15.
Dying
is the day worth living for
Le pareti
della cella andavano a stringersi man mano che salivano, fino a congiungersi
nel loro punto più alto, e la nera roccia di cui erano fatte baluginava
cupamente al lume dell’unica e debole fiaccola che rischiarava l’angusto
ambiente.
Il Dio
degli Inganni le percorse con lo sguardo per l’ennesima volta, infastidito dalla
mancanza di vie di fuga da quel luogo che mal gli si addiceva: si trovava nelle
segrete di quello che fino a tre giorni prima era stato il palazzo di Odino,
rinchiuso tra gli impenetrabili strati di pietra e terra che si dipanavano
nelle sue fondamenta e con la sola compagnia delle proprie tremende
riflessioni. Avrebbe dovuto trovarsi nelle dorate sale che lo sovrastavano,
adesso, acclamato e rispettato, ma Thanos il Rosso si era preso tutto ciò che
aveva sperato e progettato di ottenere – Thanos che lo aveva battuto ancora,
Thanos che aveva preso per sé entrambi i mondi che gli spettavano e che aveva
ucciso coloro che lui soltanto avrebbe avuto il diritto di uccidere.
In verità
non aveva visto niente coi propri occhi, dacché dopo il terribile colpo
ricevuto si era ridestato nelle prigioni: era stato il titano in persona a
riferirgli quell’infausto ammontare di notizie, godendo del suo livore e della
sua inutile rabbia, descrivendogli la morte dei sovrani di Asgard e di decine
tra dame, guerrieri e dignitari, e lo sbaragliamento del possente esercito del
Valhalla e la conquista dell’Osservatorio che gli aveva permesso di riservare
la medesima sorte ai Vendicatori e al Dio del Tuono. Così adesso Asgard e
Midgard erano completamente soggiogati e suo il Tesseract, e il cosmo intero
potenzialmente alla sua mercé.
Loki era
l’ultimo rimasto capace di contrastare Thanos e dunque per ultimo questi lo avrebbe
ammazzato, durante la cerimonia di trionfo che il figlio di Mentore si sarebbe
concesso l’indomani per consacrare la propria indiscussa vittoria di fronte
agli ormai inermi sudditi di Odino, gli stessi che assistendo alla morte del
principe esiliato avrebbero provato compassione e tristezza, ritenendo troppo
tardi preferibile la sua malignità al giogo del titano.
Il dio
serrò i denti, furente, e nonostante il blocco magico che gravava sui
sotterranei tentò di riflettere a mente lucida: era plausibile che Thanos gli
stesse mentendo per confonderlo e piegare la sua volontà, e tuttavia non
v’erano segni che indicassero che Thor e gli altri fossero ancora vivi o in
grado di tirarlo fuori di lì; se fosse riuscito a liberarsi mentre lo
trasferivano all’esterno per l’esecuzione avrebbe potuto appropriarsi del Cubo
e scoprire come stavano invero le cose, magari addirittura ribaltandole a
svantaggio del nemico, ma si rendeva conto alla perfezione che da solo e senza
un valido aiuto sarebbe andato poco lontano.
I suoi
pensieri si ancorarono d’improvviso sulla donna d’Irlanda, stringendogli la
gola in una lieve morsa d’apprensione. Si domandò di nuovo se era riuscita a
mettersi in salvo, se aveva trovato il modo di nascondersi o fuggire o se aveva
piuttosto commesso una qualche idiozia impulsiva. Non tollerava l’idea che
fosse perita ed era certo che Thanos non l’avesse mai menzionata, che nemmeno
si rammentasse della sua esistenza, il che era positivo. Eppure, si disse
subito dopo, quanto mai a lungo sarebbe sopravvissuta, umana e sola in un mondo
sconosciuto e col proprio assediato e distante anni luce? Forse Erin Anwar non
era straordinaria abbastanza, né lui pretendeva o si aspettava che lo fosse.
Poi
immaginò un altro modo in cui i suoi sciocchi congiunti potevano aver perso la
vita, e provando sconforto e invidia assieme capì cos’era la pena che il folle
titano gli aveva promesso e infine inflitto: non dolore fisico o mentale, bensì
lo sgomento e l’ira del vedersi sottrarre qualunque cosa, la gloria e la
vendetta, il potere e la rivalsa, e finanche gli affetti e l’odio che per lui
erano da sempre quasi indistinguibili. Gli aveva tolto persino l’opportunità di
uccidere suo padre e suo fratello con le proprie mani, qualora il desiderio di
farlo fosse divenuto impellente al punto di non potersi trattenere, e questo
era l’affronto più grande.
In quella
rumori confusi giunsero alle orecchie di Loki, grida soffocate e colpi
metallici che sembravano provenire dai corridoi che serpeggiavano tra le celle,
ed egli balzò in piedi con un accenno di sorriso sulle labbra secche. Il tumulto
si avvicinò rapidamente alla porta di legno massiccio e ferro battuto che lo
divideva dalle opportunità di rappresaglia che ancora aveva e il ghigno gli si
allargò sul volto: gli era parso di riconoscere la voce di Sif, là fuori.
Ma quando
il legno e il ferro si spaccarono, liberando la soglia, e le sagome della dama
guerriera e di Hogun il Taciturno emersero dalla polvere provocata
dall’impatto, lo stupore gli mozzò il respiro nei polmoni per un istante –
poiché in mezzo a loro stava l’irlandese, scarmigliata e smagrita e non per
questo priva della sua consueta arroganza, le iridi fiammeggianti. Brandiva
fieramente il flauto e lo scettro che il dio credeva d’aver smarrito, e la sua
espressione tradiva un sollievo troppo profondo per essere descritto a parole.
Tuttavia sorrise
sfrontata e gli si avvicinò porgendogli la lancia:
« Ciao,
dolcezza. » esordì in un’arguta e midgardiana citazione.
Erin
fissò gravemente l’ombra del colonnato sotto il quale era scomparso Loki,
stordita dal contrasto tra la quiete innaturale che regnava nel cortile e il
clamore degli scontri che all’esterno del palazzo non accennavano a diminuire. Aveva
un fastidioso bisogno di arrendersi alla tentazione di seguirlo dentro la
reggia, ignorando la sua richiesta di tenersi al sicuro, e fu solo la paura
informe che aveva del titano a far sì che rinunciasse all’idea.
Scelse quindi
di spostarsi con cautela verso il campo di battaglia, dato che paradossalmente la
prospettiva di starsene rannicchiata in un angolo a fantasticare sul come e il
quando i nemici l’avrebbero scovata e catturata le risultava più insopportabile
di qualunque altro rischio. Contrasse le dita, misteriosamente fredde, sul
metallo del flauto, che tintinnò contro quello dei parabracci facendola
sussultare: si disse che il suo divino compagno avrebbe portato a termine la
sua missione in tutta fretta e che l’avrebbe presto recuperata, e poi si
sarebbero goduti il trionfo che spettava loro sin dall’inizio; si trattava di
resistere una manciata di minuti, una mezz’ora al massimo, e magari di
guadagnarsi una parte di gloria personale battendosi come la Furia Irlandese
che era in mezzo ad alieni e asgardiani.
Rincuorata
appena da quel pensiero, Erin imprecò per darsi coraggio e corse verso i
cancelli con un ruggito, lo strumento alzato sopra la testa e sfavillante come
una fiamma bianca. Giunse alle spalle di un manipolo di kree, cogliendoli alla
sprovvista, e si fece strada in quell’intrico di corpi e armi menando colpi a
più non posso – tanto che in molti la notarono, tra i difensori, figura esile e
chiara comparsa dal niente. Resistette più a lungo che potè, muovendosi quasi
alla cieca, eppure lo scontro sembrava non evolvere in alcun modo e non era
facile capire quale delle due fazioni avesse avuto la meglio sino ad allora,
mentre il cielo andava oscurandosi progressivamente di crepuscolo e navi
ostili.
D’improvviso
una forte deflagrazione proveniente dal palazzo sovrastò ogni altro suono e
tutti si bloccarono; Erin sollevò il capo di scatto verso le torri dorate ben
sapendo che qualcosa, là dentro, era per forza accaduto, e fu certa che Loki si
sarebbe mostrato a momenti.
Ma colui
che avanzò ghignante e temibile fino al parapetto di una delle balconate
d’onore non fu il Dio degli Inganni: fu invece Thanos il Rosso, l’armatura
annerita da sangue altrui e il Tesseract che baluginava gelido tra le sue mani,
e al vederlo i suoi soldati lanciarono un boato trionfante e gli asgardiani
proruppero in grida sgomente e rabbiose, e nella testa della ragazza di Galway
esplose una bolla di vuoto. Vacillò, e come attraverso una massa d’acqua udì il
titano annunciare la propria vittoria e la caduta dei sovrani del Valhalla e
intimare la resa dell’esercito avversario. I guerrieri fedeli al Padre degli
Dei però urlarono in risposta e tentarono un ultimo e ormai vano contrattacco,
e l’irlandese annaspò in cerca di una via d’uscita dalla calca; incespicò
fortunosamente verso il cortile da cui era venuta e lo attraversò correndo, attonita
e dolorante, e senza sapere cosa stesse facendo né dove stesse andando imboccò
un cancello minore che si apriva sul lato opposto a quello dell’entrata
principale.
Scese una
scala, cadde e si rialzò, e continuando a correre si ritrovò nei giardini
reali, desolati e con tracce di battaglia a rovinarne lo sfarzo e le mille
fontane. Riusciva a pensare soltanto alle tremende parole di Thanos e al loro
significato, e all’esplosione di poco prima: Loki era stato sconfitto e
probabilmente ucciso, e lei era sola e inerme in un posto sconosciuto e ostile
e in una situazione di merda da cui non sarebbe mai uscita indenne.
I suoi
piedi incapparono in un ostacolo ed Erin rovinò a terra per la seconda volta:
«
Vaffanculo! » sbraitò con voce rotta e con la faccia affondata nell’erba, gli
occhi brucianti per la polvere e le lacrime trattenute. Non lo rivedrò più, si
ripetè, non lo rivedrò davvero più.
Tastò il
terreno per rimettersi in piedi e le sue dita toccarono qualcosa di freddo e
liscio e di forma oblunga, e con notevole sorpresa riconobbe lo scettro del dio
nella sua forma corta; doveva essere caduto da uno dei terrazzi, scagliato
all’esterno dall’onda d’urto dello scoppio, e sebbene ciò confermasse la
peggiore delle ipotesi ch’ella aveva preso in considerazione l’avere
quell’oggetto tra le mani le diede coraggio. Si sarebbe nascosta, decise
l’irlandese, e avrebbe atteso qualche giorno per scoprire cos’era successo
realmente e se aveva o avevano qualche speranza di sottrarsi alla sorte che
Thanos sembrava aver tracciato per loro – oppure sarebbe tornata sulla Terra,
si disse, ma non senza aver prima fatto il possibile e finanche l’impossibile
per ricongiungersi col suo divino compagno.
Con
entrambe le armi in pugno si addentrò ulteriormente nel parco della reggia, i muscoli
tesi per il timore d’incontrare squadroni di ricognizione o ulteriori
schermaglie e riflettendo su dove potersi rifugiare: restare dentro il
perimetro della dimora di Odino le avrebbe garantito maggiore vicinanza a Loki
e contemporaneamente al nemico, ed era troppo rischioso.
Allora
seguitò a camminare furtiva, tra alberi e prati e bacini d’acqua e cadaveri di
soldati e cortigiani che giacevano grottescamente tra l’erba calpestata, e si
trovò infine davanti ad un alto muro aureo e ad un portale secondario che si
affacciava sulle guglie e cupole della città; un ponte sottile collegava le due
parti, ed Erin concluse tra sé che mimetizzarsi tra la gente di Asgard le
sarebbe tornato utile per più d’un motivo. Guardandosi attorno vide altri
caduti, e vincendo la lieve repulsione che provava trafugò in fretta dai corpi
esanimi un paio di manti, una cinta e un pugnale, il cuore pulsante in gola e
la testa che le girava. Gettò un’ultima occhiata alla mole d’oro che la
sovrastava e rapida corse via lungo il ponte, sagoma silenziosa e minuta sotto
la cappa scura della notte in arrivo e dell’infausta guerra.
Trascorsero
così due giorni, lenti ed estenuanti nella loro angoscia. La resa degli
asgardiani fu invece celere e pressoché indolore, poiché l’apprendere l’uccisione
dei sovrani e la disfatta dell’esercito tolse agli abitanti del Valhalla ogni
intento di reagire.
Erin
indossò uno dei mantelli presi nei giardini e nell’altro avvolse lo scettro per
celarlo agli sguardi delle pattuglie del titano, mentre con la cintura si
assicurò il flauto e lo stiletto alla vita. La gente dovette scambiarla per una
guerriera o una dama in fuga e riuscì pertanto a procurarsi cibo e qualche
aiuto senza dare nell’occhio; sembrava inoltre che nessun invasore badasse a
lei o le desse la caccia come facevano con i soldati di Odino scampati al
massacro, forse perché non sapevano della sua esistenza o non se ne curavano,
dacché era umana. Non avevano tutti i torti, borbottava la musicista di Galway:
era furiosa e spaventata e sapeva per certo che non avrebbe resistito a lungo
mangiando e dormendo a malapena, senza lavarsi e coi nervi sempre in allerta.
In quello stato non avrebbe nuociuto a nessuno.
Le voci
che giravano per le strade e le isole della capitale erano vaghe e allarmanti.
Si parlava della conquista dell’Osservatorio e di conseguenza di Midgard, della
morte di Thor e di altri tra gli eroi terrestri e del trionfo che Thanos il
Rosso stava organizzando per celebrare la propria schiacciante vittoria di
fronte a coloro che aveva soggiogato. C’era chi diceva che il principe
dall’elmo cornuto fosse perito come il resto della famiglia reale, chi era
convinto che fosse alleato del titano e chi affermava che era tenuto
prigioniero nelle fondamenta della reggia; qualcuno fece riferimento al Cubo ed
Erin si chiese quali fossero gli effettivi poteri di esso, se non fosse la
chiave per sbrogliare quella matassa da incubo in cui si trovava. Non dava
eccessivo peso alle congetture degli asgardiani e desiderava fonti attendibili
dalle quali apprendere la verità, e tremava per amici e parenti e per la
propria casa, oltre che per Loki.
Vagò tra
le vie e gli alti palazzi anneriti senza una meta precisa, aspettando di nuovo
un segnale o un indizio che forse non avrebbe neppure riconosciuto, e al
sorgere del sole del terzo dì si azzardò a spingersi su un’altura isolata per
osservare meglio quello che la circondava: si acquattò presso un folto
d’alberi, le orecchie pronte a cogliere suoni di cui preoccuparsi, e vide Asgard
scintillare debolmente innanzi a sé, una distesa di edifici maestosi, acque e
colline che si perdeva all’orizzonte sino a confondersi coi monti lontani nella
caligine del mattino; qua e là si levavano ancora scie di fumo, sintomi di
scontri notturni, e al centro di quel panorama si ergeva la massa dorata della
reggia, austera e all’apparenza incrollabile. Il cuore dell’irlandese vibrò di
eccitazione non richiesta di fronte allo spettacolo che le colmava gli occhi,
così simile a ciò che da sempre si era immaginata leggendo le storie che amava,
così solenne e antico e ignoto – e di colpo il cuore le piombò nello stomaco al
pensiero del Dio degli Inganni di cui più niente sapeva e che troppo le
mancava.
Alle sue
spalle vi fu un un sommesso scricchiolìo che la fece sobbalzare, tesa come una
corda del violino di Sylvia, e di scatto si voltò rimanendo accucciata a terra:
qualcuno si era mosso tra la vegetazione a pochi passi da lei e ora tratteneva
il respiro, celato dal verde e dall’ombra. Se si fosse trattato di uno
scagnozzo di Thanos non si sarebbe certo premurato di tenderle un agguato prima
di balzarle addosso per sgozzarla, ma la prudenza non era mai troppa ed Erin
impugnò con entrambe le mani lo scettro di Loki senza sfilarlo dalla stoffa che
l’avvolgeva.
Tornò
quindi in posizione eretta e si addentrò nel boschetto seguendo l’eco dello
scricchiolare di poco prima, e non appena avvertì frusciare le fronde dietro di
sé piroettò rapida su un piede fendendo l’aria con l’arma infagottata;
l’oggetto cozzò contro un ostacolo metallico e la flautista si ritrovò a
fissare con stupore un paio di scure iridi fiammeggianti e il bellissimo viso
di una donna in abiti da guerra che brandiva una corta spada. A lei si
accompagnava un uomo dai tratti che su Midgard si sarebbero detti asiatici, ed
erano entrambi impolverati e malmessi al pari di Erin. Quest’ultima rilassò i
muscoli delle braccia:
«
Asgardiani! » esclamò sollevata abbassando il bastone.
« Come
te, suppongo. » ribatté la donna imitandola e studiandola con attenzione.
L’irlandese
fece spallucce: « Non proprio, ma non ha importanza. »
« Sif, è
lei, è la Dama del Flauto. » s’intromise l’altro guerriero: « È la donna
mortale giunta con Loki durante la battaglia a palazzo, la fanciulla che
viaggia con lui. »
Erin
inarcò un sopracciglio, divertita da quella lista di epiteti altisonanti, e
colei che rispondeva al nome di Sif parve gradire la notizia tanto da abbozzare
un sorriso:
« Allora
è il fato che ha voluto che finalmente t’incontrassimo. » decretò.
« O più
semplicemente il fatto che ci stiamo tutti e tre nascondendo come fottuti topi.
» disse la musicista con sprezzante amarezza; « Comunque mi chiamo Erin Anwar.
»
L’uomo
chinò il capo in segno di rispetto: « Io sono Hogun e questa è Lady Sif,
guerrieri della casa di Odino e amici d’infanzia dei suoi figli. Avevamo due
fidati compagni, Fandral e Volstagg, ma abbiamo perduto ogni loro traccia dopo
la disfatta dell’esercito. »
« Sì,
Loki mi ha raccontato di voi. » borbottò Erin con una vena di sarcasmo.
« Siamo
riusciti a fuggire prima di essere catturati e adesso siamo braccati come gli
altri fuggiaschi scampati alla furia dei soldati del titano. Abbiamo tentato di
restare in città per trovare compagni d’arme e punti deboli del nemico, ma ci
hanno scoperti e da due giorni ce ne stiamo rifugiati qui inutilmente. »
proseguì Sif. « A te cos’è accaduto, Erin Anwar? »
« Sono
scappata attraverso i giardini della reggia, mi sono camuffata e ho vagato per
le strade raccogliendo informazioni che non mi sono servite a niente. Credo che
nessuno mi stia braccando e credo che a nessuno skrull importi di un’umana
dispersa in un mondo di dèi. Sono salita quassù soltanto per dare un’occhiata
in giro. » rispose lei. Il sole si stava facendo più alto nel cielo e i suoi
raggi iniziavano a penetrare attraverso il fogliame.
« Sei una
creatura valorosa, Dama del Flauto. » mormorò Hogun.
Erin lo
guardò e gli sorrise: « Valorosa non saprei. Ma ditemi, cosa c’è di vero in ciò
che si dice in giro? Ho udito versioni estremamente discordanti circa l’attuale
stato delle cose. »
La guerriera
rinfoderò la propria arma e prese a camminare sul posto, corrucciata:
« Il
Padre degli Dei e la sua sposa sono morti per mano di Thanos medesimo, e Thor è
caduto combattendo su Midgard. I nostri eserciti sono stati decimati e così
quelli della tua gente, e Loki è stato rinchiuso nei sotterranei della reggia.
Anche il Bifröst è stato conquistato. »
« Dunque
Loki è vivo. » quasi gridò l’irlandese col battito cardiaco conficcato in gola.
« Non lo
sarà ancora per molto, temo. » interloquì gravemente Hogun.
Erin lo
ignorò: « Siete proprio certi che Odino, la regina, Thor e i Vendicatori siano morti?
Avete forse visto i loro corpi? Non potrebbero essere stati imprigionati come
Loki? »
« Non
abbiamo visto alcun corpo, all’infuori di quelli dei nostri soldati. » rispose
Sif; « Eppure, potrebbe essere altrimenti? Se fossero ancora vivi sarebbero
ricomparsi per incitare gli animi e scacciare il nemico, e se fossero
prigionieri perché Thanos avrebbe annunciato il solo supplizio di Loki per
domani? No, Erin Anwar, sono periti e non v’è speme per noi. »
La
musicista sussultò come se una frusta le avesse sferzato la schiena:
«
Supplizio? Che supplizio? Sapevo del trionfo che quello stronzo si è
organizzato, non di una qualche cazzo di esecuzione. » proruppe in tono strozzato,
la fronte imperlata di sudore.
Sif parve
esitare un istante, probabilmente disorientata dai turpiloqui della ragazza di
Galway: « Thanos lo farà giustiziare sulla pubblica piazza durante la cerimonia
di domani. Sarà la sua consacrazione, e sarà definitiva. Loki è l’unico che
potrebbe ancora contrastarlo. » disse.
Gli occhi
di Erin dardeggiarono inquieti nella penombra verde screziata d’oro in cui i
tre erano immersi e per un po’ nessuno parlò. Non è ancora morto, ripetè tra sé
l’irlandese per mantenersi calma, e non lo sarà fino a domani. Un giorno
soltanto la divideva dall’inevitabile e un giorno soltanto le era concesso per
renderlo vano, e il solo modo per farlo o quantomeno tentare era talmente folle
da risultare allettante. Erin riprese perciò la parola:
« Bene.
Dobbiamo liberarlo. » affermò con ovvietà.
«
Vorresti irrompere tra le file di guardie armate mentre lo conducono al
patibolo? » scattò Sif serrando i pugni: « Finiremmo in catene e moriremmo
assieme a lui! »
L’altra
piegò la testa di lato con un ghigno leggero: « Non nego che mi piacerebbe un
sacco riuscire in un’impresa del genere, ma non era a questo che pensavo.
Vorrei piuttosto organizzare un’evasione in grande stile prima che il sole
sorga di nuovo. »
« Anche
questo è troppo rischioso. » commentò lugubremente Hogun.
L’irlandese
non seppe reprimere un moto di stizza e alzò la voce: « C’è qualcosa che non sia rischioso nella situazione di
merda in cui siamo? Io non ho intenzione di lasciarlo morire e non me ne andrò
senza di lui, dovessi infilarmi da sola in quelle prigioni. »
« Dunque
tu lo ami. » constatò la guerriera, meravigliata e colpita dalla sua fierezza.
« Sì. Sì,
è così. » rispose semplicemente Erin fissandola; « Però c’è dell’altro, perché
come tu stessa hai detto Loki è l’unico rimasto in grado di contrastare Thanos
e le sue macchinazioni. Sono convinta che il dannato Tesseract sia la chiave di
tutto, e se Loki ci metterà le mani saprà cosa fare. Potrei provarci io se
sapessi come utilizzare questa. », e nel dirlo liberò la punta dello scettro
dalla stoffa del manto che lo celava. Il metallo e la bolla blu scintillarono
freddi tra gli alberi e i due asgardiani trattennero il respiro:
« Loki ti
ha affidato la sua arma? » si stupì Hogun, e al contempo Sif le chiese per
quale motivo era tanto sicura che il bastone avrebbe funzionato contro il
potere del Cubo.
« So che
durante la battaglia di New York è stato lo scettro a provocare la chiusura del
varco tra i mondi aperto dal Tesseract e attraverso cui le truppe di Thanos si
riversavano sulla città. Se anche adesso il Cubo è in azione credo che la
lancia potrebbe fermarlo di nuovo. » spiegò la flautista, tralasciando il
dettaglio che non era stato il dio a compiere quell’eroico gesto; ignorava
quanto e cosa i due sapessero circa le azioni di Loki su e contro Midgard, e
non sarebbe stata lei a sollevare spinose questioni riguardanti i suoi
trascorsi.
Sif si
accigliò: « Il Cubo non può riportare in vita i morti. » disse.
« Forse
no, eppure continuo a sospettare che resettarlo servirà a qualcosa. » concluse
Erin; poi notò le espressioni scettiche che adombravano i lineamenti dei suoi
interlocutori e ricoprendo la punta della lancia aggiunse: « Ascoltate, tra noi
non c’è alcun tipo di legame e so bene che tra voi e Loki non corre esattamente
buon sangue. Perciò se non ve la sentite di esporvi per lui, se avete un altro
piano o se non ve ne importa nulla non mi metterò certo in ginocchio per
implorarvi di aiutarmi. Ho una paura fottuta ma non mi tirerò indietro, quindi
ditemi dov’è l’entrata dei sotterranei e per il resto mi arrangerò da sola, e
buona fortuna a voi. »
« Ti
prego di non offenderci, Dama del Flauto. » interloquì Hogun fermamente: « Sebbene
Loki si sia macchiato di tremende colpe è pur sempre il fratello di Thor, un
principe e figlio di re, e noi siamo leali alla casa del Padre degli Dei. Siamo
guerrieri d’onore, e così come Loki è tornato per salvare Asgard noi ti
appoggeremo per salvare lui. »
L’irlandese
sorrise baldanzosa, contenta di averli convinti, e Sif annuì: « Dovremo però
studiare un piano perfetto, dacché saremo in tre contro un intero esercito. »
precisò.
« Se mi è
permesso contraddirvi, nobili signori, saremo almeno in quattro. » fece una
voce profonda e rassicurante alle loro spalle, e nel girarsi in fretta con le armi
in pugno i tre si trovarono faccia a faccia con l’armatura aurea e gli occhi
d’ambra di Heimdall.
Il
Guardiano, che li aveva trovati dopo giorni di furtive e minuziose ricerche,
riferì loro molte cose interessanti e terribili. Narrò la caduta dell’Osservatorio
e di come fosse fuggito appena in tempo per non cadere a sua volta; descrisse
gli orrori cui le sue iridi che tutto vedevano avevano assistito e il senso
d’impotenza che lo aveva pervaso quando si era reso conto che nulla avrebbe
potuto fare per evitarli.
Aveva
scorto i corpi privi di vita dei sovrani e degli eroi, e tuttavia il modo in
cui erano periti non gli era chiaro, non era riuscito a scorgerlo: sembrava che
una sorta di velo impercettibile cingesse ogni cosa, disse, e neppure lui era
in grado di oltrepassarlo.
Discussero
poi della strategia da adottare per liberare Loki, e Heimdall rivelò di essere
in contatto con un numeroso gruppo di soldati fuggiaschi che si nascondevano
all’altro capo della città e che sarebbero stati utili per organizzare un
diversivo che distraesse le guardie di Thanos. Sif, che lo ascoltava con grande
attenzione, raccolse un ramo e tratteggiò rapidi segni su una porzione di
terreno in cui non cresceva l’erba:
« Le
segrete della reggia hanno due ingressi esterni, uno principale e uno
secondario. Se tu e i tuoi uomini attaccherete il primo, Heimdall, dando
l’impressione di voler penetrare nei sotterranei, i nemici ivi si
concentreranno e si cureranno meno dell’entrata minore. » illustrò in tono
esperto; « Io, Hogun ed Erin Anwar ci introdurremo all’interno da lì e voi li
terrete impegnati quanto più potrete per darci il tempo di trovare il principe
e farlo uscire. Una volta fuori ci ricongiungeremo e decideremo sul da farsi.
Pensi che ti sarà possibile radunare i nostri compagni d’arme entro questa
notte? »
Heimdall
assentì: « Al tramonto saremo pronti a muoverci, Lady Sif. »
«
Riuscirai però a convincerli a mettere a repentaglio le loro vite per
preservare quella di Loki? Sai meglio di me come in molti ancora lo vedano, nel
regno. » interloquì Hogun.
L’irlandese
sentì il sangue ribollirle nelle vene e fece per contestare l’insinuazione del
guerriero, per sensata che fosse, ma inaspettatamente il gigantesco custode la
prevenne:
« Chi
ancora ritiene Loki una minaccia è stolto o cieco, considerato ciò che ha fatto
dopo e durante l’esilio, e chi non si fida di lui si fiderà comunque della mia
parola e lealtà. »
I due
asgardiani parvero soddisfatti di tale risposta ed Erin sogghignò tra sé con
diversa ed egual soddisfazione. Vennero presi gli ultimi accordi e l’inizio
della sortita venne fissato per il calar del sole; fino ad allora nessuno dei
quattro avrebbe dovuto esporsi inutilmente.
« Siamo
un po’ i partigiani di Asgard, noialtri. » se ne uscì la musicista con un certo
orgoglio mentre prendevano congedo da Heimdall.
« Chi
sono i partigiani, Erin Anwar? » questi le domandò.
« Persone
comuni che agendo di nascosto e contrastando un esercito hanno contribuito a
fermare una terribile guerra su Midgard, tempo fa. » disse lei spiccia.
« Un
giorno dovrai narrarci le molte gesta del tuo popolo. » la pregò la guerriera.
Erin
scrollò le spalle e sorrise: « Un giorno. » ripeté con una punta di maliconia
nella voce.
Così si
separarono, e le ore trascorsero lente verso la sera portando con sé un’ansia
crescente. Sif e Hogun curarono le proprie armi e conversarono piano di cose
che l’irlandese non riuscì a comprendere del tutto; lei dal canto suo fremette
e scalpitò, come al solito divisa tra adrenalina e paura, e scambiò coi suoi
improvvisati alleati poche, ulteriori parole.
Quando il
cielo iniziò a tingersi di fuoco all’orizzonte e il sole si fece basso nella
volta celeste, i tre abbandonarono cautamente il sicuro rifugio della
vegetazione e scesero verso la città evitando le strade principali: le piazze
centrali erano già state approntate per il trionfo dell’indomani e pullulavano
di soldati del titano col preciso ordine di controllare che niente e nessuno
sabotasse la cerimonia. Col favore del crepuscolo in arrivo e dell’ombra che i
manti e i cappucci gettavano sui loro volti, e avvantaggiati dal fatto che la
maggior parte delle guardie si concentrava nel centro della capitale e nei
pressi del palazzo, la musicista e i due asgardiani riuscirono a passare
inosservati e ad avvicinarsi alla reggia quanto bastava per scorgere entrambi
gli ingressi alle prigioni, che si aprivano nel fianco dell’altura. Si
acquattarono presso alcune macerie abbandonate vicino a uno dei ponti che
conducevano al regio colle e quivi attesero l’arrivo di Heimdall e dei suoi
uomini trattenendo il respiro: nessuno dei tre era sicuro che sarebbero
arrivati, che il Guardiano li avesse convinti, e non lo furono finché le sagome
possenti di un centinaio di guerrieri non comparvero sul ponte parallelo a
quello che avevano di fronte. Volstagg e Fandral non erano tra loro, notò Hogun
a denti stretti, ma erano tutti armati e agguerriti, e nella luce rossastra del
tramonto l’alta figura di Heimdall levò in aria la propria picca e il suo grido
d’attacco riecheggiò sulle acque placide di Asgard, e coloro che lo seguivano
lo imitarono e il giorno morente vibrò delle loro voci possenti. Erin non seppe
trattenere un sogghigno battagliero e i chitauri e i kree che presidiavano le
porte dei sotterranei urlarono di rimando dando l’allerta.
Gli
asgardiani si lanciarono verso l’entrata maggiore e le armature delle due
fazioni cozzarono le une contro le altre con grande fragore; l’allarme si
diffuse in fretta in tutti i livelli più bassi delle mura del palazzo e presto
all’ingresso secondario rimasero soltanto tre chitauri.
« Uno per
ciascuno di noi. Andiamo! » ruggì Sif sguainando la spada e alzando lo scudo.
L’irlandese
strappò la stoffa che ricopriva lo scettro di Loki e sfilò il flauto dalla
cintura, e Hogun fece roteare con gusto la propria mazza chiodata. In silenzio
e piegati in avanti, protetti dalla balaustra del ponte, i tre ne raggiunsero
l’estremità opposta: Erin avrebbe voluto agire per ultima osservando l’esempio
dei suoi ben più esperti compagni, ma la dama guerriera fu categorica
nell’affermare che muovendosi come un sol uomo i nemici non avrebbero potuto
fermarli. Allora il trio balzò sulle sentinelle prendendole alle spalle e le
colpì rapidamente e con successo – e nel vedere il proprio chitauro rovinare a
terra in una pozza di sangue, trapassato dalla lama acuminata del bastone, Erin
si rese vagamente conto di aver dato con certezza la morte a qualcuno per la
prima volta in vita sua e di aver trovato quasi gradevole la sensazione
dell’acciaio che squarciava la carne dell’avversario, e non se ne curò.
Sif tolse
un pesante mazzo di chiavi dalla bandoliera di uno dei caduti, più per
precauzione che per reale utilità, quindi Hogun spalancò il portone con un
calcio ben assestato e i tre si lanciarono a rotta di collo giù per le scale
che penetravano nei meandri delle segrete: percorsero corridoi alti e stretti
scavati nella nuda roccia e ancora uccisero i nemici che tentarono di sbarrare
loro la strada nel guizzante baluginare delle torce; avrebbero voluto liberare
altri detenuti durante quella folle corsa, ma i minuti correvano più
inesorabili di loro e non ci sarebbe voluto molto prima che i soldati di Thanos
che contrastavano Heimdall e i suoi si accorgessero del diversivo. La ragazza
di Galway aveva i polmoni in fiamme e lo stomaco stretto in una morsa alla
prospettiva di poter finalmente rivedere il viso e gli occhi ardenti e il
sorriso scaltro del Dio degli Inganni, e di udire la sua voce. Era un pensiero
idiota e bello, e per non distrarsi si piantò una manata in testa come aveva
fatto quella mattina di un distante e luminoso mese di maggio, quando si era
incantata a guardarlo dormiente e sereno nella sua piccola camera degli ospiti.
Le sembrava che fosse accaduto secoli addietro.
Capire in
quale cella tenevano prigioniero il principe non fu difficile: era la più
interna e la più sorvegliata, e raggiungerne la soglia richiese un serrato
combattimento da cui nessuno dei tre uscì completamente indenne. Tuttavia ci
riuscirono e abbatterono la porta mandandone in mille pezzi il legno massiccio
e il ferro battuto, e una risata di sollievo solleticò la gola di Erin nel
riconoscere la sagoma fiera di Loki oltre il pulviscolo. Godette della sua
espressione di totale sorpresa e una sciocca citazione che lei sola avrebbe
colto le salì alle labbra mentre gli sorrideva: « Ciao, dolcezza. » disse.
« Non
possiamo tornare da dove siete venuti. » sentenziò il dio non appena furono
usciti dalla stanza di pietra; « Gli scagnozzi di Thanos avranno capito il
trucco e ci attenderanno al varco. Dobbiamo utilizzare i passaggi interni. »
« Entrare
nella reggia adesso significherebbe consegnarci spontaneamente a lui! »
proruppe Hogun sgranando gli occhi, e Sif assentì per dargli manforte.
Loki li
fissò di sbieco: « Conosco i rischi cui andiamo incontro. Avete forse un piano
migliore di questo per non farci catturare mandando in fumo l’impresa che avete
compiuto? »
Era un
velato complimento e un ringraziarli per ciò che avevano fatto per lui, o tale
voleva suonare, e i due guerrieri ne furono colpiti e si arresero; Erin
immaginò che vi fosse un qualche altro motivo per il quale il suo ritrovato
compagno intendeva penetrare nel palazzo, ma nulla chiese e si limitò a
indicare il corridoio da cui erano giunti e che ora riecheggiava di passi e
tintinii metallici e versi rabbiosi che si avvicinavano a loro:
«
Arrivano. » annunciò con voce gutturale.
Il Dio
degli Inganni la prese per un braccio e imboccò un’apertura ad arco che si
spalancava buia nella parete alla loro destra, e Sif e Hogun tennero loro
dietro. Risalirono veloci verso la superficie seguendo erti cunicoli e rampe di
scale che si facevano via via più larghe, uccidendo chi si frapponeva tra loro
e la loro meta. La notte intanto calava su Asgard e gli invasori parevano preda
di un’agitazione senza precedenti dovuta alle azioni combinate del trio e
dell’impavida truppa capeggiata da Heimdall.
Poi i
quattro fuggitivi sbucarono in un cortile interno ben più piccolo di quello in
cui il principe e la flautista si erano separati il giorno della battaglia, e
poiché al momento non v’erano presenze ostili si concessero una pausa e
sedettero sul candido lastricato per calmare i propri respiri congestionati; il
cielo era nero sopra di loro e cupo l’oro delle torri del palazzo.
«
Dobbiamo andarcene da qui e ricongiungerci con Heimdall. » ansimò la guerriera.
« Per poi
andare dove, di grazia? » se ne uscì
Loki, tagliente.
Lei sembrò
rifletterci su: « Ancora non so, ma dobbiamo lasciare la Dimora degli Dei.
Potremmo provare a riconquistare l’Osservatorio e mantenere la posizione il
tempo necessario per utilizzare il Bifröst. Oppure potresti guidarci attraverso
quei passaggi oscuri tra i mondi che tu solo conosci, e aspettare lontano da
qui che i tempi siano maturi per riprenderci il regno. »
« Non
essere ridicola. » la freddò il dio: « Se anche fossimo in grado di scacciare i
nemici dall’Osservatorio il prode Heimdall sarebbe costretto a sacrificarsi per
permetterci di fuggire, e dubito che vogliate avere la sua vita sulla
coscienza. Come se ciò non bastasse, il Ponte potrebbe condurci unicamente su
Midgard, adesso, e poiché Midgard è bottino di Thanos al pari di Asgard la
nostra condizione non cambierebbe molto. Potrei condurvi in un altro reame,
questo è vero, eppure niente ci assicura che un dì potremo fare ritorno né che
i tempi saranno mai maturi per liberare il Valhalla dal giogo del titano.
Inoltre, » aggiunse guardando gravemente Erin, « un simile viaggio non equivale
a percorrere il Bifröst, e dubito che la donna d’Irlanda sopravviverebbe ad
esso. »
Aveva
ragione, e cadde il silenzio. Distanti si udivano suoni di scontri, segno che
il custode e i suoi uomini non erano ancora stati sconfitti, e infine Hogun
mormorò:
« Cosa
suggerisci di fare, dunque? »
« Thanos
va affrontato qui e ora. Se il Cubo è la chiave di tutto so come annientarne il
potere. Se così non fosse tenterò almeno di avere la mia vendetta. » rispose
Loki.
« È
quello che sostengo io da giorni. » puntualizzò l’irlandese compiaciuta.
« E se
fallissi? Cosa mai ci accadrebbe? » tentennò la dama guerriera.
« E se
invece vincessi? La mia famiglia è stata annientata, il mio regno è caduto e
noi siamo braccati come bestie dai cacciatori. Comunque vadano le cose, io non
ho niente da perdere. » egli ribattè con fermezza, e alzandosi in piedi attese
di apprendere la loro decisione.
Senza
esitare, Erin subito lo imitò e disse: « Nemmeno io ho più una casa sicura a
cui tornare. E dato che l’unica cosa che temo di perdere sei tu ti seguirò fino
alla fine. Ma questo credo tu lo sapessi già. » sorrise, e lui le sorrise di rimando
dacché lo sapeva eccome.
Fu quindi
il turno dei due guerrieri: « Siamo con te, principe. » asserì Hogun per
entrambi.
« È il
giorno della morte che dà alla vita il suo valore. » decretò la musicista in
tono vibrante.
Voleva
essere l’ennesimo riferimento colto che lei soltanto poteva apprezzare e fu
invece inteso come un incitamento dal sapore epico che fece brillare gli occhi
dei due asgardiani e che li convinse definitivamente a non abbandonare la causa
del dio e della donna di Midgard.
Allora i
quattro impugnarono di nuovo e più saldamente di prima le rispettive armi e
scivolarono in un passaggio laterale che conduceva all’interno del palazzo,
incuranti del trambusto che s’approssimava al cortile annunciando decine di
guardie intente a cercarli.
Raggiunsero
i piani centrali dell’immenso edificio senza che nessuno riuscisse a bloccare
la loro avanzata, nonostante fossero in così pochi contro miriadi di nemici, ed
entrarono nella sala del trono a grandi falcate risolute, marciando gli uni
accanto alle altre con piglio feroce e intrepido: un sacro fuoco di rivalsa si
era impadronito dei loro già forti animi, e gli skrull e i kree che sbarrarono
loro la strada nel vasto salone lo percepirono ed esitarono, e furono i quattro
ad attaccare per primi. Il clamore della battaglia saturò in fretta l’aria e
tosto il gruppetto si ritrovò circondato su ogni lato:
« Loki,
tu e la Dama del Flauto dovete andarvene! Io e Hogun vi apriremo un varco e
rimarremo qui a contenere questi stolti esseri. » gridò Sif.
« Da soli
non li conterrete a lungo, sciocca. » replicò il principe col fiato corto.
« Forse
non siamo soli. Guardate! » esclamò Hogun puntando un dito verso l’ingresso
della grande sala: un compatto drappello di soldati di Asgard, probabilmente
inviato da Heimdall, vi aveva appena fatto irruzione e stava caricando una
falange di avversari.
Il Dio
degli Inganni non indugiò oltre. Con un cenno sussiegoso del capo congedò i due
compagni d’arme, quindi moltiplicò il proprio sembiante per confondere i nemici
e trascinando Erin con sé abbandonò il salone delle cerimonie; correndo e
menando fendenti col flauto e lo scettro i due giunsero sino alle stanze del
tesoro di Odino, le più elevate e protette, e sulla soglia dell’anticamera
circolare che precedeva il locale in cui il Tesseract era custodito si
fermarono e vi scrutarono dentro: sei sentinelle kree dalle grosse alabarde ne
difendevano il perimetro, ma del folle titano non v’era traccia.
Loki
sogghignò appena e il bastone svanì tra le sue dita mentre sibilava:
« Lo farò
ricomparire al momento opportuno. Andiamo, Erin. »
La
ragazza di Galway scosse però la testa scompigliata e si morse un labbro: «
Temo che dovrò restare qui fuori. Ne stanno arrivando altri. » puntualizzò in
un soffio, e dai corridoi circostanti si levarono suoni inequivocabili che
confermarono le sue parole; « Vai a finire il lavoro. Io li tratterrò finché
potrò o finché tu non sarai tornato. La porta dell’anticamera è alta e stretta
ed è impossibile che passino in più di uno alla volta, perciò non dovrebbe
essere troppo difficile tenerli impegnati. A patto che tu faccia alla svelta,
s’intende. »
Era
pallida ma risoluta, e lui le strinse una mano fissandola con malcelata
apprensione:
« Sei una
creatura incredibile, donna d’Irlanda. Non osare soccombere prima che io esca
da lì. » le disse.
« Stai
scherzando? Un’inutile morte da eroina sarebbe la cosa meno incredibile che
potrebbe capitarmi a questo punto. » ridacchiò Erin per sdrammatizzare, e
davvero lo pensava.
L’asgardiano
sorrise e le diede un bacio veloce, lasciandola ad affrontare i nemici in
arrivo, e penetrando nel vestibolo si scagliò contro le possenti sentinelle.
Con incantesimi e illusioni e lame create dal nulla le abbatté una per una, e
guadagnò l’ingresso della stanza che celava il Cubo e con foga ne spalancò i
battenti, e lo vide: il Tesseract scintillava più che mai nella penombra e
tingeva di gelido blu le pozze di buio create dalle rade torce fissate ai muri,
e sembrava palpitare, immoto sul suo piedistallo, come una cosa vivente.
Loki
avanzò, le dita contratte pronte a richiamare lo scettro, e quando fu vicino
all’oggetto avvertì la scia di un movimento dietro di sé – e l’attimo
successivo un dolore lancinante e freddo in pieno petto lo costrinse ad
arrestarsi e ad inarcare la schiena con un sussulto: Thanos il Rosso
torreggiava su di lui e lo aveva colpito alle spalle, trafiggendolo con una
picca.
« Non
sospettavi che io ti stessi aspettando, principe rinnegato? La tua spavalderia
non conosce logica né limiti. » lo apostrofò con scherno il titano; « Tuttavia
ammetto di averti sottovalutato. Ti consideravo debole e meschino, e guardati!
Hai resistito alla vergogna della sconfitta, sei evaso e invece di scappare
come l’animale braccato che sei hai deciso di sfidarmi un’ultima volta. Non lo
ritenevo possibile, asgardiano, ma ti sei dimostrato un degno rivale. »
Con una
torsione del polso spinse la punta acuminata della lancia ancor più in
profondità e il Dio degli Inganni cadde in ginocchio, gli occhi febbrili
puntati sul Cubo che aveva d’innanzi.
In
lontananza egli udì l’irlandese urlare qualcosa e altre voci e rumori, e con la
bocca impastata di sangue scoppiò in una rauca e breve risata:
« Ah,
figlio di Mentore, mai finirò di stupirti! » lo rimbeccò trionfante, e prima
che Thanos potesse impedirglielo lo scettro brillò nella sua mano destra e
toccò il Cubo vibrando e lampeggiando. Uno spasmo parve nuovamente percorrere
ogni cosa e per una frazione di secondo un’esplosione di luce azzurra li accecò
infrangendosi sulle lisce pareti della camera.
Il titano
emise un ruggito rabbioso, ma era troppo tardi. E come il bagliore si spense,
riassorbito dal Tesseract ormai assopito, Loki rovinò a terra senza un lamento,
con l’asta lugubremente conficcata nella schiena, le palpebre serrate e una lieve
smorfia orgogliosa dipinta sul volto esangue.
> Note a piè di
pagina
Io AMO questo capitolo in una maniera indegna, tanto che ogni volta che lo
rileggo mi piglia il batticuore.
So che è anche indegnamente lungo, lo
so, ma come vedete ha una struttura “circolare” e suddividerlo in due parti
mi avrebbe costretta a cambiare diverse cose – e non avrebbe fatto lo stesso
effetto, credo.
La chiusura è da cliffhanger
definitivo, non ammazzatemi. Ve l’ho detto: o benebene o malemale, con me…
Il titolo è una frase topica pronunciata dal mitico Hector Barbossa nel
terzo episodio di Pirati dei Caraibi,
quando la Perla e l’Olandese si fronteggiano sull’orlo del maelstrom creato da
Calypso. Adoro quel film e quella scena. Il “ciao, dolcezza” di Erin è invece
lo slogan preferito di River Song, il personaggio che più mi piace in tutto Doctor Who.
Come musiche consiglio Skyfall,
di nuovo, e Un monumento di Morricone
(soprattutto da quando compare Heimdall a quando arrivano nelle prigioni a
liberare Loki); ovviamente vanno benissimo anche i pezzi più epici e guerreschi
della colonna sonora del Signore degli
Anelli o di altri film del genere. Quando scrivo di Asgard e di grandi
battaglie mi prende sempre la vena tolkieniana *^*
Ricordo il mio piccolo tumblr-portfolio dedicato alle grafiche &
disegni ispirati alla storia: the majestic tale
E se non recensite adesso non so più da che parte battere i’ccapo, per
dirla alla toscanaccia.
Ossequi asgardiani e alla prossima – per il penultimo capitolo! :)