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Autore: Rubysage    16/07/2003    1 recensioni
Una recita scolastica...un regista nevrotico...un attore primadonna...due amici che si scannano...che ne sarà di Macbeth? Storia completa! (di Sage, che ha cambiato nick ^___^)
Genere: Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Taro Misaki/Tom
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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16

16. Tutto ricomincia

 

 

Ci vollero due giorni per far uscire Tom e Oliver dall’ospedale e altrettanti per spiegar loro la dinamica dell’accaduto. Tuttavia furono entrambi piuttosto malleabili con i loro maldestri compagni, Tom perché, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era parzialmente responsabile dell’incidente, mentre Oliver credeva che il fatto fosse una ritorsione contro di lui per il modo in cui si stava comportando.

Il problema più grosso fu, però, convincere i loro genitori a lasciarli tornare al lavoro. La signora Hutton, poi, visto che era già la seconda volta che il suo figliolo subiva uno strano incidente, si era convinta che dietro a tutto c’era lo zampino di una specie di ‘Fantasma dell’Opera’ che stava tentando di sabotare i ragazzi. Di nuovo Oliver inventò una scusa piuttosto elaborata, alla quale mamma e papà abboccarono nuovamente (la fiducia nel loro ragazzo era davvero troppo abbondante), e così non ebbe grossi problemi a riprendere il suo posto.

Tom, invece, ebbe il problema contrario : il veto dei genitori era giusto quello che ci voleva per fargli abbandonare il suo ingombrante ruolo. Invece i signori Baker erano fermamente convinti dell’importanza di portare a termine gli impegni presi e, seppure a malincuore, non si lasciarono intenerire dall’aspetto supplichevole e malconcio del figlio, il quale non potè fare altro che mandar giù l’amaro boccone e darsi dell’idiota per essersi tirato la zappa sui piedi.

Comunque, né Tom né Oliver scoprirono mai l’identità dei colpevoli, grazie all’omertà e allo spirito di gruppo dei compagni. Il tutto, però, rese i due parecchio sospettosi nei loro confronti, e sarebbe passato un bel po’ di tempo prima che accettassero di nuovo qualsiasi bevanda o genere alimentare proveniente dalle mani degli amici.

Malgrado l’accaduto, le prove ripresero normalmente, e, per qualche tempo, tutto sembrò procedere per il meglio.

 

 

17. Il primo passo

 

 

Seduto a tavola, in mensa, Paul teneva lo sguardo fisso nel vuoto e pungolava con la forchetta la striminzita coscia di pollo che aveva nel piatto. Non aveva ancora mangiato un boccone.

“Paul, ma cosa ti ha fatto di male quella povera bestia ? Almeno, quello che ne resta...” disse Stephen.

“Niente, non ho fame” rispose Paul.

“Beh, posso capire che il pollo con i piselli non ti piaccia, ma non è il caso di torturarlo in quel modo...passa, vah” disse Philip afferrando il piatto di Paul e vuotandone il contenuto nel suo.

“Phil, fai schifo, sei proprio una fogna...” commentò Julian allibito.

“Ma inshomma, vuoi che queshto...gnam...queshto ben di Dio fignishca gnella...munch...shpasshatura ?” rispose il ragazzo masticando un grosso boccone. “She...glom !”. Inghiottì il tutto. “Se Paul non ha fame sono cavoli suoi...con tutta la gente che non ha da mangiare...”

“Wow, tu sì che capisci gli amici !” disse Stephen. “Invece di fregargli il pranzo, perché non lo aiutiamo ad abbordare Sarah ?”.

“Steve, guarda che non ho bisogno della mamma, posso anche sbrigarmela da solo. E poi sono fatti miei” intervenne Paul piuttosto seccato. Ad ogni modo, Stephen aveva centrato perfettamente il problema. Nonostante gli innumerevoli tentativi, Paul non era ancora riuscito a sconfiggere la timidezza e dichiararsi alla ragazza che gli aveva rubato il cuore. Non sapeva far altro che guardarla incantato finchè lei se ne accorgeva e, arrossendo, spariva dalla sua vista. A tal punto temeva di fare la figura dell’idiota da non capire che la stava già facendo.

“Dai Paul, non fare così” lo rincuorò Julian “Vedrai che prima o poi arriverà l’occasione giusta...”

“Io credo che sia già qui” disse Mark inarcando un sopracciglio e guardando alle spalle di Paul, che gli stava seduto di fronte. “Guardate un po’ chi c’è là in fondo...”

Quando Paul si voltò, il cuore gli sobbalzò nel petto : Sarah, che mangiava il suo pollo tenendo il capo chino sul piatto, era seduta tre tavoli più indietro. Ed era sola.

Paul si rigirò verso i compagni con il cuore in gola. Che faccio ?,sembrava chiedere con lo sguardo. Stephen gli mise una mano sulla spalla e gli disse : “E’ la volta buona. Vedi di non sprecarla.”. Gli altri gli fecero un cenno con la testa e sorrisero, per dargli un po’ di coraggio. Paul si voltò di nuovo verso la ragazza ; dopo averla guardata per un attimo, si alzò con decisione e disse : “Gente, io vado”.

I ragazzi avrebbero voluto battergli le mani.

Quando Sarah lo vide dirigersi verso di lei, ebbe la tentazione di alzarsi ed uscire di corsa. Ma cosa voleva quel tipo ? Non poteva essere interessato ad una come lei. E allora perché continuava a guardarla ?

“Ciao” disse Paul sedendosi.

“Ciao...” rispose Sarah arrossendo vistosamente.

“Ecco...io...volevo solo... insomma...” farfugliò Paul imbarazzato. Maledizione, pensò. Sarah lo stava guardando con aria dubbiosa. Doveva trovare le parole.

“VolevosolodirtichetihosentitacantidaDiomichiamoPaullosochesembroundeficien...”

“Scusa, cos’hai detto ?” lo interruppe Sarah, investita dallo sproloquio di Paul che l’aveva quasi divertita. Accortosi di aver fatto la figura dell’ebete, il ragazzo arrossì come un pomodoro e trasse un profondo respiro. Calmo, si disse. Stai calmo, altrimenti è finita.

“Io...ti ho vista la settimana scorsa alle prove...gli Stand Up, ricordi ?” Okay, così va meglio. “Hai urtato contro la mia spalla mentre uscivi...mi hai chiesto scusa e io ti ho detto che non importava”.

Sarah abbassò lo sguardo e, con un filo di voce, disse :”Veramente...non mi ricordo”

SBADABRANG ! Paul ingoiò filosoficamente il rospo e proseguì.

“E’ vero, che idiota...come potresti ricordartelo ? Non significa nulla...”

“Beh...se te ne sei ricordato...forse vuol dire che è importante, no ?”

Paul era rimasto sorpreso dalle parole della ragazza. La guardò negli occhi e notò in essi uno sguardo curioso e al tempo stesso pieno di speranza. Capì che doveva averla colpita in qualche modo. Le sorrise e proseguì.

“Alla fine...ti hanno presa nel gruppo ?”

“No... almeno, non ho più saputo niente... ma non credo proprio” rispose Sarah guardando altrove. Paul capì che doveva essere stata davvero una grossa delusione.

“Mi dispiace” disse “Sai, ti ho sentita...secondo me vali moltissimo, hai una voce davvero splendida”

“Grazie” rispose Sarah sorridendo. “Comunque non importa, me lo aspettavo. Credo che loro abbiano bisogno di qualcuno che...faccia un po’ più scena, non so se mi spiego...”

Paul scosse la testa e rise. “Lo vedi ? E’ questo il problema di Leon Mitchell e soci. Sono tutto fumo e niente arrosto, si perdono solo dietro le apparenze e non hanno ancora capito che la cosa veramente importante...è ciò che sta qui” disse, portandosi una mano alla gola “E qui”, e si portò l’ altra mano al petto, nel punto in cui gli batteva fortissimo il cuore.

Sarah si sentiva strana : imbarazzata, confusa e felice al tempo stesso.

“Ti ringrazio. Ora però è meglio che vada... devo ripassare un po’” farfugliò alzandosi. “Compito in classe di matematica...”. Sorriso. Sguardo basso. Silenzio. “Comunque mi chiamo Sarah...” riprese, tendendo la mano al ragazzo che ora la guardava con dolcezza.

“Lo so” rispose sorridendo. “Io mi chiamo Paul”.

I due si strinsero la mano e i loro occhi si incontrarono di nuovo...gli splendidi occhi azzurri di Sarah e i dolci occhi castani di Paul. La ragazza poi lo salutò e scappò via di corsa.

Paul rimase a guardarla ancora una attimo, ed era convinto che la storia non sarebbe finita lì.

 

 

18. Piove sempre sul bagnato

 

 

Grazie al suo exploit in sala mensa, Paul aveva finalmente ritrovato il buonumore ; la sua euforia contagiò praticamente tutti e le prove continuarono con tranquillità.

Almeno fino al giorno successivo.

 

Ora che Julian ed Elizabeth litigavano un po’ meno, Benjamin non aveva più altre uscite folli e perfino Tom sembrava essersi calmato (il tutto con somma gioia di Oliver,che finalmente poteva svolgere il suo lavoro in santa pace), Philip si annoiava a morte. Il suo personaggio era uscito di scena e i lavori di ristrutturazione delle scenografie erano quasi terminati ; ormai non gli restava altro da fare che grattarsi la panza tutto il santo giorno. Non poteva nemmeno tornarsene a casa a farsi gli affari propri, perché Oliver pretendeva la presenza di tutta la compagnia durante le prove, in caso ci fossero dei problemi, e la cosa che Philip, tipo dinamico per natura, odiava di più era rimanere con le mani in mano. Inoltre, dopo l’episodio del tè drogato, non era più accaduto nulla di divertente e quella recita che il ragazzo (forse l’unico tra tutti) considerava un piacevole diversivo aveva raggiunto l’apice della monotonia.

Stufo di restarsene seduto, andò a fare un giretto dietro le quinte. Avevano da pochissimo montato il sipario e secondo lui non era stata una grande idea, perché la ribalta veniva notevolmente ristretta. Mentre Maddy, brandendo un candeliere, recitava i deliri da sonnambula di Lady Macbeth, Philip si infilò dietro il tendone di sinistra, dove Mark attendeva di entrare in scena.

“Che pizza” disse. “Non vedo l’ora che arrivino le sei...”

“Scherzi ? Dà un’occhiata a come si muove Maddy e vorrai fermare il tempo !” rispose Mark, senza staccare gli occhi dal sedere della ragazza.

“Com’è che sei diventato un poeta ? Mi sa che questa recita del cavolo ti ha dato un po’ alla testa, caro il mio MacDuff !” rispose acido Philip ; ma, dopo aver spostato gli occhi nella stessa direzione di quelli di Mark, fece un sorrisetto e disse :”Ah, beh, però...” e si appoggiò alla parete per ammirare con comodo il panorama.

“...Via , macchia maledetta !...Un soldato, aver paura ?...Chi pensava che il vecchio avesse in corpo tanto sangue ?” disse Maddy, tenendo gli occhi sbarrati e muovendosi come se fosse davvero sonnambula. Era veramente brava, Oliver era certo che quella parte fosse su misura per lei.

“Avete sentito ?...” esclamò Stephen entrando in scena.

Oliver scosse la testa e disse :”Stop !”

Ci risiamo, pensò Philip.

Stephen alzò le mani al cielo ed esclamò : “Ma porc... è possibile che appena dico qualcosa tu debba sempre fermare tutto ? ! ? Sono tre parole in croce, dove diavolo è che sbaglio ? ! ?”

“Il punto, Steve, è che sei espressivo come un nano di gesso” rispose, calmo, Oliver.

“Toh, questa non l’avevo mai sentita !” disse Stephen.

“Ascoltami, recitare non significa ripetere a pappagallo quello che c’è scritto su uno stupido foglio di carta ! Vuol dire anche calarsi nella parte, vivere gli stessi sentimenti del proprio personaggio...e possibilmente anche capirli !”

“Ma cosa devo capire ? ! ? Sono un medico ! ! ! Ascolto gli sproloqui di una pazza e li commento, fine !”

“Lo vedi che non hai capito niente ? Ricominciamo da capo. Atto quinto, scena prima.”

“Ma Ollie !” protestò Maddy “E’ la quarta volta che la rifacciamo ! Non puoi far ripetere solo la battuta di Stephen ?”

“Uhm...no, altrimenti facciamo casino... comunque non preoccuparti, Maddy, tu sei davvero perfetta !” disse Oliver prendendo la mano della ragazza e avvicinandola alle labbra. Maddy glie la sottrasse rapidamente, fulminandolo con gli occhi. Patty, che da tempo faceva un discreto filo al ragazzo e aveva assistito alla scena, incrociò le braccia, e , guardandolo in cagnesco, disse :

“E bravo Ollie ! Scommetto che stai cercando tutte le scuse possibili per rimirarti quella smorfiosa, e magari anche provarci, giusto ? ! ?”. Oliver diventò paonazzo.

“Modera i termini, Gatsby !” ribattè Maddy stizzita. Tra le due non correva buon sangue. “Chi lo vuole, quello ? ! ? Per conto mio te lo puoi anche tenere !”

“E vai, ecco la rissa !” disse Philip stringendo i pugni. Finalmente un diversivo...

“Non contarci troppo, Phil, sta arrivando il paciere...” disse Mark. Difatti Tommy si era messo in mezzo e stava cercando di calmare le parti in questione, tra la delusione di Oliver e l’irritazione delle due ragazze. In breve, il clima tornò tranquillo.

“Al diavolo ! Possibile che non succeda più niente di divertente ?” esclamò Philip dando una manata contro il muro. Appena compiuto quel gesto, però, si fermò, incuriosito, ad osservare il punto che aveva colpito.

“Cosa intendi per divertente ?Mandare Ollie e Tom all’ospedale ?” disse Mark in tono critico.

“Aspetta, Mark, guarda qui “ disse Philip indicando una leva che sporgeva dal muro.

“Che cavolo è ?” si chiese Mark.

In effetti, nessuno ci aveva mai fatto caso. Chissà da quanto tempo era lì...e aspettava solo di essere abbassata...

“Fermo lì, disgraziato !” disse Mark afferrando la mano che Philip stava allungando verso la leva. “Non vorrai mica tirarla ?”

“Dai, Mark, cosa vuoi che succeda ? Guardala, è tutta di legno marcio, sarà vecchia come mio nonno ! Sarà già tanto se non mi resterà in mano !”

“Sì, va bene, ma...”

“Ma cosa ? Forse nasconde un passaggio segreto, una specie di rifugio per sfuggire ai nazisti...” disse Philip gongolando e stringendo le dita intorno al pezzo di legno.

“A parte il fatto che i nazisti non sono mai arrivati in Inghilterra, la nostra scuola non è così vecchia” replicò Mark, con un po’ di pedanteria. “E poi, di solito, una leva che si trova vicino ad un palcoscenico serve ad azionare...”

YAAAAAAAAAAARGH ! ! !

“...ehm...una botola ?” disse timidamente quel furbone di Philip, che pochi secondi prima aveva abbassato con forza la leva.

Mark lo incenerì con un’occhiata e poi si precipitò in mezzo al palco, dove tutti gli altri si erano riuniti in cerchio e stavano guardando verso il basso.

“Non capisco... il pavimento si è aperto all’improvviso... e Ollie.... è volato giù... si è alzato un polverone...” farfugliò Maddy, inginocchiata accanto a quel buco quadrato. Patty singhiozzava.

“Eeeeeh... che è successo, ragazzi ?” disse Philip tentando di fare l’indifferente. Mark si girò verso di lui e, tirandolo per un braccio, gli disse : “Dà un’occhiata al tuo lavoretto, Mister Cosa-Vuoi-Che-Succeda ! ! !”

Philip si chinò a guardare nel buco e vide Oliver, un paio di metri più sotto, steso a faccia in giù, con braccia e gambe allargate, su un vecchissimo materasso ricoperto di polvere e ragnatele. Il meccanismo funzionava ancora perfettamente, a quanto sembrava.

“Ahem.....Ollie...hai bisogno di qualcosa ?” disse Philip. Oliver non rispose.

“Sì, che tu lo vada a prendere, imbecille !” disse Mark sferrando un poderoso calcio nel sedere a Philip, che volò nella botola finendo addosso ad Oliver.

“Mark, sei impazzito ? ! ? Vuoi che ci rimettiamo anche un attore, oltre che al regista ? ! ?” esclamò Julian.

“Meglio, due rompiscatole in meno ! Vado a chiamare l’ambulanza... tanto ormai conoscono la strada !” rispose Mark allontanandosi.

“Hey, di sopraaaah... tirateci fuoriiiiih...” borbottò Oliver con un filo di voce. Philip era steso sulla sua schiena, privo di sensi.

I ragazzi, levando gli occhi al cielo, si domandarono quale tremenda maledizione incombesse su di loro.

 

19. Quel che Julian si porta dentro

 

 

Sabato sera, ore 20 e 45.

Elizabeth, che stava aspettando Julian, si guardò un’ ultima volta allo specchio. Niente male, Betsy, davvero niente male, si disse. Aveva passato tutto il pomeriggio cercando l’abito adatto per la serata (e ad inventarsi una scusa buona per aver saltato le prove) e, dopo aver ribaltato tutto l’armadio, aveva finalmente optato per un vestitino azzurro lungo fino al ginocchio, con le spalline sottilissime che si incrociavano dietro la schiena e un paio di sandali a tacco alto allacciati alla caviglia. Si ravvivò i lunghi capelli neri e, infilandosi gli orecchini, pensò a cosa le avrebbe detto Julian. Di certo le avrebbe fatto qualche battutaccia, come al solito. La sorprese, però, di non aver fatto altro che pensare a quel ragazzo tutto il santo giorno : insomma, l’ evento (con la E maiuscola) era il concerto di Van Morrison, e anziché ringraziare tutti i santi del Paradiso per l’occasione d’oro che le era capitata o sperare che Julian non la bidonasse all’ultimo minuto (in fin dei conti i biglietti li aveva lui) se ne restava davanti allo specchio a civettare. Cosa cavolo si aspettava da lui ? Che le chiedesse di sposarlo ? Soffocò una risatina immaginando lei e Julian come marito e moglie : lui che scappava per casa con il giornale sottobraccio mentre lei, urlando, gli tirava dietro un intero servizio di piatti in porcellana...

Lo squillo del campanello la riportò alla realtà. “Però ! Ha davvero spaccato il minuto !” disse guardando l’orologio. Afferrò la borsetta e scese di corsa le scale.

“Ciao a tutti ! Non so a che ora torno, non aspettatemi !”

“Cerca di non fare troppo tardi” disse sua madre dalla cucina.

“Di che ti preoccupi ? E’ in ottima compagnia !” ribattè il padre, sottovoce. Sapeva benissimo che sua figlia non avrebbe gradito la battuta.

Quando Elizabeth aprì la porta, rimase per un istante senza fiato.

Julian, che si trovava davanti a lei con le mani in tasca e il solito sorriso smagliante, era semplicemente favoloso, forse ancora più bello del solito. Era vestito in modo semplice e al tempo stesso elegante, con un paio di pantaloni grigi, una camicia bianca con il colletto alto, un gilet nero sulle spalle e scarpe nere tirate a lucido. La camicia ricordò ad Elizabeth quelle che usavano i contadini irlandesi il secolo scorso, con la differenza che quella doveva certamente uscire da un lussuosissimo negozio di Oxford Street.

Non c’era niente da fare, l’ insieme era davvero perfetto ; in più, con i capelli sistemati con un po’ di gel era davvero irresistibile.

“Guarda che non dobbiamo mica andare all’Opera” fu tutto quello che Elizabeth riuscì a dire.

“Stavo giusto per dirti la stessa cosa” rispose il ragazzo. “Andiamo, vah ! Permette, madame ?” disse porgendo il gomito ad Elizabeth da perfetto cavaliere.

“Con piacere, monsieur Ross !” rispose lei prendendo a braccetto l’amico.

“E allora...via, che è tardiiii !”. Julian partì di corsa tirandosi dietro la ragazza e rischiando di farla cadere, ma si fermò dopo pochi metri ridendo.

“Lo sapevo, sei il solito buffone !” disse Elizabeth, scoppiando anche lei in una risata.

 

“Accidenti, c’è davvero un sacco di gente !” disse Julian guardandosi intorno mentre stavano facendo la fila per entrare nel teatro.

“Te l’ho detto che era tutto esaurito...hey, tu ! In coda come tutti, furbastro !” esclamò Elizabeth mentre un tizio cercava, facendo lo gnorri, di passarle davanti. “Ma tu guarda questo...e voi non spingete, cafoni ! Non vedete che siamo compressi come sardine ? ! ?”

“Possibile che tu debba sempre fare la zitella acida ?” borbottò Julian, contrariato. “Il tuo stemma nobiliare cos’è, un limone ?”

“Non ti rispondo solo perché, se non fosse stato per te, ora non sarei qui...”

“Biglietti, prego...”

“Julian, ti muovi ?”

“Un attimo, non sono mica Flash Gordon... ecco qua” disse Julian dopo prendendo i biglietti dal portafogli. Senza che il ragazzo se ne accorgesse, però, un rettangolo di carta gli scivolò a terra. Elizabeth si affrettò a raccoglierlo. “Hey, vecchio, perdi i pezzi per strada ?” disse. Quando si rialzò e lo guardò meglio, però, vide che si trattava di una fotografia piegata a metà. Carina, pensò sorridendo. Ritraeva Julian e sua sorella Amy, più giovani di qualche anno, in compagnia di un ragazzo più grande, dai corti capelli castani e gli occhi verdi. Un bel ragazzo, a dire la verità. A giudicare dai visi sorridenti e spensierati dei tre, dovevano essere davvero felici, quel giorno. Erano seduti in un prato, e Julian, che teneva Amy sulle gambe, aveva le spalle cinte da un braccio dello sconosciuto. Elizabeth girò la foto e sul retro trovò una scritta :

Amy, Julian e Sean

Enniskillen, maggio 19...

 

L’anno in cui Julian era arrivato a Sevenoaks. Ma chi era Sean ?

“Cosa vuoi adesso ?” disse Julian spazientito. Guardò verso la ragazza e, vedendo la foto che teneva in mano, impallidì. “...dove l’hai trovata ?”

“Ti è caduta quando hai preso i biglietti...beh, potresti almeno ringraziarmi !” rispose Elizabeth porgendogli la fotografia.

“Sì, sì, grazie...adesso andiamo, però” disse Julian mettendo via la foto in fretta e furia.

“Senti un po’ ma quello Sean chi è ?” domandò curiosa Elizabeth seguendo l’amico lungo i corridoi del teatro. “Potresti almeno presentarmelo, quel fustacchione !”.

“Ecco i nostri posti” disse il ragazzo facendo finta di niente.

“Che c’è, fai il geloso ? Beh, comunque devo dirtelo, è una gran bell’anima !” disse allegramente Elizabeth, mettendosi a sedere. Julian non rispose.

Hai detto la parola giusta, pensò.

 

Il concerto era spettacolare, Julian ed Elizabeth non stavano più nella pelle tanto erano emozionati e si stavano distruggendo le mani a furia di applaudire. La voce calda e forte di Van Morrison, e le sue struggenti melodie un po’ blues, un po’ jazz e un po’ folk facevano accapponare la pelle. Avevano chiesto il bis dopo “Celtic ray” e cantato a squarciagola il coro di “Caravan” e “Wavelength”.

E’ tutto perfetto, pensò Elizabeth.

Ora aveva attaccato “Madame George”.

Down the Cyprus Avenue...

Elizabeth non aveva mai capito il testo di quella canzone. Dopo qualche minuto si voltò verso Julian per chiedergli cosa fossero Cyprus Avenue e Fitzroy, ma quello che vide le fece morire in gola le parole.

Il ragazzo guardava fisso davanti a sé, con le braccia incrociate strette al petto, e aveva gli occhi lucidi...

...And you know you gotta go...

Elizabeth capì che faticava a trattenere il pianto, e le si strinse il cuore quando vide una lacrima scendere lungo la guancia di Julian, che cercava di soffocare i singhiozzi. Il ragazzo l’asciugò immediatamente, cercando di non farsi notare. Trasse un profondo respiro e guardò distrattamente in direzione di Elizabeth, sperando che la ragazza non lo notasse. E invece incrociò, con grande imbarazzo, lo sguardo di Elizabeth, che, pur essendo turbata, gli sorrise dolcemente. Lui la ricambiò con un sorriso affrettato e abbassò gli occhi.

...Say goodbye to Madame George...

Senza più guardarlo, Elizabeth pose la sua mano su quella di Julian, che stringeva il bracciolo della poltrona. Il ragazzo mollò la presa e afferrò delicatamente le dita dell’amica, tenendole strette. Il brutto momento era passato...

...Dry your eyes for Madame George...

...per ora.

 

Al termine del concerto, i due amici, stanchi ed emozionati, si diressero verso casa continuando a ridere e cantare.

“Certo che ha una pronuncia davvero orribile !” commentò Elizabeth.

“Per forza, con tutti gli anni che ha passato in America !” rispose Julian.

“Sì, bravo...la verità è che quando voi irlandesi parlate sembrate avere una patata in bocca !”

“Ci stai dando dei mangiapatate ? Guarda che potrei nominarti almeno un migliaio di inglesi veraci che parlano molto peggio !”

“He, he...ho pungolato il tuo orgoglio dell’Ulster, vero ?” lo stuzzicò la ragazza. “Adesso che farai, mi metterai una bomba sotto casa ?”

Julian non le rispose, ma le lanciò uno sguardo di fuoco. Elizabeth arrossì, vergognandosi delle sue parole.

“Scusami, ho detto un’idiozia” disse a bassa voce.

“Come al solito ! Va beh, ti perdono” disse Julian alzando le spalle.

I due proseguirono in silenzio. Elizabeth ripensò al pianto sommesso dell’amico, e ,anche se non sapeva come mai, lo collegò alla fotografia.

“Senti...” domandò con cautela. “Non è per farmi i fatti tuoi, ma... non mi diresti chi era Sean ? Un tuo amico ?”.

Julian si fermò e la guardò dritta negli occhi.

“Se non ti va di rispondermi non importa...lo so che sono una maledetta curiosa !”. Julian continuò a guardarla.

“Scusami. Ti prometto che non ne parlerò più” continuò la ragazza, abbassando lo sguardo.

Julian tacque per un momento.

“Era mio fratello” rispose.

“...Come ?” disse Elizabeth, confusa.

“Sean, quello della foto. Era mio fratello. Sean Robert Ross.”

“Tu...hai un altro fratello, oltre ad Amy ?” domandò Elizabeth, stupefatta.

Julian sospirò stringendosi nelle spalle.

“Non l’ho più” rispose. “L’hanno ammazzato a Belfast cinque anni fa”.

Elizabeth si sentì gelare.

“Quella era una foto della nostra ultima gita insieme” continuò Julian, con lo sguardo fisso nel vuoto.

 

 

20. Sogni perduti e sogni ritrovati

 

 

I due amici deviarono verso il parco e si sedettero in riva al ruscello, accanto ad un vecchio salice piangente. Julian non aveva nessuna voglia di parlare, ma sapeva benissimo che avrebbe dovuto farlo perché, forse, dopo si sarebbe sentito meglio. Durante il breve tragitto, Elizabeth non aveva detto una parola ; mai e poi mai si sarebbe aspettata che quel ragazzo nascondesse una tragedia così grande e fosse riuscito a mascherarla per così tanto tempo tempo. Ma ora Julian aveva deciso di confidarsi proprio con lei, e lei stessa, sebbene stupita, aveva accettato senza chiedergli il perché , senza un motivo ; l’avrebbe fatto e basta.

Dopo cinque minuti di silenzio, durante i quali i due non si erano scambiati nemmeno uno sguardo, Julian si sdraiò sull’erba e cominciò a parlare.

 

“Avevo sette anni quando i miei genitori divorziarono. Amy doveva ancora compierne sei e Sean, che ne aveva già quindici, era l’unico che capiva come stavano le cose. Per quanto riguardava me e mia sorella, ci eravamo di colpo trovati senza mamma, sempre troppo occupata con la sua associazione di beneficenza per prendersi cura dei suoi figli che soffrivano come cani, e senza papà, che si era subito trasferito qui in Inghilterra dove lavorava già da tempo e dove si sarebbe risposato dopo un paio d’anni. Tutto quello che ci rimaneva era Sean, e per quattro anni fu per noi padre, madre e fratello maggiore.

Sean era quello che ci aiutava a fare i compiti, che ci faceva giocare, era quello che ci spiegava come funzionava il mondo, che ci difendeva dai prepotenti, era quello che ci rimboccava le coperte e ci raccontava le filastrocche per farci addormentare. Tutta la nostra vita ruotava intorno a lui. Fino alla notte in cui ce lo portarono via per sempre”.

 

“Quella sera, mamma aveva portato Amy dal dentista, e poi si erano fermate a trovare zia Martha. Telefonarono dicendo che non sarebbero tornate per cena, così io e Sean decidemmo di guardarci un film e farci una pizza. Non immagini quanto fossi felice di avere il mio fratellone tutto per me, ero sicuro che sarebbe stata una serata favolosa ; magari saremmo andati a prenderci un gelato e avremmo giocato a Monopoli, dove io avrei imbrogliato come al solito e Sean avrebbe fatto finta di arrabbiarsi. Insomma, ci saremmo divertiti un mondo.

E così fu, finchè non suonarono alla porta”.

 

“Sean andò ad aprire, convinto che fosse il fattorino della pizzeria. Invece era un ragazzo di neanche vent’anni che, senza dire una parola, gli sparò un colpo di pistola in testa.

Io stavo uscendo dalla cucina con un bicchier d’acqua in mano, e non mi ero nemmeno reso conto di quello che era successo. Quando vidi Sean steso sul pavimento con un buco in fronte mi sentii mancare e feci cadere il bicchiere sul pavimento. Se non l’avessi fatto , forse quel tizio non si sarebbe neanche accorto di me, e non mi avrebbe scaricato tre colpi nello stomaco “.

 

Elizabeth si portò una mano alla bocca, sconvolta, senza riuscire a trattenere un brivido lungo la schiena. Julian continuò il suo racconto, con la voce vuota e spenta di chi ha vissuto troppo a lungo con un dolore bruciante nel petto.

 

“Mi svegliai in ospedale quattro giorni dopo, salvo per miracolo grazie ai vicini che avevano sentito gli spari. Accanto al mio letto c’erano i miei genitori. Non gli dissi una parola ; dentro di me li maledissi perché se Sean era morto era tutta colpa loro, perché se non si fossero lasciati non sarebbe successo niente, e io non potevo perdonarli, li odiavo, li odiavo perché Sean non doveva andarsene e lasciarmi solo, e se era morto lui, volevo, dovevo morire anch’io...”

 

“Julian...”

Il ragazzo stava stringendo i denti per ricacciare indietro le lacrime. Poi il suo tono si fece più pacato.

 

“Non era vero, naturalmente, ma in quel momento ero furioso...furioso e spaventato perché non sapevo come sarebbe stata la mia vita dopo allora. Mi accorsi di essere stato un dannato egoista quando vidi Amy. Se n’era rimasta in disparte senza dire nulla, con gli occhi lucidi, e appena si avvicinò al letto, mi buttò le braccia al collo piangendo e chiedendomi di non lasciarla mai sola, di tornare presto a casa perché aveva bisogno di me...”

 

“Come avevo potuto dimenticarmi di lei ? Ormai io ero tutto quello che le era rimasto, e lei era tutto quello che mi rimaneva. Le promisi che mi sarei sempre preso cura di lei, che saremmo stati come una persona sola e che qualsiasi cosa ci fosse successa, l’avremmo affrontata insieme.

Finora abbiamo mantenuto la nostra parola, e sono sicuro che continueremo a farlo.”

 

“Comunque, la polizia mi fece le solite domande inutili, dopodichè mamma impacchettò me ed Amy e ci spedì a Sevenoaks con papà. Niente più mamma, niente più Sean, niente più Irlanda. Fine”

 

“Ma perché ?...non potevate rimanere a Belfast ?” domandò Elizabeth.

“Certo che potevamo. Ma i nostri genitori avevano paura... paura di ritorsioni, intendo. Forse non sai cosa significa vivere in stato di guerra.”

Elizabeth deglutì. “Allora l’omicidio di Sean...è stata l’IRA ?”

Julian scosse la testa. “E’ possibile che per qualsiasi cosa succeda in Irlanda del Nord voi inglesi diate la colpa all’IRA ? Non sai che una guerra è sempre combattuta da due parti opposte ?”

“Scusami. Vuoi dire che sono stati...quelli dell’altra parte ?”

“Sì. Vedi, Sean era entrato nel Sinn Fèin (braccio politico dell’IRA, n.d.S). Ciò che gli stava più a cuore era combattere per la pace del nostro paese...ma lui non voleva farlo con le armi. Sapeva che non era il modo giusto, e aveva ragione.

Lui era convinto che il dialogo tra le parti fosse il punto di partenza per l’unica soluzione possibile, cioè il compromesso. Do ut des, ce l’hanno sempre insegnato a scuola. Non puoi pretendere qualcosa senza dare nulla in cambio. Nemmeno quando, per sette secoli, ti hanno sempre strappato tutto di mano, anche i diritti più elementari.”
Elizabeth notò una vena polemica nella sua voce ; evidentemente Julian aveva recepito alla perfezione gli insegnamenti del fratello. Ad ogni modo, non poteva certo dargli torto ; la fazione a cui apparteneva il ragazzo era sempre stata quella più danneggiata nel corso della storia del suo paese.

“Non hai idea di quanti amici, sia cattolici che protestanti, avesse Sean...ed erano quasi tutti d’accordo con lui. Ma, evidentemente, il tizio che l’ha ammazzato non la pensava così, e tanto è bastato...”

 

“La cosa triste, Beth, non è tanto che quello fosse convinto di essere nel giusto, ma che non avesse capito che il suo gesto avrebbe di nuovo generato una spirale di violenza senza fine, quella violenza che si sta cercando invano di far cessare da troppo tempo. Pochi giorni dopo la morte di Sean lo trovarono morto, e la vendetta fu rivendicata dalla ‘mia parte’. E puoi star certa che la cosa non è finita lì. Qualcuno avrà assassinato l’assassino dell’assassino...e così via. Non finirà mai, finchè ogni famiglia non avrà in casa la sua croce.”

 

Elizabeth si alzò e si avvicinò al salice ; ne afferrò un ramo e se lo fece scorrere tra le dita.

“Voglio farti una domanda” disse. “Prenderesti il posto di tuo fratello ? Continueresti quello che lui ha iniziato ?”

Julian sospirò. “Sì” rispose. “Io credo in Sean e in tutto quello in cui credeva lui. Ha lasciato un progetto a metà, e mi sembra giusto portarlo a termine...”

“Ne ero sicura.”

“...ma non voglio tornare in Irlanda. Non ora, almeno. Ho bisogno di altro tempo per accettare tutto, visto che non ne sono stato ancora capace. Ma prima o poi credo che dovrò farlo, sarebbe da vigliacchi restare qui a guardare.”
“Nessuno ti obbliga a farlo” disse Elizabeth con voce tranquilla, “Ci sono molti modi diversi in cui combattere, quello che conta è che tu non svenda mai i tuoi ideali”.

Una leggera brezza scompigliò i capelli dei due ragazzi.

“E poi tu non sei affatto un vigliacco. Io al tuo posto sarei impazzita dal dolore  e avrei distrutto le persone che mi erano vicine con i miei scatti di nervi. Tu invece non ti sei mai lamentato di nulla, hai cercato in tutti i modi di stare vicino a tua sorella e proteggerla, e credo che tu ci sia riuscito benissimo. Amy è una ragazza felice, lo capirebbe chiunque...basta vederla quando sta con te.”

“Amy è molto più forte di me”

“Può darsi. Ma tu non hai più un fratello maggiore che ti fa da angelo custode...anzi, forse sì, anche se non puoi vederlo...e sono sicura che è terribilmente orgoglioso di te”.

Julian non riuscì a trattenere una lacrima.

“Mi  manca da morire” disse con un nodo enorme che gli serrava la gola.

Elizabeth si inginocchiò accanto a lui, gli baciò la tempia e lo abbracciò.

“Sei il ragazzo più coraggioso che io abbia mai conosciuto, Julian Ross” gli disse, mentre lui ricambiava il suo abbraccio asciugandosi la lacrima.

“E anch’io sono fiera di te... anche se sei un rompiscatole di prima classe e a volte ti ucciderei  ! ! !”

Entrambi scoppiarono a ridere.

Julian non disse più nulla ad Elizabeth quella sera, ma se lei lo avesse guardato negli occhi avrebbe capito che per quel ragazzo era diventata più di una semplice amica.

E anche lui aveva iniziato ad occupare un posto speciale nel cuore di lei.

 

 

  
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