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Autore: KH4    12/06/2013    1 recensioni
Quando Nami aveva espressamente detto di non combinare alcun guaio, intendeva cose del tipo “Non attirate troppo l’attenzione con le vostre buffonate”, “Non fatevi vedere dalla Marina” o “Evitate di scatenare l’ennesimo pandemonio”. Insomma, i classici avvertimenti che non mancavano mai di essere ripresi e ripassati. Ma tra questi e l’infinita serie di avvertimenti da lei elargiti, nessuno aveva mai parlato di ragazze isteriche trasportanti in spalla, come sacchi di patate, fratelli mezzi dissanguati e seguite a ruota da innocenti bambine con grandi occhi azzurri. Un evento decisamente più normale del solito, umano, per dirla nella giusta maniera, ma, sicuramente, non privo di sorprese, se si teneva conto del fatto che, a portarli sulla nave, era stato proprio Rufy. (estratto del capitolo quattro).
 
Il Nuovo Mondo è pronto ad accogliere Rufy e la sua ciurma, tornati insieme dopo due anni di separazione; lasciatisi alle spalle l'isola degli Uomini Pesce, i pirati approdano su di un'isola, dove incontreranno un piccola amante della pirateria, bisognosa di aiuto. Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità, ragazzi!
Seguito di “Giglio di Picche.”
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Monkey D. Rufy, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Saaaalve…lo so, non sono ritardo: sono in stramegaritardo! più di tre mesi senza un aggiornamento, salvo la nuova one-shot di Roger e Rouge ma proprio questa fic non ne vuole sapere di collaborare e andare avanti. Sono arrivata a un punto da cui non riesco più a smuovermi e mi spiace perché comunque alle mie storie ci tengo…uffa! E a volermi ulteriormente complicare la vita, ho iniziato una fic su D Gray Man. Va beh…baldo agli indugi e auguro a tutti buona lettura!
 


L’indomani arrivò in fretta e furia, quasi impaziente di cominciare. La grande arena di San Lorein si era riempita con trepidazione malcelata di tutti gli abitanti dell’isola, il cui vociare eccitato era poco incline a fare silenzio. Gli spalti erano stati completamente occupati, i fuochi accesi, e gli stendargli scarlatti non facevano altro che sventolare vivacemente, mossi dalla brezza marina. Con un cielo sgombero dalle nuvole e un sole splendente, la giornata non poteva che essere l’ideale per un duello di spade.

“Wow! Che forza!” esclamò Chopper, con la testa piegata all’indietro.
“Questa arena è enorme, non ne ho mai vista una del genere”, si stupì Usopp, guardandosi ben intorno.
“Si vede che prendono queste esercitazioni molto sul serio: c’è tutta la città”, notò Sanji, adocchiando il continuo affluire sugli spalti ancora sostanzialmente occupabili, con la sigaretta fra le labbra e il profumo della nicotina dolciastra a salirgli su per le narici.
“E’ naturale: questi incontri sono occasione di spettacolo, tutt’al più se vi partecipa anche il Master di San Lorein”, disse Nico Robin, con ovvietà gentile e pacata.
“Su questo non ci piove”, mormorò Nami, incrociando le braccia sotto il prosperoso seno.

Nonostante la gente avesse creato un enorme buco appositamente per distanziarsi da loro, l’udito della Gatta Ladra era sufficientemente fine da cogliere anche i commenti più lontani. Vista da fuori, l’arena non appariva così grande come invece era ben constatabile dall’interno: con la sua forma circolare, i fuochi ad ardere su strategici pilastri e il campo di battaglia pronto all’uso, era l’edificio più importante di tutta l’isola dopo il grande palazzo. L’esercitazione non era ancora cominciata, ma la gente non faceva altro che discutere sull’esito di quell’incontro inserito all’ultimo minuto, la novità che già stava sulla bocca di tutti e che si divertiva a ballare con frenesia incontrollabile.
La trepidazione che si percepiva nell’aria presupponeva di per sé che quell’evento non avrebbe avuto nulla di uguale ai precedenti, ma nessuno degli spettatori sembrava particolarmente allarmato da quella diversità tanto palpabile e a un occhio esperto quale era quello di Nami, ciò non era sfuggito.

“Danno tutti per scontato che vincerà Eliah”, continuò la navigatrice “Mi domando se sia realmente bravo come dicono.”
“Lo sapremo solo guardando il combattimento. A parlare sono bravi tutti”, borbottò Zoro, sdraiato per terra e con l’occhio smeraldino ermeticamente chiuso “Svegliatemi quando quei due cominciano.”
“Eh? Zoro, vuoi davvero metterti a dormire adesso? Zoro? Oi?” La domanda di Shion non ricevette alcuna risposta: l’ex Cacciatore di Pirati stava già russando alla grande, infischiandosene se il suo ronfare fosse fonte di disturbo.
“Shishishi! Non farci caso, Shion: se una cosa non gli interessa, Zoro non ci presta mai attenzione!” esclamò al suo fianco Rufy.
“Tsk! Ma tu guarda questo qui…si mette a dormire come se niente fosse!”, brontolò invece Azu, tirando con l’indice il colletto del vestito “Dannazione! Che cacchio mi è venuto in mente di mettermi questo coso?!”
“Yohohoho! Azu-san, se vuoi ti aiuto a togliertelo, così mi fai vedere di che colore sono le tue mutandine!” si offrì Brook.
“Tieni le tue dita ossute lontano dai miei fianchi!!” strillò quella, scaraventando via il Canterino “E VOI VEDETE DI PIANTARLA, MOCCIOSI! AL PROSSIMO COMMENTO SARANNO DOLORI E NON PENSIATE CHE LA SOTTANA DELLA MAMMA VI SALVI!!!!”

La sfuriata dell’albina spaventò a morte Usopp, Chopper e tre ragazzini che si stavano divertendo a deriderla con bisbigli che lei aveva captato fin dal primo istante. Nessuno dei presenti aveva osato calcare la mano sulla faccenda, tant’era lampante che la già scarsissima pazienza della ragazza si era consumata ancor prima che sorgesse il sole.
Azu era al limite della sopportazione, bastava un niente per farle rizzare i capelli come un gatto infuriato: delle sue buone intenzioni che l’avevano mossa a fare quel mastodontico sacrificio – come lo aveva definito lei stessa - non ne era rimasta traccia, ma per puro orgoglio aveva deciso di portare avanti quel supplizio con la sola intenzione di dimostrare che una Gallower mantiene sempre e comunque la parola data. Lars poteva dire quello che gli pareva, ma niente le avrebbe fatto ammettere che il decidere di indossare quel coso partiva dal non voler far ricadere ulteriori disgrazie sulla capoccia del maggiore: calma e pazienza erano scivolate via dal suo corpo già da tempo e quei pochi grammi di concentrazione sopravvissuti ai suoi innumerevoli scatti d’ira si stavano adoperando al massimo delle loro possibilità per evitare che la padrona si strappasse selvaggiamente il vestito di dosso.
Sarebbe bastato un altro piccolo commento o una chissà quale stupidata per far sì che non rispondesse più delle proprie azioni, ma se sprecava il poco fiato che quel micidiale bustino stretto attorno al torace le concedeva appena, non ne avrebbe avuto per urlare contro il fratello e quello, purtroppo per lei, era l’unico svago che quello sputo d’isola poteva offrirle senza fare troppe storie.

“Bah! Lasciamo perdere!” sbuffò poi, appoggiandosi sgraziatamente sullo spalto “Tutto questo stress di primo mattino mi ha fatto venire fame….”
“Non ti preoccupare, Azu-chwan: ho qui quello che fa per te!” cinguettò il cuoco, esibendo un bel cestino carico di frutta, succo d’arancia, e panini imbottiti “Uno spuntino leggero e fresco per le mie dee e la nostra principessina”, affermò poi nel volteggiare verso di lei, Nami, Nico Robin e Shion.
“Uh! Sembrano appetitosi!” Rufy fece per allungare la mano verso quelle invitanti leccornie, ma il piede del biondo si mise in mezzo.
“Giù le mani, pozzo senza fondo! Questi sono solo per Nami-san, Robin-chan, Azu-chan e la piccola Shion-chan!”
“Ma io fame! Per fare il tifo servono tante energie e le energie si prendono dal cibo! Devo pur fare qualcosa mentre aspetto!” protestò il capitano, cercando di arrivare al bottino.
“Girati i pollici, se ti annoi tanto, ma sta lontano da questo cestino!!!”

Il brontolare dello stomaco di Rufy rispose al posto del suo proprietario, tribolando con un’intensità maggiormente offesa per l’essere trascurato a quel modo. Era stato un ragionamento incredibilmente sensato, quello di Cappello di Paglia, semplice come il suo carattere, ma non sufficientemente efficace da convincere il cuoco a essere magnanimo  e dunque accontentarlo: era difficile, anzi, praticamente contro natura che Sanji permettesse che il cibo preparato per le sue muse ispiratrici venisse toccato dalle mani lerce degli altri cavernicoli della nave, come li definiva lui.

Shion guardò entrambi distrattamente, tornando a osservare con rinnovata insistenza il centro dell’arena.

Uffa! Ma quando iniziano? Io voglio vedere Lars adesso, brontolò mentalmente, gonfiando le guance e regalando piacevoli grattini alla nuca di Red.

Non le andava di aspettare, anche se il primo squillo di tromba l’avrebbe fatta inevitabilmente sobbalzare.  Voleva vedere Lars entrare nell’arena e urlare a squarciagola il suo nome con un tifo sfegatato. Quello era il primo torneo di spade a cui assisteva, ma aldilà dell’eccitazione, l’ansia le stava giocando un brutto tiro, inchiodandola sullo spalto con uno strano mal di pancia. Un’indefinibile ingarbugliamento emotivo di proporzioni bibliche si agitava dentro di lei e cresceva man mano che i suoi pensieri si focalizzavano unicamente sull’albino e sul suo incontro.
Eliah non l’aveva convinta sin dal primo istante. C’era qualcosa nei suoi occhi bluastri che la intimoriva e il non sapere di preciso il perché di quell’orribile sensazione, le faceva temere per l’incolumità del suo amico.

Se solo fosse potuta rimanere con lui fino al momento fatidico…..




“Ti avverto, idiota: azzardati a perdere e ti faccio il culo a strisce, chiaro?!”
“Un incoraggiamento più affettuoso no, eh?”
“T’ammazzo se muori!!!”

La voce incavolata di Azu era la sola udibile in tutta la zona riservata all’entrata secondaria dell’arena. Spiccava stridulamente, in tutta la sua irascibile suscettibilità, sintomo inconfutabile che i nervi della ragazza erano già saltati e che al minimo segno di provocazione avrebbe dato di matto.
Tutti gli allievi erano già dentro a prepararsi e a giudicare dal forte vociare che si sentiva, le tribune dovevano essersi riempite per benino, cosa che all’albina dava già parecchio fastidio, sicché avrebbe dovuto farsi largo a suon di gomitate pur di raggiungere la postazione data a Rufy e agli altri. Il rimanere col fratello fino all’ultimo momento non era stato certo un atto caritatevole partito da quel cuore che lei stessa aveva già definito troppo accondiscendente; per quanto le riguardava, indossare quel coso, con tanto di copricapo imbarazzante, era la regina assoluta delle umiliazioni, ma Shion non poteva andarsene in giro da sola, non una seconda volta, così come la sua povera nuca non poteva supportare altri scappellotti da parte del fratello maggiore.
Quindi, non le restava altro da fare che augurare buona fortuna al parente nel solo modo a lei consentito: a suon di minacce corporali.

“Lars..sei sicuro di dover entrare adesso? Il tuo incontro è l’ultimo, c’è tempo…”, aveva pigolato la bambina.  

La sua manina aveva stretto quella del più grande sin da quando erano usciti per dirigersi all’arena e ancora adesso non accennava a lasciarlo andare.
Oltre a non potergli fargli compagnia fino all’inizio del duello, Shion aveva scoperto con gran rammarico che l’amico aveva ricevuto l’ordine di entrare nell’arena prima che iniziasse l’esercitazione e di rimanere nello spogliatoio riservatogli fino al suo turno. Opera di Eliah, sicuramente.
Ma perché quel tipo ce l’aveva tanto con Lars? Shion proprio non riusciva a capire che cosa potesse essere successo fra lui e il suo amico, ma anche se fosse saltato fuori che Lars era colpevole di chissà quale reato, di certo non sarebbe stata così stupida da guardarlo sotto una luce diversa. Era fuori discussione che la sua ammirazione per l’albino svanisse con un semplice schiocco di dita.

“Mi spiace, ma preferisco che voi due raggiungiate gli altri e rimaniate con loro fino alla fine”, le disse lui, accarezzandole la testolina “Quindi, adesso, fai la brava e assicurati che Azu non combini casini.”
“Ok.”
“Ehi: vorrei ricordarti che tra le due, la guardia del corpo la faccio io”, si intromise la ragazza, con voce seccata.

Su quello ci si sarebbe potuto discutere per ore intere, forse per anni, considerando il soggetto in questione, ma Lars preferì finirla lì, con uno di quei sorrisi rassicuranti che spesso e volentieri avevano il potere di confondere e zittire chi gli stava vicino. A volte era davvero difficile capire che cosa passasse per la testa dell’albino, il suo modo di fare oscillava sempre fra semplicità ed enigmaticità;  non gli piaceva mai parlare troppo e a un dialogo lungo e noioso, preferiva le risposte monosillabiche o le occhiate intense che sempre riuscivano a trasmettere a grandi linee la sua opinione su qualcosa.
Anche in quel sorriso a cui Shion rispose con un altro c’era tutto quello che occorreva per non andare oltre alla conversazione, ma quando il ragazzo le diede le spalle per entrare nello stadio, la bambina non riuscì a fare a meno di chiamarlo nuovamente.

“Lars?”

Il ragazzo voltò all’indietro la testa, squadrandola con le sue iridi color ghiaccio.

“Fallo nero!” esclamò poi la piccola, con l’espressione più battagliera che una undicenne come lei poteva permettersi.

E ancora una volta, senza parole o silenzio troppo duraturi, lui le regalo un sorriso carico di fiducia e riconoscimento.





“Whaaa! Calma! Calma! Calma!” Scuotendo la testa, Shion si diede dei colpetti sulle guance “ Così non va, non va per niente!! Fiducia, fiducia, fiducia!!!”
“Oi, Shion! Che ti prende?”
“Eh? Cosa?”

Così presa dai suoi ricordi e troppo agitata, la bambina aveva finito per estraniarsi dalla realtà per l’ennesima volta. Ultimamente la sua testolina prendeva e partiva per altre dimensioni con una facilità mostruosa e se non fosse stato per quella voce amica, che ridusse il suo pensare a un mucchio di pezzettini colorati, ci sarebbe rimasta per chissà quanto. Sobbalzò non appena si rese conto che i visi di Rufy, Chopper, Usopp, Franky, Red e Brook avevano accerchiato il suo e la stavano sondando  con occhi indagatori e spalancati al massimo.

"Che c’è?” Domandò lei, guardandosi intorno “Stanno per iniziare?”
“No, però è da un bel po’ che ti chiamavamo e non ci rispondevi”, le disse il cecchino “ Poi hai anche cominciato a darti i pugni in testa…”
“Ah…scusate! Mi sono distratta, eh eh”, ridacchiò, prendendosi fra i pollici e gli indici delle mani le due ciocche sbarazzine che le toccavano le guance.
“Yohohoho! Sei emozionata, vero?” domandò il Canterino “Lo sono anch’io, sai? E’ da così tanto che non assisto a uno spettacolo che non sia il mio, che il cuore mi batte all’impazzata…anche se io il cuore non ce l’ho più da un pezzo! Yohohoho! Skull Joke!” e prese a volteggiare su una gamba sola.
“Sei preoccupata per Lars?” le domandò Chopper.
La piccola batté gli occhi un paio di volte, per poi annuire “Un po’, però… sono anche tanto eccitata!” confessò poi tutta felice, stringendosi le braccia con le mani “E così strano: ho la pelle d’oca e mi viene voglia di saltare!” esclamò poi, balzando in piedi “Lars sta per combattere e io lo vedrò in azione! Pensavo che non mi sarebbe mai capitata l’occasione e invece…!”

Senza neppure finire la frase, si mise a saltellare sul posto come una piccola molla.
Non sapeva descrivere l’emozione del momento. Da una parte c’era tutta quella gamma di pensieri che la tendeva come una corda di violino, dall’altra l’incommensurabile gioia che la travolgeva davanti a qualsiasi evento nuovo e non ancora scoperto. Shion non era mai stata capace di dedicare uguale attenzione ad entrambe le parti, sebbene non avesse mai potuto fare a meno di astenersi dalle loro influenze: era un lavoro troppo faticoso e dispendioso per una bambina come lei, scopertasi più propensa a lasciarsi trasportare dal momento e viverlo col cuore in trepidazione.
Dall’imbronciata era passata ad essere pensierosa, preoccupata e infine euforica senza accorgersene. Un tripudio di radiosità che avrebbe fatto invidia anche al sole, per il tanto splendore trasudante dal suo visino splendente.

“Non vedo l’ora che cominci!” trillò ancora.
“Shishishi! Pure io! Sarà divertente!” si unì Rufy “A proposito, Franky, è tutto pronto?” domandò al carpentiere.
“Aw! Certo che sì, capo! Aspettiamo che l’amico venga fuori e diamo il via alle danze!” esclamò il Cyborg, alzando il pollicione.
“Cos’è che è tutto pronto?” domandò Shion.
“E’ una sorpresa che abbiamo preparato apposta per Lars. Aspetta e vedrai”, le rispose Usopp, facendole l’occhiolino.




San Lorein. Entrata del palazzo.

“Eccellenza, dobbiamo sbrigarci. L’esercitazione comincerà a breve”, avvisò la guardia “E’ proprio sicuro di voler andare a piedi?”
“Certamente. Ho forza a sufficienza da reggermi in piedi”, gli rispose l’anziano, sorridendo.
“Come preferisce.”

Appoggiandosi saldamente al suo bastone, il signor Eliorath, scortato da due guardie, si avviò lentamente verso la via principale. Si era attardato più del dovuto, scordandosi che l’esercitazione sarebbe iniziata avrebbe fra pochi minuti; lo stare all’interno del Saidan gli faceva sempre perdere la cognizione del tempo e quel giorno non aveva fatto alcuna eccezione. La sua mente aveva divagato un po’ più del dovuto, venendo destata dalle grida provenienti dall’arena della città, ma con un po’ di fortuna sarebbe giunto in tempo per vedere l’ultimo incontro.
Con passi regolari e impercettibili, era quasi arrivato a metà della piazza circolare, quand’ecco che i suoi occhi si assottigliarono lentamente, come accecati da un raggio di sole.

“Signor Eliorath? Signore, che…..?”

La guardia rivolse il viso in avanti, agguantando all’istante l’elsa della propria spada, seguita dalla seconda. La piazzetta che stavano attraversando era deserta come il resto della città, silenziosa e pulita come se fosse stata appena costruita. Era grande a sufficienza per permettere a chiunque di memorizzarne anche i più piccoli dettagli, a partire dai vasi di fiori posti in angoli strategici e gli stendargli rossi e dorati appesi per la ricorrenza, quindi, individuare una qualche anomalia, un elemento nuovo, sarebbe risultato facile anche per la persona meno sveglia di quel mondo.
Fermo dov’era, il signor Eliorath osservò la sconosciuta avvicinarsi con passo leggero e ancheggiante. Era una donna, senz’ombra di dubbio: indossava un lungo vestito nero e scollato, perfettamente abbinato al colore dei suoi corti e scompigliati capelli. Stava attraversando la strada a pochi metri da loro, senza degnarli di un singolo sguardo.

“Ferma dove sei, straniera!” le ordinò il soldato, sguainando la spada.

Destata dai propri pensieri, Camiria si fermò quasi subito, rivolgendo la sua attenzione alle uniche persone presenti oltre a lei.

“Ma guarda un po’. E io che ero convinta di aver messo a nanna tutti i soldatini”, sorrise soavemente, con la mano appoggiata al fianco.
“Non muovere un solo passo, straniera, e dimmi come hai fatto ad eludere la sorveglianza!” parlò nuovamente la guardia, con quanta più voce aveva.

La bella cacciatrice corrugò le sopracciglia e le labbra dipinte di nero in un solo gesto, per poi distendere il tutto in un nuovo e sinistro sorriso.

“E’ un vero peccato che sia una città così bella”, sospirò poi, dando la schiena agli uomini e osservando gli edifici che la circondavano “Quasi mi dispiace doverla rovinare…”
“Rispondi alla mia domanda!” si infervorò la guardia, senza aver ascoltato l’ultima aggiunta.

Non si sarebbe fatto problemi ad attaccarla, anche se si trattava di una donna. Le regole di San Lorein erano chiare e dovevano essere rispettate, a prescindere dalla situazione e dalla persona che le sfidava, ma se quell’uomo tanto attaccato al suo dovere avesse visto con i suoi occhi il prezzo che i suoi colleghi avevano pagato per l’aver sottovalutato quella donna, forse avrebbe reagito diversamente…

“E va bene! Se con le buone non funziona…!”

Con passo veloce e la spada sguainata, la guardia avanzò verso Camiria, ma quando fu sul punto di agguantarla per il braccio, la donna scomparve dalla sua vista, lasciandolo inebetito.

“Dov…?!”
“Kufu, kufu…dietro di te.”

Sentì solo quella lieve risatina sussurrata a pochi centimetro dal suo orecchio. Poi un rumore secco, dolore…e il nulla.  
Il signor Eliorath si ritrovò a guardare con occhi fermi e impietriti uno dei suoi uomini cadere a terra, senza capire come fosse successo. Quella donna si era mossa a una velocità che mai aveva visto sino a quel momento.

“Che uomo patetico…”, la sentì sibilare divertita.

La guardia rimasta al fianco dell’anziano non si era mossa di un solo millimetro. Anche se non la stava guardando, il signor Eliorath ne percepì il tremore fisico, palesemente trattenuto a stento.  A differenza dei suoi occhi stanchi, quelli del secondo uomo adibito alla sua scorta erano riusciti a scorgere giusto un’ombra che prendeva il braccio sinistro del suo collega, glielo spezzava come fosse un tronco marcio e infine lo colpiva alla nuca senza neppure dargli tempo di urlare.
Una sequenza che si scontrò con il controllo del saggio, la cui voce risuonò quanto bastava perché giungesse alle orecchie di Camiria e attirasse la sua attenzione.

“Signorina”, si fece avanti il suddetto “Non siamo soliti ricevere visite dall’esterno e mi scuso per i modi bruschi di queste due guardie, ma deve capire che la sicurezza della nostra città è una priorità sacra quanto la vita della gente che la abita e lei la sta compromettendo. Quindi, è pregata di dirci chi è e come ha fatto ad entrare.”
Davanti a tanta  compostezza, ridicola a detta sua, la donna sogghignò sommessamente “Oh, chi io sia e come sono arrivata qua non ha alcuna importanza”, rise con maliziosità, ancheggiando pericolosamente verso di loro “Quello che importa e per cui dovrebbe preoccuparsi, è ciò che sto per fare alla vostra bella isoletta.”




Gli spogliatoi dello stadio di San Lorein erano modesti  e mediamente ampi, illuminati da una luce fredda e di provenienza sconosciuta. Il vociare eccitato della gente li raggiungeva senza problemi, creando un sottofondo suggestivo e contrastante con la quiete circostante.

Ma a Lars non interessava.

Stava pazientando, avvolto nella più profonda delle concentrazioni e dai vapori ghiacciati che Saphira emanava senza sosta. C’era da rischiare l’assideramento a stare lì dentro, tanto la temperatura era bassa, ma l’albino ne era totalmente indifferente: i suoi muscoli erano bollenti e sudati, in perfetta contraddizione con lo strato di ghiaccio formatosi sulle pareti della stanza. Era seduto su una delle panche, col busto e la testa appena inclinati in avanti e le gambe leggermente aperte. Il gilè nero giaceva abbandonato a poca distanza da lui e la fredda nebbia creata dalla Regina dei Ghiacci continuava a crescere e a inspessirsi. Tra poco sarebbe toccato a lui e il pensiero di affrontare Eliah e Magdala intensificò la presa sull’elsa della propria spada. Non negò di essere teso, sebbene il suo viso e i battiti del suo cuore rasentassero quella calma che tanto faceva impazzire sua sorella: ogni fibra del suo corpo scolpito gli urlava di non prendere la situazione sottogamba qualunque cosa fosse successa e perfino Saphira, nella sua straordinaria quietudine, riuscì  a percepire la sua tensione.

Ti avverto, idiota: azzardati a perdere e ti faccio il culo a strisce, chiaro?!

Come sempre, gli amorevoli  “Buona fortuna” di Azu avevano il potere di prevalere su ogni altro suo pensiero e di essere tutt’altro che di aiuto. E dire che non si era andato a cercare niente di quanto stava per accadere! La colpa era di Eliah e della sua insana voglia di affettarlo davanti al pubblico che tanto lo idolatrava. Ok, a metterla su quel piano era stata sua sorella e non aveva tutti i torti, sicché il Master sembrava impaziente di combattere contro di lui, ma “Colpa” non era il termine che Lars avrebbe utilizzato per quella faccenda: il suono gli era troppo strano, stonato, per certi aspetti, e questo perché il conoscere Eliah meglio di chiunque altro lo esentava da porsi domande o dubbi inutili.
Aveva accettato di combattere per ovvie ragioni e avrebbe continuato per la sua strada qualunque fosse stato il risultato: non era il genere di persona che si guardava indietro. Lui credeva e basta, ma in cosa, solo lui lo sapeva.

E come udì il segnale d’entrata, sperò  che questo suo credere non lo ricambiasse con un altro squarcio sulla faccia.




“Dov’è? Dov’è?! Dove accidenti è, quello stramaledetto portone?!”

Era la sesta volta che Azu se lo chiedeva. Dalle sue labbra non usciva altro che quella domanda carica di tutta la sua esasperazione e più i suoi passi spediti picchiettavano furiosamente contro l’asfalto, più il nervosismo aumentava. Sapeva di aver fatto una scelta volontaria, che nessuno le aveva imposto quell’obbligo, ma a tutto c’era un limite e lei era stata fin troppo paziente nel sopportare quella ridicolaggine. Già la situazione non era delle migliori; per dirla tutta, era la più assurda e schifosa che avesse mai affrontato e il fatto che avesse deciso di farsi del male da sola, non diminuiva il numero dei suoi sbuffi.
Quel odioso abito rasentava ogni illogicità umana, tanto le stava segando i fianchi e qualsiasi altra parte del corpo. Neanche un pinguino imbalsamato camminava a quella maniera! Era ad un passo dall’esplosione, mancava tanto così perché perdesse le staffe e prendesse a pugni il primo muro disponibile, ma la sola cosa consentitale dal suo stesso ego, era quella di inveire come una pazza squinternata contro l’unico essere umano capace di farla uscire dai gangheri.

“Tutto perché sono una cretina, altro che amore fraterno!” sbottò ad alta voce “Invece di apprezzare la mia gentilezza , mi sfotte e decide di farsi affettare da quell’altro idiota! E ha anche il coraggio di dire che sono io quella che prende decisioni affrettate! Questa volta me la paga! Oh, se me la paga! Per questo supplizio, lo costringerò a farmi da facchino per il resto dei suoi….!”

SDONG!!

Nel suo imprecare, non si era minimamente accorta della direzione da lei presa. Solo lo spiaccicare la propria faccia contro un lampione la rese consapevole della sua distrazione.

“Odio questo posto…”, ringhiò tremante “Odio quest’abito… e adesso ci si mettono pure i lampioni?! ALLORA E’ UNA CONGIURA!!!!”

Con una forza che neppure dieci Master avrebbero potuto avere, l’albina afferrò con entrambe le mani il lampione, lo sradicò dall’asfalto e lo lanciò così lontano che non seppe neppure dire dove fosse caduto.

Basta, non ne posso più! Non ho intenzione di restare neppure per tutti i diamanti di questo mondo! Decretò ufficialmente, strappando la lunga gonna dell’abito e liberando così le sue povere gambe.

Nonostante l’incredibile astio nutrito nei confronti del vestito, non se l’era sentita di ridurlo a uno straccio buono solo per pulire i pavimenti. Questo prima di sbattere contro il lampione e perdere quell’unico grammo di lucidità razionale rimastole. Già che c’era, si disfò di quella sorta di copricapo rettangolare, liberando i capelli: tutti gli abitanti dell’isola erano riuniti allo stadio, nessuno avrebbe badato a lei e alla sua semi-nudità. Ricominciò a camminare con più slancio, assaporando pienamente il sollievo che i propri arti inferiori provavano a contatto con l’aria. Il portone d’entrata doveva essere pur da qualche parte e una volta trovato, si sarebbe immediatamente fiondata sulla Thousand Sunny. L’armadio di Nami e Nico Robin straripava di abiti che attendevano soltanto di essere messi e senz’altro le due avrebbero capito il perché si sarebbe presentata con qualcosa di loro addosso.

Avrebbe tirato diritto senza mai voltarsi indietro, se uno strano rantolio non l’avesse colta di sorpresa.

“Ma che  diav….?!”

La vide all’istante e ne rimase a dir poco che scioccata, perché mai avrebbe pensato che in un posto del genere potesse succedere qualcosa del genere.
Una guardia di San Lorein era accasciata a terra, rantolante e con un braccio piegato in una strana angolazione. Ve ne era una seconda, ma con la divisa tagliuzzata e sporca di sangue, completamente immobile e con gli occhi vitrei.

“Ehi, che ti è successo?!” Avvicinatasi alla prima guardia, l’albina la fece girare a pancia in su, cercando di fare il più piano possibile.
“Q-Quella….maled….,” boccheggiò l’uomo con voce roca e frammentata.
“Quella chi?”
“Il sign…Eliorath….santuario….” non riuscì a pronunciare nient’altro.

Il soldato era svenuto per la troppa fatica, lasciando Azu ancor più sconcertata e con gli occhi color perla completamente sgranati.  Alle sue spalle, le grida dei cittadini di San Lorein echeggiarono con più forza, levandosi in alto e rimbombando in ogni angolo dell’isola.

Merda! L’incontro!

A giudicare dalle grida, a breve suo fratello e quell’altro tizio sarebbero scesi in campo.  Azu si guardò in giro, prendendosi giusto qualche istante per pensare, ma non le venne in mente null’altro che quell’unica convinzione: chiunque fosse stato a sistemare quei due soldati a quella maniera non era di San Lorein. E considerando che Rufy e gli altri erano allo stadio…
Percepì una brutalità del tutto fuori luogo e fu proprio quella a farla alzare.
Rivolgendo un’ultima occhiata alla guardia priva di sensi, la ragazza si avvalse del Geppou per uno dei suoi spettacolari balzi, gettandosi in una corsa sull’aria verso l’edificio più grande di tutti.

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