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Autore: nevertrustaduck    09/06/2013    5 recensioni
"...Guardando i suoi occhi per una volta mi sentii a casa. Per una volta credetti veramente di essere importante per qualcuno, sentii di essere nel posto giusto. Pensai che non sarei mai più stata sola..."
Jessica vive in un orfanotrofio da quando ha cinque anni. E' cresciuta sotto l'occhio severo e premuroso di Tess, la sua migliore amica, con la quale ha intenzione di scappare non appena compiuti i diciotto anni. Nessuno si è mai curato di lei, a scuola è una continua derisione per quello che non ha, ma un incontro sul lavoro le cambierà radicalmente la vita. Tutto è innescato da delle coincidenze.
E' proprio vero: la vita è quell'entità che si pone tre te e i tuoi piani per il futuro.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano due ore che non vedevo altro che pareti azzurrognole illuminate da una triste luce al neon.
Tendevo l’orecchio ad ogni rumore e ogni qual volta una persona in camice bianco attraversava il corridoio dove ero seduta saltavo in piedi per riempirla di domande, neanche fossi una giornalista d’assalto.
 Nick era lì al mio fianco, e aveva avuto tutto il tempo per spiegarmi la loro piccola missione di salvataggio.
A quanto pare Kevin era venuto a cercarci al locale, ma vedendo che due tizi che non si potevano propriamente spacciare per miei amici mi portavano via, aveva deciso di seguirli.
 I due l’avevano condotto a quell’edificio (che secondo me ha proprio le fattezze di un ufficio in disuso), dopodiché era tornato indietro a recuperare i fratelli e li aveva condotti lì.
 Un’infermiera bassina e rotonda, con degli zoccoli in plastica colorati ai piedi ciabattò alla nostra sinistra. Delle forcine le tenevano la cuffietta legata ai corti capelli castani, e aveva un’espressione alquanto annoiata in volto.
«Scusi»
Il mio istinto fu più forte di me, scattai in piedi come una molla.
Per tutta risposta la donna mi guardò quasi fosse scocciata.
«Tess Somerset» dissi soltanto.
Buttò un’occhiata stanca alla sua cartellina rosa pallido, sbuffando impercettibilmente.
«E allora?» disse deliziandomi con il suo tono tutt’altro che cortese.
«Vorrei sue notizie. Vorrei sapere come sta, se ci sono miglioramenti, quando potrà ricevere visite… »
«Di visite non se ne parla, gioia. Almeno fino a domani. Sei una parente?» mi chiese interrompendo il mio fiume in piena di domande.
«Sì. Cioè, non proprio. Però praticamente è come se lo fossi, la conosco meglio di chiunque altro» incespicai.
L’infermiera fece una smorfia, scosse la testa segnalando il suo evidente disappunto e fece per andarsene.
«Aspetti» la bloccai afferrandole un braccio. Lei guardò la mia mano allibita e poi mi piazzò i suoi occhi stanchi in volto.
«Mi dica almeno come sta» la pregai.
Cercai di far trasparire tutta la mia preoccupazione, di riversare sulla mia faccia ogni sentimento provato in quella notte sperando che potesse muoversi a compassione ed esaudirmi.
«Stiamo facendo degli accertamenti, la prognosi è riservata» disse liquidandomi.
«E ora, se non ti dispiace potresti lasciarmi il braccio? Ho un turno da portare a termine, e non lo posso di certo passare a fare conversazione» disse mentre la lasciavo andare.
Certo che ti lascio andare, và anche via in fretta.
Nick mi arrivò alle spalle mentre osservavo Miss Disponibilità svoltare dietro l’angolo in fondo al corridoio. Mi concessi di tornare bambina per un attimo e farle una smorfia.
«Jessica» mi rimproverò Nick.
Io sbuffai, voltandomi a guardarlo mentre rideva. La sua risata risuonò per il corridoio e portò un raggio di luce in quel luogo triste e ormai deserto.
«Shh» gli intimai portandomi un dito alle labbra.
«Non vorrai mica farla tornare per sentirti dire che “non può certo sprecare il suo turno preoccupandosi di schiamazzi notturni”» dissi scimmiottando l’infermiera, con l’unico risultato di farlo ridere ancora di più.
«Vieni qui» disse una volta che ebbe smesso, aprendo le braccia.
Io mi avvicinai, fino a posare la testa tra la clavicola e l’incavo del suo collo.
Mi abbracciò, facendomi oscillare dolcemente.
«Pensi che stia bene?» chiesi dopo un po’, alludendo a Tess.
«Mmh» mugugnò in risposta, continuando a tenere la testa poggiata sopra la mia.
«È una tipa tosta, troverà il modo di cavarsela» proseguì.
«Era» lo corressi amareggiata. Avvicinai il braccio al petto, chiudendo il polsino della felpa nel palmo della mano.
«Tornerà ad esserlo, vedrai» disse lui cercando di rassicurarmi.
Mi limitai ad annuire e mi lasciai cullare un altro po’.
«Nick»
«Sì?»
«Non voglio perderla di nuovo» dissi sollevando la testa. La voce era incrinata mentre pronunciavo quelle parole.
«Ehi» disse prendendomi il viso tra le mani.
«Non succederà, okay?» continuò asciugandomi una lacrima ribelle con il pollice.
«Non posso prometterti qualcosa che non dipende da me, ma posso aiutarti a sperare» disse con il tono più dolce e rassicurante che aveva. Poi fissò i suoi occhi color cioccolato nei miei e mi trasmise tutte quelle emozioni che la descrizione a parole può solo che rovinare.
Annuii e accennai un sorriso.
«Okay» dissi a mia volta.
Poi avvicinò le sue labbra alle mie e mi baciò. Mi lasciai trasportare in una dimensione parallela, dove non ero in ospedale a tormentarmi l’anima per la sorte di Tess, dove non avevo appena trascorso una delle nottate peggiori della mia vita, ma ero serena e una delle poche cose di cui mi preoccupavo era di noi due.
Sì, una dimensione un po’ egoistica, ma ideale per evadere ogni tanto.
Mi appoggiai alla sua spalla. «Quegli uomini hanno a che fare con la mia famiglia, non mi lasceranno andare» dissi in un sussurro, più a me stessa che a lui.
«Cosa ti fa pensare che noi lo faremo?» mi chiese in tono serio.
Scossi la testa.
«Non voglio mettervi ancora nei guai. E adesso che so cosa li lega alla mia vita, ho come il sospetto che quei tizi non tarderanno a tornare» dissi andando a sedermi su una delle seggioline si plastica bianca che costeggiavano il corridoio.
Nick si accomodò al mio fianco e io ne approfittai per sdraiarmi posando la testa sulle sue gambe.
«E allora noi li aspetteremo e li affronteremo con le dovute precauzioni. Insieme» disse mentre faceva passare una mano tra i miei capelli, portandomeli dietro l’orecchio.
«Essere una famiglia vuol dire anche questo, non solo ingozzarsi di leccornie ad ogni festività» continuò chinandosi a sfiorarmi la guancia con un bacio.
Sorrisi d’impulso. L’aveva detto davvero: eravamo una famiglia.
IO ero in una famiglia, e non ero più sola come credevo.
Avevo appena ritrovato Tess e giorno dopo giorno imparavo che la famiglia Jonas mi avrebbe insegnato a camminare mentre curava le mie ali spezzate, per farmi tornare a volare, un giorno.
«Cerca di riposare, adesso. Sarai stravolta» sussurrò Nick al mio orecchio.
Chiusi gli occhi sulla mia vista che si faceva appannata e un’altra lacrima mi scese lungo la guancia, ma questa volta avevo le labbra increspate in un sorriso.
Sentivo il cuore battere forte nel petto e dovetti prendere due o tre respiri profondi prima che lo sentissi rallentare un po’.
Quelle poche, apparentemente semplici, parole avevano avuto l’effetto di una scarica elettrica su di me, iniettandomi una felicità nuova che mi permise di riposare, allontanando avvenimenti e conseguenze di quella sera che altrimenti mi avrebbero fatto impazzire.
Ma le sentii comunque.
Eccole lì, che spingevano sulle labbra per uscire prima che scivolassi nel mondo dei sogni.
Due piccole, semplici parole che racchiudevano in loro tutto ciò che avevo dentro e che sentivo crescere ogni giorno di più, radicandosi nella mia anima come una sorta di edera, che cresceva rigogliosa e si spingeva sempre più in alto, non lasciando posto ad altro.
«Ti amo» sussurrai impercettibilmente prima che Morfeo mi catturasse tra le sue braccia.

***

Le luci cominciavano a riaccendersi nel buio, una dopo l’altra, segnalando che la città stava cominciando a risvegliarsi insieme ai suoi abitanti. Il profilo che i palazzi disegnavano sul cielo cominciava a farsi più nitido e i colori cominciavano a diventare contrastanti, uscendo dall’uniformità della notte. Il signor De La Rosa non si perdeva mai uno spettacolo del genere, lo aiutava a riflettere, diceva. Cominciò a spostarsi a passi cadenzati avanti e indietro lungo l’immensa finestra di vetro che lo separava dal mondo esterno. L’osservare quelle vite che tornavano all’opera, alle loro mansioni quotidiane, il controllare le loro azioni senza ricevere la minima attenzione gli dava un senso di potenza.
Incurvò un angolo della bocca verso l’alto, come per simulare un sorriso. Tamburellò le dita affusolate sul vetro, poi vi ci picchiettò due volte e tornò a dedicare la sua attenzione allo studio.
Girò attorno alla scrivania di legno pregiato, facendo scivolare indietro la sedia girevole imbottita. Sollevò con calma alcuni fogli dal tavolo, li impilò e li pareggiò per lunghezza. Poi, fulmineo, andò alla porta e si chiuse a chiave nello studio. Tornò alla scrivania e con le dita cercò un intaglio nel legno. Apparentemente era un ricciolo come gli altri, ma quando lo premette questo fece scattare qualcosa.
Tlack tlack.
Un meccanismo si innescò e fece aprire un cassetto da sotto al tavolo.
Il signor De La Rosa estrasse da lì una cartellina di cartone giallo e vi fece scivolare all’interno i documenti appena ordinati. Poi rimise tutto a posto, accompagnando il cassetto segreto nella chiusura.
L’ombra di un sorriso soddisfatto gli increspò le labbra e si lisciò la barba, compiaciuto. Raggiunse lo specchio in pochi passi, spinto dal bisogno di controllare il suo corpo.
Spazzolò la giacca del completo che fasciava il suo fisico asciutto e tenuto sapientemente tonico da un esercizio continuo. Passò nuovamente le dita sul mento, a controllare che la sua barba fosse tagliata sempre alla stessa lunghezza. Sorrise nuovamente, soddisfatto del risultato. I suoi occhi scuri si mossero rapidamente sul viso del suo riflesso, studiandone gli zigomi sporgenti e le sopracciglia folte e scure, che donavano al volto un’espressione austera. Tutti avrebbero rispettato quel volto, un giorno.
Qualcuno bussò alla porta, facendolo distrarre dalla sua contemplazione.
«Sì?» rispose in tono seccato.
«Sono Roland, signore. Ho notizie sulle prigioniere» disse una voce fuori dalla porta. De La Rosa andò a sbloccare la serratura e tornò alla finestra, dicendo all’uomo di farsi avanti.
«Ebbene?» incalzò congiungendo le dita, una volta che l’uomo lo ebbe raggiunto mantenendo sempre la distanza che imponeva la sottomissione.
«Le ragazze non si trovano più nell’edificio, signore» disse l’uomo rimanendo in piedi, le braccia rigide lungo i fianchi.
«Mi auguro che questo implichi il loro trasferimento in un luogo più consono» suppose con calma De La Rosa, sedendo sulla sedia e voltandosi verso la finestra.
«No, signore. In realtà loro sono… scappate» disse l’uomo temendo la reazione del suo capo all’accaduto.
«Scappate» ripeté De La Rosa quasi divertito. «Confido nel buon senso dei miei uomini nel non aver rivelato loro alcun dato riguardo i nostri affari» proseguì, tornando a mostrare la faccia al suo interlocutore. Questo rabbrividì.
«Jessica Switcherson è stata interrogata per vedere cosa ricordava dell’omicidio avvenuto dodici anni fa» disse l’uomo.
De La Rosa trasse un respiro profondo, come se cercasse di trattenere la rabbia, ma quando parlò la sua voce continuò ad essere calma. «Chi si è fatto carico di una decisione così importante privo del mio consenso?» domandò.
«Nielsen, Craig Nielsen signore» rispose l’uomo senza esitazione.
«Bene» disse De La Rosa con un sorriso affabile. «Roland, dì a Craig che l0 aspetto qui. Come sai è norma nella nostra comunità premiare le azioni degne di lode» continuò.
Roland annuì convulsamente e, dopo aver salutato rispettosamente, uscì dalla stanza per adempiere al suo compito.
«Bene» ripeté De La Rosa. Qualcuno aveva dato la conferma a quella ragazzina di qualcosa che non avrebbe neanche potuto immaginare. E adesso quella ragazzina non era sotto il loro controllo, e quelle informazioni potevano raggiungere orecchie indesiderate.
Bene.
Aprì un cassetto alla sua sinistra e fece roteare le dita per scegliere l’oggetto più appropriato. Avvolse la mano attorno al metallo chiaro e posò l’oggetto sulla scrivania, mentre prendeva tutto il necessario.
Avvitò con calma il cilindro del silenziatore alla fine della pistola e inserì un colpo in canna, abbassandone il cane.
In quel momento bussarono alla porta.
«Bene».

Salvee! Quattro parole: CE L'HO FATTA.
Sì, finalmente è finita la scuola (manca un giorno, però è come se fosse già finita!) e io finalmente potrò dedicarmi a voi a tempo pieno, senza lasciarvi in attesa per periodi interminabili! c:
So che siete contente almeno quanto me per questa notizia *w*
Il "ce l'ho fatta" è riferito anche ad un'altra cosa. SONO RIUSCITA A VEDERE DAL VIVO DEMI LOVATO. Mio Dio, ancora non ci credo.
So che non dovrei parlarne perchè molta gente non ne ha avuto l'occasione, ma è più forte di me, scusate. Non ne parlerò più poi, promesso!
E' VERA, vi rendete conto? Non è un personaggio frutto della mia immaginazione che vive nel mio pc, ma è ancora più bella e fantastica di quello che sembra e ci ama. Tutti.
Va bene, non mi dilungo altrimenti vado fuori dal contesto, ma per aventuali approfondimenti potete contattarmi tramite messaggio privato c:
Grazie per essere rimasti, spero che qualcuno stia ancora seguendo questa storia c':
Vi voglio bene, grazie davvero per essere dei lettori fantastici ❤
Un bacione,
Miki
   
 
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