CAPITOLO 4
–
DISPERAZIONE
Nooooooooooo,
non può essere. Chiudo gli occhi con la speranza che, quando
li riapro, quella
notizia non ci sia più, ma invece eccola che riappare di
nuovo.
FORTE SCOSSA
DI TERREMOTO IN MONGOLIA.
NUMEROSE
VITTIME.
INTERI VILLAGGI
DISTRUTTI.
E’ un
flash scarno, diretto, senza
ulteriori approfondimenti. Ma mi basta per smettere di respirare. La
notizia è
stata resa nota pochissimi minuti fa. Dunque, aspetta, che ore sono
adesso lì?
Sono 16 ore avanti rispetto a Los Angeles. Accidenti, è
notte fonda! No, ti
prego, no. Se è così, significa che stanno
dormendo tutti, sono dentro le case,
magari non si sono accorti di nulla e non sono riusciti a…
no, non ci voglio
pensare.
Cerco
freneticamente fra le mail di Stana per sapere in che zona della
Mongolia si
trovi adesso, ma l’ultima volta che mi ha scritto non mi ha
raccontato quale
sarebbe stata la sua prossima tappa. Ora può essere in un
qualsiasi punto di
quell’immenso paese. No, dai, ti prego, no….
Navigo in
rete alla ricerca di ulteriori notizie e, con il passare dei minuti,
vengono
pubblicati aggiornamenti che accrescono la mia angoscia. Ci sono foto
di edifici
crollati, cumuli di macerie, video di persone che corrono e gridano, i
volti
coperti di polvere e sangue, sofferenza e desolazione regnano sovrane.
Stana,
dove sei? Ti prego, dimmi che stai bene… dimmi che non ti
è successo niente, ti
prego….
Accendo la
TV e il telegiornale della CNN si apre con questa notizia. Parlano di
60
cittadini statunitensi attualmente presenti nel paese, ma non sanno
ancora dire
quali siano le loro condizioni. Ma quanti canadesi ci sono? Il sisma ha
danneggiato alcune antenne per le comunicazioni, pertanto anche i
collegamenti
con i corrispondenti delle varie testate giornalistiche risultano
difficoltosi.
La sede dell’ambasciata americana a Ulaan Baatar, purtroppo,
ha subito danni
ingenti a causa delle forti scosse, rendendo ancora più
complesso il lavoro di
ricerca dei connazionali. Il Dipartimento di Stato ha già
attivato le procedure
per informare i familiari degli americani presenti in Mongolia.
Già, i
familiari.
Io non sono
nessuno.
Io non ho
nessun diritto di sapere come sta.
L’angoscia
mi afferra alla gola e mi sembra di soffocare. Lo squillo del telefono
mi fa
sobbalzare sulla sedia. Rispondo senza nemmeno guardare chi
è.
“Pronto…”
“Bro,
sono
io. Ho acceso adesso la TV e…”
E’
Jon.
“Sì,
la sto
guardando anche io.”
“Lei
è non è
ancora tornata, vero? L’hai sentita?”
“L’ultima
volta mi ha scritto ieri. Jon, io… non so cosa fare. Non so
come poter avere
sue notizie.” Cerco di mantenere la calma, ma mi esce un tono
di voce
strozzato.
“Aspettami,
arrivo.”
Nemmeno
mezzora dopo ecco che suona alla porta. E con lui
c’è Tamala. Appena entra, mi
getta le braccia al collo e comincia a piangere.
“Ehy,
Tam,
non dobbiamo perdere la speranza, ok? Vedrai che starà bene.
Se solo riuscissi a
mettermi in contatto con lei, a sapere come sta….”
“Bro,
perché
non chiami suo padre? Lui di sicuro ne saprà di
più.”
Ecco il
guerriero che non perde la lucidità nemmeno nelle situazioni
più difficili. Deve
essere per via dell’addestramento militare. Io non ci avevo
nemmeno pensato, ma
effettivamente è l’unica cosa da fare. Cerco il
suo numero di telefono su
internet e poi… già, poi che gli dico? Boh,
qualcosa mi verrà in mente.
Uno squillo,
due squilli…
“Pronto?”
Ha
un tono di voce misto di speranza e preoccupazione.
Pover’uomo, per lui
l’attesa deve essere doppiamente angosciante: sua moglie e
una delle sue figlie
sono in quell’inferno.
“Signor
Katic, sono Nathan, Nathan Fillion…
sono…”
“Nathan,
sì,
sei il collega di Stana. Lei non c’è
adesso…”
“Lo
so…
ecco, mi scusi se la disturbo, so che non deve essere facile per lei,
ma vorrei
sapere se ha notizie… ho visto cosa è successo
e…”
“No,
Nathan,
mi dispiace… mi hanno chiamato dal Dipartimento di Stato che
gestisce
l’emergenza e mi hanno detto che stanno ancora verificando la
posizione e le
condizioni dei cittadini canadesi presenti in Mongolia, ma per il
momento ne
hanno rintracciati solo 10 e… loro non ci sono.”
Non riesce a trattenere un
singhiozzo e, accidenti, mi vergogno per avergli rotto le scatole.
“Vedrà,
signor Katic, le troveranno presto. Grazie per le informazioni e mi
scusi
ancora per il disturbo.”
“Non
ti
preoccupare. Appena ho notizie ti farò sapere. Lo so che tu
e Stana siete molto
legati.”
“Grazie.”
Chiudo la
comunicazione e mi lascio cadere sul divano, tenendo la testa fra le
mani.
Silenziosamente, Tamala si siede vicino a me, mettendomi una mano sul
ginocchio, e mi dice: “Nate, se non ti dispiace vorrei
aspettare qui con te. A
casa, da sola, non ce la farei. Ti prego, fammi restare.”
Annuisco
senza parlare e le stringo la mano che tiene ancora sul mio ginocchio.
Anche
Jon afferma di non volersene andare, così adesso siamo tutti
e tre qui.
“Ehy,
ma non
dovevi partire per il Messico?” Mi ricordo solo adesso che
stamani ci siamo
salutati perché Jon era in partenza per le sue agognate
vacanze.
“Bro,
non ti
lascio solo in questa storia. Andrò fra qualche giorno, non
ti preoccupare.” Lo
guardo riconoscente. Ho un bisogno disperato della sua amicizia e della
sua
lucidità.
Il mio
telefono squilla e tutti e tre ci scambiamo uno sguardo pieno di
speranza. Però
poi guardo il display e l’ottimismo crolla: è mio
fratello.
“Jeff,
ciao…”
“Fratellino,
tutto bene? Hai una voce…”
“Lei
è in
Mongolia…” Sa benissimo di chi parlo, non
c’è bisogno di fare nomi. “Jeff, non
ho sue notizie, non so dov’è, come sta, se
è ancora…”
“NO,
Nate, fermati.
Non lo dire. Non lo devi nemmeno pensare. Ce la farà,
vedrai. E’ una
combattente, sono sicuro che è riuscita a mettersi in
salvo.”
“Ok,
ok, ora
ti saluto. Suo padre ha detto che mi avrebbe chiamato non appena avesse
ricevuto notizie.”
“Bene.
Vedrai che lo farà presto. Nate, sei da solo?”
“No,
Jon e
Tam sono qui da me.”
“Ok,
meglio
così. Tienimi aggiornato, ti prego.”
“Sì,
Jeff,
lo farò. Abbraccia le bambine da parte mia. Ciao.”
Le ore
passano inesorabili senza avere notizie di Stana. Jon sta controllando
alcuni
siti internet, io sono sintonizzato sulla CNN e Tam è in
cucina: si è offerta
di preparare qualcosa da mangiare, visto che ormai è quasi
mezzanotte e nessuno
di noi ha ancora cenato.
Improvvisamente,
ecco un’edizione speciale del telegiornale. E’ un
aggiornamento dalla Mongolia.
Tam mi raggiunge davanti al televisore. Dei 60 cittadini americani, 42
sono
stati rintracciati e stanno bene. 10 risultano ancora dispersi e 8,
purtroppo,
sono fra le vittime accertate. Non forniscono notizie sui cittadini
canadesi. Mi
sembra di aver ricevuto un pugno in pieno petto. Tamala si porta le
mani al
viso e non riesce a trattenere le lacrime. Solo Jon sembra
imperturbabile.
Continua a cercare informazioni su internet, mi ha chiesto dove
è stata Stana
finora e sta ricostruendo i suoi spostamenti, in modo da capire in
quale zona
possa trovarsi e verificare quanto possa essere distante
dall’epicentro del
sisma. E’ una macchina da guerra, Huertas, concentratissimo.
Io, invece, non
riesco a fare altro se non pensare a lei, a quanto mi manchi, a quanto
sia
bella quando sorride, a quanto sia stato favoloso baciarla e a tutte le
cose
che vorrei dirle. Abbiamo tanto da chiarire, tanto di cui parlare. Per
anni ci
siamo stuzzicati senza mai varcare quella linea invisibile che divide
l’amicizia da una relazione e poi, poche settimane fa, ci
siamo solo
assaggiati… e ora non so nemmeno a che punto stiamo, non so
cosa vogliamo fare,
dove vogliamo andare. Ma appena torna la porto via con me, non la
lascio più
nemmeno per un minuto. Perché lei deve
tornare. Lei è il mio oggi e il mio domani, io
l’ho capito. E ora devo dirlo
anche a lei.
Devo essermi
appisolato sul divano in una posizione scomoda. Mi sveglio con il collo
intorpidito e le braccia doloranti. Tam sta dormendo rannicchiata
accanto a me
e anche il guerriero ha abbandonato la sua postazione ed è
crollato sulla
poltrona. Non so che ore siano, ma fuori comincia ad albeggiare. Tutto
a un
tratto, il mio cellulare squilla di nuovo. Tam e Jon si svegliano di
soprassalto. Non è un numero memorizzato, ma lo riconosco
subito perché l’ho
fatto qualche ora fa. Rispondo e mi sento dire: “Nathan, sono
il papà di Stana.”
Nota
dell’autrice.
Il
terremoto in Mongolia c’è stato davvero, a fine
aprile scorso, e
fortunatamente non ci sono state vittime. Per la mia storia,
però, mi serviva
una versione più drammatica, perdonatemi.
Grazie
per aver letto anche questo capitolo.
Baci,
Germangirl