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Autore: Anonymous Eli    07/06/2013    6 recensioni
Sherlock, gravemente ferito, aspetta i soccorsi. Chi ha deciso di chiamare? E perché è così preoccupato per la sua sciarpa? [Traduzione di Badwolf16]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Sherlock Holmes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Lost and found Ciao a tutti, volevo solo spiegare due cosucce prima di lasciarvi alla lettura.
Questa fanfiction è una traduzione della storia "Lost and Found" pubblicata su fanfiction.net da Anonymous Eli.
L'autrice mi ha gentilmente dato il permesso di tradurla (se volete, ho le prove :-D) ed era molto contenta che la storia potesse raggiungere un pubblico più ampio. Si tratta di una fic famosa nel fandom inglese che secondo me merita davvero di essere letta. Devo avvisarvi però: potreste innamorarvi di Mycroft, a me succede tutte le volte che la leggo! 
Se vi va di lasciare qualche commento/recensione (sono sicura che all'autrice farebbe piacere), sarò felice di far sapere la vostre impressioni a chi di dovere. Se invece preferite leggere la storia originale (e fate bene!), ecco il link: http://www.fanfiction.net/s/7703111/1/Lost-and-Found
La smetto di blaterare e vi lascio a Sherlock e Mycroft!



AUTORE: Anonymous Eli
TRADUZIONE: Badwolf16

                                                                                                                                                     
La parola più pericolosa in ogni lingua umana è la parola fratello.
- Tennesse Williams

Era una notte fredda, e Sherlock aveva perso la sua sciarpa.

Be', forse perso era la parola sbagliata. Un colpo di vento gliel'aveva strappata via in un momento imprecisato tra il salto dal secondo piano del magazzino e il suo atterraggio tutt'altro che perfetto sull'asfalto sottostante. Nei momenti successivi era stato decisamente troppo disorientato per capire dove fosse finita.

La sua gamba era rotta - quella sinistra - e una sconcertante quantità di sangue gli colava dalla tempia. Niente che minacciasse la sua vita nell'immediato futuro, né di particolarmente interessante, quindi Sherlock mise le diagnosi e il dolore da parte per concentrarsi sulla sciarpa.

Cinque metri e mezzo, forse, tra la finestra del secondo piano e il terreno. Vento da sud - sudest, a circa ventitré chilometri orari. Sciarpa di cashmere, a maglia fine. Probabile posizione ...

I suoi pensieri si bloccarono per un momento. Probabile posizione...

"Maledizione" disse a voce alta.  Le informazioni rifiutavano di formare una soluzione coerente nella sua testa. Il che, insieme al fatto che il dolore nella sua gamba stava peggiorando, lo condusse ad una conclusione del tutto diversa: era ora di chiamare John.

Con dita intorpidite in maniera preoccupante - da quanto le sue membra avevano iniziato a tremare? - Sherlock raggiunse la tasca del cappotto. Gli ci vollero diversi tentativi prima di riuscire a chiudere la mano intorno al suo cellulare e uno sforzo estenuante e  insopportabile per tirarlo fuori. Era frustrato dal modo in cui il suo corpo rispondeva ai comandi. Così impreciso, strano, lento. Era straziante.

Dopo una breve lotta, riuscì a schiacciare i tasti giusti, e il telefono iniziò a squillare. Una, due, tre volte. E poi la voce registrata di John: "Salve, avete contattato John Watson. Lasciatemi un messaggio e vi richiamerò il prima possibile. Sherlock, comprati il tuo dannato latte da solo."

L'angolo della bocca di Sherlock si piego in un ghigno. Molto bravo, John.

Rimase immobile per un momento dopo il bip, con il cellulare premuto contro l'orecchio, prima di chiudere la telefonata e lasciarsi cadere le mani in grembo. Stava iniziando a sentirsi davvero male, il dolore gli si arrampicava sulla gamba e gli perforava la tempia, lo stomaco si torceva in maniera sgradevole. E il tremore stava iniziando a diventare preoccupante.

Doveva provare con qualcun altro.

Il suo primo pensiero andò a Lestrade - lo aveva già chiamato in situazioni simili, prima di John, e si era sempre presentato. Furioso, di solito, e con la predica pronta ("Non puoi dare la caccia ai criminali, Sherlock. Sei un civile, idiota!), ma c'era sempre qualcosa nel suo tono che suggeriva preoccupazione, e un esasperato senso di affetto. Sfortunatamente Lestrade era nel Somerset, dalla sorella, fino a venerdì.

Quindi rimaneva una sola persona, per quanto l'idea lo facesse stare male.

Sherlock considerò per un momento l'idea di chiamare Molly Hooper, o Mrs Hudson. Doveva pur esserci qualcun altro. Chiunque altro.  Per un brevissimo momento pensò addirittura ad Anderson. E poi, naturalmente, c'era sempre l'opzione di rimanere lì a morire...

Ma alla fine, doveva essere Mycroft.

Soprattutto dal momento che Sherlock aveva perso la sua sciarpa.

Tristemente, impose alle sue dita, ancora più intorpidite di prima, di digitare il numero privato di suo fratello. Come si aspettava, a Mycroft bastarono due squilli per rispondere. Dopotutto, l'ultima volta che aveva intenzionalmente chiamato suo fratello, quattro anni prima, era appena andato in overdose con un mix particolarmente potente di cocaina ed eroina. Certe cose tendevano a creare un senso di urgenza, riteneva.

"Sherlock?" disse Mycroft con decisione, alla sua voce mancava il solito piatto senso di sufficienza.

Sherlock si era preparato le parole, una valutazione sbrigativa e clinica della situazione, condita con pochi ricercati insulti: stava seguendo una pista, perché lui era abbastanza in forma da poter raccogliere informazioni da solo, e si era trovato di fronte ad un piccolo contrattempo. Poteva Mycroft, per favore, mandargli un autista se non era troppo impegnato a rifilare notizie false al governo colombiano?

Ma le parole non uscivano.

"Sherlock", Mycroft ripeté insistentemente.

Sherlock costrinse le parole ad uscire dalle sue labbra intorpidite. "Ho bisogno...di te," biascicò. "East End."

Ci fu una breve pause, poi: "Quanto gravemente sei ferito?" la voce di Mycroft era addirittura preoccupata.

Di nuovo, con grande frustrazione di Sherlock, la sua eloquenza venne meno. Stava cominciando a capire che le sue ferite potevano essere più gravi di quanto non avesse pensato all'inizio. "Testa," disse brevemente. "Gamba."

"D'accordo. Ti stiamo localizzando." Si sentiva parecchio trambusto in sottofondo; dita sulla tastiera, fogli svolazzanti e passi veloci. Una macchina in partenza.

Non ci sarebbe voluto molto adesso; qualcuno sarebbe venuto a prenderlo. Il sollievo sembrò succhiargli via l'energia che gli rimaneva. Stava diventando insopportabile, la lentezza, il dolore, il freddo...il freddo...

"Mycroft?" sussurrò.

"Sono qui, Sherlock." La voce di suo fratello, lontana.

Doveva dirglielo. "L'ho persa. La mia sciarpa."

"Va tutto bene," disse Mycroft con un tono gentile che confuse Sherlock.

"No. La tua...sciarpa. Quella che mi hai dato..." Era importante. Sherlock doveva fare in modo che suo fratello capisse.

"L'avevo capito. Va tutto bene." Malgrado le sue parole, Mycroft sembrava teso.

Stava diventando difficile tenere il telefono all'orecchio; Sherlock doveva chiudere la chiamata, nonostante si sentisse stranamente riluttante a farlo. "Mycroft. Devo...mettere giù."

"D'accordo. Cinque minuti. Rimani sveglio, Sherlock."

E poi la chiamata terminò. Sherlock lasciò andare il cellulare per terra, lasciò che la mano gli cadesse di lato. Chiuse gli occhi, ed esalò un lungo respiro.

Mycroft aveva detto che andava bene, la questione della sciarpa, ma non era vero. Era la preferita di Sherlock. Blu navy. Cashmere. L'aveva rubata dall'armadio di suo fratello prima che Mycroft partisse per l'università; era stata una delle tante proteste messe in atto - non parlare per giorni, portare a casa dei brutti voti, e proporre un "esperimento" particolarmente memorabile durante la cena - per impedire al fratello di andarsene. Ma non era servita a nulla, naturalmente.

Neanche quattro mesi dopo la partenza di Mycroft, Sherlock, per gentile concessione del suo compagno di classe Alan Henshaw e della sua banda, era finito in ospedale con un polso rotto e diversi lividi. Henshaw era misteriosamente venuto in possesso di una sciarpa blu navy molto bella mentre Sherlock aveva perso la sua.

Poi durante le vacanze di Natale, altrettanto misteriosamente, Alan Henshaw cambiò scuola. La sciarpa finì chissà come, il giorno in cui Mycroft torno all'università, dentro un pacchetto involtato con cura sul letto di Sherlock con un biglietto appuntato sopra: Dimmelo se la perdi di nuovo. - M

E adesso Sherlock l'aveva persa di nuovo.

Stupido, stupido, stupido! si rimproverò. Tentò di cambiare posizione, di sistemarsi in maniera più comoda contro il muro, ma muoversi si rivelò un sbaglio. Miseramente Sherlock si curvò in avanti e vomitò lo scarso contenuto del suo stomaco sul pavimento. Tè, osservò con indifferenza, che John lo aveva obbligato a mandare giù quella mattina, ben sapendo che lui si sarebbe rifiutato di mangiare durante un caso.

Buon, affidabile, prevedibile John. All'improvviso Sherlock voleva solo essere a casa a Baker Street, con gli antidolorifici prescritti, il suo violino, e un dottore dell'esercito brontolone tutto affaccendato intorno a lui. Se solo l'assistente di Mycroft fosse arrivato ...

E improvvisamente, come se li avesse evocati, udì dei piedi correre, e sentì una mano toccargli il viso con molta gentilezza. Gli occhi di Sherlock si spalancarono e per un momento non fu in grado di  elaborare quello che vide.

Mycroft, Mycroft, in ginocchio davanti a lui, che gli toccava la guancia. Strizzò gli occhi, confuso. Quand'era stata l'ultima volta che Mycroft si era mosso per lui? Riusciva a ricordare solo assistenti e autisti, dottori, clienti, che suo fratello aveva mandato da lui.

E soprattutto; quando era stata l'ultima volta che Mycroft aveva corso?

Solo in quel momento Sherlock realizzò che suo fratello gli stava parlando in modo molto sincopato, serio.

"Sherlock? Sono qui, va tutto bene. Guardami. Ci siamo. L'ambulanza sarà qui tra due minuti."

Cercò di dire qualcosa, ci provò davvero, ma non riuscì a coordinarsi.  Rimase quindi in silenzio, a fissare lo sguardo di Mycroft , fino a che delle luci rosse lampeggianti non lo costrinsero a chiudere gli occhi, e una rassicurante oscurità lo inghiottì.




Si svegliò con il bip regolare del monitoraggio cardiaco, e con il leggero russare di John.

Prima di aprire gli occhi, organizzò attentamente i suoi pensieri. Il caso Chris Collins. Trafficanti. Cinque omicidi, tutti opera di un professionista. Il magazzino nell'East End. Ah, sì. Con le spalle al muro, armi da fuoco illegali, un salto mal calcolato dalla finestra del secondo piano. Dolore, richiesta di aiuto. Vaghi ricordi di suo fratello. E adesso l'ospedale, e John.

Sospirò sommessamente mentre ogni pezzo del puzzle andava al suo posto, e aprì gli occhi su un soffitto molto bianco. Dio, sperava di non essere ferito gravemente. Gli ospedali erano così disperatamente, orrendamente noiosi. Cercò di mettersi a sedere con il solo risultato di ritrovarsi con un intenso dolore alla gamba. Un involontario, strozzato suono sfuggì dalle sue labbra.

Il che, ovviamente, sveglio John.

"Sherlock!" disse John, elettrizzato e preoccupato allo stesso tempo. Mise una mano sulla spalla di Sherlock e lo spinse di nuovo giù. "Piano, piano. Non muoverti. Sei ferito."

"Ma dai," disse Sherlock con voce stridula, la sua gola era secca.

John rispose con un vero, genuino sorriso, mentre gli prendeva dell'acqua, "Dio, non mi importa nemmeno del sarcasmo, sono così sollevato. Tu sì che sai come gettare tutti nel panico. Lestrade è persino ritornato in macchina dal Somerset."

 "Solo una gamba rotta e una commozione cerebrale. Noioso", disse Sherlock con aria di scherno.

John divenne improvvisamente serio, e Sherlock lo guardò davvero per la prima volta. Capelli scompigliati, barba corta sulle guance, spalla ferita affaticata. Tutti segnali che indicavano diversi giorni passati su una sedia d'ospedale.

"No," gli disse John. "Non noioso. Quando sei atterrato ti sei rotto praticamente ogni osso del piede. Per non parlare della tua gamba. Frattura esposta. Hai perso molto sangue."

Sherlock lo fissò. Sicuramente si sarebbe accorto del sangue...ma d'altra parte i suoi ricordi dell'intero incidente, fin dal momento in cui si era gettato della finestra, erano molto confusi. Forse era stato incosciente per un po', e poi in stato di shock.

"Ti ho chiamato," ricordò, cercando di capire.

Fu subito chiaro che aveva detto la cosa sbagliata. John impallidì. "Mi dispiace tanto, Sherlock. Avevo tolto la suoneria al telefono. Quando Mycroft mi ha scritto che eri in ospedale, e ho visto la chiamata persa...e poi quel messaggio. Dio, è stato..."

Sherlock si ricordava solo di essere rimasto in silenzio dopo aver ascoltato la segreteria di John. Fissò il suo amico con uno sguardo assente.

John deglutì. "Trenta secondi. Potevo sentirti respirare, gemere. Sembrava davvero grave. Mi dispiace tanto."

Sherlock aggrottò le sopracciglia. "Non è stata colpa tua. E non mi ricordo di quel messaggio, non proprio."

John rispose con un debole sorriso. "Me lo aspettavo. Hai quasi perso la gamba. Sai, tre diverse operazioni. Ma mi hanno detto che ti riprenderai del tutto e, dopo aver visto i raggi,  sono d'accordo."

Era una cosa molto difficile da elaborare. La sua memoria - la sua mente - non lo aveva mai tradito in questo modo prima. Sherlock tentò di guardarsi la gamba, che era appoggiata su diversi cuscini. Era ricoperta da gesso e bende dalle dita dei piedi fin sopra il ginocchio. Poteva sentire i punti  tirare sulla pelle, e un dolore fastidioso e pulsante, ma per il resto stava bene. Ma d'altra parte gli stavano somministrando antidolorifici via endovenosa.

"Mycroft?" chiese. "È davvero venuto da me?"

John annuì. "Non l'ho mai visto in quello stato," disse. "Era livido. Non ci avevo mai davvero creduto prima, ma avevi ragione. L'uomo più pericoloso che abbia mai...che mai incontrerò. Quegli uomini, quelli che ti hanno intrappolato nell'edificio...non sono sicuro di voler sapere cosa gli ha fatto."

Sherlock provò a ricordare cosa potesse aver detto, o fatto, mentre parlava con Mycroft, da spingere il fratello a reagire in quel modo. Aveva pianto, o sbraitato a sproposito, o ...

E poi si ricordò della sciarpa.

"Oh," sussurrò Sherlock. "Oh."




Otto settimane dopo, quando Sherlock fu in grado di muoversi un po' con le stampelle, lui e John tornarono a Baker Street. Sebbene l'alloggio che Mycroft aveva messo a loro disposizione fosse incredibilmente lussuoso (e al primo piano, il che costituiva la sua più grande attrattiva), tornare a casa fu a dir poco meraviglioso.

Sherlock volle a tutti costi lottare da solo con le scale di casa, ma permise a John di stare dietro di lui in caso fosse caduto. Gli era successo spesso, in quei giorni, durante le sedute di fisioterapia.

Quando finalmente entrarono nell'appartamento, Sherlock  crollò sul divano, esausto. John si affrettò a sistemargli la gamba sul bracciolo con il suo cuscino della bandiera inglese. "Posso portarti qualcosa?" chiese.

John era stato assolutamente fantastico da quando quell'incubo era cominciato.  Quando Sherlock pensava che sarebbe morto dalla noia, o soffriva per il dolore, o era così frustrato per i suoi pochi progressi da rifiutarsi di parlare o mangiare per giorni, John lo sapeva, lo capiva, e faceva qualunque cosa fosse necessaria. Persino quando ciò significava urlare e persuadere e incassare ogni insulto che il considerevole intelletto di Sherlock riusciva a concepire.

"Lestrade ci ha portato i fascicoli di qualche altro caso?" chiese Sherlock. Anche quell'uomo era un dono del cielo.

"Te li ho lasciati sul comodino vicino al letto," rispose John mentre si muoveva per la cucina. "Dopo", disse.

Sherlock, essendo Sherlock, non aveva intenzione di tollerare un dopo. Con molta attenzione riuscì ad alzarsi dal divano e afferrare le stampelle. Più velocemente che poté, zoppicò fino alla camera da letto alla ricerca della pila di fascicoli. Ma la sua attenzione fu attratta da un pacchetto involtato con cura.

Esalando un respiro, timoroso di crederci, Sherlock si sedette sul materasso. Doveva toccarlo un momento per esserne sicuro.

La sua sciarpa, fresca di lavanderia, esattamente come la ricordava.

Appuntato sul cashmere c'era un biglietto: Trovata di nuovo. Cerca di tenertela stretta questa volta. - M
  
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