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Autore: CarolPenny    05/06/2013    5 recensioni
[Capitolo 7- Mycroft.]: “Ma se c’era una persona che si potesse dire l’avesse seguito sempre, quello ero io, senza dubbio. Ero rimasto nell’ombra, il più delle volte, a osservare la sua figura crescere e gli effetti devastanti che il suo contatto con il mondo esterno avevano sempre provocato. Il suo innalzamento, e infine anche la sua caduta. Quella sindrome a cui non si era immuni, quando lo si conosceva.
La sindrome di Sherlock Holmes.
Genere: Angst, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Consiglio l’ascolto di questo brano, che mi ha in parte ispirato questo capitolo: http://www.youtube.com/watch?v=u1TwT2OVZE4 ]



Avevo bevuto solo mezzo boccale di birra, e già mi girava la testa.
“Ehi, Lance!” urlai al barista, che subito si girò verso di me “Cos’è che mi hai servito, stasera?”
Lui rise sguaiatamente e mi si fece di fronte.
“Il solito” rispose “Non ti piace più, Harry?”
A piacermi, mi piaceva eccome, ma l’alcool non mi aveva mai fatto effetto in così poco tempo.
Sorrisi, e bevvi un altro sorso, per fargli capire che dopotutto la mia non era una lamentela.
Da lucida o no, quella sarebbe stata un’altra serata da dimenticare.
Tanto meglio.
Il bar era popolato dai soliti sei o sette uomini: quattro al biliardo e tre seduti al tavolino più lontano dalla porta, con cellulari e iPad, intenti a confabulare tra loro. La stanza era illuminata quanto bastava. Tre lampadari in tutto, lunghi e piatti, e luci al neon sparse qua e là. Poi c’era il bancone, dove amavo passare il mio tempo, seduta su uno di quei seggiolini dai cuscini in pelle.
Era un posto stranamente elegante, forse anche troppo per un pub, ma di certo non era il motivo per cui lo frequentavo.
Entrarono altre quattro persone, tra cui due ragazze. Una di loro era molto alta e aveva dei bellissimi capelli castani. Fui in grado di notare i suoi occhi chiari quando si girò verso di me, sorridendo, o almeno quella era stata la mia impressione. Un attimo dopo, poi, prese uno dei ragazzi per un braccio e poi lo baciò. Mi voltai altrove, bevendo a gran sorsi l’altra metà del boccale.
Lance rise di nuovo.
“Secondo giro?” chiese, e, senza aspettare una mia risposta,riempì il calice nuovamente e me lo rimise davanti.
“Questa gliela offro io” esclamò una persona, una donna.
La vidi uscire dal retro del bar e raggiungermi. Lì dietro succedevano le cose più interessanti, di solito. E con ‘interessanti’, non mi riferivo obbligatoriamente a cose piacevoli.
Le rivolsi un mezzo sorriso, e la vidi prendere a sua volta un boccale di birra.
Lui ti aspetta.” sussurrò.
Chiusi gli occhi.
Di già?
“Mi dispiace, ma lei ha già un appuntamento con me” fece una voce alla nostra destra.
Ci girammo di scatto. C’era un uomo, seduto due seggiolini più in là.
Mi sorpresi. Da dove era uscito fuori? Fino a pochi attimi prima non c’era nessuno di fronte al bancone, a parte me. Non l’avevo assolutamente visto arrivare, ed evidentemente neanche l’altra donna.
“Dovrà aspettare” ribatté proprio lei.
“Oh, devo insistere” rispose lui di rimando “Harry verrà con me”
Cosa?
E come diavolo faceva a conoscere il mio nome?
Mi prese per un polso.
“Ma cosa accidenti fai? Lasciami!” dissi subito, costringendolo a mollare la presa.
Si guardò in giro, allarmato, e io lo imitai per capire cosa lo avesse colpito improvvisamente.
Tutti le persone presenti nella sala ci stavano fissando.
Non ebbi il tempo di rendermi conto della situazione. L’uomo mi prese di nuovo, questa volta con più decisione e mi fece alzare.
“Corriamo!”
Mi trascinò velocemente fuori dal locale e io iniziai davvero a non capire nulla.
Mi fermai di scatto, perché la testa aveva cominciato a girare più forte e mi appoggiai al muro più vicino.
Lui lo notò e prese il mio volto tra le mani.
“Quante birre hai bevuto?” mi chiese.
Riuscii a sentire il suo alito, ma avevo la vista leggermente sfocata e quindi non riuscii a mettere a fuoco il viso.
“Una” risposi.
“Quante?” insistette.
Non ebbi il tempo di continuare. Si sentirono dei passi e delle voci, così mi prese per mano.
“Non lasciare la mia presa e corri, corri più che puoi!” esclamò e ricominciammo a muoverci.
Fu una corsa lunghissima e stancante, e più di una volta fui incitata dall’uomo al mio fianco a non mollare. Si susseguirono strade, marciapiedi, palazzi, poi alcune macchine e un pullman. Sentii indistintamente delle urla dietro di noi e altri rumori forti. Ad un certo punto, l’uomo mi strattonò violentemente e io rischiai di cadere sull’asfalto, ma lui aveva ancora la mano stretta alla mia e mi trattenne.
“Si può sapere chi diavolo sei e cosa sta succedendo?” chiesi.
Sentii qualcosa sfiorarmi l’orecchio e quando mi girai notai tre degli uomini che ci stavano rincorrendo con in mano delle pistole.
In realtà, sapevo esattamente cosa stesse accadendo.
Io stavo scappando e lui aveva mandato quegli uomini a prendermi, o magari anche ad uccidermi. Ogni giorno mi chiedevo perché continuasse a tenermi in vita. Rappresentavo una possibile minaccia, e nonostante ciò, continuava a giocare con me, perché sapeva quanto inutile potesse essere la mia presenza ovunque andassi.
E lo sapevo anche io.
Nessuno aveva più bisogno di me, nessuno dava più importanza alle mie opinioni. Ero solo la ragazza alcolizzata che rifiutava la famiglia e che veniva rifiutata a sua volta da essa. Ero la donna che aveva sposato una giovane coetanea e che poi aveva distrutto quel breve matrimonio con menefreghismo.
Ero una frequentatrice di bar che per puro caso aveva assistito ad un terribile omicidio.
Ci ridevo su, una sera sì e l’altra no, a dire il vero. Poi, dopo la sbronza, mi svegliavo ai piedi del letto e piangevo amaramente. Rimanevo a fissare il pavimento tra i ricordi confusi e la realtà di un nuovo giorno appena cominciato, il quale non sarebbe stato diverso da tanti altri.
Non volevo scappare, non era stata una mia idea. Quell’uomo mi aveva presa con la forza e mi stava trascinando chissà dove.
Cercai di fermarlo.
“Ti prego, ti prego!” urlai cercando di fermarmi. “So che sarebbe successo. So che mi avrebbero…”
“Sta’ zitta e corri!” rispose lui, interrompendomi con non poca impazienza, e addirittura aumentò l’andatura.
Girammo un angolo e poi scendemmo delle scale. Eravamo in metropolitana, ma non avevo la più pallida idea di dove fossimo esattamente. Attraversammo corridoi, saltammo i tornelli, poi lasciò la mia mano, mi prese per le spalle e mi spinse dentro il treno appena arrivato. Io andai a sbattere contro i vetri dell’altro lato e questa volta caddi. Lui si guardò velocemente intorno e poi entrò, proprio un istante prima che le porte si chiudessero. Io tossii. Avevo il fiato corto e mi premetti una mano contro il petto. Anche lui stava respirando affannosamente.
Continuai a chiedergli chi fosse, perché mi avesse portato via dal bar, come facesse a conoscere il mio nome, ma mi resi conto che lo stavo facendo solo nella mia testa. Non riuscivo proprio a parlare.
Nei momenti che seguirono, mi ritrovai in uno stato di dormiveglia, tanto da non ricordare che avevamo addirittura cambiato treno e che poi eravamo scesi.
Quando aprii nuovamente gli occhi, l’uomo mi stava tenendo il viso tra le mani.
“Una sola birra, eh?” commentò “Forse. Ma anche qualche altra cosa. Doveva esserci qualcosa in quel boccale…”
“Cos…”
“Sei stata drogata” fece, sicuro.
Io non risposi subito, forse il mio cervello non aveva ancora elaborato quell’informazione.
“Chi sei?” chiesi nuovamente e cercai di mettere a fuoco il viso che avevo davanti.
Lui fece un mezzo sorriso.
“Non importa. Probabilmente non lo ricorderai neanche.”
Si alzò in piedi, allora mi resi conto che ero seduta su una panchina e ci trovavamo di nuovo in una stazione della metropolitana. E non c’era nessuno, a parte noi. Lessi  di fronte a me il cartello con scritto Waterloo, poi osservai di nuovo l’uomo, che aprì un borsone e prese qualcosa di colore marrone da cui estrasse un oggetto che somigliava ad una piccola chitarra. No, era un violino.
Lo guardai meglio. Aveva una folta chioma nera, un viso allungato e degli occhi chiarissimi.
Prese il cellulare e digitò qualcosa sul display.
Fu l’unico momento di lucidità della serata.
“Io ti conosco. Tu…”
Non poteva essere. Eppure era proprio identico a lui, identico. Non che me ne fosse mai importato qualcosa, ma era stato il convivente di mio fratello, era…
“Tu sei… sei così simile…” davvero non riuscivo a crederci.
Ero stata drogata, no? Forse era solo l’effetto di quella sostanza. Mi stava confondendo.
“Sei così simile a Sherlock Holmes.”
Lui sorrise, prendendo l’archetto del violino e suonando qualche nota.
La testa cominciò a girare di nuovo.
“Non ci siamo mai incontrati, ma suppongo che John ti abbia parlato di me. O meglio, avrai letto il suo blog e probabilmente anche quei dannatissimi giornali.”
Cominciò di nuovo a suonare.
“Tuo fratello sta venendo a prenderti, comunque. Ti consiglio di restare a casa nei prossimi giorni, sono sicuro che Mycroft avrà pensato a qualcosa, dopo stasera. Aumenterà la sorveglianza su di te.”
Non capii nulla di ciò che aveva detto.
“Finirà tutto al più presto, vedrai. Non dovrai più preoccuparti di Sebastian Moran.” sussurrò, dandomi un’altra occhiata più da vicino.
Io non commentai, ancora una volta.
“È stato un piacere conoscerti, Harry.”
 Furono le ultime parole che mi rivolse, prima di allontanarsi nuovamente. Indossò la tracolla del borsone e riprese a suonare. Questa volta non più delle note a caso, ma una vera e propria melodia. O almeno, fu quello che ricordai di aver sentito. Lo vidi ondeggiare qua e là, sempre più lontano da me e più vicino all’uscita dall’altra parte della stazione.
Poi chiusi gli occhi.



JOHN


Il taxi mi lasciò a pochi metri dall’entrata della stazione. Prima di entrare, controllai di nuovo gli sms che mi erano arrivati una ventina di minuti prima.
Waterloo Station. Sì, ero nel posto giusto.
Presi un bel respiro e salii la scalinata con passo veloce. Non appena fui dentro, mi fermai, guardandomi velocemente intorno, girandomi addirittura indietro, da dove ero appena entrato.
La Waterloo Station era una delle più grandi della città, e nonostante l’ora tarda, c’erano molte persone, forse non quante ce ne sarebbero state di giorno, ma un numero notevole. Un gruppo numeroso era in procinto di salire su uno dei treni appena arrivati. Altri, invece, mi superarono e uscirono. Altri ancora stavano raggiungendo la linea metropolitana. Alcuni ragazzi stavano bevendo seduti ad un bar. E tra quelle persone, quasi mi ero aspettato di vedere Simon, o qualche fotografo, o chissà chi che poi mi avrebbe raggiunto. Ma non successe nulla di tutto ciò.
Nessuno si mosse. Tutti continuarono a fare ciò che stavano facendo quando ero arrivato. Nessuno sembrò badare a me.
Forse l’idea che ci fosse mia sorella lì non era poi tanto improbabile, e imprecai tra me per non averci creduto seriamente. Dopotutto, avevo provato a chiamarla, sia a casa che al cellulare, ma non mi aveva risposto. Solitamente, quando non le andava di parlare con me, staccava il telefono, lo spegneva, invece quella sera aveva continuato a squillare a vuoto. Mi sarei dovuto preoccupare dal primo momento.
Iniziò a salirmi un po’ di ansia. Da dove cominciare a cercare? E chi aveva portato Harry lì?
E soprattutto, perché? Cosa era successo?
Finalmente mi mossi, e iniziai a cercare tra la folla. Chiesi anche a qualcuno se avesse visto una ragazza bionda sui trent’anni passare di lì, ma mi risposero tutti di no, facendo spallucce.
Avevo provato anche a chiamare allo sconosciuto - o sconosciuta – che mi aveva mandato quegli sms, ma ancora una volta, non avevo ricevuto alcuna risposta.
Lessi di nuovo l’ultimo sms arrivatomi.
“Segui Cajkovskij”
Cosa poteva significare? Perché Cajkovskij?
Sbuffai gravemente.
Era esattamente il tipo di messaggio che avrebbe potuto mandarmi lui. Ma l’assurdità di tale pensiero mi rendeva assolutamente diffidente.
Continuai ad attraversare la stazione, facendo attenzione ad ogni immagine o scritta che potesse ricollegarsi al compositore russo.
E per la cronaca, non ero mai stato un esperto di musica classica, quindi conoscere Cajkovskij non rientrava sicuramente nelle conoscenze acquisite durante gli anni di studio, ma solo successivamente. Aver avuto un coinquilino che suonava il violino mi aveva aiutato senz’altro, almeno in quel senso.
Mi fermai davanti all’entrata della metropolitana, perché improvvisamente avevo sentito proprio della musica, anche se in lontananza. Scesi le scale e seguii quel suono.
Non era di certo la prima volta che sentivo della musica all’interno di una stazione ferroviaria. Molti erano gli artisti di strada che si fermavano lì, in modo particolare coloro che suonavano il violino.
Continuai ad attraversare corridoi, ad un certo punto,  dovetti allontanarmi perché il suono si fece più lontano. Poi, ritornai sui miei passi. Anzi, aumentai l’andatura.
Magari, chi aveva portato mia sorella lì, mi aveva dato un punto di riferimento. Magari l’avrei trovata a fianco ad un musicista che stava suonando Cajkovckij…
Ero proprio vicinissimo a risolvere quell’enigma, più vicino a quella musica, che era diventata più forte. Un gruppetto di persone voltò un angolo e raggiunse il corridoio dove mi trovavo io.
“C’è qualcuno che suona il violino qui giù?” chiesi.
Due di loro annuirono e mi indicarono il binario che avevano appena abbandonato.
Li ringraziai e scesi le scale.
Riuscii a vedere solo il violino e l’archetto scomparire dietro l’angolo dell’altra uscita, ma non l’uomo che suonava. Iniziai a correre per raggiungerlo, ma frenai immediatamente, perché vidi mia sorella stesa su una panchina.
“HARRY!”
La raggiunsi di corsa e le presi il viso tra le mani. Continuai a chiamarla, sperando non le fosse successo nulla di grave e cominciai ad osservare tutto intorno se avesse delle ferite, se stesse perdendo sangue da qualche parte. Poi, però, aprì leggermente gli occhi.
“Harry! Harry!”
Lei aprì la bocca, ma non riuscì a parlare. I suoi furono solo dei versi scomposti.
“Harry, cosa è successo?”
Non mi rispose, di nuovo.
Dopo essermi assicurato che non fosse ferita in alcun modo, o almeno che non avesse ferite esterne, la aiutai a mettersi in piedi.
Poteva essere semplicemente ubriaca – e sicuramente lo era – ma perché allora avvertirmi, perché usare un tono così grave in quei messaggi?
La tenni ben stretta tra le mie braccia e iniziai a camminare.
“Harry? Cosa è successo?” provai di nuovo “Chi ti ha portato qui?”
Aveva gli occhi semiaperti, e a camminare quasi non ce la faceva.
Ovviamente, non rispose.
Fu una lunga risalita verso l’uscita della stazione. In molti si fermarono ad osservarci e più di una volta avevo urlato a qualcuno che ero un medico, e che lei era mia sorella.
Scendemmo anche la scalinata all’uscita, ma poi le mie braccia cedettero sotto il peso di Harry e la feci poggiare a terra. Cercai di riprendere fiato, poi subito avvistai un taxi. Alzai un braccio per attirare l’attenzione, ma nello stesso istante, una grossa macchina nera mi si fermò davanti e una testa conosciuta sbucò dal finestrino.
Rimasi con il braccio a mezz’aria, incredulo - o sarebbe stato meglio dire sorpreso - di vedere Mycroft Holmes.
“Hai bisogno di un passaggio, John?”
Non aspettò una mia risposta, fece un cenno con la mano al suo autista, che scese dall’auto e raggiunse me e mia sorella. Prese quest’ultima per le spalle, per farla alzare.
A quel punto mi destai, e aiutai l’uomo a sollevare Harry. Entrambi entrammo nell’auto, proprio accanto a Mycroft, mentre l’altro ritornò alla guida. Chiusi la portiera e partimmo immediatamente.
Tenni mia sorella tra le braccia e notai che aveva definitivamente chiuso gli occhi.
Mi girai verso l’uomo.
“Cosa succede?”
Fu la prima cosa che istintivamente mi venne da dire. Adesso le cose stavano cominciando a diventare un po’ più chiare. Se Mycroft Holmes era coinvolto in quella storia, avrebbe dovuto dirmi tutto. E io non sarei uscito da quella macchina fino a quando non l’avesse fatto.
“Anche io sono lieto di rivederti.” rispose con quell’espressione ironica che solitamente rivolgeva a suo fratello minore.
“No, davvero” intervenni subito “Che cosa sta succedendo? Non sei qui per caso. Non sei mai per caso da nessuna parte. Quindi perché non la smettiamo di tenere sempre questi segreti? Sono stufo di essere sempre quello all’oscuro di tutto! E visto che la questione riguarda anche mia sorella, ho tutto il diritto di sapere!”
“La signorina Watson è stata drogata.” mi rispose immediatamente.
Io sgranai gli occhi, poi subito mi dedicai di nuovo ad Harry, allarmato.
“Non è nulla di grave” continuò Mycroft. “Ne ha ingerita solo una piccola dose, diluita in un boccale di birra. Penso che resterà in uno stato confusionale per tutta…”
“Conosco i sintomi provocati dall’assunzione di sostanze stupefacenti” sbottai.
Stavo tremando. Non seppi se per la rabbia o se per la preoccupazione.
“E chi è stato? Dove?”
Mycroft mi rivolse di nuovo quel sorriso.
“Credo che tu sappia benissimo dove.”
Ero stato quasi sul punto di dargli un pugno in faccia, soprattutto per il tono usato, ma d’altra parte, aveva davvero ragione.
Io sapevo.
“Possibile che con tutto il potere che hai sempre avuto, tu non sia mai riuscito a far chiudere quel locale? La proprietà era intestata a lui, a Moriarty!”
Forse avevo urlato, nonostante avessi avuto delle indecisioni mentre pronunciavo il nome di quel pazzo criminale.
Questa volta Mycroft assunse un’aria più seria e sospirò gravemente.
“Invece stiamo facendo tutto il possibile, credimi. Da quando Jim Moriarty è morto, la protezione di cui nutriva quel locale si è decisamente indebolita, ma non nei punti in cui potevamo toccarla.” Fece una brevissima pausa “L’ha lasciato in buone mani.”
Io non riuscii a capire.
“La signorina Harry Watson ci è stata davvero di grande aiuto.”
“COSA?”
Ero sconvolto.
La macchina si fermò.
“Mia sorella vi aiutava?”
Mycroft guardò velocemente fuori e poi rispose.
“Inconsapevolmente”
“E avete permesso che si riducesse in questo modo?”
A quel punto mi ero davvero mosso scompostamente, ma lui rispose di nuovo tranquillamente. “Come ti ho appena detto, lei non era al corrente di nulla. Tutto quello che vedeva e tutto quello che sentiva era ciò che voleva vedere e sentire. Avremmo dovuto ammonirla per il troppo bere? Tre psichiatri e le preoccupazioni di suo fratello non sono bastati. Conosci tua sorella. Magari conosci anche le parole che ci avrebbe rivolto in risposta.”
A quel punto mi zittii. Ero incredulo e confuso. Ancora una volta non mi ero accorto di ciò che stava accadendo intorno a me.
“Siamo di fronte casa di sua sorella. Il mio consiglio è quello di rimanere con lei fino a quando non si sarà ripresa. E con questo intendo che tu debba accompagnarla durante la riabilitazione.”
L’autista scese di nuovo e venne ad aprirci la portiera.
“L’estate è alle porte. Prenditi una bella vacanza. Porta Harry con te, e magari anche la signorina Morstan.”
Non mi sorpresi di sapere che conoscesse Mary.
“Mi pare di capire che continui ancora a spiarmi.”
Fece una mezza risata.
“Spiarti? No.”
“Controllarmi, allora.”
“Proteggerti.”
Questa volta fui io a ridere.
“Non credo che tu ci sia mai riuscito. Con nessuno” terminai.
Ci scrutammo per diversi secondi, ma non rispose.
Presi mia sorella e a fatica uscimmo dalla macchina. Dovetti prenderla in braccio, ormai era probabilmente e completamente addormentata.
L’auto partì immediatamente, ma io non mi fermai a guardarla. Sentii solo il rumore del motore, mentre si allontanava.
Ero confuso.
E sconfortato.
Il coinvolgimento di Mycroft Holmes nella storia non mi aveva rassicurato per niente. Harry avrebbe dovuto fidarsi di me, questa volta, e raccontarmi la verità. Altrimenti, non sarei stato in grado di aiutarla.


*

Harry si svegliò nel primo pomeriggio del giorno successivo. Per diversi minuti, rimase in dormiveglia e io ne approfittai per visitarla e assicurarmi che stesse bene. Alle mie domande rispose piano e con voce molto bassa, ma a quanto pare non aveva dolori troppo forti. Giramento di testa e mal di stomaco, come previsto, e che sarebbero durati sicuramente tutto il giorno, ma nulla di più. Decisi, poi, di fare un paio di telefonate, soprattutto alla clinica. Quando mi alzai dalla poltrona accanto al suo letto, Harry mi trattenne, prendendomi un braccio.
“John…”
“Cosa c’è, sorellina? Hai qualche dolore?”
Lei scosse la testa e tossì. Le diedi da bere.
“Come sono tornata a casa?” mi chiese.
“Ti ho portato io, non ricordi? Sono venuto a prenderti alla Waterloo Station”
A quel punto, aprì gli occhi completamente, allarmata.
“E lui era con te?”
“Lui? Lui chi?”
“Il tuo amico. Oh, John, è stato lui a portarmi via da lì e… adesso mi cercheranno…”
Le presi le mani e cercai di tranquillizzarla.
“Harry, sta calma, è tutto apposto. Adesso rilassati e dimmi di chi stai parlando.”
“Il tuo convivente detective, Sherlock Holmes!”
Mollai immediatamente la presa.
“Harry, non…”
“Era lui!” mi interruppe “Ne sono sicura!”
“Forse ti stai confondendo. È stato Mycroft Holmes a portarci qui, non…”
“Io non ricordo come sono tornata qui a casa, ma ricordo di essere arrivata alla stazione.” mi interruppe nuovamente  “È stato lui a portami via dal Jim’s!”
 Scossi la testa. Probabilmente la droga stava ancora facendo effetto, o forse era la sbronza, o entrambe le cose.
“Ci ho parlato, John! E lui mi ha detto che stavi venendo a prendermi!”
Mi alzai e allontanai dal letto.
“Non credevo saresti arrivata a questo punto. Guarda come ti sei ridotta!”
“Lo so che sembra assurdo, so cosa gli è successo… ma mi ha parlato…”
Avrei voluto urlarle che era pazza, ma ricordai che forse era ancora la droga che le stava facendo dire quelle cose. Che le stava dando visioni e falsi ricordi.
“Credo che tu abbia bisogno di altro riposo. Ed ho preso una decisione. Quest’estate di poterò in una clinica riabilitativa. Non posso sopportare di vederti così.”
Mi ero davvero documentato, nelle ultime settimane, e avevo trovato una clinica specializzata nella riabilitazione delle persone alcolizzate, che sembrava proprio l’ideale. Per di più, si trovata in una località marittima. Il posto perfetto per poter fare una vacanza.
Lei iniziò a piangere.
“Era lui.” riuscii a capire tra le lacrime “Non ti sto mentendo, non questa volta!”
“Come posso crederti?” cercai di rimanere calmo, per farla calmare a sua volta e ragionare.
“Lui è morto.”
Perché negli ultimi giorni dovevano ricordarmelo tutti?
Perché Harry aveva dovuto immaginare proprio lui? Lo aveva incontrato una volta, forse due. Quale importanza aveva per lui? Che stesse iniziando a dare di matto?
“Riposa, Harry. Vado a prendere delle cose a casa mia, e poi torno.”
Lasciai la stanza, e quando chiusi la porta della sua stanza, la sentii singhiozzare più forte.
Ci sarebbe stata una sola cosa da fare, e probabilmente sarei riuscito a spazzare via il fantasma di Sherlock Holmes.
Presi un taxi e mi feci lasciare davanti al 221b di Baker Street. Avrei dovuto ridare le chiavi dell’appartamento alla signora Hudson, solo così avrei realizzato che lì non c’era più nulla per me, più nulla che mi apparteneva. Era solo una casa vuota e io avrei dovuto dimenticarla.



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In ritardo di un mese dall’ultimo aggiornamento, lo so, ma studio e altri problemi hanno avuto il sopravvento, ma ci sono sempre!

Macano solo tre capitoli, ormai, e siate sicuri che dal prossimo, tutti i dubbi e il mistero cominceranno ad essere sciolti (anche se sicuramente avrete gia’ fatto qualche ipotesi!).
Alla prossima, allora. Un ringraziamento a tutti, come sempre.

 

   
 
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