di loro, non li costrinse a fermare tutto quanto.
Niente più cuore che batteva all’impazzata, niente più mente offuscata dal desiderio, niente più tutta quella sicurezza che avevano avuto fino a qualche attimo prima.
Si lanciarono uno sguardo veloce, i due, accorgendosi sin da subito dei visi di entrambi che, nel giro di pochi secondi, si fecero scarlatti.
Lentamente, Shinichi voltò il capo per poter scorgere la fonte di quel rumore che li aveva fermati in un momento così.. speciale, ecco, sperando fosse semplicemente caduto un libro da uno degli scaffali della gigantesca libreria.
Speranza che morì non appena realizzò cosa, o meglio, chi, era la causa di quel tonfo.
Una valigia di pelle, un’enorme valigia di pelle, stava a terra completamente ribaltata, poco distante dall’immagine di un paio di scarpe azzurre col tacco.
Alzò lentamente lo sguardo da terra, scrutando ogni minimo dettaglio del corpo della persona che stava a pochi metri da loro, maledicendosi sempre di più nel riconoscere ogni lineamento del corpo di quella donna.
Lunghi capelli color miele, sciolti, con morbidi boccoli alle punte e lisci man mano si saliva su verso la radice di quella chioma.
Viso pallido, labbra colorate da un velo leggero di rossetto chiaro, due enormi occhi blu  che più passavano i secondi, più focalizzava l’immagine che le si parava dinanzi tra quel buio in cui difficilmente si poteva vedere, più si spalancavano.
Deglutì, Shinichi, seguito a ruota da Ran quando, per curiosità, allungò il capo per avere anche lei una vista di ciò che stava succedendo.
“Ma.. ma” non riusciva a parlare, il detective. Le parole gli morivano in gola, la voce non usciva nemmeno.
L’unica cosa che quel momento abitava nella sua mente era il fatto che, la sua vita, a partire da quel preciso istante, non sarebbe più stata serena e felice come sperava, ma una tortura fino alla sua morte.
“SHIN-CHAN!” urlò Yukiko, ormai per la cinquantina, congiungendo le mani a mo’ di preghiera, e mutando improvvisamente espressione.. come sperava non facesse il figlio. “Ma ma.. io me ne vado lasciandoti bambino e torno trovandoti uomo e con la tua ragazza?! DOVEVI DIRMELO!” sbottò tutta allegra, facendo arrossire ancora di più i due ventisettenni.
“M-Mamma!” voleva essere serio, voleva risultarlo e far cambiare così atteggiamento all’ex idol.. ma il rossore sul suo viso lo resero tutto meno che tale, suscitando la reazione opposta alla donna.
“Non dirmi che vi siete sposati e vivete qui a mia insaputa!” disse preoccupata, facendo adirare ancora di più il figlio.
Ran osservava la scena rossa come un peperone, ancora sotto il corpo di Shinichi sulla scrivania.
“NON SIAMO SPOSATI E NON STIAMO FACENDO CIO’ CHE PENSI!” sbottò adirato il detective.
“Assì? E sentiamo, che stavate facendo voi due quindi?” gli chiese, incrociando le braccia al petto e sorridendogli con fare spavaldo.
“Beh noi” provò a pensare ad una scusa, l’uomo, per poi stendersi sul corpo della donna dalle iridi  violacee –facendola diventare porpora per la vergogna, e allungando il braccio verso il cassetto della scrivania, tirandone poi fuori un libro e alzandosi da quella posizione, mettendosi in piedi. “E-era venuta a c-chiedermi questo libro” disse, tentando di risultare convincente agli occhi della madre che per tutta risposta lo guardò seccata.
“Ah, e quindi da adesso, per prestare il libro a qualcuno, ti ci devi stendere sopra e slacciarle la camicia? Però, che fine ha fatto il semplice ‘andare a prenderlo dallo scaffale mentre lei mi aspetta vicina alla porta’?” domandò, facendo notare a Ran il fatto che aveva la camicia ancora aperta e che forse, forse, le sarebbe convenuto abbottonarla.
Shinichi sembrò quasi cadere dalle nuvole, con le spalle al muro.. era Yukiko Kudo quella, in fondo, doveva trovarsi scuse migliori, no?
“D-Diciamo che siamo inciampati, ecco..” provò a dire, cingendo le braccia con fare sicuro.
“E la camicia si è sbottonata da sola perché è difettosa, non è così?” lo schernì la madre.
Il detective la guardò per qualche secondo, secondo in cui si lanciarono sguardi spavaldi e sfrontati che Ran, messa da parte da madre e figlio, non capiva proprio.
Chinò il capo sospirando, alla fine, il più giovane dei due, facendo sorridere vincitrice la madre.
“Hai indovinato mamma, brava”
Strabuzzò gli occhi spiazzata, la quarantottenne, per poi scoppiare a ridere.
“Va bene, va bene” disse, senza riuscire a smettere di ridere. “Fingo di crederti”
“E’ LA VERITA’!” le urlò contro l’investigatore, mentre quella, ancora tra le risate, lasciava la stanza per andare al piano di sopra.
“Ah Ran” disse, prima di chiudersi dietro la porta, attirando così l’attenzione della ventisettenne.“E’ tardi ormai, perché non resti qui?” le propose, per poi sorridere spavaldamente nel vedere l’espressione seccata dipinta sul viso dell’amico. “Posso lasciarvi la mia camera così che tu e Shin-chan potete finire ciò che avevate cominciato” ammiccò, facendole l’occhiolino.
La ragazza, appena tornata di un colorito normale, divenne nuovamente rossa, così come Shinichi.
“MAMMA!”
“E va bene, e va bene.. scusa” rise la bionda, facendo soltanto sbuffare annoiato e offeso il figlio.
 

***

 
Le tende bianche e fini della stanza sventolavano per via della finestra dimenticata aperta e il lieve e fresco venticello che in quell’ora del mattino fluttuava nell’aria, donando una piacevole sensazione a chiunque si trovasse fuori in quel momento; assieme a dei fiochi e rossi fasci di luce che donavano un aspetto calmo e accogliente alla camera da letto così come a quel vialetto isolato della chiassosa metropoli.
Gli ultimi petali color confetto si accasciavano delicatamente a terra colorando di rosa pallido le strade di Beika così come quelle dell’intera isola Giapponese, abbandonando gli alberi su cui erano cresciuti venendo invece rimpiazzati da delle piccole bacche scarlatte, che nel giro di un mese sarebbero diventate ciliegie.
Gli uccelli, rimpatriati tutti quanti proprio su quei rami che lasciavano cadere e morire i loro petali dai colori pastello, canticchiavano melodie rilassanti inaugurando la giornata proprio come fecero il giorno prima e quello prima ancora, per poi cominciare a gruppi ad abbandonarli per cominciare la solita routine.
“Hmm” mugugnò il ventisettenne, infastidito dai raggi solari che, poggiandosi sul suo viso, gli pizzicavano gli occhi, destandolo dal suo sonno tranquillo, e il cinguettare degli uccelli, che rompevano quella quiete presente nella stanza.
Shinichi si rigirò nel letto portando le lenzuola fino a coprire completamente il viso, sperando così di riuscire a continuare a dormire. Invano, però.
Sbuffò, scocciato, aprendo lentamente gli occhi sbadigliando ancora piuttosto stanco, mentre le immagini e i ricordi di qualche ora prima si proiettavano lentamente nella sua mente come fossero il nastro della videocassetta di un vecchio film, riprendendo solo quelli più importanti di momenti, quelli più significativi.
Vermouth che dava una strana busta a Ran.
Lui e Ran che litigano, lei che comincia a correre per una via e lui che la segue per una giornata intera.
Haibara e l’antidoto.
Ran e…
“L’antidoto” sussurrò, sbarrando gli occhi di scatto, come scottato da qualcosa, come se una cascata d’acqua gelida gli fosse stata buttata addosso, svegliandolo completamente.
Colpito da uno strano impulso, alzò immediatamente la mano destra portandola dinanzi al viso, esponendola alla debole e calda luce che proveniva dalla finestra, girandola e rigirandola su se stessa, scrutandola come fosse la prova, quel piccolo ma introvabile tassello che con cura aveva cercato per così tanto tempo sperando di riuscire finalmente a completare quel puzzle difficile ed intricato che lo tormentava da tanto tempo.
Era più grande, notò.
Come d’istinto, le sue mani andarono lentamente a toccare ogni minimo angolo del suo viso, del suo corpo, fino ad arrivare alle coperte bianche che scostò bruscamente, permettendosi in questo modo di abbandonare il letto e dirigersi nel bagno accanto alla sua camera.
La sua camera… da quanto tempo non dormiva più lì?
Da un bel po’.. da dieci anni, costatò. Talmente tanto tempo che chiamarla con quell’aggettivo pareva strano, inappropriato.
Si avvicinò lentamente al piccolo specchio sopra il lavandino, come se avesse paura che il risultato, ciò che sarebbe stato riflesso da quell’oggetto, non gli avrebbe fatto piacere, che tutto ciò che aveva toccato con le sue mani e visto con le sue grosse iridi blu oceano fossero solo illusioni, frutto della sua immaginazione.
Ma una volta raggiunto, nessun timore, nessuna paura.. solo un sorriso, un sorriso a trentadue denti, un sorriso sincero, si disegnò sul suo volto.
Il giorno prima non aveva avuto proprio il tempo di godersi il suo corpo, il suo vero corpo. Non ricordava nemmeno com’era, nonostante l’avesse assunto poche settimane prima, all’arrivo del primo antidoto con l’aggiunto dell’Assenzio*; e la voglia, l’idea di scoprirlo, di ricordare, che proprio il giorno precedente non gli aveva sfiorato minimamente il cervello, tanto era occupato a pensare a Ran, in quel momento l’assaliva in pieno come una calda folata di vento a metà agosto, facendolo isolare per qualche attimo, secondo, dal mondo intorno a lui.
Poggiò una mano sul viso, quasi a voler andare a confermare per l’ennesima volta che sì, quello riflesso in quello specchio, quell’uomo dai profondi occhi cobalto e quello stesso volto da diciassettenne con solo qualche lineamento da adulto in più, era lui, Shinichi Kudo. Non poté che ridere al pensiero, ridere felice.
-Bentornato, Shinichi-
Tornò velocemente nella sua stanza, quella stessa stanza che era rimasta vuota per ben dieci anni aspettando il suo ritorno, controllando subito che ore fossero sulla sveglia posta sul comodino.
Le sette precise.
-E’ ancora presto- appurò.
Diede una veloce occhiata alla camera e aprì con la stessa fretta gli armadi, sperando di trovarci un cambio dentro. Trovatolo, sorrise per l’ennesima volta in quei pochi minuti, e dopo averlo afferrato assieme a una grossa asciugamano blu, si avviò in bagno.
Poggiò il tutto su un mobiletto, e senza indugiare un secondo di più, aprì l’acqua della doccia infilandosi subito dentro, rilassandosi al tocco tiepido di quel getto.
 

***

 
Erano ormai le nove quando, dopo una piuttosto lunga doccia rinfrescante e qualche minuto passato a controllare che tutto fosse allo stesso posto in cui l’aveva lasciato anni addietro, Shinichi decise finalmente di scendere al piano di sotto.
Con una semplice camicia bianca dai primi bottoni lasciati aperti e un jeans chiaro, cominciò a scendere le scale gradino per gradino allacciando i bottoni alle maniche, quando uno strano e piacevole odore non gli inondò le narici, facendolo incuriosire, e non poco.
Scese gli ultimi gradini con passo più veloce di prima, avviandosi verso la fonte di quell’aroma che si era lentamente dissolto in tutta la gigantesca villa: la cucina. Si appoggiò allo stipite della porta, e lanciò un’occhiata in giro, cercando Ran.
Ran..
Solo dopo aver posato lo sguardo su dei lunghi boccoli dorati e una cucina molto diversa da quella della casa cui aveva abitato negli ultimi anni, gli tornò in mente il fatto che era a casa sua, non più in quella dei Mouri, e che sicuramente non sarebbe stata la stessa Ran a preparargli la colazione, a partire da quel momento.
Si avvicinò al tavolo, spostando una delle sedie in modo da potersi sedere, attirando così l’attenzione della madre che, nel sentire l’oggetto strisciare sul pavimento, lasciò immediatamente ciò che aveva tra le mani sussultando spaventata.
Yukiko si voltò di scatto, facendo sbuffare il figlio che, facendo finta di niente, si sedé poggiando poi svogliatamente i gomiti al freddo ripiano e la testa su una mano.
“Buon giorno” sorrise poi la bionda, nel costatare che la causa di quel rumore fosse proprio il figlio. Figlio che per tutta risposta mugugnò qualcosa d’incomprensibile.
Doveva ammetterlo: più passavano gli anni, più le cose cambiavano, e più quel maniaco di gialli di suo figlio rimaneva uguale, il solito che pur di non lasciarsi sfuggire un complimento, o scomporsi, si limitava semplicemente a qualche parola scocciata o uno sbuffo. Sorrise, tornando poi a cucinare canticchiando una canzone sentita qualche giorno prima di lasciare gli Stati Uniti.
“Si può sapere che stai facendo?” domandò all’improvviso Shinichi, con espressione seccata.
La madre sbuffò dinanzi alla gentilezza del figlio, per poi ricomporsi e comportarsi come sempre.
“Secondo te?”
L’altro sembrò rimuginarci un attimo su, per poi rispondere con una naturalezza quasi incredibile.
“Secondo me stai cucinando qualcosa di appena passabile e mangiabile pensando sia chissà che, come sempre d’altronde”
A quelle parole, le dita dell’ormai quasi cinquantenne andarono a stringere il mestolo di legno con cui stava impiattando il riso**, quasi rompendolo, mentre l’ira dentro di lei lentamente cresceva.
D’accordo che il figlio non si era mai abbandonato a un complimento in vita sua per quanto riguardava la cucina della madre, ma fino a quel punto! Cominciava a pensare che forse non gliel’avrebbe dovuta dare la sua colazione, visto ciò che aveva detto; ma poi le venne in mente un’idea migliore per fargliela pagare al ventisettenne, un modo che, sapeva, lo infastidiva vagamente.
“Oh beh” sospirò, una volta poggiata la scodella di riso davanti a Shinichi. “E’ ovvio che per te qualsiasi cosa che non sia stata cucinata dalle dolci mani della tua Ran sia orrenda e appena passabile, no?” a quelle parole il volto del detective si tinteggiò di una tonalità di rosso acceso e intenso tanto quanto quello di un peperone, facendo scoppiare a ridere l’ex idol, che alla vista della reazione del figlio, rimase divertita.
“Poverino, chissà anche come ti mancheranno d’ora in poi tutte quelle cure e attenzioni che ti dava!” continuò a schernirlo, ridendo di gusto mentre quello imprecava, cercando di ingoiare qualche chicco di riso con la speranza che, sentendosi ignorata, la donna avesse smesso, nonostante quello stesso riso non facesse altro che rimanergli in gola facendolo quasi soffocare.
“Sicuramente ci starai male a sapere che Ran non potrà più prendersi cura di te… come ieri sera, per esempio” si lasciò andare a una fragorosa risata, nel notare il viso del figlio andare a fuoco per la vergogna.
In quel momento, tutto ciò che desiderava, era che quella donna se ne ritornasse da dove era venuta e lo lasciasse in pace. Detestava quel suo modo di metterlo in imbarazzo solamente per divertimento. Gli riportava alla mente quell’oca di Sonoko, quando lo faceva.
Rimase in silenzio, sapendo che se avrebbe urlato qualcosa tipo “smettila mamma!” il risultato sarebbe stato soltanto l’opposto di quello da lui sperato, pensando invece a qualche argomento da intavolare in modo da poter sviare il discorso ‘Ran’ mentre la madre gli passava anche il resto della colazione.
“Papà?” gli venne improvvisamente in mente il padre, e nel non notarlo da nessuna parte, decise di usare quella come scusa per cambiare discorso.
Yukiko sbuffò, sedendosi di fronte al figlio mentre avvicinava la sua ciotola di riso alla bocca.
Shinichi le lanciò uno sguardo scocciato, ingoiando l’ultimo boccone.
“Non dirmi che avete litigato”
“Tsè, figuriamoci!” si affrettò a rispondere la bionda, leggermente alterata. “Semplicemente, sono stufa del fatto che torna a casa tardi tutte le sere per via di alcune feste e robe varie. Lui e i suoi stupidi libri” sbuffò, senza però mai distogliere lo sguardo dalla propria colazione.
Il detective osservò la madre all’inizio con gli occhi ridotti a due puntini, per poi lasciare che le sue labbra si curvassero in un sorriso.
Possibile che dopo tutti quegli anni quei due litigassero ancora per gli stessi stupidi motivi?
 
Passò qualche minuto di silenzio nella gigantesca villa, spezzato ogni tanto dal rumore delle bacchette di legno dei due inquilini.
Poggiò il bicchiere d’acqua sul tavolo, spostando le iridi blu verso l’orologio poco più distante.
“Cavolo sono già le dieci!” sbottò Shinichi, alzandosi di scatto e sbattendo con poca eleganza la sedia.
“Che ti prende?” gli chiese confusa la madre, nel vedere il figlio correre verso la porta di casa.
“Se chiama o viene Haibara dille che vado da lei nel pomeriggio, che adesso devo andare da Ran” le urlò, allacciandosi velocemente le scarpe e afferrando la prima copia di chiavi che vide.
Si erano messi d’accordo la sera prima che sarebbe andato a trovarla in agenzia verso le nove e mezza, come aveva fatto a dimenticarselo?
Sentì i passi della madre farsi sempre più vicini, mentre con un’alquanta fretta apriva la porta di legno scuro.
“Shin-chan” lo richiamò l’americana, prima che quello potesse mettere piede fuori in giardino.
“Hmm?”
“Mi raccomando, controllate che non ci sia Kogoro prima” gli disse con un sorriso malizioso disegnato in volto, lasciandolo inizialmente spaesato.
“Perché dovrei controllare che non ci sia..” improvvisamente il vero senso delle parole della madre gli arrivarono nitide e chiare, facendolo diventare paonazzo, quasi viola. “MAMMA!”
“Va bene! Va bene, scusa!” rise quella, mentre l’altro uscì adirato sbattendosi la porta dietro.

-Doveva tornare proprio adesso quella lì?!-




*Capitolo 9, "La seconda condizione- seconda parte".
**In Giappone la mattina, per colazione, è tipico mangiare del riso.


Nana's Corner:
Sono in ritardo, lo so. Ma a mia discolpa posso dire che il capitolo era pronto tre settimane fa ma che mi ero dimenticata di pubblicarlo u.u
... dalla serie "vi do un motivo in più per detestarmi" .-.
No, comunque, konnichiwa! :D
Apparte il ritardo di un mese che no, non ho passato a girarmi i pollici LOL ma a scrivere il prologo di una fic e a rielaborare tutti i capitoli da qui in poi -sì, dopo aver deciso come far finire la fic, mi è venuta un'altra idea e quindi è stato un casino ^^", eccoci finalmente qui con questo capitolo che è il penultimo prima dello scontro con l'organizzazione! :D
La prima parte è.. ok, siate sinceri, sono OOC Ran e Shinichi?! D:
Ho come l'impressione che lo siano.. S:
Ma parlando di cose più allegre.. voi sapete no che io NON posso dare un momento come si deve a 'sti due, sì? Bene, chi di voi sapeva l'avrei fatto anche sta volta facendo entrare in scena Yukiko? LOL
Hahaha spero vi sia piaciuta la sopresa almeno quanto a me è piaciuto scrivere quella parte xD
Beh.. che dire.. *cerca di dire qualcosa.. non sa che dire .-.*
Spero che i personaggi siano IC ^^" *prima cosa che le viene in mente*
Cmq, grazie mille a chi ha recensito lo scorso capitolo, a chi ha inserito la storia tra le preferite, seguite e ricordate e a chi legge solamente. ARIGATOU!!!! <3<3<3
E, per la felicità di qualcuno...

Metantei's Corner! :D
1- Che faranno Shinichi e Ran nel prossimo capitolo? *niente pensieri come quelli di Yukiko.. arigatou xD*
2- Per chi se lo ricorda, questo e il prossimo sono gli ultimi "momenti" in cui potrete dedurlo quindi.. cosa c'era scritto nella lettera trovata da Haibara nel laboratorio, secondo voi?

3- Special: questo particolare non l'avrete quasi sicuramente notato ma.. non vi sembra che c'è qualcosa nel chap che non va o manca? 
Su su, detective, voglio sapere le vostre teorie!! :D

E per oggi abbiamo finito.
Grazie ancora per aver letto i capitoli fino a questo. Ormai non manca più molto alla fine e...
No, siamo positivi u.u
Beh, niente.
Spero il capitolo vi sia piaciuto ^^
Alla prossima!

XXX,
Nana.
   
 
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