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Autore: Kim NaNa    05/06/2013    3 recensioni
"C’è qualcosa che dovrei sapere anche io? Ti puoi fidare di me, lo sai…“
I suoi serafici occhi abbandonarono lo spettacolo incessante di quell’inclemente cielo grigio e si posarono sulle mie iridi castane, rallentando i battiti del mio cuore.
“Non adesso, Gabrielle. Non ancora…“
Questo mi disse.
Genere: Drammatico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Alla Signora Notte.

 
1 Novembre.
Per qualche strana ed inspiegabile ragione, ho sempre odiato il mese di Novembre; così lungo, così lugubre, così silenzioso… Lugubre e silenzioso? Sarà Novembre ad essere tale o sarò io?
Ho formulato sempre troppe domande, domande alle quali non ho mai dato risposta.
Quella sera, dopo una giornata spesa a tacere il dolore, ad ingoiare lacrime ed aria, decisi di uscire un po’, di vagabondare per le vie del mio paese e di lasciarmi accompagnare dalla mia fidata solitudine.
Fu complicato l’impatto con la gente che passeggiava serena. Mi sembrava di essere trasparente, di un altro pianeta. Ero un essere non identificato che girovagava tra gente sorridente e chiacchiere vivaci. Sentivo gli sguardi dei curiosi attraversarmi e mi costringevo a tenere sempre gli occhi ben piantati sulla strada per non dover mai fronteggiare volti sconosciuti.
Che penseranno di me? Mi strinsi nelle spalle e mi avvolsi ancor più nella sciarpa di lana color della notte.
Guarda quei sorrisi, guarda quegli occhi… io non sarò mai come loro. Un velo cadde sui miei occhi e conficcai le unghie nelle mie mani per impedirmi di piangere. Non davanti agli altri, Gabrielle! Non davanti a coloro che potrebbe deriderti… e tu non vuoi che lo facciano, non un’altra volta.
Cercai di ritrovare la calma e respirai a pieni polmoni l’aria pungente dell’inverno. Il vento freddo mi carezzava il viso, pizzicando i miei occhi, asciugandomene gli angoli e arrossandomi le gote.
L’odore di caldarroste mi raggiunse e mi invitò a spostare l’attenzione su alcune ragazze che mangiavano, tra una risata e una parolina bisbigliata all’orecchio, quel frutto che mi sarei negata ancora una volta.
Erano belle. Di una bellezza che mi invadeva il cuore di una melanconia agghiacciante, come a volermi ricordare il fallimento della mia vita stessa. Negli occhi di quelle ragazze sfavillava quel bagliore di luce che per anni avevo cercato, quel fascio di colore del quale la vita sembrava avermi privata.
Quello che invidiavo, in quel momento, era quell'aria ferma, conforme alla vita, che tutti avevano. Pensai a come dovesse essere la mia espressione, se qualcuno avesse sentito il mio affanno di solitudine che mi schiacciava in quelle strade ovattate.
Il sapore dell’Eternità. Mi ritrovai a pensare. L’Eternità di Anthony, il mio Anthony.
Ma io e l’Eternità non ci saremmo mai incontrate perché l’imperfezione non sposa mai l’eterno. Anthony forse non lo sa ancora, ma l’Eterno è fratello del Perfetto.
Mi manca Anthony e vorrei raccontare a lui quello che sto scrivendo adesso.
Questa verità  è un buco nell'anima, ma insieme è rivelazione: io ed Anthony eravamo quel  vento, che si faceva sempre più violento, sfidava la forza di gravità ma, a contatto con la vita, moriva.
Possiamo esistere ancora, ma per farlo dobbiamo dirci addio. Dobbiamo morire capisci? Proprio come la  pioggia di quel pomeriggio trascorso nel campo di grano, incessante, inclemente, proprio come noi. Dovevo dire addio ad Anthony. Io non potevo far parte del mondo di nessuno, ancor meno di un essere così vicino alla perfezione come Anthony.
Sentii la distanza insormontabile che faceva parte di due essenze ormai lontane, astratte, il tempo che scandiva sempre più le ore e le lancette erano distanze inarrivabili che squarciavano in due tutto, noi, quello che ne eravamo, quello che mai sarebbe stato e ci sbattevano via lontano, senza esserne coscienti, senza capire.
Avrei voluto dirti così tante cose, Anthony.
Credetti di farcela il giorno prima, ma davanti al bagliore di quelle fanciulle  non potei nulla. Io non avrei mai avuto quel guizzo sul volto, non sarei mai riuscita a spezzare le catene della gabbia che avevo costruito con così tanta fatica. Io morivo. Io non esistevo.
Anthony ha voluto che per un attimo, piccolo e forse dolcemente infinito continuassi ad esistere, lui che ha creduto fortemente in una collisione che non producesse la distruzione… e invece no. Ero lì, eravamo lì, macerie del mondo, della vita, dell'amore, dell'amicizia. A brandelli. No, non potevamo esistere, io non potevo respirare l’Eternità che gli leggevo negli occhi.  E per quanto l'anima mi si facesse a pezzi, per quanto il battito del mio cuore si facesse sempre più forte capivo che la sua era tutta una corsa per venire contro di me, contro di noi. Il mio cuore fuggiva ed io con lui. Noi no. Non dovevamo fuggire, non dovevamo rincorrere il sogno di un’Eternità da condividere. Non potevo imbrattare il candore del tuo cuore con la melma putrefatta che aveva infettato ogni parte di me, ogni arteria, ogni osso… Quelle come me si lanciano su letti di chiodi e, pur implorando aiuto, a tarda notte tornano a dormirci sopra.
Anthony era diventato la mia forza, la pelle che asciugava le mie lacrime, il battito sincrono, il pensiero costante. Quando la mia fragilità si serviva della sua spalla per mutare in forza vitale, la morte s’allontanava un po’ da me e le mie mani smettevano di tremare.
Io non dovevo più essere per lui.
E quel dolore non era altro che l'infrangersi della nostra immagine sulle pareti ghiacciate della mia vita e la testa che scoppiava, era solo la consapevolezza della verità.
Piangevo.
Senza volerlo.
Piangevo dinanzi a quell’immagine, di fronte a quello squarcio di vita che avevo invidiato sempre.
Piangevo davanti agli occhi eterni del giovane che non poteva appartenermi, sì, perché erano gli occhi di Anthony quelli che mi fissavano da lontano.
La sua figura si fece sempre più nitida, più vicina, quasi a volermi svegliare dal torpore nel quale ero caduta. Sentii il profumo di pioggia penetrare le mie narici e seppi che l’Eternità mi stava venendo incontro, con in mano delle caldarroste calde e profumate.
«Ti guardavo da lontano.» Mi disse non appena mi fu di fronte.
Io mi affrettai ad asciugarmi le lacrime, ma lui mi trattenne.
«Credi non le abbia viste? Credi non abbia sentito tutte quelle parole che hai detto a me?»
Perplessa, lo fissai.
«Solo perché tu non abbia parlato a voce alta, non vuol dire che io non ti abbia ascoltata. C’è chi si parla col cuore, chi si ascolta con gli occhi e si risponde con l’Eternità.»
«Ma io non so di Eterno… io non sono come te.» biascicai.
«Hai due occhi, due mani, due braccia, due gambe, due piedi, due orecchie, un naso, una bocca. Il tuo sangue è rosso come il mio e la sola differenza che ci distingue è il sesso. Prova a negarlo, se ci riesci.» Continuò sorridendo e porgendomi le castagne ancora fumanti.
Ne assaporai una e mi lascia vincere dalla dolcezza del sapore, beneficiando anche del calore che emanavano.
«Non c’è nulla di Eterno in me… Guarda gli occhi di quelle ragazze, guarda i loro sorrisi… non credi profumino di Eternità?» dissi, volgendo lo sguardo lontano.
«L’Eternità si nasconde dietro ogni sorriso. Nelle nostre imperfezioni siamo tutti Eterni.» Si era seduto su un mezzo vecchio muro e continuava a mangiare le sue caldarroste, senza mai distogliere i suoi occhi dai miei.
«Sei tu che rifiuti l’Eternità che si cela dietro quel sorriso che hai dimenticato.»
Mi sedetti al suo fianco, facendo scivolare la testa sulla sua spalla. Fu dividere a metà il mio peso, quel gesto.
Rinunciare ad Anthony era l’ennesima punizione che mi stavo infliggendo. Perché poi? Di cosa mi punivo?
Mi punivo per l’essere venuta al mondo, per il non essere all’altezza delle aspettative degli altri, per non riuscire neanche lentamente a somigliare alle migliaia di persone che si potevano incrociare per strada.
«Smettila di crocefiggerti. Non sei diversa dagli altri, non sei diversa da me. Guarda quelle ragazze laggiù, credi davvero siano così perfette come credi? Magari una di loro è orfana di padre, l’altra, quella che si fa sempre vicina per ascoltare, potrebbe avere problemi di udito e vergognarsi così tanto della cosa da tenerlo segreto e quella che sorride sempre, guardala bene. Guardale il viso, non noti niente?»
Focalizzai l’attenzione sulla ragazza dai lunghi capelli color del sole e il sorriso disegnato sulle labbra e scoprii una cicatrice che le segnava tutto il mento.
«Prova a domandarti come possa sorridere nonostante quel segno sul volto…»
Provai vergogna per i pensieri avuti poco prima e sentii il senso di colpa farsi spazio dentro di me.
«Solo dopo aver sofferto tanto, si può ridere di cuore anche dei propri difetti. Chi lo dice che i difetti rendono qualcuno imperfetto? Dove è scritto che solo i pregi profumano di Eterno? Hai un mondo fatto di congetture sbagliate nella tua testa. La gente non è profeta. La gente non può dirti chi sei, né quanto vali. Devi dimostrarlo, Gabrielle e per dimostrarlo bisogna sgomitare e lottare e non arrendersi e non stancarsi, perché non c’è pace in questa vita. Ma ricordati che di vita ne hai solo una a tua disposizione, non c’è tempo per i ma, per i se, per i vorrei. La vita è fatta di istanti e bisogna viverla nella totalità della sua essenza. Vuoi piangere tutto il giorno, ovunque e davanti a tutti? Fallo. Nessuno te lo vieta. Vuoi vestirti da clown e andare in giro a far divertire tutti i bambini che incontri? Fallo, non è proibito. E se la gente ti guarderà con occhio stizzito e un po’ basito, passa oltre e dagli tempo. La novità di oggi, sarà l’ovvietà di domani. Se c’è qualcosa che desideri, va’ a prenderla e non lasciarti rubare il tempo che corre contro di noi.»
Il mio Anthony era tornato. Come un treno parlava senza sosta, cercava di destare quella me assopita che cercavo da anni di assassinare e io tentavo di risalire a galla.
Io non potevo lasciare andare Anthony. Lui era la luce del mio faro, il porto sicuro nel quale approdare, il rifugio accogliente delle mie notti tempestose.
Anthony era l’Amore, quello che stavo conoscendo insieme all’Eternità.
L'amore mi stava salvando dalla mia anima che batteva il ritmo di cose andate in pezzi, ma nessuno ha mai saputo che rumore fanno  i sogni  che si frantumano a contatto con la vita.
L'amore, lui mi stava salvando. Il profumo dell’Eterno mi stava salvando.
«Gabrielle…» continuò. «Noi siamo una forza d'amore fuori, fuori da tutto, dal cerchio della vita e del senso mentre tutto il resto è dentro. Noi no, noi ci teniamo per mano e lì c'è tutto, mi basta. Non è pioggia, è sole. Anche le stelle sai, si tengono insieme mentre tutto il resto cerca un punto fermo e si dimena nello spazio come pesci fuor d'acqua. Noi siamo fuori dall'acquario e ci stiamo bene, l'uno è ossigeno per l'altro, non c'è collisione, c'è l'unione pacifica e vera e pura dell' anima e forte, mentre i piedi cercano un equilibrio inesistente. Te l’ho detto, non ho alcuna intenzione di mollarti in quell’angolo tetro e maleodorante nel quale ti sei cacciata. Non ti lascerò morire, non ora che ti ho scovata.»
L’Eternità gli era stata cucita addosso e il calore del suo corpo non era che il solo posto sicuro nel quale potersi nascondere.
Strinsi forte il suo braccio e mi nascosi tra le maglie della sciarpa. Lui sapeva leggermi dentro e io mi sentivo d’improvviso nuda, venuta al mondo una nuova volta, sporca dei miei difetti, dei miei sbagli, del mio vissuto.
«Scrivi, Gabrielle. Tu che ami imbrattare fogli di carta coi tuoi pensieri, scrivi. Sfogati. Parla alla notte, parla alla signora che ti guarda piangere nelle ore più buie. Scrivile e non risparmiarti. Non temere la risposta. La notte è clemente. La notte è vicina all’Eternità.»
 
Tornai a casa calma.
Gli occhi asciutti, le mani gelate, il cuore caldo.
Avrei giurato di profumare di Eterno.
Presi una penna, afferrai un vecchio diario e feci quello che Anthony, l’Amore, l’Eterno, mi chiese di fare.
Scrissi. Sì, perché scrivere è un po’ come piangere, lava l’anima e alleggerisce il cuore.
 
Alla Signora Notte, quella maledetta.

Maledetta, selvaggia Notte, dipani le speranze che sogni leggeri riusciranno a brandir di seta l’immaginazione di ciglia piegate al tuo cielo.
Maledetta, effimera Notte, lasci che annodi speranze a cocenti stelle d’inverno, mi ubriachi d’invincibile serenità suggerendomi magici scorci di luce. Angoli solitari, buoni per trovare una ragione. Poi? Mi confondi, fiera e potente, teatrale come ti ami, gonfi il petto di nuvole scure, sciogli le stelle e mi mastichi le certezze come paesaggi spenti, appestati e rigurgitati poi in grigie sfumature di nebbia.
Ma sei donna fino al riverbero dell’alba, e proprio lungo quel confine di solitudine, ho imparato ad amarti. Così al buio, nel tuo prepotente buio, mi regali comunque l’esempio migliore.
Perché nel mio buio, amica mia, m’uccido e risorgo con la lentezza di chi centellina forze ma con la forza di chi non risparmia cuore. Come paesaggio spento, appestato e rigurgitato, rinasco poi nell’alba di una nuova consapevolezza. (In)Sorta per crescere, e per andare. Avanti.

L'avevo capito. Tra me ed Anthony c'era qualcosa di più della vita, qualcosa di più dell'amore. C'era qualcosa, quella tendenza che ci portava sempre a convergere, quell'inclinazione quasi naturale verso l'anima dell'altro, qualunque cosa accada noi due saremo sempre lì, l'uno accanto all'altra. Deve esserci stata un'alchimia naturale, nata nel momento stesso in cui, quel ragazzo dal profumo di pioggia e gli occhi d’Eterno, aveva deciso di riportarmi alla vita, offrendomi il suo tempo. Io avevo bisogno solo del mio tempo, ognuno ha bisogno del proprio tempo per inserirsi nel mondo ed Anthony me lo stava porgendo, mentre io cominciavo a prendermelo. Non era morte, era tempo, attesa.
   
 
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