CAPITOLO 5
–
RISE
Il cuore mi
si è fermato, mi tremano le mani e ho la salivazione ridotta
a zero, tanto che
non riesco nemmeno ad articolare una parola e il mio interlocutore
è costretto
a ripetere: “Nathan, mi senti? Sono Petar Katic, il
papà di Stana.”
“Sì,
sì, mi
scusi, signor Katic. Ha notizie?”
“Nathan,
le
hanno trovate. Stanno bene.”
“Dio
sia
lodato… grazie… grazie… dove sono?
Quando tornano? Cosa è successo?” Un sorriso
si apre sui volti stanchi dei miei amici, che si avvicinano a me per
sentire il
racconto direttamente dalla voce del papà di Stana. Metto il
vivavoce per
facilitare le cose.
“Erano
in un
campo gher, all’aperto, quando c’è stata
la scossa più forte. E’ crollata solo
la tenda e nessuno si è fatto male. Hanno avuto
difficoltà a mettersi in
contatto con l’ambasciata, ma alla fine non è
successo loro nulla. Le ho
sentite abbastanza tranquille al telefono. Oh, Nathan, quelle due mi
faranno
impazzire prima o poi!” Gli scappa un sospiro, ma percepisco
anche da qui
quanto sia sollevato.
“Non
conosco
sua moglie, ma sua figlia è un tipo avventuroso!”
Non so perché, ma mi viene
facile parlare con quest’uomo.
“Oh,
ha
preso tutto da sua madre, puoi scommetterci! Comunque, dovrebbero
tornare fra
pochi giorni. C’è qualche problema
all’aeroporto di Ulaan Baator, ma confido
che riescano a partire a breve.”
“Signor
Katic, grazie, è stato gentilissimo a chiamarmi,
davvero.”
“Ho
solo
eseguito l’ordine perentorio di mia figlia…
E’ un tipino determinato, sai? Ha
preso da sua madre anche la testardaggine, credimi. Comunque, ti
avrebbe
chiamato direttamente lei, ma non potevano occupare il telefono
dell’ambasciata
troppo a lungo.”
Sta bene.
E mi avrebbe
chiamato.
E, non
potendolo fare di persona, ha detto a suo padre di telefonarmi.
Anzi, glielo
ha ordinato!
Non posso
chiedere altro alla vita in questo momento. Dentro di me sento suonare
una
musica celestiale! Nel frattempo, Jon e Tam si scambiano
un’occhiata più
eloquente di mille parole. Mi affretto a salutare il signor Katic,
facendomi
promettere di richiamarmi non appena sa quando rientrano Stana e sua
madre,
mentre gli altri due sono già sul piede di guerra. Nelle
ultime ore erano
troppo angosciati per farmi domande sulla reale situazione che
c’è fra me e
Stana, ma ora li vedo intenzionatissimi ad avere spiegazioni.
“Ragazzi,
dobbiamo festeggiare! Caffè, uova e bacon per
tutti?” Mi sfrego le mani e mi
dirigo baldanzoso in cucina, confidando che la stanchezza per la notte
praticamente insonne abbia il sopravvento, ma la premiata ditta
“Huertas & Jones
investigazioni” non si lascia distrarre dalla mia proposta
culinaria e Tam,
mani sui fianchi e sguardo che incenerisce, mi apostrofa:
“OK, Nathan, ora che
sappiamo che Stana sta bene, vuoi avere la decenza di raccontarci come
stanno
veramente le cose?”
“Bro,
prima
avevamo altro cui pensare, ma adesso non puoi propinarmi la balla
dell’amicizia. Non dopo che vi siete scambiati tutte quelle
mail. Anche io e
Stana siamo amici, ma mica mi scrive appena può, anche se
è dall’altra parte
del mondo. E non mi fa certo chiamare da suo
padre…”
“E poi
non
credere che non mi sia accorta che hai recuperato la forma di qualche
anno fa e
che il tuo frigo sembra il banco di un
fruttivendolo….”
Jon si
rivolge a Tamala e, a sostegno della sua ultima osservazione, le fa:
“Già, il
signorino qui presente è venuto ad allenarsi con me tutti i
giorni…” Poi si
volta verso di me e continua: “E non mi dire che lo hai fatto
per contrastare
l’età che avanza né per motivi di
salute. Forza, Fillion, su, non farci perdere
tempo. Parla. Ora.”
Guardo prima
l’uno e poi l’altra, come a una partita di tennis.
Sotto questo fuoco di fila
mi sento praticamente circondato. Farfuglio qualcosa, ma non riesco
proprio a
risultare convincente. Alla fine, forse per la stanchezza o per la
gioia di
saperla incolume, confesso loro che ci siamo baciati, solo baciati, ma
mi
faccio promettere solennemente che non lo racconteranno ad anima viva,
anche
perché altrimenti Stana-avventura-Katic potrebbe farmi fuori
seduta stante,
anche a mani nude.
Un paio di
giorni dopo mi chiama di nuovo il papà di Stana e mi informa
che lei e la mamma
rientreranno negli Stati Uniti l’indomani, via Pechino, con
il volo del
pomeriggio. Presumo che voglia passare un po’ di tempo con la
sua famiglia, ma
solo il fatto di saperla sul mio stesso continente mi rasserena. Almeno
potrò
sentire la sua voce o leggere le sue mail… Caspita, mi
è mancata davvero tanto.
Dunque, suo
padre ha detto che sarebbero arrivate a Chicago a metà
pomeriggio… quanto ci
impiegheranno dall’aeroporto a casa? Boh, magari provo a
chiamarla stasera sul
tardi… sì, dai, non posso romperle le scatole,
sarà stanchissima… intanto
ordino qualcosa per cena, non mi va di mettermi a cucinare.
Poco dopo,
suonano alla porta. Diamine, quel take-away ha un servizio davvero
celere!
Vado ad
aprire e invece… c’è proprio lei! Lei e
il suo splendido sorriso! Ha il volto
provato e sembra stanca, ma, caspita, non ho mai visto niente di
più bello… La afferro
e la abbraccio strettissima. Deve indossare delle scarpe basse,
perché la sua
testa arriva sotto il mio mento. La stringo ancora più a me,
come a volermi
fondere con lei. Oh, nel mio cervello si materializzano immagini assai
poco
caste su altri modi in cui vorrei fondermi con lei e mi trasformano in
un
adolescente in piena tempesta ormonale. Strano che non mi rifili un
ceffone…
“Nate…
non
riesco a respirare…”
“Oh,
Stana,
scusami, è che… I
thought I
lost you”.
Lo
so, è una battuta di Beckett.
Sorride e mi
risponde a tono: “Never, never”
… a
ruoli invertiti, mi sa che ci siamo immedesimati troppo in questo show!
La trascino
dentro casa, le accarezzo le braccia, i capelli, il volto, quasi a
volermi
rassicurare che sia veramente qui e che non sia la proiezione dei miei
desideri, e finalmente la bacio. Quanto mi è mancato il suo
sapore! Dalle
labbra passo al collo, mentre lei infila le mani sotto la mia T-shirt,
mi sfiora
il ventre e i fianchi e, improvvisamente si stacca da me.
“Nate,
qui
manca qualcosa…. Dov’è finita la tua
adorabile pancetta? Niente più maniglie
dell’amore?” Me lo dice sorridendo e mordendosi il
labbro inferiore, con
un’espressione al tempo stesso angelica e birichina. Caspita,
quanto è sensuale
quando fa così. Il bello, con lei, è che riesce
ad essere sexy e buffa al tempo
stesso. Non posso fare a meno di ridere e le rispondo: “Beh,
ho pensato di
sfruttare queste settimane per rimettermi in forma. Avevo…
anzi, ho la ferma
intenzione di sedurti, signorina Katic. Com’era quella mail
su me, te, vasca da
bagno, olii per massaggi e nessun indumento?” Sollevo un
sopracciglio in modo
malizioso e lei arrossisce come una bambina. Semplicemente deliziosa.
“Beh,
da
questi viaggi c’è sempre qualcosa da
imparare…” E mi guarda in un modo che è
tutto un programma. Le salterei addosso seduta stante, ma cerco di
evitare di
passare per un maniaco sessuale.
“Piuttosto,
cosa ci fai qui? Pensavo che saresti rientrata a casa dei
tuoi…”
“Non
mi
vuoi?” Me lo dice con il tono di una bambina taaaaaaaaaaaanto
triste e facendo
anche il labbrino.
“Oh,
ti
voglio eccome, non ti immagini nemmeno quanto
ti voglio e in che modo ti voglio.
Dai sediamoci, devi essere esausta. Da quante ore sei in
viaggio?”
“Non
ne ho
idea… credo di essere un po’ stordita dal jet lag.
Ma avevo voglia di vederti.
Mi sei mancato, Nathan. In queste settimane io… ho pensato
tantissimo a te… a
noi… e…”
“Anche
tu
sei sempre stata nei miei pensieri. Ci sono tante cose che vorrei
dirti, tante
cose di cui dobbiamo parlare, ma adesso devi riposare. Forza, fatti una
bella
doccia, ti preparo qualcosa da mangiare e poi ti stendi per un
po’. Abbiamo
tutto il tempo per recuperare.” Avevo detto di volerla
viziare, no? Voglio
cominciare subito.
“Fai
la
doccia con me?” Di nuovo quello sguardo birichino.
Praticamente irresistibile.
Mi mordo un
pugno. “Stana Katic, benedetta donna, sei proprio un diavolo
tentatore… se
facessi la doccia con te non risponderei delle mie azioni nemmeno per
un
nanosecondo. E tu adesso sei troppo stanca. Pertanto fila in bagno, di
corsa.”
Le faccio anche cenno con il braccio teso e l’indice puntato.
“Non
ho
niente da mettere. Il mio bagaglio non è arrivato, deve
essere rimasto a Pechino…”
“Trovi
un
accappatoio in bagno, poi puoi prendere una delle mie magliette. Ti
starà un
po’ grande, ma almeno ti potrai cambiare.”
“OK…
vado e
torno.” Le stesse parole che ha usato per salutarmi prima di
partire per la
Mongolia, che non è esattamente dietro l’angolo.
Ma è
tornata.
E’
sana e
salva.
E’ qui
che
sta facendo la doccia nel mio bagno (oddio, non voglio provare a
immaginarmi
lei, nuda, a pochi passi da me…).
Ha preferito
venire da me piuttosto che andare dai suoi familiari. Il mio ego sta
facendo la
ruota come un pavone in amore!
Nel
frattempo, il take-away che avevo ordinato è arrivato.
Finisco di armeggiare in
cucina e vado a vedere che fine ha fatto Stana. Dal bagno non proviene
alcun
rumore. Busso delicatamente alla porta, ma non mi risponde. Caspita,
non si
sarà mica sentita male? Entro con cautela, ma non
c’è nessuno. Poi, girandomi,
la vedo lì.
Avvolta nel mio accappatoio.
Sul mio letto.
Che dorme,
rannicchiata, come una bambina!
Mi fermo a
contemplarla per un tempo che non saprei calcolare. Secondi? Minuti?
Ore? Non
importa. Lo sapevo che era esausta…. E’
bellissima. I tratti distesi del volto
sono perfetti. La fronte, il naso, quelle labbra…. Non
riesco a non avvicinarmi
a lei. Lo so che dovrei lasciarla tranquilla, ma proprio non ce la
faccio a
stare lontano. Mi distendo dietro di lei e, facendo attenzione a non
svegliarla, metto un braccio sul suo fianco e la tengo stretta a me,
affondando
il mio naso nei suoi capelli. Devo avere la delicatezza di un elefante,
perché
lei naturalmente si accorge subito della mia presenza, si volta e mi
sussurra,
sempre ad occhi chiusi: “Nate, grazie per avermi
aspettato…”
“Grazie
a te
per essere tornata da me.”
La bacio
sulla fronte, sugli occhi, sulle guance e infine sulle labbra. Le sue
mani mi
accarezzano la schiena e scendono giù fino ai glutei.
“Fillion, l’allenamento
ti ha fatto proprio bene, sai?”
E con questa
considerazione diamo inizio alla messa in pratica di un altro dei miei
buoni
propositi per quest’estate… Indovinate un
po’ quale?
Nota
dell’autrice.
Eccoci
giunti al termine di questa piccola storia che racconta
un’estate
speciale.
In
primis, grazie di cuore al mio angelo custode, che si è
sciroppata
tutti i capitoli in anteprima, ha sopportato tutti i miei dubbi (troppo
banale?
Troppo melodrammatico? Troppo film hollywoodiano? Ma sei sicura che
vada
davvero bene?), mi ha mandato i suoi suggerimenti e i suoi deliziosi
commenti
in verde e mi ha supportato per l’intera stesura, con la
pazienza di una santa.
E
naturalmente grazie a chi di voi mi ha regalato un po’ del
proprio
tempo ed è arrivato fino qui.
Baci,
Germangirl