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Autore: _Frency_    10/06/2013    1 recensioni
Dal testo:
[...] Lei, la ragazza senza nome dallo sguardo assente, aveva dei meravigliosi occhi verdi speranza. Una speranza così forte e disarmante da palesarsi in tutta la sua meraviglia. E tutta la speranza che celava in fondo a quegli specchi smeraldini sembrava aver abbandonato il suo corpo, per andare a rifugiarsi solamente nei suoi occhi. [...]
Lei si chiama Nesta. Come il secondo nome del famoso Bob Marley. Non è nessuno e non cerca di diventare qualcuno. Agli occhi di molti è senza età, e ad altrettante tante persone appare molto più trasandata e provata dei suoi coetanei. Ha una famiglia numerosa, ma non ha genitori. Anzi sì, ci sono, però sono lontani. O forse è lei ad essere distante da loro. Patita del reggae, è una fumatrice incallita e odia ballare. Non è bella, almeno non a prima vista: è strana.
Quando i Tokio Hotel al gran completo fanno la sua conoscenza, è un caso: Bill e Nesta sono ricoverati nello stesso ospedale, ma per motivi ben differenti. Nesta non ha paura della morte, ma non per questo si definisce coraggiosa, no. Lei si definisce incosciente. Quando la sua vita si ritrova legata a quella di "quattro mocciosi ricchi sfondati" come li definisce lei, non è felice. Affatto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ricami sul Cuore.'
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Capitolo 10: Broken.

§
 

Sospiri.

La stanza se ne era colmata ben presto. Erano un suono meraviglioso, almeno alle orecchie dei due ragazzi.

Mani.

Nesta aveva le mani dalle dita lunghe e affusolate, e al pollice della sinistra portava un semplice anello d’argento, che ad essere sincero non aveva mai notato prima. Aveva le mani fredde che si erano scaldate nell’arco di brevissimi secondi.

Capelli.

A Tom in genere piacevano i capelli delle ragazze, di tutti i tipi: biondi o bruni, lunghi o scalati. Gli bastava poterci immergere le mani, gli bastava poterci giocare. I capelli di Nesta, invece, così conciati non gliene davano la possibilità. Stranamente, non gli interessava più di tanto.

Occhi.

Eccoli lì, quegli specchi limpidi velati da chissà quale sentimento. Più li guardava e più si incantava: quanto sfumature celavano? Quelle pagliuzze dorate vicino alla pupilla da dove provenivano? Non le aveva mai riscontrate in nessun’altra ragazza, e in lei erano ben visibili, soprattutto standole così vicino.

Barriera.

E quel muro con cui lei fino a quel momento si era protetta, adesso dov’era? Sempre lì, invalicabile e inattaccabile da qualsiasi sentimento, oppure lui era riuscito a farvi breccia? Tom avrebbe tanto voluto saperlo, ma preferiva non toccare l’argomento per un po’. 
Dopotutto, l’unico vero muro che al momento aveva davanti era quello bianco della salotto, dove spiccavano alcune foto dei Tokio Hotel al gran completo. Perché preoccuparsi?

Nesta si era fatta di nebbia all’alba, lasciando Tom solo, rannicchiato alla meno peggio sul divano. Probabilmente non lo avrebbe mai ammesso, ma aveva provato uno strano senso di vuoto quando, svegliandosi, si era accorto dell’assenza della ragazza.

Scappi?

Se lo era chiesto molteplici volte, ma in quell’occasione la domanda che tanto gli premeva sul cuore necessitava di una risposta, al più presto. Non poteva più rimandare, e anche Nesta se ne era resa conto presumibilmente. Si stava ancora arrovellando su quei dubbi, quando suo fratello aveva fatto il suo silenzioso ingresso nel salotto. Gli aveva lanciato uno sguardo bieco, occhieggiando la maglietta spiegazzata che Tom indossava e un paio di cuscini caduti miseramente sul parquet.

-Che fai, mi racconti tutto spontaneamente o devo scucirti le informazioni a forza?- domandò Bill, facendogli cenno di seguirlo in cucina. Tom mugugnò, rimanendo sdraiato sul divano e stiracchiando braccia e gambe.

Temo dovrai sfoderare le tue doti persuasive una volta ancora, gemellino…

Mentre i due fratelli si apprestavano a intrattenere una lunga chiacchierata mattutina, Nesta cercava la via di casa. E, nel frattempo, racimolava anche il coraggio per ripresentarsi davanti alla sua famiglia. Sapeva di non meritarsi comprensione dai suoi fratelli, perché era la prima a negarla agli altri, ma sperava anche di non essere cacciata con eccessiva durezza. In fondo al cuore, confidava che i suoi fratelli provassero ancora un briciolo di amore nei suoi confronti. Era leggermente angosciata, nonostante sapesse che, più in basso di così, non poteva cadere. Forse.

Il portone del palazzo era socchiuso; lo aprì con una lieve spinta della spalla. Socchiuse gli occhi – era ancora stanca, nonostante il soggiorno dai ragazzi – e prese un profondo respiro. Avrebbe affrontato anche quello, l’ennesima conseguenza delle sue scelte avventate.
Aveva aperto Denise, con il suo sorrisino ingenuo e tenero. Le aveva gettato le braccia intorno alla vita appena Nesta aveva messo piede in casa, e l’aveva stretta a sé. Presto anche Daphne le aveva raggiunte, abbarbicandosi alla gamba della sorella. Ben presto la sorella maggiore si era ritrovata avvolta da quel meraviglioso calore che era l’affetto delle due sorelline.

-Le mie stelline- ripeté più volte Nesta, con il volto immerso nelle chiome delle due bambine.

-Bambine, chi c’è che…- la voce di Jacqueline era arrivata come una pugnalata al petto di Nesta, una doccia fredda che sembrò svegliarla dal suo torpore.

Nonostante questo, rimase con il volto nascosto. Aveva sentito un rumore ben distinto, come qualcosa di fragile che si frantuma al suolo, accompagnarsi alla domanda di J-Line. Alzò il viso: suo sorella le stava di fronte, con gli occhi sgranati e le mani ancora atteggiate come per reggere il vaso che adesso giaceva al suolo in mille cocci colorati.

Schegge.

Tante, veramente tante. Sottili, spesse, acuminate o levigate. E a Nesta parve che non solo il vaso si fosse frantumato, ma insieme con esso anche il suo cuore, che ora giaceva spezzato nel suo petto mentre mille schegge le ferivano la pelle.

Acqua.

Rivoletti d’acqua bagnavano il pavimento e le ginocchia della ragazza, accucciata su esso insieme alle gemelline. Non seppe dire con sicurezza quando, a quell’acqua fredda, si aggiunsero le sue lacrime calde.

Fiori.

Erano orchidee, quelle che tanto amava Jacqueline. Di un bel porpora intenso, vivido. Sparse scompostamente sul pavimento, sembravano l’opera di un artista confuso, dove la luce giocava uno strano ruolo: non illuminava i fiori, bensì serviva per crearvi sopra strani intrecci di ombre.
Nesta si aspettava che Jacqueline facesse qualcosa, qualsiasi cosa. Invece, si limitò a sedersi anche lei sul pavimento coperto di cocci, incurante di procurarsi eventuali tagli. E pianse silenziosa, ponendo una muta domanda alla ragazzina che le si trovava difronte, ma che stentava a riconoscere come sua sorella.

E adesso?

Jacqueline le aveva chiesto di scegliere. Di decidere, una buona volta, cosa fare: scomparire per sempre dalla loro vita, o magari ricominciare da capo. Insieme. Nesta era rimasta interdetta da quella specie di ultimatum: solitamente lei non sceglieva, no, lei subiva le conseguenze delle decisioni altrui. Era rimasta silenziosa qualche istante, mentre le due gemelline le si stringevano convulsamente contro, implorandola silenziosamente di non abbandonarle. Si era resa conto, però, che se fosse restata non avrebbe cambiato la situazione, anzi. Era una nota stonata in quella famiglia di sopravvissuti, era brava solamente a creare problemi e malintesi. Però… però era la sua famiglia, nonostante tutto. Era l’unica cosa buona che le rimaneva, in mezzo a tutto quel marcio. C’era anche Tom, era vero, ma come avrebbe potuto avere l’ardire di definirlo suo?

-Proviamo a ricominciare, Nesta. Proviamoci- sussurrò Jacqueline, anche se era palese la sua scarsa convinzione.

-Non ha senso. Tanto dopo un po’ ricomincerebbero i problemi, io non sarei in grado di affrontarli e scapperei. Come sempre- aveva sbottato Nesta.

-Se parti così prevenuta, però, non ci aiuti di certo!- sbottò Jacqueline, la cui pazienza non era certo infinita.

-Lo vedi? Vedi? Anche adesso siamo già ai ferri corti io e te. Dobbiamo cercare di… di… Merda, nemmeno io lo so cosa dobbiamo fare per andare avanti!- aveva quasi urlato Nesta, con disperazione. Si sentiva sprofondare sempre più, ed era stanca e sentiva l’avvicinarsi dell’ennesima crisi. Era stanca di quella vita, ma non poteva fare altro che trascinarsi avanti, come una bambola rotta.

Si erano ripromesse di provarci. Avrebbero cercato di salvare il salvabile, di essere tolleranti e, soprattutto, avrebbero cercato assolutamente di proteggere le gemelline da eventuali eccessi d’ira, come era capitato in passato. Christian, tornato a casa, aveva gettato le braccia al collo della sorella, stringendosela al petto e cullandola fraternamente, carezzandole i capelli e cercando di farla sentire al sicuro. Non fece domande, soprattutto a proposito dei mille cocci sparsi in salotto, che brillavano sul pavimento come gemme preziose.

Quella sera, seduta sul parapetto del suo adorato tetto, Nesta non poté fare a meno di dedicare un momento a Tom. In tutta quella tempesta, in tutto quel mare di persone, tra rapporti che andavano in pezzi ed altri che si consolidavano, lui era il suo unico punto fermo. In tutta quella incertezza, in quel dolore sordo che la stordiva ogni giorno di più, lui era lì. Reale, vivo. Felice. Era uno spiraglio di luce, le dava la speranza. Peccato che avesse dovuto arrivare a tanto per capire che, in fondo, lei a Tom voleva bene. Un tipo particolare di affetto – molto profondo e sincero - difficile da trovare, un legame forte che raramente unisce persone così diverse. Avrebbe desiderato che in quel momento fosse lì con lei. Avrebbe voluto stringersi contro il suo petto, ascoltare il rimbombare rassicurante del suo cuore e respirare a pieni polmoni il suo profumo così buono. Avrebbe voluto spiegargli il perché di tutte quelle follie, il suo terrore per l’avvenire, il suo preferire lasciarsi totalmente andare, senza conservare mezze misure. Avrebbe voluto confessargli il perché vedesse il mondo solo bianco o nero, senza riuscire cogliere quelle migliaia di sfumature che vi erano in mezzo.

Rastaman, arriverà il momento…

Socchiuse gli occhi, lasciando che il vento lieve le scompigliasse i capelli. Cercò di rilassarsi, ma il suo corpo si tese l’istante subito dopo, quando un paio di mani le oscurarono gli occhi. Sentì un respiro caldo sul collo, e sorrise a fior di labbra.

Coincidenza, Rastaman?

-Allora, indovina un po’ chi sono- le bisbigliò una voce ben conosciuta all’orecchio.

-Umm, ma chi sarai mai… Non so proprio cosa pensare!- fece, fintamente pensierosa.

-Ragazzo, giù le mani- sbottò poi, come pentitasi di quell’istante di eccessiva giocosità.

-Che palle, ma verrà mai il giorno in cui mi chiamerai per nome?- sbuffò il ragazzo, senza lasciare la presa sul suo viso.

-No, penso di no. Ora mollami-

-Prima dì il mio nome. Non ho mai avuto la fortuna di sentirlo dalle tue belle labbra-

-Sei assillante- berciò lei, stizzita, mentre incrociava le braccia al petto.

-No, hai sbagliato gemello: quello assillante è Bill, io sono quello che rimarca i concetti- rispose Tom con ovvietà, come se stesse spiegando un concetto piuttosto semplice ad un bambino piccolo.

-Ah, tu “rimarchi i concetti”, eh? Beh, lasciameli rimarcare anche a me: sei assillante e pretendi sempre di avere ragione- sbottò Nesta, divertita, sotto sotto, dalla piega che stava prendendo la conversazione.

-Ma è per questo che mi adori, in fondo, no?- sussurrò lui, avvicinando il volto al collo della ragazza.

-No, è per questo che ti prenderei a ceffoni da mattina a sera, ragazzo-

-Stronza- ribatté il ragazzo fintamente offeso.

-Sì, lo so che mi vuoi bene, non c’è bisogno che lo ribadisci tutte le volte-

Esasperante, ecco com’era quella ragazza. Eppure, Tom la trovava decisamente intrigante anche se piena di difetti. Ad ogni modo, non lasciò cadere le mani dai suoi occhi, anzi, serrò ancora più le dita.

-Come la mettiamo, ragazza? Dici il mio nome e ti lascio andare o restiamo qui così?- domandò Tom.

"A me ve benissimo in ogni caso", a
vrebbe voluto aggiungere. Rimase in silenzio, aspettando una decisione da parte della sua“ragazza”.









My Space:

Ebbene sì, vi lascio così, senza svelarvi altro.


Ahaha, sono tornata!

Mi scuso profondamente per non aver aggiornato ieri, ma non ne ho avuto veramente il tempo. Dai, non è un ritardissimo, giusto un giorno...  :)

Due parole sul capitolo e poi mi faccio di nebbia come la nostra protagonista. Proprio da lei incomincio, specificando una cosa: Nesta è umana, ha le sue debolezze e le sue paure. Nesta è umana, e dopo aver lottato a lungo per nascondere questa sua umanità, le sue barriere cominciano a cedere. A rompersi.
Tom, invece, è sempre Tom (per fortuna, direte voi): dolce e scontoso allo stesso tempo.
Basta, non aggiungo altro.

Ci si vede mercoledì e sarò puntuale, promesso! ;)

   
 
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