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Autore: MissBethCriss    06/06/2013    1 recensioni
Queste storie sono legate da un filo rosso, fatto di sguardi che si incontrano per la prima volta e di un amore che ha paura di cadere nel vortice della passione. Ma quando un'anima viene legata alla sua gemella grazie a questo filo rosso l'Amore vincerà la Paura.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, OOC, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Blaine e Sebastian sfortunatamente non mi appartengono, ma sono di proprietà del nostro Ryan Murphy, pelatone fortunato; *sigh*

Questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro (mi fa sempre ridere scriverlo), ma è stata fatta solo per il puro piacere di scrivere di quei due baldracchi che mi hanno rubato il cuore.

Happy Sablaine Thursday!!


I fell in love with you at first sight.

 

– Thanks for being the loved merman to my prince. –

 

 

"Just you and me

And I could be

Part of your world."

 

Non si può chiedere di meglio che una vita sotto il mare, ma anche l’infinità dell’oceano ad un certo punto della tua vita ti sta stretta. Questo era il caso di Sebastian  Smythe, erede del potente Poseidon Smythe re di tutti i Mari, unico maschio che ha nelle vene il suo stesso sangue, l’unico che riceverà la corona alla sua morte. Ha sempre sentito il peso del suo destino sulle sue spalle, anche quando era piccolo e non poteva capire, non capiva perché aveva più restrizioni rispetto agli altri piccoli tritoni o sirenette. Quando crebbe capii a cosa era destinato e venne iniziato a quella fine arte che ti fa governare un intero regno. Ma le lezioni lo annoiavano, la storia dei tempi antichi lo portavano a viaggiare con la fantasia pur di non sentire il suo mentore. E sognava di un mondo lontano, dove non c’era l’acqua che ti circonda, dove i raggi del sole ti arrivano direttamente in faccia. . . dove sei capace di camminare su due gambe. La mamma di Sebastian, la regina Amphitrite, ogni notte prima di andare a dormire gli apriva il suo libro segreto, che parlava degli umani, e gli cantava le avventure di quel popolo molto lontano dal suo mondo. Sua madre lo fece per insegnargli il rispetto verso l’umanità, che molto spesso veniva criticata per i suoi modi barbari. Gli insegnò la purezza dei loro cuori e lui pian piano se ne innamorò e più i giorni passavano e più lui desiderava di poterli andare a visitare, era curioso. Sua madre gli promise che per i suoi sedici anni lo avrebbe portato in superficie, ma dovevano stare molto lontani dalla costa, per motivi di sicurezza, ma a lui non gli importava desiderava vedere quel mondo con tutto il suo cuore e ogni giorno tenne il conto. Ma suo padre non voleva, non si fidava degli uomini e alla soglia dei suoi sedici anni gli vietò ciò che sognava da sempre. Da quel giorno Sebastian divenne ancora più freddo e distaccato da tutto ciò che riguardava il mondo che regnava suo padre, si rifugiava nel suo mondo fatto da oggetti strani di cui ignorava l’esistenza, non ne aveva mai visti di simili dalle sue parti, e non sapeva nemmeno come usarli. A lui piaceva stare lì e li teneva con un occhio di riguardo. Ma c’era una cosa che più di tutte attirava la sua attenzione: una statua. Di un ragazzo, che avrà avuto la sua età o forse qualcosa in più non riusciva a capirlo, e la bellezza del suo sorriso andava oltre alla fredda pietra di cui era fatto, ti entrava dentro e immaginava di come potesse essere realmente. Ammirava di come lo scultore avesse saputo catturare anche i minimi dettagli del suo viso, con estrema cura, ogni giorno sperava di riuscire a testare la consistenza dei ricci dell’anonimo uomo. Sebastian si stava dello stupido, alcune volte, soprattutto quando si trovava a fantasticare su come potesse essere poterlo incontrare, chi è quel folle che si innamora di una statua priva di emozioni? Ma nei suoi lineamenti c’era molto di più di ciò che il suo amico Jeff vedeva, un ricordo di tanto tempo fa, talmente lontano dalla sua portata che gli sembrava fosse solo un sogno. Sapeva che per poterlo scoprire doveva andare nel mondo di sopra, le sue sembianze assomigliano a quelle degli umani che popolavano le sue fantasie, forse avrebbe avuto una possibilità. Aspettò il giorno perfetto, uno dei tanti in cui il padre deve lasciare il castello per recarsi in altre parti del regno, aveva tempo tutta una notte,  sua madre non l’avrebbe fermato ed eludere la sorveglianza era molto semplice considerando che conosceva a memoria ogni cunicolo segreto che fa uscire dal castello. Passò tutto il giorno con il suo mentore, si concentrò sullo studio con più dedizione in modo tale da non mettersi sotto una cattiva luce e per evitare di dover esser rinchiuso nelle sue stanza. Da lui pretendevano un comportamento impeccabile. La giornata passava molto lentamente, come se lo facesse di proposito, e più si avvicina alla sera e più diventava agitato, non riusciva a stare fermo per più di due secondi sulla stessa posizione. Perciò sua madre andò da lui per sapere cosa aveva.

«Sebastian, ti vedo strano, cosa è successo?»

«Niente di importante, madre.»

«Come me puoi parlare di tutto lo sai?»

Sebastian era molto tentato di dirle tutto, di confidarsi con lei, ma preferì tenere al sicuro dentro al suo cuore questo grande segreto. Aveva paura che suo padre l’avesse influenzata nel suo modo di vedere gli umani. Era determinato a andare in superficie e nessuno sarebbe riuscito a fermarlo.

«Sebastian, fermati. È per ciò che ha detto tuo padre?»

«Sto bene, veramente non è successo nulla. Ci tenevo ad andare in superficie? Sì, è da quando sono piccolo che lo voglio fare. Lo capisco? No. Però lo farò lo stes- oh.»

«Sebastian?»

«Non riuscirai a fermarmi.»

«Non lo voglio fare, solo sta attento quando farai questo viaggio. Fuori da queste mura ci sono dei pericoli che tu non devi aver niente a che fare. Sii prudente.»

Non riusciva a crederci Sebastian, pensava che tutto questo fosse solo un sogno e che da un momento all’altro qualcuno sarebbe venuto da lui a chiamarlo. Si lanciò verso sua madre è l’abbracciò forte continuando a dirle grazie, lei rideva e gli accarezzava i capelli come gli faceva da bambino.

«Sta crescendo il mio ometto, il suo primo viaggio verso quel mondo che mi rubò il cuore tanti anni fa.»

«Non so che dirti.»

«Non devi dirmi niente, te l’avevo promesso. Ricordi?»

«Pensavo di partire oggi stesso, visto che papà non c’è ci sono meno guardie che proteggono il castello.»

«Lo amerai, quando c’è solo la luna che illumina tutto sembra che è più magico. Sarei più tranquilla se con te venisse Eric, per proteggerti.»

«Mamma ma è un granchio! Casomai sono io quello che lo protegge.»

«Effettivamente non hai tutti i torti, - aggiunge ridendo – ci verrà anche Jeff?»

«Non gliel’ho chiesto. . .»

«Beh che aspetti?»

«Che volevo fare tutto di nascosto, poi non penso che Eric sia una buona idea. Sicuramente ne parlerà con papà. E Jeff non capirebbe.»

«Glielo dirò io da Eric, stai tranquillo. Cosa non capirebbe?»

«Niente, è solo che ho una sensazione dentro di me strana.»

Era come se in cuor suo sapesse che l’avrebbe incontrato, il personaggio della sua statua. Si era svegliato con questo presentimento che gli riscaldava il cuore, sì, ne era sicuro.

«Andrà tutto bene, quel mondo non deluderà le tue aspettative. Vai nelle tue stanza ora, ti farò chiamare da Eric per cena così mentre venite potrete parlarne.»

«Grazie.»

L’abbracciò per un ultima volta poi corse nella sua camera, aveva ancora alcuni particolari da metter a posto per la partenza. . .

Sua madre l’osservò da lontano e ancora una volta si stupì di come il tempo fosse passato così velocemente. Il bambino che aveva sempre il naso fra le storie del mondo di sopra ora era diventato un uomo degno successore del padre, era sicura che col suo carattere fermo, ma allo stesso tempo sensibile avrebbe giocato a suo favore nel difficile compito dell’esser re.

 

******

 

«Ma sei impazzito. – ripeté Eric, sbattendo una sua cheletta sulla testa di Sebastian – cos’è? Le spugne ti sono entrate in testa e ti stanno prosciugando quel poco di materia grigia che avevi?»

«Modera i termini, ok? Vengo prima di te nella catena alimentare, continua a picchiarmi e non so che fine farai.»

«Riderò io poi quando tuo padre saprà tutto.»

«Non penso che andrai contro il volere della regina, o sbaglio?»

«Lei mi ha detto di proteggerti.»

«Ma a me non mi ha ordinato di proteggere te, Eric. Io ci sarei andato anche da solo, è lei  che così è più tranquilla. Anche se lo dovessi dire da mio padre, a chi pensi che crederebbe? Te?»

«Lui non si fida di te, lo sai.»

Quello era il tasto sensibile di Sebastian, sapeva che era una delusione agli occhi del padre, ma odiava quando la gente lo sottolineava. Era proprio questo che lo spingeva ad andare in superficie, sperava che avrebbe trovato anche un posto che lo accettassero, non per il suo titolo, ma solo per essere Sebastian. Non come Sebastian Smythe, figlio del re del mare, ma solo Sebastian.

«Ma si fida di mia madre. Adesso se permetti, sua bassezza, vado da lei.»

Sebastian non gli diede tempo per replicare, corse e non si volse a guardarlo. L’ha sempre definito l’essere più inutile di tutti, ma aveva superato il limite, cos’era un bambino che deve fare la spia? Sebastian sapeva che non si poteva fidare di lui.

Appena entrò nel grande salone dorato sua madre capì che le cose non erano andate come lei aveva previsto.

«Quello è un demente, io vado da solo.»

«Che è successo?»

«Vuole dirlo al re il signorino. Non può farlo, non si deve azzardare.»

«Ti proteggo io, stai tranquillo.»

«Infatti non sono preoccupato, ma te lo volevo dire.»

«Se gli faccio cambiare idea ti farai accompagnare da lui?»

«No, madre scusami, ma no.»

«Ci sono un sacco di pericoli là fuori, ti prego. Penso tutto io.»

Sebastian non sapeva niente della storia che era nascosta negli abissi, legata ad una persona. La strega Sue. Nemica del re che  si era posta come obbiettivo quello di prendergli il posto e fargli pagare tutti gli anni di prigionia nelle fredde tenebre dell’oceano. Stava solo aspettando un’occasione ed era più vicina di quanto potesse immaginare.

«Dirgli che parto a mezzanotte, se per quell’ora non sta in camera mia con delle scuse e una bocca sigillata parto da solo. Se viene e prova a dire qualcosa a papà è un granchio finito. Diglielo.»

«Caro prendi un bel respiro, andrà bene.»

«Ti dispiace se torno nelle mie stanze?»

«No vai, tranquillo. Buona fortuna per il tuo viaggio, non vedo l’ora di sentire ciò che hai visto.»

«Grazie.»

Da solo nella sua stanza Sebastian pensò a molte cose: su come potesse essere la terra, se avrebbe visto delle persone. Si chiedeva anche come potesse essere il suono della loro voce, se era melodioso come i suoi simili, oppure più rauco. Per come primo viaggio si accontenta di stare molto distante dalla costa, osservare il mondo da lontano per studiarne forma e capire se correva dei pericoli, la prossima volta si sarebbe avvicinato quel tanto che basta che gli permette di distinguere le figure. Però sapeva che si sarebbe dovuto accontentare di rimanere nell’ombra, perché non aveva le gambe, come loro e suo madre gli aveva detto di non farglielo sapere che loro esistono, sconvolgerebbe degli equilibri più grandi di lui.

Un leggero bussare lo distolse dai suoi pensieri, girò la sua testa a sinistra e notò che mancavano dieci minuti a mezzanotte.

«Entra.»

«Dopo aver discusso con tua madre, prometto che non ne farò parola con tuo padre. Lo giuro sul mio onore.»

«Non è un granché di giuramento all’ora.»

«L’ho promesso a tua madre, adesso andiamo o faremo tardi.»

Come aveva detto sua madre, Eric conosceva molti passaggi segreti e furono fuori dal castello in un batter d’occhio, ma ci misero più del previsto per raggiungere la superficie del mare. Sembrava che non ci arrivassero mai. Non parlarono per tutto il tempo, non avevano niente da dirsi, lui gli serviva solo per avere una guida, per il resto lo trovava inutile.

Quando arrivarono ebbe un attimo di timore. Era pronto a rischiare di rovinare un sogno per poter entrare a far parte della sua realtà? Lo era, sapeva di esserlo. Si fece coraggio e prima di fare fuoriuscire la testa perse una manciata di secondi per accarezzare la superficie, se faceva una pressione troppo forte sul velo del male le sue dita emergevano e venivano a contatto con l'aria.

«È meraviglioso.»

Era tutto ciò che riusciva a formulare, aveva sempre immaginato come potesse essere il vento, quello che asciuga tutte le cose che passa sotto al suo cammino. Eric, che già ci era stato in quel mondo, lo guardava con occhi stanchi che non erano capaci di guardare oltre a ciò che aveva di fronte. Passò un po’ di minuti a nuotare parallelo a quella sottile linea che segnava il confine del mare con il cielo. Poi non resistette più e con una sola spinta era già fuori da quel mondo che lo ha visto crescere. Provò una sensazione strana, all’altezza dello stomaco e si guardò in giro con gli occhi da bambino che scrutano avidi qualsiasi cosa nuova. Tutto era calmo e regnava silenzio, le lucine dalle case arrivavano flebili a Sebastian, ma le trovò lo stesso meravigliose. Sua madre aveva ragione: la luna rende magico qualsiasi cosa.

«Il principino è felice?»

«Stai zitto e goditi il paesaggio.»

«Non c’è niente qui.»

«C’è tutto invece, sei solo tu che non vedi.»

Eric sbuffa e in quel momento vengono investiti da un fascio di luce, Sebastian si guarda un po’ spaesato, non sa cos’era. 

«È solo un faro. Servono agli umani per orientarsi.»

«Oh.»

Segue il cono di luce e lì in mezzo nota un qualcosa di nero che si sta avvicinando, si muoveva lenta e le sue vele si gonfiavano piano. Era una barca, quelle le conosceva bene. Incominciò a nuotare in quella direzione e pian piano incominciò a distinguerne i dettagli e le voci di quelle persone che ci stavano. Cantavano cose senza senso e bevevano del liquido ambrato che li faceva ridere, li trovò buffi. Ma la sua attenzione era rivolta tutta ad un ragazzo dal viso triste che aveva lo sguardo perso nell’infinità dell’orizzonte, i suoi lineamenti avevano un non so che di familiare, ma si trovava in penombra e gli risultata difficile dargli un volto. Ad un certo punto un ragazzo biondo dalla grande bocca andò da lui e gli mise un braccio intorno alle spalle, gli disse qualcosa che lo fece sorridere per la prima volta da quando lo stava osservando e provò una sensazione opprimente all’altezza del cuore. Si chiese perché provava tutto ciò, lui non lo conosceva. Allora perché ne era. . . geloso?

Il ragazzo dal nome sconosciuto si girò e si appoggiò al legno per poter guardare negli occhi il suo amico, non riusciva a capire cosa si dicevano e per questo decise di avvicinarsi ancora di più.

«Cosa fai, pazzo?»

Gli sussurrò Eric, ma lui non lo sentì, vedeva solo lui. E più si avvicinava e più la sua voce diventava chiara, gli entrava dentro scaldandogli il cuore. Mai aveva sentito un tono di voce più bello e vivo, ma allo stesso momento così triste. Si chiese cosa avesse e sentì il bisogno di poter fare qualcosa per renderlo felice.

«Sam piantala, non ne voglio parlare.»

«Amico quando deciderai di parlarci?»

«Mai. Non posso, lo sai.»

«Non puoi sposare quella, giuro che se non parli con tuo padre riguardo a ciò che il tuo cuore pensa troverò un modo per fermare questa pagliacciata. Non puoi farlo.»

«Ho dei doveri verso il mio regno. Devo sposare la principessa Berry per accrescere il nostro regno. Mio padre non me lo permetterebbe.»

«Prendi dei soldi e sfuggi. Ci penserà Cop al resto.»

«Non può, ha rinunciato a tutto pur di vivere di teatro.»

«Perché tu devi rinunciare all’amore per un ideale che non senti tuo?»

«Senti è la mia festa oggi, che ne dici se ci divertiamo un po’?»

Gli mise una mano sulla spalle e pian piano si allontanò da lui, con le spalle basse, senza rivolgergli uno sguardo.

Quello che si chiamava Sam poggiò i gomiti nello stesso posto dove stava il ragazzo misterioso prima di lui, sorseggiava a piccoli sorsi quel liquido strano.

«Se solo trovasse qualcuno. . .»

Ciò che disse al mare, come risposta ebbe solo il dolce suono delle onde che vanno contro la barca e nient’altro. Quelle parole echeggiarono nella testa, cosa poteva fare per aiutarlo?

Le nuvole sopra di lui diventarono sempre più scure e il vento diventava sempre più forte, Sebastian distolse lo sguardo dalla barca e gli mancò il respiro di fronte a quello spettacolo. Il cielo era trafitto da delle grosse saette che illuminavano la notte come un cielo invernale, la luna gli aveva lasciato il suo posto. La barca incominciò a traballare, Eric andò da Sebastian e lo incitò a muoversi, ma lui non lo sentiva un’altra volta, il ragazzo misterioso era ritornato e si dondolava in malo modo sul filo della vela.

Ma è pazzo?! Fu il pensiero di Sebastian, lui non poteva sapere che in questi casi le vele vanno bloccate, ma il vento fu troppo forte e gli fece perdere l’equilibrio. Un urlo squarciò il rumore dei fulmini e lui cadde. A Sebastian gli si blocco il fiato, non poteva essere. Si lanciò verso la sua direzione e nuotò il più veloce possibile. Aveva un solo pensiero in testa: salvarlo. Si tuffò in quelle acque scure che l’aveva rapito, il corpo era andato molto giù, ma non abbastanza da non fargli vedere la luce del sole un’altra volta. Come prese il suo corpo fra le braccia si sentì invaso da una scarica di elettricità che lo portò a nuotare ancora più veloce, fino a quando non sentì la spiaggia sotto la sua coda. Era arrivato. Lo fece stendere e delicatamente gli tolse delicatamente della sabbia dal viso e si assicurò che respirasse ancora, ringraziò gli dei per questo fatto. La tempesta, tipica dell’estate, era durata pochissimo e i lampi lasciarlo il posto alla luna, sotto una luce ancora più debole. E lì capì a chi associava il volto al ragazzo misterioso, ecco perché gli sembrava così familiare, era lui. Gli spostò dei ricci dal volto stanco e si perse nell’osservarlo, si sentì bene, era come tutto intorno a se stesse suonando una melodia nuova, solo per loro. Era questo che si diceva quando una persona incontrava la sua metà migliore, il mare cantava per loro, una canzone che narrava di una persona che in un modo o nell’altro sarebbe riuscita a far parte del suo mondo, solo loro, ce l’avrebbero fatta. E Sebastian si ritrovò a cantarle a sua volta e pian piano il ragazzo misterioso incominciò ad aprire gli occhi, a quel punto Sebastian ebbe paura e si rituffò in mare, forse era solo una sua fantasia che non poteva accadere. Più che altro voleva nascondere la sua coda, non sapeva come poteva reagire di fronte ad essa. Il ragazzo sputò un sacco di acqua e tossì molto, voleva andare a vedere come stava, ma non poteva. Quando si ristabilizzò il moro si guardò intorno chiedendosi come facesse a trovarsi lì perché si ricordava perfettamente della tempesta e della caduta. Come c’era arrivato lì? Quanto tempo era passato? Erano le domande più frequenti. Poi notò una figura in mare e si alzò in piedi di scatto, ma era ancora troppo debole ed ebbe un giramento e cadde a terra, Sebastian sfruttò questo momento per scappare. Il ragazzo gli urlò di rimanere, lo voleva ringraziare, ma lui non si poteva fermare, si era esposto troppo. Eric era rimasto nell’ombra tutto questo tempo, li osservava attentamente e partì all’inseguimento di Sebastian, a fatica riusciva a stargli dietro. Gli urlò molte volte di fermarsi, ma lui non era disposto a farlo, solamente ad un certo momento si bloccò di scatto, aveva perso l’orientamento e il piccolo granchio si ritrovò a sbattergli contro la schiena.

«Siano ringraziati i sette mari, brutto folle. Ma che ti salta in mente? Si può sapere?»

«Non metterci il tuo carico, Eric.»

«Non puoi esporti così agli umani, non è difficile da capire. Perché?»

«Stava morendo, cosa dovevo fare?»       

«Niente. Ecco cosa!»

«Portami a casa, ora.»

«Io con i pazzi non ci voglio avere niente a che fare. Da qui è semplice, vai sempre dritto in quella direzione e appena vedi un palazzo d’orato è il tuo. Buona fortuna.»

Sebastian lo guardò allontanarsi, si sentì abbandonato, era la prima volta che era andato lontano dal castello, non sapeva come ci si arrivava. Però la strada era semplice e di certo non gli avrebbe dato la soddisfazione di venirlo a cercare per riportarlo a casa perché si era perso, sua madre gli diceva sempre che il suo cuore lo avrebbe sempre portato a casa, anche se aveva paura che ormai la sua casa era diventata un’altra e stava nuotando nella direzione opposta. Il cielo si stava rischiarendo, la luna stava finendo il suo percorso e già si poteva notare il sole che ritornava a splendere fiero nel cielo, ma sapeva che era meglio nuotare dentro l’acqua da poter vedere meglio il castello. Incontrò pochi pesci nel suo cammino, ma quei pochi che vide gli fecero un piccolo cenno di rispetto con la testa, tutti sapevano che significato aveva quella conchiglia decorata con l’oro che portava al collo. Ma lui sapeva chi era?

«Lo rivedrò mai?»

Se lo chiedeva spesso da quando lo aveva lasciato da solo sulla spiaggia, era come se avesse lasciato un po’ si lui in quella spiaggia, non capiva perché si sentiva così vicino a quell’essere umano, non se ne faceva una ragione. Si poteva definire amore? Anche se l’aveva visto solo una volta? Anche se non avevano parlato, ma ci fu solamente un veloce scambio di sguardi? Si sentiva uno stupido, era perso nei suoi pensieri talmente tanto che più nuotava e più sentiva di andare nel posto sbagliato. Ad un certo punto incominciò a sentire un leggero rumore, come elettricità vicino a lui, girò la testa e si trovò affiancato da due serpenti marini. Il sangue gli si raggelò nelle vene, che cosa gli sarebbe accaduto?

«Ti sei perso?»

Gli disse una voce alle sue spalle, Sebastian si bloccò immediatamente.

«N-no stavo solo facendo una nuotata.»

«Io ti posso dare una mano.»

«No, è gentile, ma sto bene.»

Non gli piaceva questa persona, la sua voce sembrava quella dei serpenti che ti ammaliano. Doveva tornare a casa e non poteva rischiare di perdere un’occasione per poter tornare in superficie un’altra volta.

«Cosa ti turba caro?»

«Niente.»

«Sicuro?»

Sebastian non si doveva girare verso la voce, lo sapeva che se lo avrebbe fatto non sarebbe più stato in grado di restare in silenzio.

«Io sono Sue. Vuoi parlarne?»

«Ho incontrato una persona, però non potrò mai stare con lui perché siamo troppo diversi. Ora come ora darei tutto per un paio di gambe, ma mio padre non mi permetterà mai di ritornare in superficie. Ma devo rivederlo.»

Sebastian non sapeva perché aveva detto tutte quelle cose, era come se non avesse più il controllo dei suoi pensieri. Sue sorrise trionfante, lo aveva riconosciuto, era il figlio del re, la pedina che gli avrebbe dato su un piatto d’oro l’occasione per mettere il potere nelle sue avide mani.

«Io ti posso aiutare.»

Il cuore di Sebastian mancò un colpo. Era veramente possibile?

«Come?»

«Io ti conosco, tu sei un Warbler. Sbaglio? Come immaginavo. Io ho sempre desiderato poter avere una voce che emozionasse, come la tua. Io ti do le gambe e tu mi dai la voce. La riavrai quando deciderai ti ritornare tritone.»

Sebastian non sapeva cosa fare, era combattuto fra ciò che riteneva giusto il suo cuore e ciò che invece gli diceva la ragione. A chi doveva dare ragione? 

«D’accordo.»

Al suo cuore.

«Se vuoi ti posso dare un paio di gambe proprio adesso. Vuoi?»

Sebastian annuì. Sue gli prese le mani e incominciò a dire parole che non riusciva a comprendere. Ebbe paura, non sapeva cosa aspettarsi, ma la voglia di rivederlo era troppa. Chiuse gli occhi e aspettò. Le ultime parole che sentì furono: “La tua vita ormai è cambiata e con la mia parola data un paio di gambe avrai se la tua voce mi darai. Vai uomo, che la loro maledizione ti accompagni finché vorrai.” E poi il nulla.

Sebastian si sentiva strano, come se il suo corpo non gli appartenesse, era sballottato in quel turbine di nuove emozioni alle quali non riusciva a dargli un nome. Sentiva molto freddo, tremava denti e mani. Che gli era successo? Non riusciva a darsi una risposta, non aveva mai provato niente di tutto questo. La brezza mattutina gli accarezzò il volto e benché stava male si ritrovò a sorridere. Brezza? Com’era possibile? Si chiedeva. Aprì piano gli occhi perché la luce del grande astro era troppo luminosa, benché scaldasse poco.

Come faceva a stare sdraiato sulla spiaggia? Come c’era arrivato?

Non sapeva rispondersi nemmeno a questa domanda.

Provò a tirasi su col busto e si guardò intorno, ma fu una cosa che lo fece bloccare suo posto: la sua coda verde smeraldo non c’era più, aveva lasciato il posto a un paio di gambe. Le osservò attentamente, vide come si piegavano i muscoli quando venivano sottoposti ad uno sforzo, mosse tutte le dita dei piedi singolarmente. Le trovò troppo lunghe rispetto a quelle che aveva visto ieri a quegli uomini, si chiese se funzionassero lo stesso. Per lui fu molto difficile provare a mettersi in piedi, si dovette aggrappare ad una roccia per tirarsi su, quando ci riuscì mosse alcuni passi verso il mare per poi tornare indietro.

Ce la stava facendo. Dopo un po’ che fece avanti e indietro acquistò la stabilità sulle gambe, incominciò a percorrere tratti sempre più lunghi, arrivò fino al mare. Provò una strana sensazione mentre guardava quel blu che sapeva di casa, era come se non ne facesse più parte.

Avrebbe trovato un modo per tornare indietro?

Nel momento in cui pensava di aver acquistato una certa padronanza dei movimenti, ecco che perde l’equilibrio e si trova per terra.

«Ehi tutto bene?»

Sentì chiedersi in lontananza e la persona a cui apparteneva quella voce lo raggiunse, ma quando lo vide si bloccò.               

«M-ma che ti è successo? Perché sei n-nudo?»                      

Nudo?

Sebastian non conosceva questa parola, che era successo? Però si sentì a disagio, perciò andò a nascondersi dietro alla pietra. Quando si sente al riparo dal suo sguardo inizia a scrutare sul suo corpo quel particolare che lo rende “nudo”, pensa a come erano i marinai il giorno prima e confronta ciò che lui è adesso, e capisce: non indossava nessun vestito. Sa che quel ragazzo è rimasto ancora la e sente il bisogno di scusarsi, si aggrappa alla roccia e fa vedere solo la testa. Prova a dirgli “scusa”, ma non ci riesce, fa più prove ma la voce non gli esce niente, il ragazzo è ancora di spalle. Al decimo tentativo Sebastian sbatte un pugno sulla roccia e quello si gira subito. Quando incrocia i suoi occhi gli sembra che tutto sia uno scherzo, era possibile una cosa del genere? Era davvero così fortunato? Il ragazzo rimane a fissarlo per del tempo che gli sembrò infinito. Era Blaine, un altro principe come lui, ma il suo regno era la terra. Per la prima volta nella sua vita era come se avesse finalmente trovato ciò che lo rendesse intero, vivo. Ma durò una frazione di secondo, dopotutto questa è il mondo reale, fatto di obblighi e di doveri, non poteva trovare quella metà della sua anima in un uomo, che per giunta non conosceva.

«Stai bene?»

Gli chiese, ma Sebastian non riusciva a parlare, per quanta fatica facesse non riusciva ad emettere alcun suono. Si limitò a fare cenno di sì con la testa, aveva perso la sua voce, ma aveva trovato lui, sì sentiva bene. Blaine gli guardò la mano.

«Prima non dovevi sbattere la mano in quel modo, guarda: sanguina.»

Si avvicinò molto lentamente a lui, non voleva farlo spaventare, gli prese la mano per vedere l’entità del danno. Non era nulla di ché, Blaine sentì Sebastian trattenere il respiro per tutto il tempo nel quale tenne la sua mano stretta fra le sue. Gli sorrise e poi disse che erano solo degli taglietti superficiali, nulla di importante.

«Io mi chiamo Blaine. Tu?»

Blaine.

Sebastian si era immaginato un migliaio di volte che nome potesse avere, Blaine. Gli piaceva. Ma lui per quanto voleva dirglielo non ci riusciva, lo guardò molto dispiaciuto abbassando la testa. Poi pensò che se non poteva comunicare con la voce c’erano tanti altri modi per farlo. Si fece coraggio e gli prese la mano e sul suo palmo incominciò a disegnare una S.

«Questa è un’idea geniale Se. . .ba. . .sti. . .a. . .n. Sebastian. Mi piace. – poi aggiunge ridendo – però è troppo lungo, ci vuole un sacco, posso chiamati Bas?»

Sebastian annuì, gli piaceva il modo in cui lo diceva più che altro.

Bas.

«Ti sei perso? O hai avuto problemi in mare e la barca dove stavi è affondata? Spiegherebbe molte cose. Sai anche a me è successo.»

Sebastian annuisce ancora e con le mani indica il numero due, così gli avrebbe chiesto troppe cose.

«Se vuoi ti posso ospitare io, almeno fino a quando non ti stabilizzi. Forse hai sbattuto la testa è meglio che ti riposi un po’.»

Sebastian annuisce e gli sorride.

  «Io abito qui, vedi quel grande castello? Beh quello è di mio padre. Però non puoi venire in questo modo.»    

Sebastian si sentiva molto a disagio, nel mare questi problemi non c’erano. Si sentiva strano, troppo. Blaine gli sorrise, in quel modo che sembra che splendesse di luce propria e che ti infondeva tranquillità. Quel sorriso se l’era immaginato un altro migliaio di volte, ma la statua non si avvicinava nemmeno lontanamente dalla perfezione che aveva di fronte.

«Ti vado a cercare degli abiti, tu aspettami qui. Farò il prima possibile, ti consiglio di entrare in acqua, nessuno ci farà caso lì.»   

Sebastian si alza di scatto e prova a correre verso il mare, voleva mettere a tacere questa sensazione il prima possibile, ma le sue gambe non sono ancora pronte e cade. Ma non tocca la sabbia, Blaine arriva prima che lo potesse fare, a questo punto l’imbarazzo fra i due cresce. Sebastian a Blaine non era indifferente. Benché il tritone ancora non aveva ancora capito i meccanismi umani, il moro li conosceva fin troppo bene invece.

«Sei sicuro di star bene?»

Sebastian annuisce a scatti. Blaine lo aiuta a rimettersi in piedi e gli rimane vicino, pronto per afferrarlo. Ma questa volta non cade e appena entra in acqua ritorna in pace con se stesso. Blaine gli sorride dal bagnasciuga, lo trovò meraviglioso, ma ancora una volta si obbligò a mettere sotto chiave questo pensiero. Blaine, non puoi. Era la frase che ormai ripeteva come un mantra. Gli fece segno d’aspettare e poi corse via, il più veloce possibile. Andò da Sam, i suoi vestiti non gli sarebbero mai stati bene, era troppo alto. Appena l’amico lo vide capì che era successo qualcosa, i suoi occhi e il suo sorriso parlavano da soli, ma rimase in silenzio perché sapeva che doveva aspettare lui, altrimenti non l’avrebbe mai saputo.

«Mi puoi prestare un camicia e un paio di pantaloni?»

 Gli chiese con il fiato corto, Sam lo guardò strano non capiva a cosa gli servissero.

«B, non è compito mio dirtelo, ma. . . sai com’è. . . io sono più alto di te. Non sto dicendo che sei basso, no, solamente inversamente alto. Lo so che cerchi in tanti modi di-»

«Non sono per me ok? Puoi farlo? Non posso perdere tempo.»                 

«Per chi sono?»

«Non ho tempo per i tuoi interrogatori, Sam. Per favore.»

«Ok, vieni con me così te li scegli.»

«Grazie mille.

Sam abita in una delle tante stanze del castello, la sua famiglia aveva avuto dei problemi economici e in nome dell’amicizia fra le due famiglie il re fu ben accetto di ospitarli. Corsero in silenzio fra gli infiniti corridoi di quella prigione dorata. Quando entrarono Sam gli aprì l’armadio e prese i primi due capi che trovò. Si fermò un attimo per ringraziare Sam e gli disse che gli avrebbe detto tutto dopo.

Quando Blaine tornò da Sebastian si perse nell’ammirarlo. Vide il suo viso rilassato mentre nuotava, sembrava appartenere al mare. Aveva una sola parola in mente che lo potesse descrivere: perfezione. Ma aveva paura che nemmeno quella gli calzasse bene, serviva qualcosa che andava ben oltre ad essa. Si muoveva agile e lì le gambe funzionavano bene ai suoi comandi, lì non avrebbe avuto bisogno di lui. Sebastian si sentiva osservato e quando alzò lo sguardo verso la spiaggia incontrò gli occhi di Blaine, era come se fossero legati da un qualcosa che non sanno definire, che è più forte di loro. Questo è ciò che succede quando due anime si riconoscono come la parte che gli manca per essere completi, ma entrambi erano troppo ciechi per potersene accorgere. Blaine entra in acqua facendo attenzione a non far bagnare l’asciugamano, Bastian gli va incontro e prima che emerge il moro si gira subito di spalle. Sebastian prende quello strano oggetto fra le mani, ma non sa come usarlo. Da un colpetto alla spalla di Blaine, lui si gira di poco e vede che è in difficoltà.

«Non sai come si usa?»

Sebastian gli fa cenno di no.

«Tu mi stai dicendo che non lo hai mai usato?»

Un altro no. Blaine non riesce a trattenersi dal ridere, gli sa così assurdo tutto questo. Le risate aumentano quando Sebastian lo guarda con occhi smarriti perché non capisce cosa abbia mai fatto per farlo reagire in quel modo.

«Scusami, ma è un asciugamano. Com’è possibile? Scherzi?»

Lo sguardo di Sebastian dice tutt’altro, non mente, non lo sa veramente.

«Ok ok, scusa. Allora quello va messo sulla parte bassa – traccia una linea sulle sue anche e gli mostra i movimenti – gli fai fare un giro così e porti l’estremo dell’asciugamano qui ed è fatta.»

Sebastian ripete mentalmente quei pochi gesti e con molta facilità riesce a farli, spera solo che reggerà. Blaine lo precede e gli va a prendere i vestiti che aveva messo sopra la roccia per non farli sporcare e lo aspetta lì. Sebastian ci mette un po’ di più perché ha paura di far cadere quello strano rettangolo soffice, sapeva che se fosse successo lui avrebbe riso come prima. Non voleva passare per il giullare di corte.

«Io mi allontano un po’ così sei libero di cambiarti, quando hai fatto ti aspetto là, ok?»

Lui annuisce e per l’ennesima volta si trova di fronte a cose umane che mai prima di allora aveva usato. Sperava che questa volta avesse avuto fortuna, non poteva permettersi di sbagliarsi un’altra volta. Questa volta era più semplice, erano dei vestiti simili a quelli che indossava Blaine, se copiava ciò che aveva fatto lui ci sarebbe riuscito. Quando finì era soddisfatto del risultato, questa volta ci era riuscito. Andò tutto trionfante da Blaine che si mise ad analizzare il suo lavoro, aveva saltato un bottone, ma questa volta non si mise a ridere, incominciava a trovare adorabili tutte queste piccole cose e divenne subito curioso di scoprire tutto su di lui, troppe cose non gli tornavano.

«Novellino vieni qui. – gli disse con un sorriso – ti dispiace se ti sistemo qui?»

Fece segno di no, sbuffando nervosamente, com’era possibile che nemmeno questa volta ci fosse riuscito?

Blaine si mise a sbottonargli la camicia e mentre lo faceva gli spiegava come andava fatto.

«Vedi, ogni bottone ha la sua piccola asola. Qui ne hai saltata una. Quando sono di fretta mi succede sempre. Ecco ora sei- voglio dire sono perfetti. Ora possiamo andare a palazzo.»                

Se da lontano sembrava gigante, da vicino infondeva terrore per quanto era immenso. Quando varcano i cancelli si entrava in un delizioso giardino, tutto era curato nei minimi dettagli. Sembrava di stare dentro ad un sogno, era come se Sebastian stesse vivendo una delle favole di sua madre.

«Piace?»

Sebastian annuì rapito, come sarebbe stato possibile il contrario? Blaine gli sorrise.

«Sai, pensavo che prima parlo con mio padre e poi se è la prima volta che vieni qui ti potrei far vedere i dintorni.»

Sebastian amava l’idea.   

 

******

 

Quando Sebastian si trovò di fronte al re si trovò smarrito perché non sapeva che fare, lui era un principe, ma non sapeva se qui valessero le stesse regole. A lui non piaceva il re, aveva un sguardo freddo che sembrava esser nato per giudicare la gente e poi faceva sparire il sorriso dal volto di Blaine facendolo diventare una maschere inespressiva, ciò non andava bene. Ma se osservava bene poteva notare che dietro quella coltre gelida le sue espressioni erano molto simili a quelle del figlio e questa considerazione lo fece tranquillizzare, dopotutto era l’ospite e non poteva mancare di rispetto a coloro che gli offrono un posto per ripararsi, considerando che era il re.

«Padre, le volevo chiedere se il mio amico poteva restare con noi per la notte.»

«Non parla il tuo amico?»

«No padre. Ha avuto dei problemi questa notte, la sua nave ha naufragato e mi sento in dovere di aiutarlo a sistemarsi.»

«Ti batti sempre per le cause perse, vero?»

«Padre, lui non è una causa persa, ha solamente bisogno di una mano.»

Il re suonò un campanellino e subito si presentò un signore vestito in bianco e nero, aveva una faccia cordiale e appena lo vide Blaine gli sorrise, doveva essere una persona per bene.

«Edgar potresti accompagnare il ragazzo. . .?»

«Si chiama Sebastian.»

«Il signor Sebastian in una delle camere? Blaine vi raggiunge subito.»

Blaine mi fece segno di seguirlo, ma era strano. Forse già sapeva ciò che il padre gli volesse dire, ma era come se lui non volesse sentire.

Infatti Blaine non voleva sentire ancora per un’altra volta di quale delusione era per il padre. Portare a casa un naufrago di cui non sapeva niente, che non parlava e che lo guardava con occhi adoranti. Suo padre voleva sapere cosa gli disse la testa per agire in questo modo, voleva che la gente parlasse male di loro? Si stava per sposare. Ma Blaine non ci vedeva nulla di male, un buon re avrebbe aiutato chiunque fosse in difficoltà. Agisci nel modo giusto era quello che il suo mentore gli diceva sempre e questo era il modo giusto. Se lui non fosse passato di li ora Sebastian dove sarebbe? Le parole gli muoiono in bocca, non vuole litigare con suo padre, vorrebbe dirgli molte cose, di come non volesse sposare la principessa Berry, che proprio l’idea di sposare una donna lo disgustasse, avrebbe preferito sposare Sam piuttosto che lei. Visto che non si degnava di dire una parola il re gli disse che poteva andare anche dal suo amichetto e Blaine non se lo fece dire una seconda volta. Se conosceva abbastanza bene il suo maggiordomo Edgar sapeva benissimo quale camera gli avesse dato e si diresse in quella in fondo al corridoio dove si trovava pure la sua. Trovò una porta aperta e trovò Sebastian che si guardava intorno con gli occhi di un bambino che sta scoprendo un mondo, non sapeva perché si comportava in questo modo, avrò avuto si e no la sua età e molte cose di questo mondo non le conosceva, anche le più semplici. Sembrava che appartenesse ad un altro mondo e che di qui era solo di passaggio. Si appoggiò allo stipite della porta e vide di come apriva la finestra per poter godere della leggera brezza di uno splendente giorno di estate, aveva gli occhi chiusi e si stava beando di quel sole che gli accarezzava la guancia. Ad un certo punto Sebastian, visto che si sentiva osservato si girò verso di lui gli sorrise e gli fece segno di avvicinarsi, gli indicò un punto fra le fronde dove c’era un piccolo nido e dal quale proveniva una deliziosa melodia.

«Papà ha detto che puoi restare. Edgar ti ha lasciato dei vestiti puliti?»

«Glieli sono andati a prendere, non potevo di certo usare i tuoi.»

Disse Edgar ridendo.

«Già, grazie mille.»

«Per me è un piacere aiutare i tuoi amici, Blaine. – poi si avvicinò alla porta e prima di uscire sussurrò al principe – Tienitelo stretto, non fare quella faccia, ti conosco da quando eri in fasce, solo tuo padre è cieco quando si parla di questi sentimenti.»

In quel momento Blaine si sentì molto vulnerabile, allora tutti sapevano? Si chiedeva, ma lui era stato attento. Gli fece un cenno col capo per fargli capire che aveva ricevuto il messaggio e per infondergli un po’ di coraggio Edgar gli strinse una spalla prima di lasciarli soli.

«Vuoi rimanere con quei vestiti o prima di uscire preferisci farti un bagno caldo?»

Farsi un bagno? Ecco un’altra parola a lui sconosciuta, Sebastian pensò che forse era meglio che prima di accettare la proposta di Sue si fosse informato meglio sulla vita degli umani. Visto che era ben disposto ad evitare altre figuracce, almeno per oggi era apposto, gli indicò il giardino per fargli capire che preferiva visitare la città.

«E vada per la visita.»

Prima di uscire Blaine volle passare per lo studio di suo padre, voleva prendere alcuni fogli e un pennino, così se Sebastian aveva bisogno di dire qualcosa glielo avrebbe scritto. Quando lo vide arrivare con quei fogli in mano il sorriso di Sebastian si allargò, finalmente aveva un modo più veloce per farsi capire. Li usò appena li ricevette.

Grazie.

Dice il primo foglio. La sua calligrafia era molto elegante e si chiese come facesse a scrivere così veloce.

«Sai, pensavo di portarti in un luogo speciale per me, ti dispiace?»

No, ne sarei onorato.

Questo posto si trovava poco più in là del bosco che delimita il villaggio, lontano abbastanza dalla sua vita che non gli permetteva di esser se stesso, ma allo stesso tempo vicino per ricordargli le sue origini. Pensava che per quanto odiasse tutto ciò che aveva, si doveva ricordare dei suoi doveri verso il suo popolo, non poteva abbandonarli. Ama quel posto perché era silenzioso nel modo più assoluto e ti permetteva di ascoltare la natura, poi quando scendeva la notte godeva di uno spettacolo unico, le stelle come si vedevano lì non si osservavano da nessun’altra parte.

Nella testa di Blaine continuavano ad echeggiare le parole di Edgar: tienitelo stretto. Ma fra di loro non c’era niente, non  può esserci. Sebastian lo osservava in maniera strana, voleva sapere cosa lo turbasse, ma allo stesso tempo rispettava i suoi spazi.

«Sai vado sempre là quando ho bisogno di pensare, lì non ho bisogno di indossare alcun tipo di maschera. Sai alcune volte è difficile essere l’erede al trono. Oh scusa, forse non ti interessa. Scusa.»

No, parla con me di qualunque cosa tu voglia. Ti capisco più di quanto credi.

«Davvero capisci che vuol dire?»

Sebastian questa volta si limitò ad annuire tristemente. Viveva nella sua stessa condizione, ma ora non erano più soli contro questo mostro che gli vieta di vivere come essi vogliono. Sebastian in cuor suo spera che lui l’avesse riconosciuto, dopotutto era certo che un ricordo di lui prima di scomparire nelle profondità del mare ce lo avesse.

«Alcune volte vorrei essere solo Blaine.»

Sebastian sapeva che significava anche questo, perciò ricopiò il gesto che fece prima di lui Edgar: gli mise entrambe le mani sulle spalle stringendole delicatamente, spera che i suoi occhi potessero parlare per lui e infondergli quella forza che gli serve per andare avanti.

«Grazie.»

Rimasero in quella posizione per un periodo di tempo che gli sembrò eterno, nessuno dei due riusciva a interrompere il contatto visivo. Era come se avessero trovato il loro posto, si sentivano bene e per la prima volta interi. Era un qualcosa che andava ben oltre la razionalità che ha dominato la loro vita, era una forza che attira due poli opposti di un magnete alla quale non ti puoi opporre.

«Io ti ho già incontrato, vero?»

C’era senso nel mentire? Pensò Sebastian.

«In un sogno?»

Sebastian scosse la testa.

«Ho paura. Sto provando cose per te che non ho mai provato fino ad adesso e sono cose che non posso provare per un uomo, lo sai?»

Sebastian abbassò di colpo lo sguardo, sapeva che prima o poi sarebbe arrivato a dirlo, era solo questione di tempo. Ma Blaine lo stupì, poiché gli prese il mento fra le mani, per dire ciò che sentiva nel cuore aveva bisogno di trovare la forza nei suoi occhi verdi.

«Ma non mi importa di ciò che dicono gli altri – gli disse avvicinandosi sempre di più verso lui – mi importa di-»

. . .

 

******

 

«Bambini lasciate riposare daddy.»

«Ma papa è incamnec-incompe ok quella parola lì che dice sempre daddy.»

«Inconcepibile, Emily.»

«Inponcebilie che daddy dorme durante la Sirenetta.»

«Emily non urlare! Poi è inconcepibile.»

«Shala la la. . .ba-cialo-o.»

I tre spettatori si guardarono e si misero a ridere contemporaneamente. Blaine sentendo tutte quelle risa aprì piano un occhio e brontolò un “ma dove mi trovo” che fece aumentare anche di più il volume delle risate. Mentre Blaine si stropicciava gli occhi e realizzava che stava sul divano della sua casa la piccola Emily gli salì sulle gambe e lo guardò con lo sguardo più offeso che potesse fare.

«Daddy – disse solennemente – è una cosa inconcepibile che ti sei addormentato durante la sirenetta, non pensi a lei? Non me lo sarei mai aspettato da te, pure papa è rimasto sveglio!»

«Emy ci sei riuscita!»

La piccola quando lo realizzò guardò il suo fratello gemello che alzò i pollici in aria, lui stava osservando la scena fra le braccia del suo papa.

Andrew ed Emily Smythe-Anderson avevano entrambi sette anni, erano gemelli ed erano l’orgoglio dei loro papà. Sebastian e Blaine li trovarono nel momento in cui avevano più bisogno di una famiglia che li amasse, erano stati abbandonati dai loro genitori a pochi giorni dalla nascita e fu amore a prima vista. Entrambi i bambini avevano gli occhi che richiamano l’azzurro puro di un cielo estivo, ma la prima cosa che catturava l’attenzione di chi non li conoscevano erano i loro capelli: entrambi ricci ed entrambi rossi, benché la piccola Emily ce l’avesse ramati. Tolta la somiglianza dei colori non si somigliavano per niente, dalla forma del viso all’espressione: Andrew aveva uno sguardo da furbetto che sembra che sta sempre ad architettare un piano nuovo, ma in fondo era un tenerone, e poi c’era Emily che fra i due era la più riflessiva, ma al tempo stesso era una forza della natura che non stava mai ferma.

«Scusami piccola, prometto che la prossima volta che guarderemo questo cartone lo guarderò fino alla fine, ma oggi daddy è tanto stanco. Mi perdoni?»

Emily incrociò le sue piccole braccia al petto e mise il broncio, potevano pur non essere i loro figli biologici, ma da come si comportavano nessuno avrebbe mai dubitato che non fossero i loro figli biologici. Allora per farsi perdonare Blaine la prese in braccio e la fece roteare al sicuro fra le sue braccia riempiendola di baci. Mentre faceva questo continuava a dire “mi perdoni adesso, dai!” e lei rideva e rideva. Sebastian li guardava con una strana luce negli occhi, quella famiglia era il loro piccolo trionfo verso quella vita che per tante volte aveva provato a buttarli giù, ma stando insieme niente li avrebbe feriti. Ad un certo punto Emily si arrese e perdonò il suo  daddy, che stanco ci lasciò cadere vicino a Sebastian che gli mise un braccio intorno alle spalle in modo tale da tener stretto a se tutti a tre.

«Emy ma daddy non ha tutti torti, la sirenetta è noiosissimissima. È meglio la “spada nella roccia”! Vuoi mettere la magia a confronto alle principesse?»

«Andrew ognuno ha i suoi gusti, te lo abbiamo detto.»

«Non è vero – disse Emily puntandogli il ditino contro – rimangiati ogni parola. Papa digli qualcosa!»

«Basta lamentele, ognuno ha nel cuore il proprio cartone, è l’ora della nanna!»

«Nooooooooo.» dissero Andrew ed Emily in coro. Poi Sebastian e Blaine si guardarono e li presero contemporaneamente in braccio e li portarono nelle camerette. Dopo averli messi al letto e dopo aver dato il bacio della buona notte ad entrambi si ritrovarono come ogni sera con un bicchiere di vino in mano a parlare delle loro giornate. A causa del lavoro stavano lontano quasi per tutto il giorno e quello restante lo passavano con i figli, amavano quelle serate illuminate dalla luna, benché rimpiangessero le lunghe giornate passate fianco a fianco, ma non avrebbero cambiato nulla della loro  vita.

Alcune volte restavano in silenzio, immersi nella compagnia dell’altro, avevano solo bisogno di sentirsi vicini e le parole diventano superflue.

«Come mai ti sei addormentato prima? – poi aggiunse sogghignando – ti ho stancato troppo l’altra notte? Sai ringrazio il fatto che hai voluto a tutti i costi una camera insonorizzata.»

«Sebastian, mi dispiace deludere il tuo ego, ma oggi quelle piccole pesti a lezione mi hanno distrutto e ho dovuto sopportare un sacco di drammi da parte dei grandi. Si sente che si sta avvicinando il saggio finale, eh?»

«Allora questa notte dovrò rimediare.»

Disse avvicinandosi sempre di più a lui. Risero entrambi e si sentirono più giovani, del tempo in cui, dopo aver messo da parte tutti i problemi, si dedicarono completamente al loro amore. Erano due uomini a metà che incominciarono a vivere nel momento in cui dopo tanti anni si rincontrarono ed ebbero la forza di mettere da parte tutti quei sentimenti che li portò a separarsi.

«Ti ricordi se alla fine il principe bacia la sirenetta?»

«Ti sembrano domande da farsi in questo momento?»

«Ho fanno un sogno prima, dove tu eri un tritone e io ero il principe. Tu mi salvavi e mi portavi al riparo. Poi ti porto nel mio posto segreto, ma non mi ricordo se alla fine il principe bacia il suo tritone perché Emily mi ha svegliato prima.»

«Io ho un modo per scoprirlo.»

Sebastian accorcia quella distanza maledetta che tiene lontano i loro copri per troppo tempo, quel contatto per Blaine sapeva di casa, ed ad entrambi sembrò che la realtà scomparisse all’interno del loro bacio. Poi ad un certo punto Sebastian interrompe il bacio e si mette a ridere.

«Ma ti immagini se avessimo dato retta da Andrew e avessimo messo la spada della roccia? Che cosa avresti sognato? Artù che s’innamora di Merlin?»

«Ti ho sempre chiesto di farti crescere la barba. Poi che ne sai se in un universo parallelo Artù e Merlin hanno il loro lieto fine?»

«Noi li avremmo fatti funzionare, giusto?»

Questa volta fu Blaine a prendere possesso della labbra di Sebastian. Ne era sicuro, loro ce l’avrebbero fatta in qualsiasi modo, bastava vedere dove si trovavano adesso. Chi mai avrebbe scommesso su di loro? Nessuno, ma loro avevano corso il rischio.

«Sempre.»

 

 

Beth’s Corner!

Happy Seblaine Thursday!!!

Piaciuta? Spero di sì! Io amo follemente la Disney e quando ho saputo che non ci sarebbe stato come tema della settimana mi son detta “Ah no? E io lo faccio per il free day” e come non facevo a collegarci una daddies? Come? La scelta della Sirenetta è stata semplice: Blaine è Eric, non si discute, poi un Sebastian nella storia già c’era quindi. . . ma non potevo di certo far innamorare il principe col granchio!! Quindi la sirenetta diventa tritone e il gioco è fatto. Vi consiglio di segnarvi i nomi: Andrew ed Emily aka i tesori di casa Smythe-Anderson. Ritorneranno, purtroppo non vi posso dire come. Vi starete domandando: perché i bimbi sono rossi? La prima volta che ho chiuso gli occhi per pensare a come potessero essere mi è venuta in mente l’immagine del piccolo Andrew con la faccetta furba e questi ricci rossi, me ne sono innamorata. Ho amato scrivere della famiglia Smythe-Anderson ed è molto importante per me, più avanti capirete perché. ;)

Ovviamente la domanda alla quale dava una risposta questa storia è la seguente: “E se esse appartenessero a due mondi totalmente diversi si troveranno lo stesso?”. Alla fine il mondo del mare e quello della terra non sono così incompatibili, no? Oh e per citare la beta (♥) “il riferimento a Merlin IL RIFERIMENTO A MERLIN.. SO CHE E' UN RIFERIMENTO A MERLIN.. QUEI DUE CI -*censura la beta*” sì “La spada nella roccia” mi è stata utile per dopo ed è un chiaro riferimento a Merlin, prima ancora di sapere cosa volesse dire shippare, amavo quei due con tutta l’anima e volevo che si innamorassero.

Io ho adorato scrivere questa ff e dovevo finirla in tempo, vi dovevo far conoscere Andrew ed Emily, non sapete che gioia ho nel pubblicarla, veramente, ho amato scrivere del Sebastian impacciato che muove i primi passi nel mondo umano e della daddies. Spero che sia piaciuta pure a voi.

Ringrazio chi legge e la beta, che ha fatto un betaggio lampo e ha rimediato ai miei ritardi  ♥

Grazie e spero di sentirvi presto ♥

Alla prossima,

Beth :)

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