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Autore: myheartwillgoon    13/06/2013    3 recensioni
Tutto iniziò con una vacanza... Da sola, a Dublino
La famiglia che la ospita diventa la sua seconda casa. Marito e moglie con due figli adorabili.
Uno scontro con un uomo al parco la condiziona nel profondo.
Una serie di coincidenze li riporta a rincontrarsi.
Un incidente e tutto va a rotoli.
L'odio che prova è grande, ma riuscirà a resistere al suo cuore?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny O'Donoghue, Glen Power, Mark Sheehan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 2 Si svegliò completamente frastornato, come se fosse stato investito da un esercito di carri armati. Il braccio destro, imprigionato sotto il corpo, aveva perso sensibilità. La posizione in cui aveva dormito non era delle più comode. Si mise seduto e si prese il viso tra le mani tremanti. Sentì qualcosa vibrare sul tavolino del salotto. Era la sua assistente che lo chiamava. Ignorò il cellulare e si alzò dal divano, sistemando i cuscini meglio che poteva. Si recò in bagno e si gettò sotto il getto rovente della doccia, avendo il disperato bisogno di lavare via il ricordo di quanto successo il pomeriggio precedente. Lo aveva chiamato improvvisamente, era appena rientrato dallo studio di registrazione e aveva sentito la sua voce distante. Le aveva detto di raggiungerlo a casa, ma non si aspettava una simile reazione. Lo aveva accusato di spassarsela con Sharon, l’assistente del gruppo e non aveva saputo ribattere, non perché fosse vero, ma per il semplice fatto che fosse un’accusa assolutamente insensata. Ma ormai era successo e non poteva farci nulla, così si vestì e uscì per andare a far colazione al parco; più rimaneva lì e più aveva voglia di piangere. «Anna, ci porti al parco giochi?» Fu questo il mio risveglio del mattino successivo. Aprendo gli occhi mi ritrovai davanti due mostriciattoli sorridenti che cercavano di farmi alzare. Feci una specie di sorriso e mi alzai. Alisha bussò alla porta, si scusò per il risveglio e riprese i figli. Scesi a far colazione già vestita e truccata, pronta per accompagnarli al parco. Alisha mi lasciò scritto cosa avrei dovuto fare e gliene fui grata, non mi sarei mai ricordata, altrimenti, tutte le faccende della giornata. L’aria era frizzante anche se era la metà di giugno, ma tutti erano già in tenuta estiva, tranne me. Indossai la felpa dell’università di Oxford, che avevo acquistato in gita scolastica, e presi le maglie anche per i bambini. Camminammo per pochi minuti e arrivammo al parco dove mi sedetti su una panchina di fianco a una vecchia signora, mentre i piccoli giocavano. Non li perdevo di vista un attimo. «Un cappuccino grande, per favore» ordinò lui, appoggiandosi al banco. «Subito. Sono 2 euro e 50.» Danny appoggiò le monete, prese la bevanda e si incamminò per il parco. Vide un gruppo di bambini che stavano giocando, tirando calci a un pallone e gridando. Stranamente, quegli schiamazzi lo infastidivano. Amava i bambini, i loro giochi lo avevano anche ispirato per alcune canzoni, ma non in quell’occasione. Non si accorse che uno di loro stava correndo nella sua direzione, senza guardare verso di lui e gli finì addosso, facendogli rovesciare sulla sua maglietta il cappuccino bollente. Quel calore lo risvegliò dal torpore che aveva addosso. «Mi scusi signore» si giustificò il piccolo, guardandolo mortificato. Lui non rispose. Stavo controllando gli impegni della giornata e non mi resi conto fino all’ultimo di cosa stesse facendo quella peste di Nick. Lo vidi solo un istante prima che andasse a sbattere contro l’uomo che camminava imperterrito. Accadde tutto in un secondo, il bambino cadde, guardò verso l’alto e mormorò qualcosa. Scattai in piedi, seguita da Cleo, che corse verso il fratellino. Arrivata vicino all’uomo vidi che la bevanda che teneva si era rovesciata sulla sua maglia. Non sapevo cosa fare, mi sentivo malissimo per quell’incidente, ero una buona a nulla, non sapevo neppure tenere due bambini tutto sommato tranquilli per una mattinata, figuriamoci per tutta l’estate. Non lo guardai neppure in faccia, raccolsi il bicchiere da terra e solo allora mi accorsi di chi avevo davanti. Mi superava in altezza di una ventina di centimetri anche se non mi ero mai lamentata per il mio metro e 70. Proprio con lui, mi chiesi perché. Quell’uomo era Danny, Daniel O’Donoghue, il mio idolo indiscusso. Passavo giornate sdraiata in giardino ad ascoltare la sua voce attraverso le cuffie, ad immaginare di incontrarlo in qualche strano modo, a cantare a squarciagola le sue canzoni senza aver paura di risultare pazza, ad appendere per la stanza i disegni che amavo fare di lui. Ora me lo ritrovavo davanti e mi si bloccava la voce, presi coraggio e parlai. I suoi occhi malinconici si fissarono nei miei e mi ghiacciarono. «Scusa» gli dissi «è colpa mia, dovevo stare più attenta..» «Sì, avresti dovuto» rispose freddo. Mi crollò il mondo addosso. Non avrei mai immaginato che il mio incontro con lui sarebbe stato tanto terribile. Mi bruciavano tremendamente gli occhi, mi morsi il labbro per trattenere le lacrime. Quando alzai lo sguardo lui se ne stava già andando, ma rimase nell’aria il suo profumo, mischiato a quello del caffè e un bicchiere vuoto, che non aveva più senso conservare. “Cosa cazzo hai fatto?” continuava a ripetersi. Non era stato lui a dire quelle cose. Cosa gli era saltato in mente, era stato un autentico stronzo a risponderle in quel modo. Lei si era scusata, senza aggiungere nulla e le aveva distrutto il cuore. Lo sapeva, sapeva che quella ragazza lo conosceva, aveva visto i suoi occhi brillare, eppure non si era comportata come una fan impazzita, lo aveva trattato come fosse chiunque altro. Si girò quel tanto che bastava per vedere i suoi occhi annebbiarsi, la sua mano stringeva il bicchiere che aveva raccolto. Poi riprese a camminare. «Scusami, non volevo. Non dirlo alla mamma, ti prego. Lei si arrabbia e non mi fa più andare al parco» mi implorava Nick, strattonando i miei pantaloni. Gli misi la mano libera tra i capelli e lo guardai. I suoi occhietti erano colmi di tristezza, proprio come dovevano essere i miei. «Stai tranquillo, alla mamma non dirò niente.» Mi sorrise e mi strinse la gamba in segno di affetto. Avvicinai anche Cleo e la abbracciai. «Vi va di andare a fare la spesa, bambini?» domandai, cercando di cambiare argomento. Così ci avviammo verso l’uscita del parco, gettando per strada quel dannato cappuccino.
  
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