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Autore: Horrorealumna    10/06/2013    2 recensioni
C’è un posto abbandonato e dimenticato nel profondo del cuore di ogni essere umano, dove la realtà e la finzione sono un’unica cosa, dove la verità e la bugia non hanno alcun valore e la paura del silenzio non esiste, così come quella della morte.
E io ne ero completamente a conoscenza.
Il resto del mio cuore era accanto ad una bambina sui sette anni, dai capelli corti e neri, in una città lontana, chiamata Silent Hill.
Genere: Horror, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Mason
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fear of ...'
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UN MOSTRO NEI SUOI OCCHI
 

Libero.
Camminai lungo la strada tortuosa e deserta per... Dio solo sa quanto tempo! E quando il cielo iniziò a schiarirsi per il sorgere del sole, cominciai ad inciampare nei miei stessi passi. Stringevo la neonata al petto, ma sembrava non aver ancor dato segni di vita: il petto era immobile, le labbra bianche e sottili e gli occhi chiusi. Fredda quasi quanto la neve, assorbiva inutilmente il mio calore corporeo.
La sentivo come un peso, ma non l’avrei mai abbandonata per strada.
Avevo il cuore che ancora sanguinava per la mia piccola Cheryl... come potevo sopportare la vista di quell’altra bambina?! Era un’estranea, proveniente da Alessa e da Silent Hill... nata morta... non potevo stare più male di così!
Avevo ancora nelle orecchie e nella mente, gli orribili ruggiti di Samael e il pianto della ragazzina... o forse li confondevo col rombare dei motori e dal fruscio delle foglie? Ero davvero tornato alla realtà? Anche con i vestiti sporchi di sangue e senza mia figlia?
Non si era ancora fatto giorno, quando, finalmente, scorsi una strada parecchio trafficata, che portava ad una città chiamata Shepherd’s Glenn. Ero in pendenza, in cima ad una piccola collina, e alla mia sinistra c’era una spettacolare vista sul lago Toluca. Ricordai che quella che dovevamo passare io e Cheryl avrebbe dovuto essere una vacanza... ma si era rivelata un incubo ad occhi aperti. Avrei giurato, su tutto quello che avevo... che ero davvero andato all’Inferno e uscito sano e salvo.
Chiusi gli occhi per un attimo, respirando a pieni polmoni; quando riaprii le palpebre, la figura di Alessa Gillespie, in abito blu e capelli raccolti, fece la sua apparizione al mio fianco.
- No - sussurrai a voce rauca, correndo via da quelle ombre.
Anche se ero sopravvissuto, anche se ce l’avevo fatta, ero marchiato per la vita. Non avrei certo dimenticato l’odore pungente del sangue e non avrei mai scordato il sorriso sadico di Dahlia, la sua risata e le sue intenzioni. O Kaufmann. O le lacrime di sangue di Lisa. O i consigli di Cybil.
Un reietto.
Un ex-detenuto che se ne torna a casa dopo anni di ingiusta prigionia.
Ecco, mi sentivo proprio così.
 
Dovetti sembrare spaventoso alla moltitudine di persone che, dai finestrini delle loro automobili, mi fissavano con diffidenza, sui miei vestiti sporchi e sulla mia faccia sconvolta. Notai molti bambini ridacchiare, anche per una frazione di secondo, e molte donne cercare di capire cosa tenevo tra le braccia.
La verità era che neanche io ne ero a conoscenza: potevo benissimo tenere in braccio l’anticristo in persona, e non me ne sarei nemmeno accorto.
Riuscii, quasi per miracolo, a scavalcare il guardrail insieme alla neonata e ad entrare nella spaziosa carreggiata. Non avevo idea di dove andare, né cosa fare. Mi limitai ad osservare ogni singola auto e camion di passaggio, indeciso sul da farsi, e con un pizzico di invidia.
Allora, mi sedetti, esausto sulla barriera di ferro alle mie spalle, con l’aria gelida che mi scompigliava i capelli sporchi, e fissai il fagottino che mi ero ritrovato a trasportare: un ciuffo di corti capelli neri le cadeva sulla fronte bianca, sfiorandole gli occhi. La scossi un po’, ma bastò solo a farle muovere in modo violento e inanimato la testa; avvicinai poi il mio orecchio al suo faccino, in cerca di un accenno di respiro.
Niente da fare.
La catenina del medaglione di Alessa le stava troppo largo, tanto che le circondava completamente le spalle, quasi cingendola. Lo aprii, colpito dalla curiosità: il liquido scarlatto, l’Agloaphotis, si era solidificato, assumendo le sembianze di un sassolino rosso. Non capivo a cosa mi sarebbe più servito. Certo, un esorcismo, per liberarmi dai fantasmi del passato e da quelli della “città silenziosa” mi avrebbe fatto comodo.
 
Ad ogni secondo che passava, mi sembrava di sentire il corpo della “figlia” di Alessa, diventare sempre più rigido e freddo. La ciocca di capelli scuri ondeggiava al vento , arricciandosi e agitandosi. Nient’altro di lei si muoveva.
Il fantasma della luna, nel cielo, era chiaro e quasi trasparente, segno che il sole era prossimo a sorgere. L’aria divenne ancora fredda, sebbene fosse pieno luglio.
Luglio.
Ero arrivato a Silent Hill il 16 Luglio... quindi, quella, era la mattina del 17 Luglio... 1983.
Volevo liberarmi di quella città... di qualunque cosa me la facesse tornare per la mente. La mia tremante mano destra si infilò nelle tasche della giacca, e gettò via tutto quello che vi trovò dentro...
La mappa scarabocchiata della città... alcuni schizzi dell’album di Cheryl... il resto delle bende che ancora mi fasciavano la spalla... un coltellino... la torcia... la bottiglia di plastica...
Fui però indeciso su cosa fare, quando mi ritrovai nella mano la rossa radiolina tascabile che trovai, una volta sveglio, nel cafè della Vecchia Silent Hill, dove il mio incubo ebbe inizio. Mi salvò dai pasticci e dai mostri innumerevoli volte. Strano, mi ci sentivo quasi affezionato. Eppure era vecchia, mezza scassata e la vernice rossa sembrava non dover durare ancora a lungo.
La rigirai tra le mani, un’altra volta, contento di non sentirla più emettere quel maledetto statico rumore, per poi rificcarla nella tasca vuota.
Non avrei saputo che farmene.
- Sei uno stupido - dissi a me stesso, lo sguardo ancora sulle vetture.
 
Non passò molto tempo da quella mia insignificante insinuazione, che un’auto decise di accostarsi proprio davanti a me. Scattai in piedi, ringraziando il cielo e stringendo più forte il cencio senza vita che tenevo tra le braccia.
L’auto era una piccola jeep nera, abbastanza simile alla mia macchina, per modello. Il conducente era un ragazzo sulla trentina, capelli rossi e vestito elegante, e mi guardava dritto negli occhi. Accanto a lui, c’era una ragazza dai capelli biondi ricci e lunghi, mi guardava con sincera curiosità e un grande sorriso.
Non avevo la più pallida idea di chi fossero.
- Va tutte bene? - mi chiese il ragazzo.
Scossi la testa, cercando di nascondere il volto della neonata morta. Avrebbero potuto pensare qualsiasi cosa... ma mi trovavo un cadavere tra le braccia!
Gli occhi della donna caddero sui miei vestiti sporchi e rimproverò l’amico:
- Non sta bene! Non vedi com’è conciato! - disse forte, per poi rivolgersi a me, dolcemente - Ho chiesto io di fermarci a controllare.
Lei indossava un largo vestito color panna... e notai un rigonfiamento all’altezza del ventre.
- Devo... tornare a casa... - dissi confuso. Era un’allucinazione o realtà?
- Dove sei diretto? - mi chiese l’uomo, gentilmente.
Casa, Harry! Casa!
- Casa... - risposi - Casa. Vivo a Portland...
La donna mi sorrise:
- Incredibile! Anche noi siamo diretti per Portland! - rise - Torniamo a casa dalla nostra vacanza.
- Già...- asserì l’uomo, con non molto entusiasmo.
- Ma ti è successo qualcosa? - continuò la donna, all’improvviso preoccupata - Non hai l’auto. Sali in macchina, così ci racconti cosa è successo.
Non sarebbe bastata un’intera enciclopedia per riferirle cosa aveva davvero passato. Comunque, le sorrisi e la ringraziai di cuore. Mi sembrava impossibile. Ero tornato alla realtà...
Non sapevo se era stata la fortuna a farmi incontrare quella coppia... o qualcos’altro. Sapevo solo che stavo davvero tornando a casa.
Portavano la fede, dovevano essere sposati da poco. Erano così giovani...
 
Silent Hill era oramai lontana, quando la donna, che si era presentata col nome di Juliet, mi chiese cosa ci facessi, sporco e solo, in mezzo alla strada.
- Incidente - le risposi attirando anche l’attenzione dell’uomo, Christian - Un terribile incidente.
- Sei sporco di sangue! - mi rimproverò, con aria addolcita - Sicuro di stare bene? Ci siamo spaventati quando ti abbiamo visto per la strada. Potevi farti ammazzare!
- Che incidente, Harry? - mi chiese l’uomo.
Posai la neonata sul sedile, coprendogli il volto. Dovevo inventare qualcosa... e subito!
- Ehm... incidente d’auto. Nei pressi di Silent Hill - risposi velocemente, senza troppo indugiare sul nome della maledetta città - Ero con... mia moglie. Ma...
Juliet prese a fissare il fagotto della neonata e lo indicò curiosa:
- Scusa la domanda, ma cos’è quello?
Aveva tutte le ragioni per chiedermelo: era sul sedile della sua macchina!
Christian la interruppe:
- Dov’è tua moglie? Eh?
- Lei? - sussurrai con dolore - Non ce l’ha fatta, no.
- Cazzo! - si lasciò sfuggire il ragazzo, strofinandosi il naso con la mano; il viso della sua ragazza si corrucciò in un’espressione di dolore, che quasi mi rese capace di rimangiare le parole dette. Ma non mollò l’osso facilmente.
Ancora concentrata sul fagottino, mi sussurrò:
- Cos’è quello, Harry?
Le feci un cenno col capo, impercettibile, ma che lei capì: afferrò l’ammasso di stoffa e lo aprì sulle sue ginocchia: scoprì il freddo volto della bambina, i suoi capelli scuri... esattamente come l’avevo lasciata.
Ma, stranamente, non sussultò. Disse, dolcemente:
- E’ bellissimo. Maschio o femmina?
- Femmina... - sussurrai sfinito, abbandonando la testa sul finestrino gelato quasi quanto la neonata.
- Tua figlia? E’ stupenda. Dorme... - continuò, ridandomela - Anche io aspetto una femmina. Spero sia carina come lei.
Come aveva fatto a non notare il pallore della bimba? Come aveva fatto a non sentirla respirare?
- Sì... - sussurrai, rimettendola con più delicatezza sul sedile accanto a me.
 
Seguivo le ombre del paesaggio, lasciando correre i pensieri. Nuovi propositi... nuove idee...
E quando il primo raggio di sole, ancora timido e freddo, nascosto dall’orizzonte, colpì i miei occhi, mi sentii rinascere. E percepii qualcosa sfiorarmi con delicatezza la gamba sinistra.
Non ci feci molto caso, all’inizio, ma quando il contatto si fece sempre più insistente decisi di voltarmi. E quasi non credetti alle mie orecchie quando un gemito sommesso mi regalò mille brividi lungo la schiena.
Il mucchio di stoffa bianca e rosa si muoveva con debolezza e lentezza.
Ed emetteva deboli gorgoglii.
Lo presi tra le braccia, allora, con gli occhi spalancati e il cuore che batteva a mille.
- Non può essere - sussurrai e scoprii il volto della bambina: era viva!
Il volto le era diventato roseo e le guance sembravano essersi riempite, rendendola ancora più attraente di prima. Il ciuffo nero continuava a caderle sulla fronte. La bocca era piegata in una smorfia, visto che sembrava prossima al pianto. Ma, non appena fu toccata dal sole, aprì gli occhi. Due immensi occhi color nocciola che, colpiti dai raggi del giorno, davano l’impressione di essere verdi.
Ci guardammo, in silenzio per qualche istante. La bocca socchiusa sembrò curvarsi in un debole sorrisetto.
- Cosa succede? - chiese Juliet - E’sveglia?
Ma non le stavo dando ascolto: la sua calda e paffuta manina era serrata attorno al mio dito e sembrava non avere alcuna intenzione di lasciarmi, mentre l’altra stringeva il medaglione che portava al collo.
Non era Cheryl... poteva essere Alessa?
Si era svegliata, sì.
Non riuscivo a lasciarla andare... né potevo interrompere il nostro sguardo.
Le toccai la gota destra, quasi solleticandola, e mi regalò un dolce sorriso.
Non era Cheryl...
Non era Cheryl...
- Cheryl - sussurrai  piangendo alla neonata, lasciando correre le lacrime sul mio viso - Cheryl...
 
 
Non era Cheryl.
Era tutto quello che mi bastava sapere.
Era stata dura ricominciare. Ricominciare tutto. Dall’inizio. Solo.
I mesi che seguirono furono i più devastanti della mia vita.
Avevo troncato i rapporti con tutti, ero solo. Mi sembrava di essere tornato a Silent Hill. Inutile, infatti, dire che le mie notti furonc costellate di incubi sin dal giorno dopo.
Non uscii più di casa. Proprio come quando Jodie morì.
La stanzetta di Cheryl, con tutte le sue cose non esistono più.
E la bambina che Alessa mi donò non ricevette tutto quello che una normale neonata dovrebbe ricevere. Fu difficile procurarsi una culla per tempo; infatti per i primi tempi l’avevo sistemata nell’armadio. Piangeva molto, dovevo ammetterlo.
Ora aveva il suo giaciglio. Poteva limitarsi a stare zitta!
Ma sembrava che la piccola soffrisse le notti quasi quanto me e farla addormentare era diventata una vera e propria impresa.
Quindi furono i nostri mesi peggiori mai passati. E nel caso della piccola, anche i primi.
Non riuscivo a giocarci o a sorriderci. Inoltre le presi il medaglione di Alessa.
Lei e quell’oggetto erano la prova che l’incubo era stato reale.
Lei era colei che mi aveva portato via la mia amata bambina, la mia piccola Cheryl.
Lei non era Cheryl” mi ritrovai a pensare davanti alla bianca culla dove la bambina riposava, finalmente tranquilla. Si era addormentata come al solito tra le mie braccia, cullata dal mio lento respiro. Ora sembrava dormire sogni tranquilli.
Sarebbe stata una visione perfetta... se non tenessi in mano un coltello.
La osservavo con insistenza, mentre l’aria si faceva sempre più calda e viziata dai nostri sospiri. La piccola mosse un pugno verso il morbido e sottile cuscino, e anche io mi mossi con lei, alzando l’arma nell’aria.
Ero pronto.
“Uccidila, uccidila, ora, ora. Lei è Alessa. Ti ha portato via tua figlia. Un colpo, un colpo, uccidila!”. Sentivo queste orrende parole vorticarmi nella mente, pronunciate dal mostro che affrontai nel Nowhere mesi fa. “Uccidila” continuava a ripetermi.
Triste, confuso e parecchio arrabbiato, posai il coltello sul comodino. Ucciderla a pugnalate sarebbe stato troppo... sporco, ecco.
Allora, avvicinai le mia mani al collo della bimba. Sì, sarebbe stato meglio per lei. E per me, che avrei avuto la certezza di vederla spirare.
Tremavo.
Non era Cheryl.
Le detti un’ultima occhiata: i capelli le erano cresciuti molto e le incorniciavano il visino di nero; gli occhi verdi erano chiusi, la bocca aperta. La tutina rosa le calzava a pennello.
Ancora un po’ e sarai libero”...
 

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Quando i miei indici toccarono l’indifeso e sottile collo della piccola, tremai così tanto da svegliarla. Sbattè le palpebre, confusa, e poi concentrò il suo sguardo su di me. Allungò le sue corte dita verso le mie mani, e le afferrò stringendole forte. E poi, scoppiò a ridere. Ingenua, radiosa, guardandomi e giocando con le mie dita tremanti.
- Ecco la persona orribile che sono - sussurrai, piangendo.
Non potevo riuscirci. La voce nella mia testa si acquetò regalandomi un po’ di pace. Ora l’unico suono era quello del mio pianto e quello della sua risata.
- Cosa sto... facendo? - piansi.
Lei continuava a ridere dolcemente, guardandomi intensamente.
Non era Cheryl.
E Alessa lo sapeva.
L’abbracciai forte, alzandola dalla culla, stringendola forte al petto come per paura che qualcuno potesse strapparmela via dalle braccia. Si calmò: restò zitta, agitando lentamente la testa per gioco, col viso contro il mio petto.
 

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La notte sembrò riempirsi di sangue e ruggine. Sentii suonare la sirena e mi sembrò di scorgere una ragazza sui quattordici anni al mio fianco. Mi guardava con amarezza. Ma nel suo sguardo potevo percepire anche la paura.
Sempre più vicina, sfiorò la neonata e poi mi prese la mano, guidandomi verso il grande specchio che si trovava nella mia camera da letto, proprio di fronte alla culla. La piccola cominciò a lamentarsi, ma io gli andavo sempre più vicino; l’adolescente spinse poi la mia mano verso la liscia e lucida superficie dell’oggetto.
In quel momento, vidi qualcuno riflesso al mio posto.
Una ragazza, sì, mai vista prima d’allora; un’adolescente che assomigliava parecchio sia a Cheryl che ad Alessa, se non fosse stato per i suoi corti capelli biondi. Era sdraiata su un lussuoso divano rosso scuro, vestita di un abito bianco, scalza, con occhi chiusi, e una mano sulla pancia. L’ambiente in cui si trovava era caldo, accogliente... potevo quasi sentirlo. Poi, un istante dopo, aprì gli occhi, rivelando due grandi iridi azzurre, che si puntarono su di me, con insistenza.
Durò solo un attimo, ma bastò a farmi raggelare il sangue nelle vene.
Mi allontanai dallo specchio, con la bambina che piangeva tra le mie braccia. Decisi di rimetterla velocemente nella culla... ma qualcosa catturò la mia attenzione.
Il coltello che avevo gettato sul comodino era svanito.
Al suo posto vi era una foto, in bianco e nero, consumata dal tempo e dalle intemperie. E raffigurava un volto... un volto che conoscevo bene.
Il volto malinconico di una giovane bambina.
E nei suoi occhi, che mi avrebbero ossessionato e perseguitato tutte le notti della mia vita, riconobbi la ragazza appena apparsa nello specchio.
 

 
ANGOLO AUTRICE:
Sì, perché quando voglio riesco ad aggiornare due volte nello stesso giorno. E sono fiera di me stessa. Questo doveva essere l’ultimo capitolo. Ma sentivo che sarebbe stato più bello lasciarci alla maniera di Silent Hill (sì, sto impazzendo... ma capirete tutto nel prossimo capitolo, l’epilogo ;) ).
Ma non voglio lascare questa fic :( ok, per ora meglio non pensarci. Devo anche prepararmi ai saluti :)
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e grazie per aver letto; fatemi sapere che ne pensate!
E alla prossima! Con l’epilogo.
:3
 
   
 
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