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Autore: Princess_Klebitz    16/06/2013    3 recensioni
Amici fino alla morte ed oltre; nemici controvoglia. Musica, amore e morte nella metà sbagliata degli anni '90, scaraventati avanti volontariamente per non poter più tornare indietro.*
La tregua tra la Ragione ed il Caos durava da troppo tempo; quando si accorsero dell'errore, corsero ai ripari, e l'Immemore e l'Innocente si trovarono faccia a faccia, dopo anni di ricerche, per riportare la situazione in parità.
Un errore troppo grosso, la persona sbagliata, un imprevisto che non doveva assolutamente accadere.
Storia scritta nel 1997, e l'epico tentativo di riscriverla senza snaturarla.
Spero qualcuno apprezzi.
Genere: Drammatico, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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16. Indietro non si torna.
 
Dopo il concerto del ‘trionfo’ a Dublino, si erano temporaneamente separati, per ritrovarsi dopo una settimana circa.
Justin era tornato a casa sua per farsi viziare da Edele, che lo lasciava a letto tutto il giorno, incurante dell’università e dei suoi doveri.
Le piaceva averlo tra i piedi per la prima volta da mesi, mentre stava a raccontarle i minimi particolari del ‘tour’, ovviamente omettendo i suoi guai; dal canto suo, sua madre lo ingozzava letteralmente a forza di ghiottonerie casalinghe: si era presa persino qualche giorno di ferie per stare con lui, ma indigestione dopo indigestione, anche se si rimetteva lentamente, una cosa appariva ormai certa.
Justin non avrebbe mai superato la soglia dei 65 chili neanche zavorrandolo, che Edele e i suoi manicaretti e le sue sacre Guinness alla sera lo volessero o no!  
 
Dorian era rimasto a Dublino da Shane, e solo dopo un paio di giorni da lui e al campus del Trinity da Monik era tornato a casa, a Linayr, sotto pressione di Eddie, che invece aveva riportato il ‘Carrozzone’, come avevano soprannominato il furgoncino, con il fratello alla base del garage di Jem già il giorno dopo.
Era tornato a casa sua solo per fare una valigia, e poi, con Eddie, sarebbe partito per Londra; tutto ciò non era piaciuto né a sua madre né, specialmente, a suo padre, che aveva chiesto con tono falsamente interessato su ‘cos’avrebbe avuto intenzione di fare, IN FUTURO’.
 
Dorian aveva scrollato le spalle ed aveva risposto che era solo un viaggetto che si autofinanziavano con la vendita delle demo autoprodotte, non aveva certo intenzione di abbandonare l’università per una cretinata come il gruppo.
 
Assolutamente no.
Voleva abbandonare tutto, non solo l’università.
Quella fu l’ultima volta che tornò a casa; non sbandierava i suoi proclami al vento, come Justin, ma manteneva sempre i suoi propositi.
 
**
 
Gli amici si ritrovarono al Dublin Airport, a salutare, raccomandare e, nel caso di Monik, piangere, rassicurata da Justin sul ritorno intero e in forma più che mai del suo passerotto e di Eddie, che si avventuravano nella famelica Londra per cercare un accordo con l’etichetta che aveva voluto la demo e la registrazione del concerto all’Art Music Centre, nonostante non avessero avuto più notizie.
Non intendevano demordere, assolutamente.
Si era scoperto, in seguito, che era stato un video, non solo una registrazione audio, e che non avevano diritto di usufruirne o distribuirlo se non a livello personale della copia che era stata consegnata a loro, ma era comunque un bellissimo ricordo, che si erano guardati almeno 7 volte in una giornata a casa di Shane.
 
Le riprese erano dozzinali, di una camera fissa, e gli zoom improvvisi facevano venire quasi le vertigini, ma l’audio in compenso era perfetto, ed aveva permesso loro di godersi lo spettacolo, soddisfatti come pochi.
 
I movimenti di Justin erano fluidi ma assolutamente sobri, come se stesse passeggiando per il centro, noncurante, facendo risaltare così ancora di più le sue assenze contro le forti luci fredde; Dorian si muoveva e suonava con la sua solita eleganza che faceva sembrare facile il suo lavoro, mentre un orecchio più esperto si sarebbe accorto della fatica e della puntigliosa opera di programmazione degli effetti nel riprodurre tali suoni.
Shane sembrava emanare pura potenza groove dal suo basso e dal suo saltellare per il palco, oltre che dall’headbanging: lui ed Eddie non si sbagliavano mai, ed il drumming del rosso, oltre che essere decisamente hard rock e deciso, contrapposto alla chitarra quasi new wave di Dorian, era anche innovativo, non risultando mai invadente.
 
L’unico punto interrogativo che restava loro, ormai sfiniti dal notare errori quasi minimi e vantarsi di cose che solo loro potevano vedere, era: perché un video?
Perché un video, poi, girato in quel modo così singolare?
 
Alla chiamata per l’imbarco, i due si avviarono al gate, scortati nelle impietose luci fluorescenti del neon come andassero al patibolo più che alla vittoria. Non si illudevano di avere grandi speranze, ma Dorian aveva una luce decisa negli occhi.
Non sarebbe tornato indietro.
Punto.
Eddie lo accompagnava per tenerlo calmo e sperare che non sbarellasse, mandando all’aria l’infinitesimale possibilità di ottenere qualche vantaggio, ma non sarebbe neppure servito: Dorian era deciso a trovare qualcosa.
Qualsiasi cosa, e tutti loro lo sapevano, ormai c’erano dentro fino al collo.
E, dopo aver toccato il primo strato del cielo, in quel concerto, lo avrebbero seguito fino in fondo, pur di non mollare.
 
**
 
Il Boeing 737 dell’AirLingus rollò pesantemente sulla pista battente maltempo, si alzò e virò nel cielo sopra Dublino, con a bordo tutte le loro speranze, assieme ai due amici.
 
Come una settimana prima, Justin si trovò davanti all’aeroporto, senza sapere cosa fare, solo, mentre Shane riaccompagnava Monik ed il suo fazzoletto stropicciato al campus del Trinity, fissando ancora le incredibili nuvole irlandesi e bagnandosi di pioggia come minuscoli aghi di vetro.
 
Si avviò a casa, decidendo, come prima cosa, di cominciare a mantenere una promessa, cosa che raramente faceva; specialmente se erano promesse rivolte a sé stesso.
Già quella sera stava scrivendo una lettera, molto più realista dalle precedenti che scriveva da giorni e poi stracciava, dalla quale aveva tolto tutte le frasi da romanzo rosa in cui si stava imbucando prima, prolissa ma non stucchevole.
 
**
 
‘Carissimo Justin,
appena sono tornata a casa ho trovato la tua lettera, e non ti dico che sorpresa e che piacere!
Stavo già per mettermi a lamentare di nostalgia e ritorno alla noia come una mocciosa, ed invece ecco che il mio pezzo di Irlanda mi ha seguito fin qui! Che gioia!
[…]
Sono felice ed estremamente speranzosa sul fatto che Dorian sia a Londra; da quel che ho visto (poco) passando in tour con i Pumpkins, è una città estremamente viva dal punto di vista musicale, certo più viva di casa mia.
Sono sicura che hai già controllato sulla cartina, vicino a Montrèal,  e non l’hai vista.
Beh, dovresti procurarti una cartina più dettagliata del Quèbec, bello, per individuarmi...
[…]
Per rispondere alla tua ultima domanda, vorrei strapparmi un po’ di capelli, se non fosse che sono loro a tenermi in vita e non le sigarette né l’alcool né la passione per la musica (questa era brutta, lo so!), e…
Va bene, sarò seria.
Non so quando tornerò e specialmente, SEtornerò in Irlanda, a Dublino.
Questo tour con i Pumpkins è stata la nostra fortuna, ma ti rivelerò un orrendo segreto: ci stiamo sciogliendo.
Rick, il chitarrista, è quasi sfasciato dalla droga, e Michael, il batterista, è suo grandissimo amico, il chè significa che siamo divisi, e non solo per questa faccenda.
Così con me, a supportare le mie decisioni (in breve: un drogato in un gruppo è un’incognita; non voglio avere il dubbio, ad ogni show, di doverlo saltare. E’ la cinica verità, purtroppo non siamo un gruppo di amici come voi, siamo solo musicisti con un legame) rimane solo Chris, ma non ha mai avuto molto peso nel gruppo, essendo l’ultimo arrivato e all’inizio solo come supporto alla tastiera e al basso.
Billy Corgan mi ha detto di provare la strada solista, ma temo non abbia capito che io non sono sulla sua lunghezza d’onda, quel ragazzo è strano, ma immagino che se non fosse così non sarebbe un genio.
[…]
Grazie per il regalo, non ho mai avuto ‘Heroes’ di David Bowie originale; ti assicuro che non è poco, è  sentitissimo, anche perché è tuo, non l’hai comprato nuovo.
Mi spiace solo che tu te ne sia separato.
E’ il tuo modo, da disadattato a disadattata, di comunicarmi qualcosa?
[…]
Salutami tutti, dai un abbraccio a Dorian e Monik, e non fare stronzate.
Dall’altra parte dell’oceano c’è una persona che gradirebbe il tuo mettere la testa a posto.
Per quello che puoi, ovviamente.
[…]
Ti direi ‘Ti amo’ ma non sarebbe del tutto vero, ora.
Ti voglio bene, comunque.
Baci
Baci
Baci
Catherine –Kat- Delaroux’
 
Non appena arrivò la lettera espresso, Justin la rilesse quattro volte subito, prima di notare la demo che Kat aveva infilato nella busta, e la copia della fanzine, infilò il cd distrattamente nello stereo e poi tornò a rileggerla.
 
Quando l’ebbe quasi consumata, si mise a scrivere la risposta.
 
**
 
Avevano avuto poche e sporadiche comunicazioni da Londra, ma Dorian l’aveva chiamato la sera prima; non gli aveva dato messaggi per Shane, o telefonava con Eddie.
 
Dorian aveva chiamato lui, e gli aveva fatto una strana domanda, tra le scariche elettrostatiche di quello stupido cellulare.
“Cosa sei disposto a fare, per andare avanti, Justin? Per mandare avanti il nostro gruppo?”
“Dorian? Cosa intend…”
Rispondimi, accidenti a te, sto per finire i soldi!”
“Io… Fai quello che credi, Dorian. Basta che andiamo avanti.”
“Potrebbe non piacerti.”
Justin sospirò, non tentando neppure di immaginare cosa stava cercando di dire quel cretino, magari dopo qualche birra,vista l’ora; magari stava reinterpretando il Faust, quel maledetto, e l’aveva anche tirato giù dal letto!
“Dorian. Basta che possiamo tirare avanti. Noi quattro. Assieme. E un giorno, si spera, fare la nostra musica alla grande. Ti basta?”
“Sì.”
 
Justin non poteva immaginare che Dorian, più di lui, era veramente disposto a qualsiasi cosa pur di non tornare, a costo di trascinarli ancora avanti a forza, come era stato già capace di fare.
E che, forse, stava per essere trascinato avanti a sua volta, suo malgrado.
 
**
 
Eddie e Dorian tornarono intatti ad una prima occhiata, affascinati da Londra, ma in realtà massacrati sotto ogni punto di vista psicologico, fisico, morale.
Tutti i trucchetti che avevano usato per piazzare la loro demo non erano serviti, se non in qualche locale, dal quale non avevano più avuto notizia, ma alla fine, quando ormai era quasi ora di tornare a casa (erano rimasti a Londra dieci sfibrantissimi giorni, di cui tre a Manchester), avevano ricevuto la chiamata dell’etichetta che aveva il video del loro concerto all’Art Centre.
Completamente a sorpresa.
 
Troppo stanchi per parlarne, decisero di riunirsi a casa di Shaney, quella sera. Eddie si fermò direttamente dall’amico per buttarsi a dormire,  Dorian e Justin rimasero fuori dall’aeroporto, mentre il biondo riceveva la calda accoglienza, troppo stanco quasi per accorgersene, della sua fidanzata.
 
Justin aveva fatto per andarsene ma Dorian l’aveva pregato di rimanere.
Quando Monik finalmente lo lasciò, dopo aver ennesimamente pianto ed essersi sussurrati di tutto, Dorian avvicinò l’amico, che pensava ancora mentalmente cosa poter aggiungere alla sua lettera di risposta a Kat, che ormai raggiungeva i tre fogli protocollo!
“Justin…”
L’amico nascose un sorriso sotto un falso cipiglio.
“Avrei voluto suggerirvi di prendervi un motel, ma poi mi sono detto ‘ehi, sei tu tra i piedi!’; ora, specie di impiastro, dimmi perché sono dovuto rimanere qua a reggervi il moccolo!”
Dorian si morse le labbra, ignorando volutamente la sua fidanzata, e si avvicinò a Justin.
“Posso restare da te, un po’ di giorni? Non… non voglio andare a casa, e…”
Justin si sgonfiò dalla sua finta posa altezzosa in un attimo, sospirando e non lasciando che Dorian dovesse per forza parlare.
Era troppo facile capirlo, da quella volta.
“E’ ovvio che puoi restare.”, e sorrise in risposta, rianimando finalmente Dorian dalla sua debole imitazione di sorriso di scuse, abbracciato da Monik, che sembrava la personificazione della felicità.
“Ma se devi fare qualcosa, prenotati un motel, ragazzo. Mia madre non perdona, lo sai.”
Dorian finse un brivido e poi scoppiò a ridere davvero, nonostante i segni di stanchezza.
“Lungi da me scatenare Edele!”
 
Justin si girò e si avviò verso casa, per poi fermarsi, dubbioso.
“Avete davvero riportato qualcosa da Londra, Dorian?”
Il sorriso di Dorian si smorzò un poco, assottigliandosi, e lo fissò attentamente.
“Forse sì. Forse no.”, e inclinò un po’ la testa, accennando a scuoterla. “In ogni caso è qualcosa che potrebbe cambiarci la vita. Sta a noi decidere se potremo.”
Justin rise, ingenuamente.
Potremo nel senso di noi, cioè io, Eddie, Shane e…tu?”, disse, riprendendo la battuta che aveva dato il via al tutto, ma che si scontrò con il sorriso sottile di Dorian.
“No. Potremo io e te.”, e lo avvicinò ulteriormente. “Perché dipende da te accettare certe cose, nonostante tutto. E…”, sembrò assentarsi, mentre pensava a chissà cosa. “…dipende soprattutto da me. Da quanto mi appoggerete. Io sono neutrale su questa faccenda.”
A quelle parole Justin si inquietò.
“Cosa intendi?”
La voce di Dorian tremò un attimo, ma il suo sguardo non vacillò mai.
“Abbiamo qualcosa. Non è quello che volevamo ma è qualcosa. Potrebbe portarci più in alto o no, io… Non so cosa pensarne.”,e si morse le labbra, pensando a quanto dire. “Dovrete decidere voi.”, e si decise ad alzare lo sguardo.
“Il che significa che dovrai decidere tu, Justin.”
Justin lo fissò a sua volta, incerto, e poi scrollò le spalle.
“Così sia.”
“Amen, fratello.”
“Ci vediamo stasera. E…Dorian?”
 
Dorian era di nuovo abbracciato con la sua fidanzata, e si voltò a guadarlo.
“Prendetevi un motel.”
Vaffanculo!”
Justin scoppiò a ridere e salì sul suo bus dal terminal.
“Sì…anche tu mi sei mancato!”
 
**
 
Alla sera, a casa di Shane, nella loro sala prove, si respirava una tensione palpabile.
Se Dorian aveva accennato qualcosa a Justin, Eddie non aveva minimamente aperto bocca, ma ciò non significava che un’espressione incerta ristagnasse anche sul suo viso, e continuasse a torcersi le mani, aspettando l’arrivo del biondo, non decidendosi a prendere per primo la parola per spiegare.
 
Justin sospirò, sentendo che non avrebbe ancora retto per molto la tensione, e si accese una sigaretta, quando il portoncino laterale del garage si aprì e Dorian entrò, con un sorriso accennato cui gli occhi assolutamente seri, non corrispondevano.
“Alleluia, passerotto!”, lo rimproverò Shane, con una birra, seduto ai piedi della batteria, mentre Eddie girellava con una lattina ed una sigaretta a sua volta.
Dorian si fermò sulla porta a togliersi la giacca, fissando Eddie che tentava di interessarsi al rivestimento del muro come se da esso dipendesse la sua vita, e sospirò a sua volta.
“Non gli hai detto niente.”
 
Più che una domanda era un’affermazione; sapeva benissimo che il lavoro duro sarebbe andato a lui, ma si aspettava almeno un minimo di collaborazione da Eddie!
Il rosso scosse invece la testa e tornò ad occuparsi di fissare la macchia sul muro, mentre Dorian si accendeva a sua volta una sigaretta.
“Shane, aprire la finestra ti farebbe schifo, quando sono già in due che fumano?”
“Fanculo, Dorian, ti stiamo aspettando da un’ora, dicci cosa ci stai nascondendo!”, imprecò l’amico, alzandosi ad aprire la finestrella. Justin più che fumando stava tirando dalla sua Marlboro neanche fosse un inalatore dal quale fosse dipesa la sua vita, e lo stava fissando insistentemente, pallido come ai bei giorni delle anfetamine.
 
Dorian lo osservò per un attimo, come casualmente, non incrociandone con cura gli occhi.
Justin si era nettamente rimesso in poco tempo, a parte il pallore soffuso di quella sera, che era un chiaro segno di agitazione per le parole confuse del pomeriggio: sarebbe stato un bene?
 
Appena postosi la domanda, Dorian si rimproverò per averlo anche solo pensato: Justin non gli serviva, non come intendeva certa gente.
Gli serviva come suo amico, e gli serviva in forma, non col cervello ‘Più in là’.
 
Shane si risedette e tutti gli occhi si puntarono su Dorian, che si piazzò vicino ad Eddie, al lato opposto del semicerchio, in modo da poter fissare gli altri due amici bene negli occhi, mentre cercava le parole.
Poi scoprì che, quello che voleva dire, era più facile di quel che sembrava.
Prese un respiro profondo ed iniziò.
 
“Voglio che questa decisione sia presa in perfetto accordo di tutti; se solo uno sarà contrario non si farà. E…”, esitò un attimo. “…voglio che qualcuno convinca anche me. Ci hanno proposto un contratto, ragazzi.”
Eddie sbiancò, notò, mentre si preparava a spegnere un po’ i sorrisi e le luci felici che si erano accese negli occhi di Shane e Justin.
“Non è un contratto per suonare. Non…esattamente.”  
“…cosa?”, riuscì solo a emettere fiato Shane, come colpito fisicamente dalla rapida ascesa e poi discesa delle sue speranze, da zenith a nadir.
“No. Per quello voglio il vostro assenso e… anche il mio.”, e fece una pausa, tentando di trovare le parole adatte, decidendo che non ce n’erano.
 
Non ce n’erano, ora che Justin, lucido come non mai, lo fissava come volesse scavargli nel cervello ed estrargli le informazione a mani nude.
 
“E’ un contratto come… band. Come… boyband.”, scandì Dorian, chiudendo gli occhi, e appoggiandosi al muro.
“Cosa?!”, ripeté Shane, stavolta con più fiato.
Eddie, pietosamente, prese la parola, a malincuore, e Dorian lo ringraziò mentalmente.
“Calma, lascia che ti chiarisca le cose, Shane. Non si tratterebbe di fare balletti, cercano semplicemente una band di… bell’aspetto. Questo spiega tutti quei primi piani improvvisi del ‘video’ del concerto all’Art Music Centre. Era per vederci meglio.”, e si fermò un minuto, prendendo fiato. “Dorian si è espresso male, potremo suonare, scrivere musica, o meglio…”, e fece una pausa, mordendosi le labbra.”…collaborare nella musica. Una sorta di boyband rock, cercano un qualcosa di innovativo. E dicono… che potremo esserne in grado.”, concluse, scuotendo la testa.
“Una boyband?!”, ripeté Shane, aggrottando le ciglia.
“Una sorta. Diciamo che non saremo completamente indipendenti, all’inizio.”, rispose Dorian, alzando le spalle.
Pensava a quante band, prima della rivoluzione ‘alternative rock’ erano state definite ‘boyband’, primi tra tutti i loro U2 e i Depeche Mode, che tutti più o meno amavano; il successo da giovani aveva sempre portato a determinate definizioni.
Gruppi che erano stati definiti ‘da discoteca’ o al massimo da ‘college radio’ erano arrivati al mondo, scrollandosi di dosso quelle definizioni quasi offensive; questo era quello che pensava.
Di certo non aveva intenzione di mettersi la mano sul pacco e fare una giravolta, cazzo!
Questo stava pensando, quando la voce di Eddie lo costrinse ad aprire gli occhi e non pensare alle sue ipotesi funeste.
“Justin… stai pensando a qualcosa in particolare, a parte come ammazzarci con gli occhi?”
 
Justin lo stava fissando insistentemente, e prima che il suo sguardo si fissasse su Eddie, avvertì la sensazione che stesse esattamente sapendo e condividendo cosa stesse pensando, ma la cosa, più che stupirlo piacevolmente come un tempo, lo inquietò non poco: sembrava che gli stesse davvero frugando in testa, cercando qualcosa, con quegli occhi di ghiaccio.
E che avesse deciso che fosse innocente.
 
Justin sospirò e si accese un’altra sigaretta, prendendo tempo, per poi emettere, con un anello di fumo, la sua sentenza, fissando lo sguardo nella nebbiolina azzurra che si era creata.
“Cosa volete che vi dica?”, e il suo sguardo si posò su Eddie.
“Non abbiamo soldi, e lo sapete bene. Non possiamo espanderci con i concertini al Queasy, per quanto voglia bene a Jem. Il concerto all’Art Music Centre ci ha portato a questo, e questo è quello che ci hanno offerto…”, e parve che un velo di tristezza gli coprisse gli occhi per un attimo.
Si alzò in piedi, appoggiandosi poi al muro, e fissandoli tutti uno per uno negli occhi, soffermandosi su Dorian.
 
“Volete tornare indietro? Dopo quello, volete tornare indietro?”, e incrociò le braccia, aspettando le rispose.
“Vuoi dire che tu accetteresti?”, chiese Shane, totalmente disorientato.
“No, bestione, non accetterei neanche un contratto dall’Universal, senza pensarci bene!  Dico che dovremo valutare, e non bocciare in pieno la cosa perché si tratta di… un’eventualità a cui non abbiamo mai pensato.”, lo rimbeccò Justin, sospirando.
“Io non voglio tornare indietro.”, li interruppe Dorian, la voce resa roca dall’agitazione che aveva trattenuto fino a quel momento.
 
 
L’affermazione di Dorian li fece tacere e guardarsi, uno per uno; e nonostante stesse a testa bassa, mentre tentava di sbriciolare una sigaretta con le mani tremanti, era certo che lo stavano fissando.
L’urgenza.
L’urgenza nella sua voce era qualcosa di impalpabilmente inquietante e anche minaccioso.
 
Eddie diede un sospiro e si scambiò uno sguardo con lui, che diede un lieve cenno di assenso.
“Il contratto sarebbe per due dischi…e due tournèe.”, e prese fiato per sganciare la bomba.
“Internazionali.”
 
Il fiato che risucchiò Shane, quasi tolse la capacità di respirare a Justin stesso.
“Intern… e poi…”
“E poi…”, Eddie fece schioccare le dita e le fece frullare nell’aria.
”Liberi se rinnovare il contratto con l’etichetta o no.”, concluse Dorian, togliendosi la zavorra completamente, con quello che sembrava più un ultimo rantolo che un respiro.
 
Justin restò in silenzio per qualche minuto, come tutti loro, e poi si staccò dal muro, portandosi al centro della stanza girellando, un pugno sotto il mento, in atteggiamento pensoso.
“Due dischi…e poi liberi… e con mezzi a disposizione per fare la nostra musica… Saltando il circuito indie, senza preoccuparsi del lavoro, dei soldi, di scendere a compromessi…”
“…della nostra credibilità…”, gli fece il verso Eddie.
Ma era una protesta poco credibile, e lo sapevano benissimo.
“Sembra la formula di un patto col diavolo, cazzo…”, borbottò Shane, con un sorriso confuso.
Justin lo fissò, senza vederlo, e continuò a pensare.
“Non sto dicendo che dobbiamo farlo, sto dicendo che è comunque un’opportunità… Se pensi che massimo tra cinque anni potremo essere in uno studio internazionale a suonare, e non nei baretti di Dublino, sempre se saremo ancora assieme…”, mormorò Dorian, ancora seduto.
 
Justin si fermò, fissandolo.
“Tu ci credi, vero?”, disse, seriamente, e Dorian ebbe di nuovo la scomoda impressione degli occhi che gli frugavano in testa.
Dorian sospirò, non sapendo bene neppure lui cosa pensare.
“Io… al pensiero mi viene l’orticaria, specie dopo tutti i nostri discorsi ostracisti … Ma pensare di dover tornare indietro…” -all’università…a casa…-, fu quello che non disse, ma che Justin gli lesse benissimo negli occhi.
E che condivideva.
 
E capì, guardando ancora una volta gli amici, che quello di cui avevano bisogno non era di analizzare le cose.
Era di affidarsi ad un leader, come una volta.
E così, nel centro della stanza, lentamente, portò una mano sopra la sua testa, iniziando ad aprirsi in un sorriso.
 
“Io lo farei.”
E fissò gli altri, con un’aria quasi di sfida.
“Due dischi…e poi la libertà.”, ripeté, tenendo ben alta la mano, per poi alzare il tono di voce, quasi ridendo.
Si decide per alzata di mano, gente!!”
 
Dorian lo fissò, ringraziandolo in una maniera più primordiale di un abbraccio o di uno sguardo, come una corrente che solo loro potevano avvertire, e poi si tirò in piedi, come avvertendo tutto il peso di quella decisione, e alzò, lentamente, molto lentamente, la propria mano, fissando gli altri due amici.
“Indietro non si torna.”, mormorò.
 
**
 
Una settimana dopo, all’imbarco per Londra, Justin stava leggendo la lettera che Kat gli aveva inviato, dopo che, presa la decisione fatidica, tra risate, mugugni e autoconvinzioni reciproche, le aveva comunicato.
 
Sua madre l’aveva quasi rincorso con la busta, arrivata per posta aerea, mentre stava per salire per l’ultimo viaggio sul ‘Carrozzone’ guidato da Edmond, che bofonchiò per tutto il viaggio che la loro era un’enorme stronzata, e la stava leggendo in quel momento mentre attendevano l’imbarco, tutti più o meno sbadiglianti, vista la sveglia antelucana, con Shane che tirava briciole di panino nei capelli di Dorian, che si incazzava sempre di più per paura che la sua chioma splendente venisse in qualche modo resa unticcia da quello stupido gioco, Eddie che occupava ben due sedili mangiucchiando una brioche e ascoltando nel lettore cd ‘Ten’ dei Pearl Jam.
 
Caro Justin,
sono felice ti sia piaciuta la demo del mio… beh ormai ex-gruppo.
Sì, ci siamo sciolti, e ho deciso di dare ascolto a Billy Corgan: tenterò la strada solista.
[…]
Mi rendo conto dei mezzi, e che non avete avuto la ‘fortuna di girare il mondo per fare esperienza e farvi conoscere’; con questa immagino ti riferissi a noi. O meglio, ‘ex-noi’.
E’ vero, abbiamo avuto fortuna ma come vedi si è presto dissolta, anche se è vero che ora dispongo dei mezzi per potermi accreditare o cercare fortuna anche da sola presso un’etichetta.
Ma non condivido lo stesso la vostra decisione.
 
Il cuore di Justin mancò un battito, a quelle parole impresse con l’inchiostro nero, dall’altra parte dell’Oceano, su una carta da lettere stucchevole da ragazzina.
Lei stessa aveva detto che essere un gruppo di amici era una gran fortuna.
Lei l’aveva detto, e lei aveva più esperienza di lui; e stava seguendo il suo consiglio.
Avanzava con i suoi amici.
 
…allora perché si sentiva così fottutamente colpevole?
 
Le righe dopo gli diedero la risposta che non voleva sapere.
E con ‘vostra’ intendo ‘tua e di Dorian’. E’ vero che sono stata in vostra compagnia solo una sera, ma penso di conoscerti un po’… e conoscere Dorian tramite Monik.
D’altronde, è la vostra decisione, non la mia.
Può darsi che abbiate ragione, e che sia una soluzione coraggiosa e mai provata; io dico solo che non l’avrei presa, forse sono solo più stupida o paurosa, ma avrei paura di eventuali vincoli che potrebbero derivarne.
Come insegnano i nostri amici AC/DC, ‘It’s a long way to the top if you wanna rock and roll’ ed io ho deciso di seguirla.
[…]
Immagino ora non avrai più tempo per scrivermi, perciò ti ringrazio del tempo che mi hai dedicato, sia a Dublino, al vostro concerto, che scrivendomi da Dublino; per un po’sei stato il mio passaporto per pensare che il mondo fosse un bel posto.
Se però vuoi continuare… Non te lo impedirò, certamente (disegno di un sorriso con linguaccia)!
[…]
Comunque, nonostante quello che ti ho scritto, sappi che tifo per te.
Saluta i ragazzi.
Catherine
 
Niente ‘bacibacibaci’, niente ‘ti voglio bene’, niente ‘Kat’.
Era un addio freddo, pensò Justin, mentre si avviava al gate, dando uno scossone ad Eddie per alzarsi, che nel frattempo si era addormentato.
 
Prima di passare i controlli di sicurezza, per un momento, un lungo e dilatato momento nella sua mente, si fermò, e fissò le ultime frasi di quel foglio, provando una sensazione di incredibile gelo.
 
Gettò la lettera nel bidone dell’immondizia, assieme alla busta con l’indirizzo e una possibile futura risposta.
-E tu cosa vuoi saperne, stupida?!-, pensò con un’inusuale asprezza, appoggiando il suo borsone sul nastro, non accorgendosi neanche di averlo pensato.
Dorian, dietro di lui, lo osservava, attentamente.
 
**
 
Dayer sollevò la sua spada, seduto ancora nel luogo della sua ‘nascita’, dove era stato rimandato dopo aver incontrato l’Immemore.
Il cielo violaceo in continuo movimento, sopra di lui, sembrava urlare, mentre saggiava il filo della lama sulla sua pelle, stringendo gli occhi e le labbra, ancora rabbioso ma più lucido che mai.
 
Per tornare ad avvicinare Alael, avrebbe dovuto usare un altro piano, e questo necessitava di un collegamento totale con il suo esterno, il chè avrebbe richiesto più tempo, ma avrebbe dato i suoi risultati.
 
Egli l’aveva tradito, nel momento in cui poteva porre fine rapidamente alla storia, e Dayer non l’avrebbe più permesso: avrebbe incatenato la sua volontà a quella del suo ospite, finchè il suo desiderio di uccidere l’Immemore incarnatosi sarebbe diventato anche dell’esterno.
Una sola persona, un solo volere.
 
La lama, ripassata sulla punta dell’indice, lasciò una striscia di sangue vermiglio che si raccolse in una goccia, e, dopo qualche tentennamento, cadde sulla superficie dello spazio rossastro sul quale stava seduto.
Un lago cristallizzato di sangue, forse; non era suo compito chiedersi cosa fosse.
Sapeva solo che le anime intrappolate sotto quella superficie apparivano urlanti e disperate; emissari di entrambi le fazioni che avevano fallito la loro missione, vittime innocenti e chissà che altro.
 
Lo facevano sorridere, in un modo quasi gioioso che risultava raccapricciante in contrasto con i suoi pensieri.
 
Non sarebbe finito certo come loro; presto avrebbe ritrovato l’Immemore e l’avrebbe mandato a tenere loro compagnia, se così fosse stato.
 
E lui sarebbe vissuto.
Innocente.
 
 
Eccoci qua...
Mi scuso per l'assenza e per questi capitoli di transizione, ma si sa il tempo a volte è ladro e bugiardo. Ringrazio Jo_the Ripper e Silya Ruth, ma anche i miei amici fuori EFP che tramite passaparola si stanno interessando alla storia (ma non leggetela su word, maledetti!!). Ora si torna, IN PIENO, nel filone narrativo originale del lontano 1997, avendo riempito (spero non troppo disastrosamente) la falla nella trama.
Grazie a tutti
   
 
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