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Autore: Big Foot    04/06/2013    2 recensioni
Alberto è un ragazzo giovane, una matricola all'università; è autoironico da sempre e adora prendersi in giro, ma nonostante questo è felice della sua vita, regolare e per niente avventurosa, monotona nelle sue abitudini, ma proprio per questo priva di fastidiose sorprese inaspettate. Questa è la storia di come la sua vita (o la mia vita, sta a voi sceglierlo) cambi di colpo e di come, inaspettatamente e suo malgrado, si riempia di avventure.
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-7-

Il mattino dopo mi svegliai con un sorriso un po' ebete stampato in faccia al pensiero che ora potevo chiamare Andrea se mi andava di farlo, e quella mattina mi andava, avrei voluto davvero farlo.
Ma poi ci ripensai. Lei mi aveva fatto capire, e anche chiaramente, che non voleva saltarmi addosso come un falco che si avventa dall'alto su un coniglietto un po' rincoglionito che sta fermo in mezzo a un prato; quindi, per eliminare la tentazione, non lessi neanche il suo numero nel foglietto, ma lo nascosi nel mio portafogli.
L'avrei chiamata, o cercata in altri modi, ma non quel giorno.
Continuai ad andare a lezione, con le ore che non passavano mai, e mentre gli altri prendevano appunti io lo facevo distrattamente, preferendo disegnare robot giganti, auto anfibie e camion capaci di portare due carri armati  contemporaneamente. Martedì stavo tornando a casa quando mi squillò il cellulare, lo presi dalla tasca e lessi il nome più temibile che conoscevo e conosco.
"Ehm, ciao mamma" risposi.
"Se non ti chiamassi io tu ti dimenticheresti di me, ammettilo."
"Ma no, mamma. Sono stato un po' impegnato e.."
"Per una settimana? Sette giorni di fila? Io mi ero preoccupata!"
Sospirai, "Ma', ho passato un brutto periodo e.."
"Che è successo al mio batuffolino di panna montata?" Mi chiese col tono di voce improvvisamente intenerito.
Sentendo quel nomignolo diventai rosso mattone. "Vedi, Roberta mi ha lasciato."
"Piccolo mio! Sei stato tanto male, gioia de mammà?"
"Beh abbastanza, ma ora sto meglio. Marco mi ha dato una mano."
"L'ho sempre detto che era un bravo ragazzo, lui. Ma perché ti ha lasciato?"
"Non mi amava più, l'ha capito dopo che mi ha tradito credo, e quindi.."
"Aspetta, ti ha tradito?"
"Sì, ti stavo raccontando proprio.."
"Quella puttana!"
"Ehm, mamma, non esageriamo ora, insomma.."
"Ah, ma appena incontro sua madre al supermercato! Voglio vedere se non gliene canta quattro anche lei!"
Sospirai nuovamente, "Mamma, ormai è una cosa passata. Piuttosto, il lavoro come va?"
"Oh, quello molto bene. Ho finito proprio ieri l'ultimo pezzo."
"A cosa hai dovuto dare il tuo tocco magico stavolta?" Chiesi, scendendo dal tram.
"Stavolta è toccato a un basso. Ho fatto il corpo verde con dei cerchi di vari colori e una saetta che correva lungo tutta la tastiera. Se solo mi lasciassi fare così anche il tuo.."
"Mamma sai già cosa ne penso. Per adesso voglio godermelo così."
"Ma nero è così monotono! Non importa, riuscirò a convincerti prima o poi. Ti passo papà che è appena tornato. Tu cerca di non buttarti giù e ricordati che noi siamo qua per qualunque cosa. Un bacione."
"Grazie mamma un bacio anche a te, ti voglio bene." Aspettai che rispondesse mio padre.
"Pronto?"
"Ciao papà, come stai?"
"Bene, tu invece?"
"Abbastanza bene, sono stato un po' giù."
"Ho sentito, ho sentito. Ora va meglio?"
"Sì, sì."
"Ok. Bene, allora ci sentiamo."
"Ok. Ciao papà."
Questa è una normale conversazione con mio padre. Somiglio molto a lui come carattere, siamo entrambi calmi e amanti della routine; ci piace leggere e cucinare, siamo entrambi calmi e tranquilli. Mia madre invece è di tutt'altra pasta: artista con la mania del "più è colorato, meglio è", molto giovanile e senza peli sulla lingua (non ci ha pensato due volte prima di definire Roberta "puttana"). Somiglio molto a lei fisicamente, ho i suoi capelli e i suoi occhi, verdi, mentre mio padre ha i capelli neri e gli occhi scuri.
Anche per questo vado più d'accordo con lei e parliamo più a lungo; io e mio padre invece, da veri uomini, ci scambiamo solo le informazioni essenziali. Mentre entravo dentro casa mi arrivò una mail, andai a controllare ed era una foto di una scatola piena di stecche di cioccolato seguito da un messaggio di mia madre: "Pacco in arrivo! Queste ti faranno stare meglio!" Sorrisi, una cosa che adoro di mia madre è il suo tenersi a passo con i tempi.
Chiusi la porta e feci partire lo stereo mentre, nel frattempo, posavo lo zaino e il giubbotto. Mi resi conto però che c'era uno strano odore in casa; andai in cucina e vidi l'orrore: il sacchetto dell'umido era pieno e, sopratutto, in putrefazione. Mi rimboccai le maniche e presi il famigerato sacchetto, feci un nodo ben stretto e mi avviai verso la porta, ma prima che ci potessi arrivare sentii un rumore simile a uno sciaff.
Sì, sciaff.
Sapevo già cos'era successo, quindi chiusi gli occhi, presi un respiro profondo e mi girai. Il sacchetto si era spaccato e ora il pavimento era coperto di bucce varie in decomposizione, composti derivati da chissà cosa e una sottospecie di melma color rosmarino. Imprecando e ripassando il calendario andai in bagno, mi misi un paio di guanti monouso e iniziai a raccogliere tutto, melma compresa, ma ci riuscii solo perché aveva la consistenza di un budino. Mi fermai per restituire il pranzo al mondo (nel water fortunatamente) e poi scesi finalmente a buttare il sacchetto. Tornai su, ma l'odore c'era ancora, andai nuovamente in cucina e vidi che c'erano anche i piatti sporchi nel lavandino. Dopo aver lavato i piatti, passato la scopa e lo straccio per tutta la casa, cambiato le lenzuola e buttata altra spazzatura mi chiesi perché quella dannata puzza non andasse via.
Ovviamente non avevo contato la merda sotto la scarpa.

-8-

 Un giorno, poco tempo dopo la chiamata di mia madre, mentre mangiavo in mensa, notai un volantino di una discoteca su un party che si sarebbe tenuto quel giovedì. Pensai subito di avvertire Marco visto che ci sarebbe stato da divertirsi, e così lo chiamai.
"Hey, idiota!" Dissi non appena rispose alla chiamata.
"Ma va a cagare, stavo dormendo. Lo sai che oggi ho il giorno libero."
"Spegni il cellulare la prossima volta. Senti, c'è questa festa giovedì, ho letto il volantino ora; ci andiamo? Facciamo quattro salti."
"Sì, in padella. Ti ricordo che io non ho il venerdì libero. Ma.."
"Ma..?"
"Ma chi se ne frega. Alle otto sotto casa tua?"
"Perfetto. Saremo solo io e te?"
Ma non ricevetti risposta perché già russava come una motosega alla massima potenza. Chiusi la chiamata e mi chiesi perché avevo fatto quella domanda. Cosa volevo sapere veramente? Scossi la testa come per scacciare quei pensieri, ma la verità era che volevo tornare a quella notte con Andrea. Solo che non me ne accorsi.
Arrivò il grande giorno, quello della festa. Io sono molto modesto, ma quella sera ero proprio figo: scarpe grigie, jeans neri, camicia bianca e per finire il mio giubbotto di pelle nero. Mi sistemai addirittura i capelli, un evento più unico che raro.
Marco arrivò in orario col bolide e sfrecciammo subito verso il club. "Allora," mi chiese, "te li sei portati?" "Gli assorbenti? No, mi devono venire la settimana prossima." Sospirò, "Intendo i preservativi, coglione."
"Tua sorella. Comunque no, non li ho portati. Perché me lo chiedi?"
Ci mise un po' a rispondere, ma alla fine disse "Così, per curiosità. Io i miei li ho portati, di certo non esco senza."
"Cosa sei, un moderno Casanova?"
"Io? Io voglio solo dispensare piacere."
Risi, "Ma smettila che è meglio."
"Vedremo, tanto siamo arrivati."
Parcheggiammo e ci mettemmo in fila, chiacchierando un po' sulle ragazze che vedevamo in giro; Marco stava già facendo la top ten, che nel suo caso era l'ordine secondo cui doveva provarci con tutte le ragazze che gli interessavano.
Alla fine riusciamo a entrare e, mentre ci timbrarono la mano, mi sembrò di vedere Roberta in un abito blu, il suo preferito; mi dissi che non era possibile e  che la mia mente mi aveva giocato un brutto scherzo, così feci segno a Marco di buttarci nella mischia.
Dopo un pochino lui mi toccò la spalla, io annuì e ci avvicinammo a una ragazza al bar.
"Ciao," le dissi io, "avresti un minuto?"
"Dipende," rispose lei, "se sei qua per rompermi i coglioni no."
"Tranquilla, non è mia intenzione farlo. Ti rubo solo cinque minuti del tuo tempo."
"Mmm, spara." Era dubbiosa, ma potevo ancora farcela.
"Vedi quel ragazzo laggiù? Quello col completo?"
"Sì, perché?"
"E' un mio amico. Ieri gli hanno diagnosticato un tumore inoperabile al cervello e non gli resta molto tempo. L'ho portato con me stasera per farlo svagare un po'."
"Sul serio?" Iniziò a credermi, bene.
"Sì e mi chiedevo se potessi farmi un favore. Ti dispiace ballare un po' con lui? E' anche carino e poi potrebbe essere la sua ultima volta."
"Sei davvero un amico. Però.."
"Andiamo, non ti sto chiedendo chissà cosa." Usai il mio sguardo da cucciolo sperduto e abbandonato.
"Io.. Ok, ballerò con lui, ma solo quello, sia chiaro."
"Certo, grazie ancora!" E lo dissi sapendo già che non sarebbe andata così.
Mentre lei si avvicinò a lui e lo prese per mano, Marco mi fece l'occhiolino. Aveva funzionato, come sempre.
Io invece mi ritrovai da solo al bar e così iniziai a bere. Prima un cocktail, poi due, tre, qualche shortino, rubai qualche tiro a un ragazzo nell'angolo e mi rimisi a ballare. Poi l'oblio.
Mi risvegliai con il telefono che squillava all'impazzata; cercai il comodino con la mano credendo che fosse la sveglia. Poi però aprii gli occhi e mi ritrovai in una vasca da bagno. Non avevo idea di dove io fossi, anche se il bagno mi risultava familiare. Improvvisamente vidi il telefono poggiato a terra su una confezione di salmone affumicato, lo presi e risposi.
"Pronto!"
"Cazzo era ora! Ma lo sai che ore sono?? Dove minchia sei?" Era Marco ed era incazzato nero.
"Ehm non so rispondere a entrambe le domande." Mi guardai meglio in giro e mi accorsi di essere nudo a parte una calza autoreggente e un paio di slip rosa con stampate sopra delle fragole. Il bagno era sporco di vomito qua e là e dal lampadario penzolava quello che sembra essere un ammasso di mozzarella, il resto della pizza era sparso per la stanza e la salsa faceva sembrare il tutto la scena di un omicidio. "Però sono in un bagno. E ho addosso degli slip rosa."
Lui provò a non ridere, poi iniziò e sembrò non fermarsi più. "Ok," disse dopo un po', stremato, "ora cerca sul cellulare dove sei che ti passo a prendere. Ma c'è una ragazza con te? Dimmi che è una ragazza e non un uomo."
"Non so, ora vado a fare un sopralluogo. Ti richiamo io."
Uscii dalla vasca e, cercando di non calpestare il vomito, arrivai al lavandino dove mi sciacquai la faccia. Poi aprii la porta e sbirciai fuori: quel corridoio, quella porta, quei quadri, tutto lì mi diceva che ci ero già stato. A passi felpati mi diressi verso una porta socchiusa, la aprii e mi si mozzò il fiato.
C'era un letto matrimoniale con le coperte messe sottosopra, fin qua era tutto ok, e c'era una ragazza nel letto.
Una ragazza con i capelli castani e ricci.
Una ragazza che, se fosse stata sveglia, avrebbe avuto un sorriso perfetto, come nelle pubblicità dei dentifrici.
Quella ragazza era Roberta.
In quel preciso istante desiderai che al suo posto ci fosse chiunque, anche il cuoco genovese, purché non ci fosse lei nel letto. Ma funzionò? No, come sempre. Si svegliò, aprendo poco a poco gli occhi, mi guardò e, dopo aver sorriso un attimo, mi riconobbe e il sorriso si congelò.
"Tu"disse.
"Ehm, ciao" fu la mia timida risposta.
"Cosa cazzo ci fai qua e.. Ommioddio, ma sono le mie mutande quelle?!?"
"Non ne ho proprio idea, anzi speravo che potessi darmi una mano tu a ricordare cos'è successo. E a trovare i miei vestiti. Sono proprio scomodi 'sti slip."
Lei toccò una cosa sotto le coperte e poi la tirò fuori per vederla: era un preservativo usato.
"Oh, questo spiega cos'è successo, ma non perché ho addosso.."
"Tu mi hai violentata! Tu, lurido maiale schifoso!!" Avrei voluto restare immobile per lo shock, ma dovetti schivare le nocciole che mi tirava contro. Perché quella notte avessimo avuto bisogno di un sacco pieno di nocciole non l'ho ancora capito e credo che non lo capirò mai.
Raccattai in fretta i miei vestiti,  corsi fuori e li indossai sul pianerottolo; poi chiamai Marco.
"Amico, so dove sono. Sono sotto casa di Roberta."
"Ma che cazzo..?"
"Non farmi domande perché io non ricordo un bel niente. Sbrigati però, che credo mi voglia uccidere."
Infilai la calza e gli orrendi, ma sopratutto scomodi, slip rosa nella sua buca delle lettere e, non appena arrivò Marco, saltai dentro la macchina e scappammo via di lì. All'inizio ci fu un po' di silenzio, poi lui mi guardò i capelli e disse "E' farina quella che hai in testa?" Mi guardai nello specchietto e risposi "Sembra proprio di sì." Poi iniziammo a ridere. Lui mi raccontò di come avesse concluso con la ragazza del bar e di come avesse concluso con sì e no altre sei ragazze; dopo aver saziato la sua fame riguardante l'altro sesso iniziò a cercarmi, a chiamarmi, a mandarmi messaggi, ma tutto senza ricevere risposta. Si preoccupò e chiese in giro: gli dissero che mi avevano visto bere come una spugna per poi essere rapito da una ragazza che mi aveva portato in bagno, da quel momento nessuno mi vide più. Io gli dissi che, dal casino che c'era a casa di Roberta, avevamo violato almeno quaranta leggi riguardanti il bon ton e sfiorato i confini della sanità mentale. Dopo un po' mi chiese "Ma tu il foglietto che ti ha dato Andrea l'hai letto?" Io lo guardai e risposi "Veramente no, in fondo c'è solo il suo numero, no?" Rimase in silenzio un attimo e poi disse "Sì, in effetti è vero." Eravamo arrivati a casa mia, " Solo una cosa," continuò, "lei si vuole prendere cura di te, ma tu non farle male." Lo guardai, "Ovvio, amico. Non sono mica uno stronzo."
Ci salutammo e io salii a casa. Appena entrai cercai il foglietto nel portafoglio e lo lessi; c'era scritto "Forse non dovrei dirlo, ma l'altra sera sono stata davvero bene con te. E' stato divertente dormire insieme e tu sei divertente, simpatico, adorabilmente scemo.. Insomma tu.." Ma il seguito era cancellato e dopo c'era solo il numero. Di cosa si era pentita? Cosa voleva dirmi? Mi feci una doccia, lenta, fatta per pensare più che per pulirmi. Il mal di testa arrivò subito dopo, inesorabile, come se avessi sbattuto contro un muro di cemento armato. Mi decisi a chiamarla e rispose, "Ciao Alby! Come va?"
Sorrisi, rincuorato dalla sua voce, "Bene. Più o meno.  Mi scoppia la testa."
"Perché?" Il suo tono di voce era preoccupato.
"Una brutta sbronza ieri. Seguita da un risveglio altrettanto brutto e traumatico."
"Povero. Che ti è successo?"
"Mi sono ritrovato a casa di Roberta e, a quanto pare, abbiamo fatto qualcosa mentre eravamo fuori di testa. Come lanciare pizza in giro per il bagno."
"Ah. Lieta che tu ti sia divertito." Ora il suo tono era freddo, glaciale.
"Tutto ok?"
"Sì. Ora devo andare. Ciao." E chiuse.
Io mi presi la testa tra le mani, domandandomi perché niente sembrava andare per il verso giusto.

-9-

Mi svegliò il citofono, il mio caro amico citofono. Imbestialito come un toro di fronte a un drappo rosso sventolante, mi avvicinai all'apparecchio. Memore della mia figuraccia col postino cercai di calmarmi prima di rispondere.
"Chi è?" Chiesi e, vi giuro, ero calmo. Calmissimo.
"Salve, lei cosa sa su Gesù?"
Provai a prenderla con filosofia, ma anche lei ne aveva pieni i coglioni. Sbattei la cornetta al suo posto e mi lanciai sul divano che mi accolse con un caldo abbraccio, quasi inglobandomi. Mi risvegliai con il telefono che vibrava per un messaggio non letto. Recitai mezzo calendario prima di ritrovarlo e, quando vidi il messaggio, rimasi interdetto, allibito.
Era un messaggio di Roberta, di nuovo. Mi chiedeva di incontrarci al bar per prendere quel caffè che non avevamo più preso. Ci pensai, pensai a quello che mi era successo, e presi la decisione sbagliata.
Fuori faceva ancora più freddo dell'ultima volta, così freddo che i capelli lunghi, la barba, la sciarpa, le cuffie e il cappello non mi impedivano di provare un freddo cane alla testa e al viso. Scelsi una canzone cauta, E, di Ligabue, perché intuivo che qualcosa sarebbe successo e che molto probabilmente non mi sarebbe piaciuto; ma il suono del basso mi cullava e mitigava il mio brutto presentimento facendomi sentire a casa.
Arrivai al Politecnico e scesi: lei era lì, accanto alla stessa panchina; io mi avvicinai, molto più lentamente dell'altra volta, e la salutai. "Allora, andiamo?" Mi chiese, io accennai un sì ed entrammo nel bar.
"Allora," dissi io dopo aver preso posto ed aver ordinato i due famigerati caffè, "come mai volevi vedermi? L'ultima volta non mi sei sembrata molto.. non so come dirlo in termini gentili, mi dispiace."
"So benissimo di essermi comportata nel modo sbagliato. Ma cerca di capirmi, non mi aspettavo di trovarti lì."
"Certo, molto meglio il cuoc.. Lascia perdere. Non hai risposto alla mia domanda però."
"Ho pensato molto al nostro incontro della scorsa notte e.. E mi chiedevo se non fosse il caso di tornare insieme, ecco. Ci hai pensato anche tu scommetto."
Mi presi qualche secondo per pensare e poi dissi "Sì, ci ho pensato qualche giorno fa."
"E cosa ne pensi adesso? Ti andrebbe di ricominciare insieme?" E sorrise. Quel sorriso che avevo amato in quel momento mi sembrò falso come una banconota da trenta euro.
"Vuoi davvero che ti dica cosa pensi di questa cosa?"
"Certo, dimmi tutto."
Sospirai e poi, dopo una piccola pausa per dare quel tocco di teatralità, risposi "Io dico che è una puttanata."
Un'espressione incredula le si dipinse in volto, la bocca era spalancata e gli occhi sgranati. Avrei voluto farle una foto.
"E' una puttanata," continuai, "perché dopo tutto quello che mi hai fatto osi chiedermi una cosa del genere. Una proposta talmente assurda che è paragonabile a un cuoco che chieda gentilmente a un'aragosta di tuffarsi nella pentola d'acqua bollente." Nel frattempo arrivò la cameriera con i nostri caffè, "Oh, grazie mille." Ne presi un sorso e poi ripresi, "Cerca di metterti nei miei panni: io ti ho amata,e anche tanto; ti ho dato il mio cuore e tu ci sei saltata sopra e, subito dopo, l'hai masticato e sputato a terra. E poi ci sei saltata sopra di nuovo.
 Sono arrivato al punto di capire che non me lo meritavo, neanche un po'. Non sono Brad Pitt, ma cazzo, sono di sicuro uno dei ragazzi migliori che ti poteva capitare. Tanto va sempre così, no? Vi ricordate solo degli stronzi, mentre di quelli come me conservate un ricordo minimo. Quindi la mia risposta è: vai a buttarti nuovamente tra le gambe di quel fighetto del tuo corso."
Finii di bere il caffè mentre lei cercava ancora di capacitarsi di aver ascoltato quelle parole e che le avessi dette io. Poi mi venne in mente un colpo di grazia, "Ah un'altra cosa. Mia madre dice che sei una puttana." A quel punto fu lei a scappare via dal bar senza neanche salutarmi mentre io, piuttosto soddisfatto dell'inversione dei ruoli, mi bevvi anche il suo caffè. Quel pomeriggio fui proprio un bastardo di prima categoria, ma non me ne pentii, anzi, mi piacque farle assaggiare in minima parte quello che lei mi aveva causato; ciò nonostante mi alzai dal tavolo con il morale piuttosto basso, così pensai di fare un giro fuori con qualcuno e non ci misi molto a scegliere la persona con cui passare del tempo libero.
"Pronto?"
"Ciao Andrea, sono Alberto. Senti, so che l'altro giorno ti ho detto delle cose che ti hanno fatto pensare che io mi stessi ributtando tra le braccia di Roberta dopo tutto quello che mi ha fatto e sono sicuro che ti sono sembrato un coglione."
"Ehm sì," risponde lei, timidamente, "è proprio per quello che, insomma,  mi ero incavolata."
"Ecco, volevo dirti che con lei è tutto finito. Se ti va ti spiego i dettagli davanti a un caffè." E lo dissi nonostante sapessi benissimo che con un terzo caffè quella notte mi sarei trasformato nella Vispa Teresa, altro che dormire.
"Niente birra stavolta?"
"Se preferisci quella va benissimo lo stesso."
"Meglio di no, devo vedere una persona stasera, vada per il caffè. Quello all'angolo vicino Porta Nuova?"
"Ehm va bene, ci vediamo là allora. A dopo!"
"Ciao ciao."
Mi diressi come un robot verso la metro, con le sue parole che mi rimbombavano in testa; perché mi aveva detto che doveva vedere un altro quella sera? Ma più che altro, perché mi faceva star male questa cosa? In fondo Andrea era solo un'amica, o almeno così credevo.
Arrivai davanti al bar e mi misi ad aspettare finché, dopo qualche minuto, arrivò anche lei; non era vestita in modo molto diverso dal solito e questo mi fece pensare che la persona con cui dovesse incontrarsi più tardi potesse essere una sua amica. Mi fece stare meglio.
Entrammo, ordinammo i due caffè (io dissi addio al mio sonno ristoratore di quella notte) e le raccontai cos'era successo, la mia rabbia dopo aver sentito quell'assurda proposta e il mio cambio di personalità e, dopo un altro paio di caffè, finii la mia storia.
"Questo però non spiega perché tu abbia cercato me e non mio cugino." A questa suo commento non sapevo davvero come rispondere.
"Ehm, non saprei. Volevo passare del tempo con te immagino. L'ultima volta sono stato molto bene."
"Beh, sei stato molto bene anche con lei l'ultima volta che vi siete visti, o almeno mi hanno detto così."
"Ero ubriaco, non ci sarei andato mai da sobrio. Immagino tu sappia che vestiti avevo il mattino dopo."
"Gli slip rosa, sì. Molto comodi, vero?"
"Sì, comodi come un letto fatto di chiodi. Ma come fate?"
"Mistero. Devo andare, ti avevo detto dell'appuntamento, no?"
"Sì, me l'avevi detto. Esci con un'amica?"
"No con un ragazzo."
"Ah."
"Già."
"Beh, buon divertimento allora."
"Grazie. Ciao, ci vediamo." E con questa battuta uscì dalla mia giornata.
L'unica cosa positiva era che, per quanto mi aveva fatto star male scoprire che usciva con un ragazzo, sarei rimasto sveglio tutta la notte anche senza quei tre caffè.
 
 

-10-

Quella sera rimasi fuori casa anche io, tanto nessuno mi aspettava lì. Mi armai delle mie fidate cuffie e questa volta toccò ai Tre Allegri Ragazzi Morti  esibirsi solo per me. Arrivai in Piazza Castello e scesi lungo Via Po alla ricerca di un pub e dopo poco tempo lo trovai: si chiamava Il Bucaniere  e il cartello all'ingresso annunciava uno sconto sulle birre scure solo per quella sera. Sorrisi, un sorriso amaro, al pensiero che la vita faceva di tutto pur di farmi star male. Entrai e ordinai il primo mezzo litro.
Non ricordo quanto avessi bevuto, a dirla tutta ricordo molto poco; ho dei ricordi sparsi, come degli schizzi di memoria: io che ondeggio lungo Via Roma, mentre cerco di rubare le monetine a un sassofonista in Piazza San Carlo o mentre vomito nella sua custodia. Finché una bici non mi investì.
Mi risvegliai in un letto, con un gran mal di testa e con la già citata testa che roteava e roteava e roteava..
Chiusi gli occhi e sospirai, sperando con tutto me stesso di non trovarci Roberta in quel letto; mi feci forza e guardai accanto a me e per un momento rimasi di stucco: la parte del letto accanto a me era perfetta, nessuna piega, nessuna macchia. Il cuscino sembrava nuovo di pacca, come se non fosse mai stato usato da qualcuno.
Questo era strano, molto strano. Sollevai le coperte e vidi che non solo avevo ancora addosso le mie mutande, ma avevo addosso anche addosso un pigiama. Un pigiama che non era mio, ovviamente, ma sembrava pulitissimo nonostante mi stesse decisamente piccolo. E almeno non erano degli scomodissimi slip rosa.
Guardai alla mia destra, dove c'era il comodino, e, nell'ordine, vidi: il mio cellulare, le mie chiavi di casa, il mio portafoglio e un biglietto indirizzato a me. Sì sì, proprio a me.
Lo presi, con molta cautela, e lessi: "Buongiorno dormiglione! Sono dovuta uscire, tu fai due passi in casa per sgranchirti le gambe se ti va! Elena." Posai il bigliettino sul comò e mi sentii il protagonista di Misery, ma almeno io non avevo le gambe rotte e proprio per questo decisi di seguire il consiglio della mia "carceriera".
La casa era praticamente dipinta con ogni tonalità di verde e infatti, appena uscii dalla camera da letto mi ritrovai in un corridoio verde smeraldo; alle pareti erano appesi quadri cubisti, sopratutto repliche di Picasso e, in contrasto col resto, Notte Stellata di Van Gogh. Dopo c'era un salotto arredato con mobili moderni bianco lucido e tanti oggetti di design e un lampadario a led; non mancavano tocchi vintage come una poltrona a sacco e un giradischi accoppiato a un'enorme collezione di dischi in vinile, quasi tutti di musica rock.
Andai poi in cucina dove mi accorsi di un altro biglietto che mi autorizzava a mangiare tutto quello che potevo mangiare, ma il mio stomaco non era molto collaborativo. Alla fine si arrese davanti a una tazza di latte con del muesli al cioccolato e mi accorsi subito di avere una fame da lupi. Divorai tutto mentre ascoltavo la radio, posai la tazza nel lavandino e continuai il giro della casa: un divano comodo quanto la poltrona trovava posto in sala da pranzo, due bagni e un piccolo sgabuzzino pieno di scatoloni completavano la casa. Trovai, inspiegabilmente, dei pacchi di biscotti al cioccolato nascosti accanto al divano e, mentre mi stavo chiedendo perché diamine fossero là, sentii una chiave entrare nella serratura e la porta aprirsi per poi richiudersi.
Ora, io non so dirvi perché lo feci, non lo sapevo allora e non lo so neanche adesso, ma in quel momento non ci pensai due volte e saltai dietro al divano. Immagino che il mio istinto mi dicesse che era meglio nascondersi, e ce l'avrei fatta, se solo non avessi calcolato male le distanze e non avessi dato una bella testata contro il muro seguita da un'imprecazione detta a voce alta.
"Ma che cazzo stai facendo?"
Io mi girai e vidi una ragazza un po' più bassa di me che mi fissava aspettando una mia risposta. E io la accontentai, dandole una risposta chiarissima e traboccante di significato: "Non ne ho la minima idea.."
Lei sbuffò e andò in cucina, tornò con del ghiaccio e mi disse di mettermelo sul bernoccolo che mi era già nato e cresciuto in testa.  Seduti sul divano lei all'improvviso si portò la mano alla fronte e disse "Ma che scema che sono, non mi sono neanche presentata! Io sono Elena!"
Io strinsi la mano che mi tendeva e poi dissi "Io sono.."
"Oh, lo so già chi sei Alby, mi sono presa la libertà di guardare i tuoi documenti nel portafoglio. Ma non ti ho rubato neanche un centesimo, giuro."
"Ah, ehm, suppongo vada bene. Piuttosto, come sono arrivato qui?"
"Oh, beh, mi sembrava il minimo dopo che ti ho investito con la bici. Insomma, non eri proprio in formissima."
"Davvero? Non ricordo bene.. Grazie, comunque."
"Ma figurati! Ti ho messo un mio pigiama perché i tuoi vestiti sono nella lavatrice, non erano conciati molto meglio di te. Ti sta un po' piccolo, ma non avevo nient'altro purtroppo."
"Ah, quindi tu mi hai, ehm.."
"Sì, ti ho visto in mutande, ma non sono andata oltre tranquillo. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto.."
"Che..? Cos'hai detto?"
"Niente, niente. Piuttosto, che vuoi mangiare per pranzo?"
Mentre diceva questa frase si alzò per tornare in cucina e io potei osservarla meglio: Elena era più bassa di me o di Andrea, ma controbilanciava la mancanza d'altezza con l'energia che le sprizzava da tutti i pori; aveva dei capelli neri tagliati a caschetto in perfetto stile anni '20 e degli occhi azzurro cielo. In quel momento indossava una canottiera bianca, degli shorts di jeans e degli stivaletti neri, un abbigliamento che mi fece notare che anche lei, come Andrea, era piuttosto dotata.
Io mi scossi dal mio torpore e dissi "Non c'è bisogno che tu ti preoccupi, hai già fatto tanto per me."
"Ma figurati. E poi i tuoi vestiti sono ancora a lavare, quindi ti toccherà aspettare. Allora, cosa vuoi?"
"Ehm, un po' di pasta andrà benissimo, grazie."
"Sei stato di grande aiuto," mi disse lei con tono sarcastico. "Pasta come? Sugo, pesto, aglio e olio, tonno, amatriciana, carbonara..?"
Io sentii il mio stomaco brontolare con rabbia e scelsi la carbonara.
"Perfetto, inizia a rosolare la pancetta."
E così, tra una risata e l'altra, cucinammo insieme e ci sedemmo a tavola per mangiare.
"Allora," dissi dopo qualche forchettata, "tu sai qualcosa di me, ma io di te non so praticamente niente."
"Non posso darti torto," rispose lei sorridendo, cosa che rese il mio cervello utile come un bicchiere bucato, "da dove inizio?"
"Ehm, non so.. Dai dischi che hai di là ho visto che ti piace il rock."
"Oh quelli. Beh sì, mi piace abbastanza, ma non ascolto solo quello. I vinili erano di mio padre in parte e io, pian piano, sto ampliando la collezione."
"E cos'altro ascolti?"
"Un po' di tutto. Ultimamente sono fissata con Suzanne Vega, la adoro."
"Piace anche a me. Sopratutto Blood Makes Noise, il giro di basso è fantastico."
"Non ci credo, suoni il basso? Mi piace come strumento!"
"Sono io a non crederti, noi bassisti non piacciamo a nessuno. Tu suoni qualche strumento?"
"Sì, la fisarmonica. So che con il rock non c'entra praticamente niente, ma mi piace il suono."
"Ti capisco, piace anche a me, ma non è difficile da suonare?"
"Infatti ho iniziato da piccolina e non è stato facile, credimi."
"E ora cosa fai?"
"Lavoro quando posso, suono, ascolto musica.. Non ho una vita molto eccitante. Tu invece studi al Poli, ho visto la tessera."
"Oh, sì, è esatto. Ma tu quanti anni hai?"
"Hey, a una signora non si chiedono queste cose. Ma sono più grande di te."
"Non si direbbe, nanetta."
"Bene, laverai i piatti da solo. Sono troppo bassa per arrivare al lavabo, a quanto pare."
Dopo un pochino di suppliche e di scuse si arrese e lavammo insieme i piatti. Quando finimmo andammo sul divano e notai una macchia sul pigiama, "Oh cavolo, ti ho sporcato il pigiama."
"Lascia stare, non preoccuparti. Ti va di guardare un film? Io dico di sì." Si alzò, mise un dvd, senza darmi il tempo di dire una parola, e, incredibilmente, si accoccolò a me.
In poche settimane avevo già due ragazze che mi saltavano praticamente addosso. E meno male che io con le donne non ci sapevo fare!
  
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