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Autore: germangirl    11/06/2013    6 recensioni
Un viaggio in un paese lontano.
Un invito in un luogo del cuore.
Un evento che scuote la loro vita.
Insomma, un'estate speciale.
Genere: Drammatico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'estate speciale'
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CAPITOLO 4 – DISPERAZIONE

Nooooooooooo, non può essere. Chiudo gli occhi con la speranza che, quando li riapro, quella notizia non ci sia più, ma invece eccola che riappare di nuovo.

FORTE SCOSSA DI TERREMOTO IN MONGOLIA.

NUMEROSE VITTIME.

INTERI VILLAGGI DISTRUTTI.

E’ un flash scarno, diretto, senza ulteriori approfondimenti. Ma mi basta per smettere di respirare. La notizia è stata resa nota pochissimi minuti fa. Dunque, aspetta, che ore sono adesso lì? Sono 16 ore avanti rispetto a Los Angeles. Accidenti, è notte fonda! No, ti prego, no. Se è così, significa che stanno dormendo tutti, sono dentro le case, magari non si sono accorti di nulla e non sono riusciti a… no, non ci voglio pensare.

Cerco freneticamente fra le mail di Stana per sapere in che zona della Mongolia si trovi adesso, ma l’ultima volta che mi ha scritto non mi ha raccontato quale sarebbe stata la sua prossima tappa. Ora può essere in un qualsiasi punto di quell’immenso paese. No, dai, ti prego, no….

Navigo in rete alla ricerca di ulteriori notizie e, con il passare dei minuti, vengono pubblicati aggiornamenti che accrescono la mia angoscia. Ci sono foto di edifici crollati, cumuli di macerie, video di persone che corrono e gridano, i volti coperti di polvere e sangue, sofferenza e desolazione regnano sovrane. Stana, dove sei? Ti prego, dimmi che stai bene… dimmi che non ti è successo niente, ti prego….

Accendo la TV e il telegiornale della CNN si apre con questa notizia. Parlano di 60 cittadini statunitensi attualmente presenti nel paese, ma non sanno ancora dire quali siano le loro condizioni. Ma quanti canadesi ci sono? Il sisma ha danneggiato alcune antenne per le comunicazioni, pertanto anche i collegamenti con i corrispondenti delle varie testate giornalistiche risultano difficoltosi. La sede dell’ambasciata americana a Ulaan Baatar, purtroppo, ha subito danni ingenti a causa delle forti scosse, rendendo ancora più complesso il lavoro di ricerca dei connazionali. Il Dipartimento di Stato ha già attivato le procedure per informare i familiari degli americani presenti in Mongolia. Già, i familiari.

Io non sono nessuno.

Io non ho nessun diritto di sapere come sta.

L’angoscia mi afferra alla gola e mi sembra di soffocare. Lo squillo del telefono mi fa sobbalzare sulla sedia. Rispondo senza nemmeno guardare chi è.

“Pronto…”

“Bro, sono io. Ho acceso adesso la TV e…”

E’ Jon.

“Sì, la sto guardando anche io.”

“Lei è non è ancora tornata, vero? L’hai sentita?”

“L’ultima volta mi ha scritto ieri. Jon, io… non so cosa fare. Non so come poter avere sue notizie.” Cerco di mantenere la calma, ma mi esce un tono di voce strozzato.

“Aspettami, arrivo.”

Nemmeno mezzora dopo ecco che suona alla porta. E con lui c’è Tamala. Appena entra, mi getta le braccia al collo e comincia a piangere.

“Ehy, Tam, non dobbiamo perdere la speranza, ok? Vedrai che starà bene. Se solo riuscissi a mettermi in contatto con lei, a sapere come sta….”

“Bro, perché non chiami suo padre? Lui di sicuro ne saprà di più.”

Ecco il guerriero che non perde la lucidità nemmeno nelle situazioni più difficili. Deve essere per via dell’addestramento militare. Io non ci avevo nemmeno pensato, ma effettivamente è l’unica cosa da fare. Cerco il suo numero di telefono su internet e poi… già, poi che gli dico? Boh, qualcosa mi verrà in mente.

Uno squillo, due squilli…

“Pronto?” Ha un tono di voce misto di speranza e preoccupazione. Pover’uomo, per lui l’attesa deve essere doppiamente angosciante: sua moglie e una delle sue figlie sono in quell’inferno.

“Signor Katic, sono Nathan, Nathan Fillion… sono…”

“Nathan, sì, sei il collega di Stana. Lei non c’è adesso…”

“Lo so… ecco, mi scusi se la disturbo, so che non deve essere facile per lei, ma vorrei sapere se ha notizie… ho visto cosa è successo e…”

“No, Nathan, mi dispiace… mi hanno chiamato dal Dipartimento di Stato che gestisce l’emergenza e mi hanno detto che stanno ancora verificando la posizione e le condizioni dei cittadini canadesi presenti in Mongolia, ma per il momento ne hanno rintracciati solo 10 e… loro non ci sono.” Non riesce a trattenere un singhiozzo e, accidenti, mi vergogno per avergli rotto le scatole.

“Vedrà, signor Katic, le troveranno presto. Grazie per le informazioni e mi scusi ancora per il disturbo.”

“Non ti preoccupare. Appena ho notizie ti farò sapere. Lo so che tu e Stana siete molto legati.”

“Grazie.”

Chiudo la comunicazione e mi lascio cadere sul divano, tenendo la testa fra le mani. Silenziosamente, Tamala si siede vicino a me, mettendomi una mano sul ginocchio, e mi dice: “Nate, se non ti dispiace vorrei aspettare qui con te. A casa, da sola, non ce la farei. Ti prego, fammi restare.”

Annuisco senza parlare e le stringo la mano che tiene ancora sul mio ginocchio. Anche Jon afferma di non volersene andare, così adesso siamo tutti e tre qui.

“Ehy, ma non dovevi partire per il Messico?” Mi ricordo solo adesso che stamani ci siamo salutati perché Jon era in partenza per le sue agognate vacanze.

“Bro, non ti lascio solo in questa storia. Andrò fra qualche giorno, non ti preoccupare.” Lo guardo riconoscente. Ho un bisogno disperato della sua amicizia e della sua lucidità.

Il mio telefono squilla e tutti e tre ci scambiamo uno sguardo pieno di speranza. Però poi guardo il display e l’ottimismo crolla: è mio fratello.

“Jeff, ciao…”

“Fratellino, tutto bene? Hai una voce…”

“Lei è in Mongolia…” Sa benissimo di chi parlo, non c’è bisogno di fare nomi. “Jeff, non ho sue notizie, non so dov’è, come sta, se è ancora…”

“NO, Nate, fermati. Non lo dire. Non lo devi nemmeno pensare. Ce la farà, vedrai. E’ una combattente, sono sicuro che è riuscita a mettersi in salvo.”

“Ok, ok, ora ti saluto. Suo padre ha detto che mi avrebbe chiamato non appena avesse ricevuto notizie.”

“Bene. Vedrai che lo farà presto. Nate, sei da solo?”

“No, Jon e Tam sono qui da me.”

“Ok, meglio così. Tienimi aggiornato, ti prego.”

“Sì, Jeff, lo farò. Abbraccia le bambine da parte mia. Ciao.”

Le ore passano inesorabili senza avere notizie di Stana. Jon sta controllando alcuni siti internet, io sono sintonizzato sulla CNN e Tam è in cucina: si è offerta di preparare qualcosa da mangiare, visto che ormai è quasi mezzanotte e nessuno di noi ha ancora cenato.

Improvvisamente, ecco un’edizione speciale del telegiornale. E’ un aggiornamento dalla Mongolia. Tam mi raggiunge davanti al televisore. Dei 60 cittadini americani, 42 sono stati rintracciati e stanno bene. 10 risultano ancora dispersi e 8, purtroppo, sono fra le vittime accertate. Non forniscono notizie sui cittadini canadesi. Mi sembra di aver ricevuto un pugno in pieno petto. Tamala si porta le mani al viso e non riesce a trattenere le lacrime. Solo Jon sembra imperturbabile. Continua a cercare informazioni su internet, mi ha chiesto dove è stata Stana finora e sta ricostruendo i suoi spostamenti, in modo da capire in quale zona possa trovarsi e verificare quanto possa essere distante dall’epicentro del sisma. E’ una macchina da guerra, Huertas, concentratissimo. Io, invece, non riesco a fare altro se non pensare a lei, a quanto mi manchi, a quanto sia bella quando sorride, a quanto sia stato favoloso baciarla e a tutte le cose che vorrei dirle. Abbiamo tanto da chiarire, tanto di cui parlare. Per anni ci siamo stuzzicati senza mai varcare quella linea invisibile che divide l’amicizia da una relazione e poi, poche settimane fa, ci siamo solo assaggiati… e ora non so nemmeno a che punto stiamo, non so cosa vogliamo fare, dove vogliamo andare. Ma appena torna la porto via con me, non la lascio più nemmeno per un minuto. Perché lei deve tornare. Lei è il mio oggi e il mio domani, io l’ho capito. E ora devo dirlo anche a lei.

Devo essermi appisolato sul divano in una posizione scomoda. Mi sveglio con il collo intorpidito e le braccia doloranti. Tam sta dormendo rannicchiata accanto a me e anche il guerriero ha abbandonato la sua postazione ed è crollato sulla poltrona. Non so che ore siano, ma fuori comincia ad albeggiare. Tutto a un tratto, il mio cellulare squilla di nuovo. Tam e Jon si svegliano di soprassalto. Non è un numero memorizzato, ma lo riconosco subito perché l’ho fatto qualche ora fa. Rispondo e mi sento dire: “Nathan, sono il papà di Stana.”

 

Nota dell’autrice.

Il terremoto in Mongolia c’è stato davvero, a fine aprile scorso, e fortunatamente non ci sono state vittime. Per la mia storia, però, mi serviva una versione più drammatica, perdonatemi.

Grazie per aver letto anche questo capitolo.

Baci,

Germangirl

  
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