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Autore: SofiaVoglino    09/06/2013    5 recensioni
[dal capitolo 8]
- Come fai a essere così tranquilla?
- Semplicemente credo che non riuscirò mai a sopravvivere ai Giochi.
Questo è quello che pensava Victoria. La fortuna non sembra essere a suo favore, non dopo che è stata estratta: scelta per rappresentare il suo distretto, il 4, ai 72esimi Hunger Games, scelta tra mille per andare a morte, quasi certa. Ma il suo nome (forse profetico?) sembra dire tutt'altro.
P.S. Se leggete, lascereste le vostre impressioni? Questa è la mia prima fanfiction, e apprezzerei davvero qualche recensione :)
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Finnick Odair, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 5: La visita

 

Mi faccio coraggio e spalanco la porta. La leggera brezza che arriva dalle finestre aperte mi da un po’ di sollievo. Per un attimo, dimentica di ciò che devo pensare, dire o fare, sento i muscoli allentarsi, e quasi mi sento di buon umore. Seduti composti su un grande e confortevole divano, ci sono i miei genitori, Rick e Fanny. Davanti a me rappresentano le gradazioni e le sfumature di paura.

A sinistra, mia madre: bianca come un cencio, se ne sta lì, immobile, incapace di parlare. Ha in mano un fazzolettino di stoffa, che per la rabbia, continua a stropicciare e a tirare. Gli occhi verdi, lucidi e sbarrati, fissano la porta. Il mio ingresso suscita in lei un urlo disperato: “No! Non la mia bambina!” grida, in preda alla rabbia.

Mio padre, al suo fianco, le stringe la mano, e da dietro gli occhiali mi lancia uno sguardo ferito. So che questa sarà l’ultima volta che lo vedo. Anche lui sembra esserne consapevole. La sua mancanza di reazione è inquietante, ancor più di quella della mamma: solo delle lacrime silenziose gli rigano il viso.

Rick non sembra molto spaventato: non perché non mi vuole bene, ma perché sa quanto io possa star male, e cerca di evitarmi altri dispiaceri inutili. Si alza e mi viene ad abbracciare. Un suo gemito mi fa capire che anche lui, come me, sta cercando di non piangere. Il mio ometto. Il mio dolce Rick. Il bambino che dovrà crescere senza una sorella, e , ancora peggio, che probabilmente la vedrà morire con i propri occhi.

Fanny, la più tranquilla di tutti, mi fissa con uno sguardo dispiaciuto, pieno di rammarico, ma riesce a sorridere. Anche lei, come prima ha fatto Rick, si alza e mi cinge in un abbraccio. In un tono così basso, che solo io riesco a percepire, sussurra: “Scusami. Avrei dovuto offrirmi volontaria. Tu hai la tua famiglia. Tuo fratello. Io non ho nessuno. Nessuno sentirebbe la mia mancanza”.

“Ma cosa dici?! Tu hai me. Hai i miei genitori, che ti vogliono bene come a una figlia. E poi non potrei vivere con il peso del tuo sacrificio per salvare me”.

“Ti voglio bene, Vi”

“Anch’io te ne voglio. Ma non fare cretinate, mentre sto via. Potrei anche sostituirti con un altro nella classifica dei migliori amici”. Le sorrido, maliziosa.

“Ah sì? E dimmi, chi sceglieresti?”

“Beh… il mio nuovo migliore amico potrebbe essere Ian”. Ripenso all’espressione scocciata del ragazzino, agli sguardi ostili che mi ha lanciato, alla sua alterigia, e continuo “No, meglio di no!”. Scoppiamo in una risata. Dopo un po’ Fanny dice:

“Lo conosco”

“Chi? Ian?”

“Già… anche lui è come me. È un orfano. Quando vivevo nell’Istituto c’era anche lui. All’inizio credevamo fosse muto. Poi abbiamo capito che non parlava per il trauma che aveva avuto: i genitori erano dei ribelli. Avevano cercato di fuggire dal distretto, ma i Pacificatori li avevano sorpresi e arrestati. Poi ci fu il processo. Sentenza di morte. E così furono uccisi in piazza, davanti a tutti. Vi assistette anche Ian.”

“O mio dio!” esclamo io, senza altre parole per esprimere la mia indignazione. Ma a questo punto una domanda mi sorge spontanea. “E quel ragazzo, Henry, era…?”

“…il migliore amico. Viveva anche lui nell’Istituto. Lui però è zoppo. Vittima di una mina non disinnestata al limitare del distretto. Che, oltre tutto, fu la causa della morte del padre di lui. Erano diventati praticamente fratelli. Henry era l’unico a riuscire a calmare Ian dopo i suoi incubi ricorrenti. E l’unico che riusciva a farlo parlare.”

Un Pacificatore bussa alla porta e tuona “Ancora un minuto”.

Corro da mia madre, le stringo con le mani il mento e faccio in modo tale che mi guardi dritta negli occhi. “Tesoro, non-“ la voce le resta bloccata in gola. “Mamma, shhh” le dico io, cercando di placare quei penosi singhiozzi. Le do un bacio sulla guancia, e sento il salato delle sue lacrime sulle mie labbra.

Vado da mio padre, che, muto, mi offre l’incavo del suo collo, dove affondo il volto, inspirando il suo odore, e cercando di memorizzarlo e tenerlo a mente anche nell’Arena. Salsedine, pino e cipresso.

Con un cenno di mani, anche gli altri due della compagnia mi salutano.

Il Pacificatore fa irruzione nella stanza e ricorda: “Il tempo delle visite è finito”.

Mi giro verso la porta, lanciando un’ultima nostalgica occhiata verso di loro. E all’improvviso Fanny urla: “Vi, io credo in te!”.

   
 
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